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Autore: Duncneyforever    08/11/2018    2 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
Capitoli:
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Erika non si rende conto di ciò che ha fatto. 

I due ufficiali, condizionati in egual misura dal proprio orgoglio, hanno messo da parte la leggendaria rivalità che li lega per concentrarsi sulla governante: entrambi la scrutano con rabbia, facendo nascere in lei il sospetto d'essersi cacciata in mezzo a due cerbottane pronte a far fuoco. 

Non sono disposti a perdonare la sua impertinenza. 

È innegabile che vogliano punirla, ma io, sul momento, non riesco a fare niente per lei. 

Rivedere Rüdiger mi distrugge, poiché mi è impossibile metabolizzare quel rapporto mai consumato. Ora che i suoi occhi ardono di rabbia, vivo nuovamente quel giorno, come un trauma, così come le sue immagini pervase da un susseguirsi di violenze che minano le mie convinzioni più radicate. 

Mi accorgo di quale orrore mi susciti la vista del rosso e non mi atteggio più da spavalda, anzi, rabbrividisco. 

Nella mia mente sono una statuina di cristallo, che cade e si frantuma a terra in mille pezzi. 

Una bomboniera a forma di paperella, così come mi definisce lui. 

- Wie du dich traust, Hure! / Come osi, puttana! - Grida il rosso, immemore delle sue scuse. 

Entrambi si comportano da codardi, mettendola con le spalle al muro. Nel veder Reiner avvicinarsi con i pugni stretti, urla, piegandosi per terra in ginocchio, sperando di poter suscitare compassione. Il cuore del comandante, però, è nero e non ha pena della fasciatura, nè delle ferite sul suo corpo che egli stesso le ha procurato. 

Ariel, sempre più trascurato e, quindi, felice d'esser stato dimenticato dai suoi aguzzini, mi vede trasalire e non capisce cosa mi turbi, dato che, probabilmente, si aspettava completa indifferenza da parte di Schneider... 

Non certo che prendesse le mie " difese ". 

Intanto, se la compartiscono come avvoltoi: Reiner la fa alzare, trattenendola per il collo con la stessa noncuranza con cui si leverebbe dal suolo un pollo destinato al macello, mentre lei si dimena, andando a graffiare le sue mani, tentando di liberarsi. 

- Ihr konnt es nicht tun. / Non lo potete fare. - Biascica, con voce strozzata, piangendo. 

- Ich könnte dich auch " Prostituierte " nennen und in Birkenau einlochen. Es würde nicht so schwierig zu glauben. / Potrei anche chiamarti " prostituta " e spedirti a Birkenau. Non sarebbe difficile crederlo. - Contesta il rosso, alludendo ai numerosi amanti della governante ( tra cui proprio i due ufficiali ).

Ariel mi guarda: essendo un detenuto, non gongola in modo tale che tutti lo vedano, tuttavia gioisce internamente, prendendosi una piccola rivincita su colei che lo aveva picchiato svariate volte e per futili motivi. 

Lei, invece, non mi rivolge che uno sguardo sdegnoso, nonostante abbia un disperato bisogno di aiuto. 

- C-che v-volete fare? - Balbetto, mentre il suo viso assume tonalità violacee a causa della mancanza di ossigeno.

Scuoto la testa, riprendendomi dal blocco emotivo che mi aveva impedito di agire: contrastarli fisicamente sarebbe una vera e propria follia, tuttavia, per la mancanza di tempo a sua disposizione, decido comunque di lanciarmi contro il biondo, cercando di fargli lasciare la presa. 

- Reiner, non voglio! No! - Mi attacco al suo braccio in tensione, tirando verso di me, il tutto sotto lo sguardo inceneritore di Rüdiger e quello supplichevole di Erika, al limite della sopportazione. Sopraffatta dalla forza premente, rovescia gli occhi all'indietro, emettendo dei lamenti dalla gola soffocata. - Non vi mancherà più di rispetto; ha imparato che non deve rispondervi in malo modo. Ora ti prego, lasciala andare. - Rüdiger assiste stupefatto al suo graduale cedimento, assumendo un'espressione altera di completa disapprovazione. - Lasciala. - Il comandante mi dà ascolto, ritenendo che non sia necessario perder tempo ed energie con una donna che non merita nessun tipo di considerazione, nel bene o nel male. 

