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Autore: swimmila    08/11/2018    6 recensioni
La luce si levò nel suo crescendo di tronfiezza senza mai incappare nell’ombra del dubbio.
Poi un’ombra le apparve. E fu luce assoluta.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Hans Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è un gioco di luci ed ombre ispiratomi per caso dal termine latino anticus, che vuol dire
 
…volto a mezzogiorno

L’alba cercava un posto da cui osservare la figura alta e magra che si aggirava, silenziosa, fra i bisbigli insonni della fontana, ma non era soddisfatta del suo punto di osservazione. La figura, col suo passo pacato e privo di sfumature, pareva indugiare sempre un attimo prima del suo biancore, come se avesse un segreto da amare alla luce dell’ombra. Occhieggiò allora fra le fronde del tiglio, l’alba precoce col suo offeso bagliore. Aprì brecce in cuoriformi sussurri; avvistò accucciata fra bordi merlati; spintonò verde che incespicò in oro.
La figura intanto incedeva incurante sul selciato pezzato d’ombra, eludendo le trappole di chiarore. Si guardava attorno con alacre indolenza; sollevava il viso su ciclicità sorprendenti; esclamava ammirazione con sguardi sfavillanti.
Decise di allargarsi, l’aurora ormai gallata, strappando il cielo in candori rabbiosi.
La figura adesso se ne stava seduta davanti agli zampilli argentini della fontana, col suo segreto bene in ombra e il viso a cercare il buio nell’alba irritata.
Un’ombra splendente, nel lontano avvicinarsi di un’altra figura, attirò la bistrattata attenzione della curiosa luce del sole crescente. La seconda figura raggiunse la prima sul bordo della fontana, dove sedette assieme al suo insonne segreto.
Sotto lo sguardo aperto del giorno, l’una sotto un occhio d’ombra, l’altra sotto quello di luce, le due figure s’intendevano nell’eucaristico silenzio dei loro segreti: l’uno nascosto nei sotterranei del cuore, l’altro scolpito nelle rune dell’anima.
Lo sguardo volto verso l’alto, la figura che amava alla luce dell’ombra ombreggiava l’aria compitando un amore impossibile in parole disposte sulla finzione di un’amichevole sfida.
Dal suo canto caldo e condolente, il segreto insonne fingeva educato di accettare il duello, osservando la sua fida amarezza iridarsi negli spruzzi ormai assordanti della fontana. Aveva passato la notte a vegliare su un’angustia che gli sgallava l’anima. Ad immaginarla, al piano di sopra, in preda al suo stesso desiderio che bruciava al piano di sotto. Ma per un desiderio che le dormiva due piani sopra.
Il sole presiedeva soddisfatto, adesso. Le vedeva entrambe, le due figure e i loro segreti. Una, quella che amava alla luce dell’ombra, era ferma dietro l’ombra delle prime migrazioni che le scorreva addosso senza vederla. L’altra, quella che insonne cullava un segreto, scorreva immobile sull’immobile scorrere del tempo.
 
Li osservava da dietro la finestra, nei grumi di chiarezza che via via ammonticchiavano i bordi del buio. Era sveglia da un pezzo.
Da un pezzo combatteva contro dita scantate che pizzicavano corde che credeva nascoste.  
Da un pezzo cercava di finire di abbottonarsi la camicia, ma le dita inciampavano impacciate nell’asola dell’emozione. Il Conte di Fersen, sotto l’ombra del tiglio, lanciava nell’aria occhiate di spaesato sollievo e stupito piacere. Era tornato dalla guerra quando la guerra era ormai il soddisfatto ricordo di una ripicca. Era smagrito, ma non aveva perso vigore e avvenenza. L’aveva sorpresa, accettando in una pudica commozione il loro invito a restare a palazzo Jarjayes. Avevano insistito, lei e André, ma Oscar non era certa che avrebbe accettato. Il Conte di Fersen non aveva mai accettato un suo invito. E invece stavolta l’aveva sorpresa. Come solo l’inaspettato sa fare.
Aveva cominciato dal basso, chiudendo la fermezza nel primo bottone.
Era mattiniero, il Conte di Fersen. Ma anche lei non aveva quasi dormito, come da mesi ormai le accadeva.
Il giorno si dibatteva ancora nel silenzio della notte in cui era rimasto impigliato: era il momento ideale per incastrarvi le chiacchiere.
Aveva continuato chiudendo la decisione nel secondo e terzo bottone.
Un attimo prima di voltarsi, le mani ancora calme sui lembi della camicia, lo aveva visto comparire. Il sole saliva svelto e risoluto e quei capelli corvini rilucevano come lustrini mentre affondavano morbidi nei fasci di luce. Un calore languido le scese rapidamente dallo stomaco fino a scioglierle le gambe, e le sue mani d’avorio sognarono di affondare in quelle morbide onde d’ebano.
Aveva proseguito chiudendo il tremore nel quarto bottone.
Era in genere mattiniero, André, ma non fino a quel punto. Eppure non c’era traccia di torpore sul suo viso, ma di sola limpidezza. Era aperto, il suo sguardo. E cortese il sorriso. Da dietro la finestra della sua camera Oscar non riusciva a sentire le loro voci. Ma se provava a seguire il movimento delle sue labbra, se si concentrava sulla sua bocca ….. la poteva immaginare scenderle sulla pelle in voluttuosi palpiti di rovente piacere.
Deglutì dolorosamente di vuota solitudine.
Si era fermata, le dita bloccate nel turbamento dell’ultimo bottone.
Con un sussulto si allontanò dalla finestra. Aveva i brividi. Forse era l’aria carica di rugiada.
Forse era un peritante ti amo affacciato alla troniera della procacità.
 
