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Autore: Old Fashioned    09/11/2018    21 recensioni
In un laboratorio sotterraneo vengono portati avanti esperimenti su un antico manoscritto tibetano che secondo la leggenda dovrebbe avere la funzione di "estrema difesa" per chi lo possiede. Cosa significhi questa espressione non è noto, così come ormai è sconosciuta la tecnica di canto armonico necessaria per recitarlo nella sua completezza.
Un nuovo e sofisticatissimo programma di campionatura del suono, Marsia 2.1, rende finalmente possibile una fedele riproduzione del canto, ma gli effetti dell'invocazione sono decisamente inaspettati.
Prima classificata al contest "Bionica Mente" indetto da Molang sul forum di EFP, a pari merito con "Card speak for themselves", di LyaStark.
Prima classificata al contest "Specchi, ombre e presagi: il Doppelgänger" indetto da Shilyss sul forum di EFP, a pari merito con "Il bianco è un colore crudele", di Myrose.
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Manoscritto 1





IL MANOSCRITTO TREBITSCH-LINCOLN




Capitolo 1

Il soldato Westbrook si dondolò sulla sedia girevole, che scricchiolò sotto il suo peso, quindi sollevò lo sguardo e lo fece scorrere sui monitor delle varie telecamere di sorveglianza: un corridoio vuoto, un altro corridoio vuoto, una porta blindata regolarmente chiusa, una seconda porta blindata chiusa, un laboratorio in penombra con teli di plastica che coprivano le varie apparecchiature, un laboratorio illuminato, con gente in camice bianco affaccendata intorno a qualcosa che non si riusciva a distinguere bene.
Che palle,” brontolò.
Riprese il controllo dei monitor. Le porte degli ascensori per il personale: chiuse. I portelli dei montacarichi: chiusi. La porta che dava sulle scale: chiusa anche quella. Nessuno in giro a parte gli autorizzati.
Si stiracchiò di nuovo, si sbottonò il colletto della mimetica, quindi brontolò: “Siamo chissà quanti piani sottoterra e dobbiamo starcene con questa merda di giubbotto antiproiettile addosso, per proteggerci dai terroristi. Lo sai che ti dico? Che se i terroristi sono talmente motivati da sbattersi ad arrivare
fin qui si meritano un premio.” Indicò l’armadietto della dotazione anti-terrorismo e disse: “Lì dentro ci vorrebbe un frigo con le birre, invece dei taser.” Poi, dopo una pausa: “Che ore sono?”
Dalla console dei sistemi di sicurezza, il soldato Nielsen rispose: “Le dieci.”
Di mattina o di sera?”
E dai, non fare l’idiota.”
In questo cazzo di posto si perde la nozione del tempo. Allora: di mattina o di sera?”
Sera.”
Westbrook aggrottò le sopracciglia. “Allora vado e ti mando giù quel cazzone di Beau.”
L’altro guardò di nuovo l’orologio. “Ovviamente è in ritardo, eh?”
Già.”
Il primo abbandonò la sedia senza aggiungere altro, quindi raccolse l’M-4 e se lo mise in spalla. Uscì dalla sala controllo, si stirò facendo scrocchiare le ossa della schiena e si strofinò gli occhi. “Fottuti monitor,” brontolò fra i denti, quindi si mise in movimento.
Percorse il corridoio, raggiunse l’ascensore A e premette il pulsante di chiamata. Passò qualche secondo, poi le porte si schiusero sulla cabina in attesa.
Westbrook si girò brevemente a mostrare il dito medio alla telecamera di sorveglianza, agitò l’altra mano in segno di saluto e scomparve nell’ascensore.
Sorrise fra sé e sé: la storia del dito medio a quelli della sorveglianza l’aveva inventata Beau, tanto per cambiare. Per le cazzate era lui lo specialista.
Non c’erano indicatori di piano o bottoniere – un’altra procedura antiterrorismo – per cui il soldato si limitò a scandire: “Alloggi personale militare.”
Sperò come sempre che il riconoscimento vocale o chi per esso non si fosse guastato proprio quel giorno. Subito dopo, con un ragionamento automatico, prese a calcolare quanto ossigeno c’era dentro quell’ermetica scatola di metallo cromato. Finito il calcolo, alzò lo sguardo verso l’occhio della telecamera di sorveglianza e sillabò: “Vedi di non fare lo stronzo.”
Fanculo,” provenne dall’altoparlante.