Erika si accascia per terra, agonizzante, tremante di vergogna e di paura. Tossisce, portandosi le mani al viso per piangere, ancora una volta, per amore e non per il dolore. 

Sono io a guardarla dall'alto, a felicitarmi delle sue disgrazie, così come lei aveva fatto con me... 

No, questo non è vero, perché non provo alcun piacere nel veder soffrire una persona, anche se mia nemica. 

- Lässt du dich von einer Göre herumschikanieren?! / Ti fai mettere i piedi in testa da una mocciosa?! - Rüdiger ottiene soltanto uno sbuffo da Reiner, come se a parlare non fosse stato un suo pari, ma un bambino fastidioso. - Ich hatte mehr von dem berühmten Herzog von Sachsen erwartet. Du bist schwach. Du verdienst nicht den Rang, der dir gegeben wurde. / Mi aspettavo di più dal famoso duca di Sassonia. Sei debole. Non meriti il grado che ti è stato assegnato. - Reiner reagisce pacatamente, evitando di alterarsi. 

Si rivolge al colonnello con un tono talmente rilassato da farmi preoccupare; Rudy stesso ne è rimasto allibito, il che non capita di frequente. 

- Fossi in te non mi concederei tante libertà, Schneider. Noi non siamo uguali, nè lo saremo mai. Non costringermi ad abusare del mio rango perché io, in un modo o nell'altro, vinco sempre. - Rudy stringe i pugni, imponendosi l'autocontrollo: dai suoi sprezzanti occhi blu, si evince il desiderio di uccidere l'odiata controparte, ma Reiner non ne è spaventato, al contrario, appare piuttosto tranquillo, e ciò ne provoca ancora di più l'ira. Il biondo incurva la schiena per trovarsi alla sua altezza, sorridendo cupamente. - Se troverò anche un singolo graffio su di lei, giuro che ti ucciderò personalmente. E tu sai che lo potrei fare. - 

Ariel incrocia il mio sguardo, alchè io, confusa, alzo le spalle, imbronciando le labbra. 

Rüdiger si sta piegando.

Non è da lui sottomettersi a qualcuno.

Forse ha veramente paura del potere decisionale di Reiner. Ha paura che una sua parola sbagliata possa farlo scivolare nel disonore. 

Erika continua a singhiozzare, poi viene interrotta da Rudy, il quale, le urla di smetterla, dicendole che per colpa sua " non riesce a sentire nemmeno più quello che pensa ". 

- Sei nicht heuchlerisch. Du bist nicht besser als ich und eines Tag wird sie es herausfinden. Dann kommt sie wieder kriechen. / Non essere ipocrita. Non sei migliore di me e un giorno lei lo scoprirà. Allora tornerà strisciando. - Mi rivolge un'occhiata malevola, uscendo sul cortile per fumarsi una sigaretta. 

A dir la verità, non ha aspettato di essere fuori per accenderla, diffondendo nell'aria quell'odore sgradevole di tabacco che ho sempre detestato. 

- Also?! Worauf wartest du? Verpiss dich! / Quindi?! Che aspetti? Levati dal cazzo! -  

- Sei sicuro che essere così brusco ci porterà da qualche parte? - Gli faccio, dopo aver visto la governante sgattaiolare via. 

Reiner mi cinge le spalle, dicendo di non preoccuparmi, di avere fiducia in lui. 

- Passerò da te ogni giorno, d'accordo? Tu cerca di riposare, di non andare a passeggio per il campo; sai che non ti fa bene. - Mi fa una carezza, poi si attarda per guardarmi un'ultima volta prima di andarsene. 

- Paß auf sie auf, Jude. Dieses Mal will ich keine bösen Überraschungen. / Occupati di lei, ebreo. Non voglio brutte sorprese questa volta. - 

- Jawohl, Herr Kommandant. - 

Non appena rivedrò Reiner, metterò in chiaro le mie condizioni, perché non voglio che Ariel rischi la sua vita per salvare la mia.

Che amica sarei, se glielo lasciassi fare. 