§§§§§§

Il sole si era accomodato, e dal suo scranno antico conquistato in ore di ascesa gettò un lungo sguardo verticale. Che c’era ancora tempo per inclinarlo sulle balze del rimpianto.
Sotto la sua splendente intransigenza due figure si agitavano come anime in pena. Balzavano in avanti con esclamazioni prestanti; si ritraevano fulminee nelle plaghe del dolore. Una delle due ad un tratto stese il braccio e affondò la spada nell’imprecisione lasciata dalla guardia disattenta dell’altra. Schioccò il gesto in un gridolino secco senza strascichi che dall’alto della cima del sole sembrò il rimprovero ad un segreto amato nell’ombra rotolato nella luce sotto l’improvviso scossone.
L’altra figura raccolse in fretta il segreto che incauto aveva lasciato nella sua guardia insonne e accarezzandolo lo adagiò in un angolo in compagnia della promessa del suo ritorno. Il segreto si accucciò obbediente in un pertugio assolato fra due ali d’ombra; si appisolò tranquillo e attese la certezza di tornare insonne.
Ora di punta, ora di taglio, ora di piatto, la figura che alla luce del sole ricacciava nell’ombra un affranto segreto abbacinava l’aria con i riflessi delle combinazioni di scherma che conosceva. Anche dall’alto dell’indifferenza del sole si intuiva netta la sua superiorità tecnica e tattica.
Si mosse appena, il sole, sul suo trono di luce che credeva a picco, sotto il quale però la figura che superiore attaccava e si difendeva riusciva sempre a trovare ritagli d’ombra in cui impuntare il suo baldanzoso dolore, in cui lasciare echi secchi senza code, in cui restare un attimo al di qua di un ciglio assolato al di là del quale un sonnacchioso segreto attendeva di rientrare insonne nella guardia.
Con un occhio nostalgico al suo acquattato segreto, l’altra figura sembrava avere fretta di mantenere la sua promessa. Ora di piatto, ora di taglio, a volte di punta, bloccava egregiamente gli affondi superiori che dall’ombra gli balzavano addosso. Non sembrava intenzionata ad attaccare. Le bastava difendersi dagli attacchi oscuri e superiori che l’altra menava con impeccabile disperazione. Le bastava tornare a bramare un segreto che la presenza della figura che amava alla luce dell’ombra aveva reso insonne.
Si mosse ancora un poco, il sole, dalla vetta del suo bagliore. Guardò a picco su un angolo lasciato alla sua luce dove gli era sembrato di scorgere un segreto. Ma forse era stata una sfolgorante illusione, perché dalla sua posizione antica la sua macchia non poteva essere più lumeggiante, e nella patacca del suo chiarore non c’era nessun segreto che dormiva. Forse era tornato insonne.
 
Poco in disparte, Oscar osservava i due uomini menare i fendenti di una bennata contesa.
Sorprendendola oltre ogni immaginazione, il Conte di Fersen aveva accettato la sua ospitalità e aveva deciso di trattenersi a Palazzo Jarjayes un paio di settimane.
Ne era già passata una. E lei non aveva ancora ritrovato i suoi pensieri di una volta.
I lunghi capelli schiariti dagli spaventi della guerra svolazzavano nell’aria tiepida di settembre pavoneggiati dal fervore del duello. Non facevano in tempo a ricadere di sgonfia caducità che un nuovo slancio li librava nei coni d’ombra con cui la luce si divertiva a schermirli.
Parevano tentacoli. Facilissimi da tranciare con un taglio deciso.
André si muoveva fluido ma un poco in ritardo rispetto alle mosse del Conte. Le individuava solo all’ultimo, senza tentare di anticiparle; senza provocarle o contrastarle. Sembrava che gli stesse concedendo la scena e, a ben vedere, non era ritardo, il suo, ma mancanza di fretta.
I suoi capelli rilucevano oscillando garbati nel nastro che impediva loro di disperdersi. Ma seppur costretto, il loro fluttuare sembrava il tocco delicato di una carezza e Oscar credette di sentirlo sul suo viso, quel morbido ondeggiare che corteggiava l’aria e dava a lei i brividi.
Era passata una settimana da quando il Conte di Fersen era ospite a palazzo Jarjayes. Ma i suoi pensieri non erano più gli stessi.
Con un urlo composto e senza scie, il Conte di Fersen arretrò improvvisamente, come se qualcosa, un colpo a tradimento, lo avesse costretto a stupirsi. Con una mossa a sorpresa persino per se stesso André lo aveva obbligato a ritirarsi in difesa, ad avanzare nel suo cono d’ombra. Per un attimo sembrò sul punto di avere la meglio. Poi un sorriso gli distese il viso e tornò a dargli la scena.
Dalla sommità del suo sguardo verticale il sole ebbe un guizzo inaspettato. Un movimento impercettibile sotto i suoi raggi calcinanti lo aveva spinto ad allungare la sua luce. Sembrava un’emozione scossa da un brivido di freddo.
O forse era solo un ti amo imbrigliato nella voce del vento.
   
 
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