Il breve viaggio si svolse comunque senza intoppi. Le porte dell’ascensore si schiusero e Westbrook si trovò davanti il poster di una modella che indossava un bikini mimetico e con fare allusivo teneva un M-16 tra le gambe.
Ciao, Charline,” la salutò, quindi si diresse verso le camerate ed entrò in quella sella squadra Bravo. “Beau?” chiamò, “Sei qui?”
Gli rispose un grugnito.
Westbrook si girò e gli occhi gli si dilatarono per lo stupore. “Ma che cazzo hai combinato?” chiese, con un tono a metà fra il risentimento e la preoccupazione.
Beau Lyles giaceva sulla propria branda con l’aria di un caduto dello sbarco in Normandia. Aveva un occhi nero, un livido sullo zigomo, un labbro spaccato e vari altri danni.
Allora?”
Con qualche difficoltà, l’altro articolò: “Quattro stronzi della squadra Alpha hanno detto che ho barato.”
Ed era vero?”
Lyles pronunciò qualcosa di inintelligibile.
Era vero?” ripeté Westbrook. Senza attendere risposta, andò all’armadietto del pronto soccorso e ne trasse una cassetta bianca contrassegnata da una croce rossa. La posò sul tavolo e l’aprì.
Lascia stare,” gli giunse la voce di Beau, “prendimi piuttosto la bottiglia che c’è nel mio armadietto.”
Se te la becca il sergente Ewing ti incula a sangue, lo sai.”
Sono disposto a correre il rischio. Me la passi, amico?” Lyles corredò la richiesta con uno sguardo da cucciolo di foca.
Non mi hai ancora detto se è vero che avevi barato.”
Che te ne frega? In ogni caso, non si dovevano permettere di accusarmi solo perché hanno perso tutto.”
E quindi?”
Li ho sfidati tutti e quattro. Io intendevo uno per volta, però.”
Westbrook emise un sospiro, poi chiese: “Lyles, non è che hai un problema con la tua aggressività?”
L’altro parve ponderare la cosa. Infine, in tono serio rispose: “Non con la mia. Con quella degli altri.”
Sei sempre il solito,” brontolò il primo, quindi prese un flacone di disinfettante, del cotone e dei cerotti e si sedette accanto a lui sul letto. Beau aprì l’occhio buono, scrutò quello che aveva in mano e gli chiese: “E la bottiglia?”
Fanculo la tua bottiglia. Ora ti sistemo la faccia, poi finisco il tuo turno prima che il sergente si accorga che non sei in servizio. Tu sta qui e riposati.”
Sei un amico, Chet.”
E tu sei un idiota, Beau.”
Fanculo.”
Fanculo anche a te.”

§

Il soldato Lyles fece scorrere lo sguardo sulla sala conferenze, quindi significativamente alzò gli occhi sulla cabina del proiettore e disse: “Pensa se qualcuno andasse a mettere su un bel porno al posto di quelle loro presentazioni del cazzo piene di grafici e formule.”
Westbrook scosse la testa. “Non ci pensare nemmeno. Piuttosto: ti fa ancora male dove ti hanno preso a calci?”
Solo quando respiro profondamente.”
Per me dovevi farti vedere dal dottore.”
Per sorbirmi anche la sua ramanzina? No, grazie.”
E se hai delle costole rotte?”
Fanculo, si aggiusteranno.”
Lo scambio fu interrotto dall’entrata in sala di un nutrito gruppo di persone. Westbrook sollevò le sopracciglia nello scorgere un gruppetto di alti ufficiali. “Il comandante della base in persona?” sussurrò al compagno.
Roba forte,” rispose l’altro sullo stesso tono, poi si immobilizzarono sull’attenti.
Una piccola folla di ricercatori e militari si accomodò nelle prime file di poltrone, il comandante della base e alcuni tizi in borghese salirono sul palco e si accomodarono al tavolo.
Il proiettore si attivò e sullo schermo alle spalle dei relatori comparve il logo della base: uno specchio d’acqua che doveva rappresentare un lago salato, un cactus a candeliere con un avvoltoio appollaiato su uno dei bracci, un teschio di vacca e la scritta ‘Aguas Muertas’.
L’ufficiale prese la parola. Sciorinò i saluti di rito, ringraziò questo e quello, presentò i relatori, quindi assunse una certa aria di mistero e in tono sibillino chiese: “Che cosa pensereste se io vi dicessi che esiste un’arma invisibile, potentissima, virtualmente senza ingombro e in grado di colpire esclusivamente nemici prescelti?”