- E adesso? -

- Adesso... Beh, non saprei; nessuno ha dato ordini precisi. - Gli rispondo, picchiettando a terra con la scarpa, smangiucchiando le pellicine sulle dita. - Potresti iniziare a preparare la cena, tanto per cominciare. Hai tutto il tempo; cucina qualcosa di straordinario! Magari si rabbonirà un po'. - 

- Come desiderate, signorina. - 

- Quando la guerra finirà, non dovrai più trattarmi così. - Lui mi sorride, accomiatandosi e avviandosi, infine, verso la cucina. 

Rüdiger è ancora fuori e decido di affrontarlo faccia a faccia, piuttosto che continuare ad evitarlo come una vigliacca. 

Mi accosto titubante alla porta, prendendo la sua stessa strada. Poi, procedendo oltre il vialetto, mi perdo tra le comelline in fiore, che hanno il blu dei suoi occhi, gialle rose inglesi e lavanda profumata; tutte piante importate da paesi stranieri che, in questo ambiente paludoso, sono destinate a morire. 

Anche il prato è ben tenuto, e non lascia spazio ai fiori di campo, stipati in appositi spazi adiacenti allo steccato. 

Faccio scorrere le dita sugli steli di salvia, percorrendo il sentiero che porta ad una betulla solitaria separata dalle altre dalla recinzione perimetrale. 

Lui è lì, con il mozzicone quasi all'osso trattenuto tra le dita ( un altro, in quanto il primo è già stato gettato in terra e calpestato ) e lo sguardo perso, indirizzato verso la selva di betulle.  

Approfittando della relativa situazione di quiete, mi faccio avanti, mantenendomi ad una distanza di sicurezza. 

- Che intendevi prima? - Esordisco, stupita che, pur avendo sentito i miei passi, non si sia voltato per guardarmi.

- Improvvisamente ti interessa quel che ho da dire? - Ironizza, girandosi solo in un secondo momento. - Non funziona così; non puoi tornare quando ti pare e piace. - 

- Tu mi hai portato via ciò che ancora mi restava di bello in questa vita. Ho il diritto di pretendere da te tutto ciò che ritengo rilevante sapere. - E lui ride, ride sguaiatamente, scatenando in me la voglia di piantargli realmente quel pugnale nel collo. 

- La mia gattina... Così selvaggia... - Getta via il mozzicone, incautamente, facendolo cadere in mezzo alla sterpaglia. - È un bene che non ti abbia domata, perché non ti ho lasciata vivere affinché diventassi la sua puttana. - 

Salto sulla cicca, cercando di spegnerla prima che divampi un incendio mostruoso. 

- Non chiamarmi in quel modo - sibilo, raspando al suolo. 

- Perchè? Perché sei una bambina? - 

- Cosa... - Cattura il mio viso in una mano, squadrandomi intensamente, facendomi sentire nuda di fronte a lui. 

- Questo bel faccino potrà anche ingannarmi, ma il tuo non è il corpo di una quattordicenne e me ne sono accorto nel momento stesso in cui ti ho strappato i vestiti di dosso. Potrai infinocchiare Reiner con questo tuo fare innocente, non me. - Mi lascia andare con una spinta, facendomi slittare indietro. - Perciò dimmi: quanti anni hai, stellina? - 

- Sedici. - Rispondo, utilizzando un tono neutro: l'intera mia bocca è asciutta a causa del prolungato stato di shock e le mie mani, sudaticce, tremano, palesando il moto di paura che mi ha pervaso lo stomaco. - E mezzo. - Aggiungo, sapendo che se gli avessi mentito, se ne sarebbe accorto e avrebbe insistito ulteriormente per farmi confessare. 

- Hai l'età per fare la puttana, ormai. - 

- Ma che vuoi da me, Rüdiger?! Ti stai comportando come un marmocchio viziato! Avanti! dillo che ti rode il culo perché il tuo piano è fallito! - Sfolgorante blu di Prussia incontra pura terra di Siena, scontrandosi con il carattere del tutto diverso ( ma comunque combattivo ) nascosto al di là di un colore apparentemente piatto e banale. 

A differenza di quanto pensa, però, non sono uno di quei personaggi statici, lineari. Ho interpretato il ruolo della ragazzina indifesa per fin troppo tempo; ora è il momento di reagire, di riscattarmi e, a costo di rinunciare ad una traccia di umanità, avrò la mia vendetta, in questa vita o nell'altra. 

Il crocifisso che porta al collo è una vergogna per la nostra religione: se non mi vendicherò io, qualcuno che sta più in alto di me troverà il giusto modo per punirlo. 

Del resto, non sono nessuno per giudicare. 

- Augurati di avere l'appoggio del tuo " principe " ancora per molto, perché io non avrò pietà di te. C'è un conto in sospeso, Italienerin; lo devi pagare. - Cerca di strizzarmi un pomino roseo, finendo solo per essere respinto. 

- Lo vedremo. - 

Torno di corsa in casa, gettandomi su uno dei divani in pelle a oziare. Rimiro il soffitto in attesa di una qualche " illuminazione divina ", la quale, si concretizza in un'idea, folle anche più della prima, ma che decido comunque di seguire pari pari, iniziando col rimediare un passaggio per Auschwitz. 

Che ci andrò mai a fare ad Auschwitz? 

Forse sono veramente diventata pazza, visto che così d'improvviso mi è venuto alla mente Maxim e, per qualche strana ragione, anche lo sconosciuto ragazzo dai capelli ricci che ho incrociato in un paio di occasioni. 

Voglio accertarmi della sanità del primo e sapere chi sia il secondo, su cui, peraltro, mi sono posta tutta una serie di domande alle quali ho risposto per ipotesi. 

E come dimenticarmi di Zeno! Potrebbe esser tornato e non posso non passare a trovarlo! 

Dev'essere molto fragile per la perdita di Friederick e vorrei davvero confortarlo e condividere il mio dolore con qualcuno che riesca a capire quanto sia orribile dover affrontare tutto questo, fingendo che bastino pochi giorni per dimenticare qualcuno che si ha amato. 

Fermo un soldato di passaggio con un gesto della mano, chiedendo d'esser scortata fino al campo; 

- was habe ich gerade gehört? Du spinnst wohl, junges Mädchen! / Cosa ho appena sentito? Dai i numeri ragazzina! - Procede sghignazzando, deridendomi, alchè mi vedo costretta a far dondolare la croce di ferro che mi ha donato Reiner per farlo fermare. 

- Standartenführer Von Hebel hat mir gesagt, ich kann es tun. / Il comandante Von Hebel mi ha detto che lo posso fare. - Lui mi guarda con sospetto, esaminando la medaglia luccicante stretta nella mia mano. 

- Wenn es sein Wille ist... / Se questo è il suo volere... - Seguo l'uomo fino ad una motocicletta che fisso dubbiosa, domandandomi se lo debba " abbracciare " per non cadere. 

Lui ripone alcune carte nella borsa di pelle agganciata sul lato, facendomi segno di venire avanti. 

Vedendomi immobile, impettita sul posto, balza in sella, minacciando di andarsene senza di me. 

- Alles klar! - Sbuffo, alzando le mani al cielo e sedendo dietro di lui.  

Accende il motore, rimproverandomi subito. 

- Du wirst fallen. Wer hört ihn dann? / Cadrai. Poi chi lo sente ( il comandante )? - Allungo le mani sul suo addome, stringendo forte. 

Per una volta, sono contenta del viavai continuo in casa di Schneider... 

Peccato che quando avevo bisogno io, non c'era nessuno. 

Fa freddo, incredibilmente freddo per essere estate e, poiché non ho una giacca, patisco molto prima di arrivare a destinazione. 

Scendo tutta intorpidita, frizionandomi la pelle e stringendo le braccia e le gambe per non disperdere calore. 

- D-danke - batto i denti, starnutisco; una vera e propria tragedia per il soldato. 

- Es scheint schwerer / sembrava più pesante - mi dice, tirandomi la manica. Si toglie la giubba dell'uniforme, mettendomela sulle spalle: - vielleicht ist es besser, zuerst von Kommandantur zu fahren. Ich biete dir etwas Warmes an. / Forse è meglio passare prima dalla Kommandantur. Ti offro qualcosa di caldo. - 

- Das spielt keine Rolle. Ich komme schon klar. / Non fa niente. Me la caverò. - Gli restituisco la giacca, lasciandolo interdetto. 