Sulla platea calò dapprima il silenzio, poi un uomo alzò una mano e replicò: “Direi che siamo nella fantascienza.”
L’ufficiale sorrise. “Una fantascienza vecchia di milletrecento anni, più o meno.”
L’affermazione evocò un brusio talmente intenso che l’oratore si trovò a dover richiedere il silenzio battendo la mano sul tavolo.
Passo la parola al professor Kozlov,” si limitò ad annunciare quando si fu ristabilita la calma, quindi si sedette nuovamente al suo posto.
Il chiamato, un uomo alto, brizzolato, con i capelli spettinati e un maglione che sembrava una specie di sacco realizzato con gli avanzi di dieci gomitoli diversi, si alzò e andò con noncuranza al podio del conferenziere. Alle sue spalle comparve una foto in bianco e nero che rappresentava una città in macerie.
La nostra storia comincia il 25 aprile del 1945, a Berlino,” esordì l’uomo con distacco. Il puntino rosso di un laser si mosse in tondo sullo scenario di distruzione come per attirare su di esso l’attenzione degli astanti.
L’immagine cambiò, comparvero sullo schermo sette corpi al centro di una stanza semidistrutta, sei disposti a raggiera e uno al centro, tutti in uniforme tedesca.
Che significa?” chiese qualcuno dalla platea.
Kozlov annuì come se si fosse aspettato proprio quella domanda. La successiva immagine, l’ingrandimento del viso di uno dei cadaveri, mostrava lineamenti inequivocabilmente orientali. L’uomo spiegò: “I sei corpi” – Il laser passò dall’uno all’altro – “sono monaci tibetani. Come vedete, sono morti per recisione della gola.” Il puntino rosso guizzò sulla figura al centro e Kozlov proseguì: “Questo invece, colloquialmente identificato come Lama dai Guanti Verdi, è Ignatius Timothy Trebitsch-Lincoln, un avventuriero ungherese al servizio del Reich. L’uomo era stato dato per morto nel ‘43 in Cina, probabilmente per ingannare i servizi segreti Alleati.” Sullo schermo l’immagine cambiò di nuovo, divenendo quella di un bivacco in cui europei in abiti da montagna e asiatici in paramenti religiosi sedevano alternati intorno a un tavolo. “Si sa per certo che partecipò a diverse spedizioni naziste in Tibet, e che da una di esse riportò un manoscritto che l’allora Dalai Lama aveva offerto in dono alla Germania come estrema difesa.”
A questo punto, l’uomo si interruppe e fece girare lo sguardo sulla platea, dalla quale di nuovo si levava uno scettico brusio. “Si sa per certo che quel manoscritto era nella stessa stanza in cui furono rinvenuti i corpi,” proseguì, “ma quello che per anni è stato tenuto segreto dall’allora Unione Sovietica, che si appropriò del manoscritto alla fine della guerra, è questo.” L’immagine cambiò ancora: comparve sullo schermo, tra le macerie di Berlino, una distesa di cadaveri straziati. Ad alcuni erano stati strappati gli arti, altri erano decapitati, altri ancora avevano il ventre squarciato. Sembrava che un’orda di demoni vi si fosse accanita sopra in preda a una mostruosa frenesia di massacro. Tra essi non si vedeva una sola uniforme tedesca.
Alla prima fecero seguito altre fotografie, che ritraevano analoghe distese di corpi su scorci diversi della città. A quel punto, il professore spiegò: “Testimoni oculari parlarono di forze potentissime e invisibili, non attaccabili dalle armi convenzionali. ‘Ho visto Dimitri aprirsi in due sotto i miei occhi come se qualcuno lo stesse sventrando, ma non si vedeva nessuno,’ recita la deposizione di un soldato che assisté al fenomeno.”
A quel punto alzò la mano un altro degli astanti.
Il professore si voltò verso di lui. “Sì?”
Posto che tutto questo sia vero, che cos’era, un’arma segreta dell’Unione Sovietica?”
Sullo schermo comparve un’ulteriore immagine di corpi straziati, ancora più spaventosa delle precedenti, se mai fosse stato possibile. “Non sappiamo esattamente di cosa si tratti,” rispose Kozlov, “ma sappiamo che nessuno è stato in grado di vederlo, di controllarlo né tanto meno di combatterlo in qualche modo. Il fenomeno è proseguito fino a che, supponiamo, qualcuno non ha ucciso Trebitsch-Lincoln e i sei lama.”
Ma cos’ha a che fare tutto questo con il laboratorio di Aguas Muertas?”