Lo ringrazio ancora per il passaggio, dopodiché, mi incammino per il setttore B1, riscontrando una vivace opposizione tra le guardie a sorveglianza del cancello. 

- Ich sollte hier durchgehen. / Dovrei passare per di qua. - Gli dico, cercando di farmi spazio tra i due e aprirmelo da sola. 

Mi fermano, senza neanche bisogno di trattenermi. 

Stanno giocando e questo mi dà veramente ai nervi. 

- Sonst wirst du uns schlagen? / Altrimenti ci picchierai? - 

- Um Gottes willen! Lasst sie durch; das Mädchen ist befugt. / Per carità! Lasciatela passare; la ragazzina è autorizzata. -

In un primo istante non riconosco l'uomo che ha parlato, ma più lo guardo e più mi dico di averlo già visto, fino ad arrivare alla conclusione che sia colui che mi aveva scortata da Maxim sotto pretesa di Reiner. 

- Und von wem? Von dir? / E da chi? Da te? - Chiede il soldato più giovane e con uno strano accento, forse del nord. 

- Von oben. / Dall'alto. - Replica secco, facendomi entrare lui stesso all'interno. 

- Machst du es allein? / Lo fai da sola? - Francamente i suoi occhi caramello sono pieni di noia, quindi non mi azzardo a pretendere qualcosa da lui.

- Ja. - Il sergente non voleva sentire altro e mi abbandona, lasciandomi libera di agire indisturbata. 

Essendo Maxim ancora in miniera, mi dirigo verso il settore femminile dove, a quanto ricordo, potrebbe essere di ronda Zohan: inizio col perimetro, facendo il giro del filo spinato, per poi avvicinarmi man mano verso i Blocks. 

Quest'ala di campo è quasi deserta, poiché quasi tutte le prigioniere donne sono impiegate nei reparti destinati al rammendo abiti, nelle cucine, nelle lavanderie, nei servizi di pulizia e, le più sfortunate, ai lavori agricoli al di fuori del lager. 

Le guardie, sostanzialmente, si devono assicurare che nessuna di loro tenti la fuga, benché questo sia pressoché impossibile, dato che solo a partire dal quarantatré ( a causa del sovraffollamento del campo ) alcuni prigionieri riuscirono ad eludere il sistema perfetto della macchina nazista. 

Furono comunque pochi e, la maggior parte di essi, si salvarono per esser saltati giù dal treno prima che questo raggiungesse lo scalo ferroviario di Auschwitz-Birkenau. 

Queste stesse guardie, frattanto, mi guardano stranite: un po' perché una ragazzina si sta aggirando nel campo senza che qualcuno provi ad ostacolarla e un po' perché porto al collo la croce di un nazista, ma non una qualsiasi, bensì una di prim'ordine, riconoscibile in quanto rara. 

Attualmente sono sollevata di non dover vedere in che stato sono ridotte le detenute, perciò cammino con un peso in meno sul petto, limitandomi alla sola ricerca di Zeno. 

Per fortuna, dopo aver girato in tondo per almeno venti minuti, lo trovo appoggiato alla facciata esterna di una baracca, ma non sembra molto in vena di visite, tutt'altro, evita il mio sguardo, impermeabile ai miei innumerevoli richiami. 

Smetto di chiamarlo dopo aver sentito le prime gocce di pioggia bagnarmi il viso, diventare via via più pesanti e inzupparmi la maglia leggera. 

Resto ferma, amareggiata dal suo rifiuto e incline al pianto. 

È stato così improvviso che non ho avuto il tempo di interpretare i cambiamenti nel profondo dei sui occhi, così come nel cielo scuro, stamane limpido e coperto da soffici nuvole bianche. 

Guardo il suo profilo fin quando alcune gocce piovute dal cielo e rapprese fra le ciglia non mi costringono a chiudere le palpebre. 

- Friederick sta piangendo - i miei occhi sono ancora chiusi, ma il suo cuore no. Zohan viene fuori dal riparo che il tetto gli offriva, prendendomi per mano. Io alzo il viso per guardarlo e vedo le sue lacrime fondersi con la pioggia, il volto giovane, segnato dal dolore, liberarsi, allentare i nodi della sua inesorabile malinconia. 

- Perdonami per aver tentato di dimenticare. - Mi trascina al coperto, abbracciandomi. - Ogni ricordo di Friederick mi uccide. - 

- Manca tanto anche a me - gli confesso, appoggiandomi al suo petto. - Rüdiger mi ha impedito di dargli un ultimo saluto, ma io lo volevo Zeno, lo volevo così tanto! - 

- A tempo debito giuro che ti racconterò tutto, ma non qui; non ora. - 

- Tu stai bene? Ti ha fatto qualcosa? - Aggiunge, cercando sul mio corpo segni di contusioni che, per ironia della sorte, sono sparite del tutto appena due, tre giorni fa al massimo. 

- Sto bene. - 

Surclasso su ciò che mi ha fatto il colonnello per non dargli questo pensiero e insisto nel confermare la mia versione, nonostante lui non ne sembri affatto convinto. 

- Questa cos'è? - Indica il " ciondolo " in ferro, al che racconto brevemente di Reiner e del nostro patto, del fatto che grazie a lui mi sono stati concessi diritti di cui prima non godevo. 

- È merito suo se sono qui; sono venuta per cercare te e... Qualcun altro. - 

Penso abbia capito a chi mi riferisco dal modo in cui ho lasciato in sospeso la frase; difatti, non manca di rendere evidente il suo stato di tensione: 

- ma che cosa significa? Lo sai che è pericoloso parlare con uno di loro; non dovresti essere in questo posto a prescindere. - 

- Nemmeno tu. Non sei un'SS, potrei farti la stessa domanda. - 

- Il Reich ha voluto punirmi: sono convinti che il partecipare attivamente allo sterminio degli ebrei, il popolo cui secondo loro appartengo, possa in qualche modo redimermi. - La sua voce assume un tono derisorio, il discorso una vena sarcastica; - è proprio un'indecenza che nelle mie vene scorra del sangue giudaico, non trovi? - 

Mi dispiaccio infinitamente per sue sventure, perché dietro all'ironia c'è la disillusione dei suoi sogni e delle sue speranze e la consapevolezza di star morendo di una morte emozionale lenta e dolorosa. 

- Con Friederick ho fallito, tuttavia, credo ancora di poter aiutare delle persone, di poter rendere la loro vita migliore di quanto sia ora. Lui diceva sempre che bastavano piccole cose e adesso ho la possibilità di unire due fratelli che il destino ha voluto dividere: loro mi hanno ringraziata; hanno pianto di gioia quando gli ho fatto sapere che si stavano cercando. Appoggiami Zohan; te lo chiedo per cortesia... C'è già troppa cattiveria nel mondo. - 

- Il tuo cuore è buono come lo era il suo. Fried non ti avrebbe ostacolata ed è per questo che non mi metterò in mezzo. Presta attenzione però! Non voglio perdere anche te. - Mi stringe tanto da farmi staccare i piedi da terra, facendomi ricadere giù stralunata. 

Il colloquio si conclude in fretta, coincidendo con il rasserenarsi del cielo dopo il forte acquazzone. 

Zohan smonterà dal " lavoro " tra un'ora circa e promette di aspettarmi al confine tra le due sezioni, ovvero tra quella maschile e quella femminile. 

Al fermo dei soldati non mi imbatto in problemi di alcun tipo: sfrutto la croce come fosse un pass e mi introduco tranquillamente nell'ala riservata agli uomini.  

Ormai, di vista, mi conoscono tutti ( se non proprio tutti, una buona parte ) e non sono più tanto stupiti nel vedermi gironzolare per il campo. 

Con ciò, intendo dire che una giovane ragazza non sarebbe mai passata inosservata e che, quindi, un'idea su chi io sia se la siano già fatti.

Chi sa mai la mia presenza verrà annotata tra le pagine dei libri di testo... Non sarei entusiasta se venisse fuori il mio nome accanto a quello di Rüdiger o di Reiner perché, pur non essendo una nazista, si potrebbe intuire il contrario. 

Il settore B1b è più affollato rispetto allo spazio dedicato delle donne ( che a breve verrano traslate nel settore B1a ) e se prima avevo visto delle figure in lontananza, girate di spalle, che andavano a prendere l'acqua al pozzo, ora vedo schiere di operai, di schiavi affaticati dal peso delle durissime giornate lavorative trascorse in miseria. 

Mi faccio strada nel fango sfruttando il carro armato degli anfibi, mentre le babbucce dei prigionieri, inzuppate e sfuggenti, funestano i loro piedi di piaghe e fastidiose vesciche. 

Mi sento a disagio tra loro, che sono così magri! con i lunghi capelli profumati, il viso pieno e le cosce tornite. 

Mi sento male perché è colpa nostra se sono ridotti pelle e ossa e, purtroppo, la mia Italia, oltre che la patria della pasta, è stata anche la patria del fascismo, movimento risoltosi in questo luogo nella sua espressione più feroce.  

Nascondo la croce al di sotto della maglia, vergognandomene, e il ferro gelido a contatto con la tiepida pelle del seno brucia più degli schiaffi ricevuti per aver tentato di riparare l'animo spezzato dei viventi, assassini dei loro simili. 

I prigionieri lavorano incessantemente: nessuno perde tempo cercando di capire che strana creatura sia. Non mi vedono perché troppo occupati a costruire e demolire baracche, prosciugare il terreno, trasportare ruderi e ghiaia dal campo alle fabbriche  ( distanti anche diversi chilometri ) tutto sotto il rigido controllo delle SS e dei Kapò, talvolta, più crudeli dei nazisti stessi. 

Caricano sui vagoni i ruderi e li spingono, correndo! Non hanno un attimo di tregua... I loro occhi scavati sono lo specchio dei corpi smunti che, per paura delle perscosse, si spingono fino a quel punto di rottura in cui è unicamente la forza di volontà a tenerli in piedi. 

Temono i Kapò forse più di quanto non temano le SS, le quali, convinte della superiorità della " razza " ariana e disgustate al pensiero di poter venire a contatto con uomini bestializzati, si tengono alla larga, intervenendo solo se strettamente necessario. 

Molti Kapò, invece, sono spietati e non esitano a dar prova della loro fedeltà ( e crudeltà ) prendendosela con i compagni di sventura, pur essendo anch'essi vittime del Reich. 

Rallento il passo, imbattendomi in un triangolo nero, un " asociale " investito della carica di Kapò: ha un taglio di capelli di tipo militare e abiti civili, il che mi suggerisce che sia tedesco e che, in realtà, stia per essere trasferito altrove. Negli occhi non ha la cattiveria che ho visto in altri ed è propenso ad aiutare i suoi compagni, in questo caso, impegnati nello spalare i detriti ricavati dalla demolizione del Block precedente, che verranno riutilizzati per i lavori di ampliamento del campo. 

È un uomo di circa quarant'anni e china il capo in terra dopo essersi accorto della mia presenza, richiamando l'attenzione degli altri; - beachtet mich gar nicht / non badate a me - pronuncio timidamente, incespicando su tutte quelle " h ", sapendo di essere osservata tanto da loro, quanto dalle SS. 

Non riuscirei a rivolgermi sgarbatamente a loro neanche volendolo, quindi parlo il meno possibile, giustificando il mio silenzio con frasi quali: " mein Deusch ist noch nicht gut " oppure " ich weiß nicht, wie man es sagt "...

In pratica faccio la finta tonta; la finta sprovveduta o la timorata di Dio terrorizzata all'idea di spiccicare parola. 

Procedo seguendo una trasversale, tagliando la fila ordinata, passandogli praticamente accanto. 

Mi piego come un fuscello davanti ai loro occhi tristi e, non riuscendo a controllare le emozioni, faccio trapelare tutta la compassione che provo nel vederli così miserevolmente assoggettati. 

Dò una rapida occhiata al gruppo, notando verso il fondo una cascata di scomposti capelli ricci alquanto sgargianti. 

I prigionieri riprendono a lavorare, mentre io approfitto dell'assenza dei crucchi nei dintorni per avvicinarmi a lui. 

Una voce magnifica spezza il silenzio scandito dal suono dei cocci e delle macerie che vengono scaricati nei vagoni: è una voce maschile, soave, unica nel suo genere; canta le rime di una nenia sconosciuta, dolce e melodica, ma di un ceppo linguistico diverso da quello che conosco io, quello indoeuropeo. 

Mi giro intorno, cercando di capire da dove provenga. 

Auschwitz non si frappone tra il musico e la sua canzone: i suoi " abitanti " tacciono e non si voltano a guardare chi sia stato.

Nessuno interrompe il fluire lineare delle sue rime; nemmeno i vigilanti in uniforme scura. 

Seguo l'estensione della voce, accorgendomi in un secondo momento che è proprio il ragazzino ungherese a canticchiare quatto quatto. 

Evidentemente non si rende conto del suo talento. 

Non potrebbe mai passare inosservato. 

Cammino piano a passo leggero e lui, vedendomi così di colpo, lascia cadere la pala a terra, sobbalzando. 

- Non volevo spaventarti - gli dico, velando delle scuse. - Il tuo è un dono miracoloso... Sei incredibile. - 

Il riccio prende di nuovo a spalare, intimorito dal soldato che aveva storto il muso non appena aveva smesso di farlo. 

Del tutto intenzionata a conoscerlo meglio, marcio verso l'uomo a testa alta, tranquillizzata dal benestare di Reiner. 

- Ich möchte mit ihm allein reden. / Vorrei parlare da sola con lui. - Mi guarda come se avessi confessato d'esser andata a rubare in casa sua, sforzandosi di mantenere alto il registro e non farlo degenerare in una baruffa tra gretti incivili. 

- Mit diesem Jude? Warum? / Con quell'ebreo? Perché? - 

- Er hat eine tolle Stimme, deshalb will ich ihn singen hören. / Ha una bella voce, perciò voglio sentirlo cantare. - 

- Pah! Machen Sie, was sie möchten... Sie sind Häftlinge; sie sind hier, um uns zu befriedigen. / Bah! Fate come volete... Sono prigionieri; sono qui per soddisfarci. - Smussa la critica che mi stava rivolgendo dopo aver scorto un familiare luccichio argenteo attraverso una piega della maglia; di conseguenza, mi concede il suo tacito " permesso ". 

Sono scioccata dalla facilità con cui io riesca sempre a tirarmi fuori da certe situazioni...

Mi riesce con tutti, meno che con Rüdiger. 

Torno dal giovane, origliando involontariamente lo scambio di battute tra due prigionieri che, per giunta, insultano il ragazzino sproloquiando le peggio cose. 

Non faccio in tempo ad intervenire che già hanno smesso di parlare. 

Assisto confusa alla scena, cogliendo una nota di vergogna sul suo volto emaciato.

- Komm mit mir. - Seppur in tedesco, comprende la richiesta ( perché di ordine non si tratta ) e mi raggiunge titubante sul retro di una baracca vicina. 

- Quanto vorrei che tu mi potessi capire! C'è qualcosa di diverso nel tuo sguardo che non riesco a decifrare e ci sono talmente tante cose che ti vorrei chiedere! Ti sembrerà assurdo, ma la sola idea di non poter comunicare con te mi mette tristezza, visto che non posso aiutarti nel modo in cui mi sono prefissata di fare. Che dico; forse è una fortuna che tu non possa rispondermi: chissà cosa diresti di me... Diresti che sono una sciocca che vive in una realtà utopistica; che sono un'idealista... -

Mi tiro uno schiaffo in fronte, scuotendo la testa. 

Poverino; già non capisce la mia lingua, in più, gli faccio un discorso incomprensibile sulle frustrazioni che mi affliggono giorno dopo giorno da due mesi a questa parte. 

- No. - 

Ha parlato! Mio Dio ha parlato! 

Strabuzzo gli occhi, chiedendomi se non sia stato frutto della mia immaginazione. 

- No? - Ripeto, stupefatta. 

- Siete una sognatrice e, date le circostanze, non è una brutta cosa. - La mandibola mi cade giù in automatico per la sorpresa, ma lui non mi dà più la soddisfazione di sentirlo parlare, nè in italiano nè in qualunque altra lingua. 

- Tu mi capisci! - Esclamo, ricercando i suoi occhi scuri, sfuggenti. 

- Sì. - 

- Allora perché non dici niente? - 

...

- Hai paura di me? - 

 

 

 

 

 

 

Note: 

- mein Deutsch ist noch nicht gut = il mio tedesco non è ancora buono; 

- ich weiß nicht, wie man es sagt = non so come si dice. 

 

 

 

 

  
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