Buona domanda,” rispose Kozlov, col tono di chi sente un bambino chiedere perché l’acqua messa sul fuoco si scalda. “Saranno il professor van Zijl del dipartimento di fisiologia della voce e il professor Gaidher, esperto di lingue e religioni orientali, a rispondere per me.”
I chiamati si fecero avanti e si avvicinarono al podio. Il primo era un uomo di mezz’età con gli occhiali cerchiati d’oro e un completo grigio scuro, il secondo era un orientale, forse un indiano, con la pelle color caramello e lisci capelli neri. Portava un blazer chiaro con il collo alla coreana, allacciato fino all’ultimo bottone.
I due scambiarono qualche parola a bassa voce con il professor Kozlov, quindi Gaidher piegò il microfono per adattarlo alla propria bassa statura e cominciò: “Stiamo parlando di un manoscritto Bön risalente al settimo secolo dopo Cristo.” Alle sue spalle comparve l’immagine di una pergamena chiaramente molto antica, ma straordinariamente ben conservata. Essa rappresentava demoni con tre occhi, zannuti e incoronati di teschi umani, per la maggior parte neri, ma anche rossi o gialli, mostrati nell’atto di uccidere uomini armati, piccoli come bambini in confronto alla loro mole. Dappertutto, dipinti con uno stile semplice ma incisivo, vi erano arti recisi, teste mozzate e corpi scuoiati o sventrati.
Le parti lasciate libere dai disegni erano coperte di una scrittura fine, nera con i capoversi in rosso.
Scorsero altre pagine della pergamena, simili alla prima per i contenuti, infine si vide il manoscritto per intero, ripiegato a fisarmonica e racchiuso tra due tavolette di legno su cui si indovinavano ancora resti di pittura rossa e foglia d’oro.
Gaidher riprese: “Questo è quello che viene chiamato ‘Manoscritto Trebitsch-Lincoln.’ Si tratta di un terma, ovvero tesoro nascosto, cioè di un testo sacro destinato a rimanere celato alla vista dei fedeli.”
Mi scusi,” provenne dall’uditorio, prima che il professore potesse continuare.
L’indiano si girò in quella direzione. “Sì?”
Aguas Muertas si occupa anche di archeologia adesso? E come mai quel manoscritto è in vostro possesso, se era stato portato via dai russi?”
Gaidher stava per rispondere, ma il comandante della base lo precedette: “È stato regolarmente acquistato. Ora che il blocco sovietico non esiste più, non c’era nessun motivo perché il governo russo rifiutasse l’offerta del museo di Arte Orientale di New York.” Fece una risatina.
I russi non hanno mai pensato di sfruttarne le potenzialità belliche?” insisté l’uomo.
Il generale annuì. “Fecero alcune prove, ma abbandonarono il progetto abbastanza in fretta.”
Come mai?”
L’ufficiale alzò le spalle ostentando noncuranza. “Non avevano ancora le tecnologie giuste e i risultati furono deludenti, inoltre era l’epoca delle prime conquiste spaziali e tutte le risorse venivano convogliate lì.” Fece una pausa, quindi soggiunse: “Ma ora, passerei la parola al nostro esperto di fisiologia della voce.” Si rivolse al professor van Zijl.
Questi avanzò verso il podio, quindi rialzò il microfono e piegandosi comunque leggermente salutò l’uditorio, poi cominciò: “Tutto è nato alcuni anni fa da uno studio sulla fisiologia del canto armonico presso i monaci Gyuto tibetani. Ci siamo accorti che con le tecniche a oggi conosciute, non era più possibile eseguire determinate recitazioni. Il principale di questi testi era naturalmente il manoscritto Trebitsch-Lincoln, per il quale sembrava necessario un apparato fonatore incompatibile con l’attuale anatomia umana.” Si aggiustò gli occhiali e si schiarì la voce, quindi proseguì: “Sono stati effettuati studi su mummie di monaci del settimo secolo dopo Cristo conservate presso i monasteri e il riscontro è stato che in effetti vi erano delle particolarità anatomiche a oggi non più riscontrabili. Si suppone che i monaci deceduti a Berlino fossero gli ultimi in grado di eseguire quel particolare canto armonico.”
Sullo schermo alle sue spalle si susseguì una serie di fotografie di corpi mummificati, radiografie e disegni anatomici.
Infine, il professore disse: “Tuttavia, con l’aiuto di Marsia 2.1, un nuovo e sofisticatissimo software per l’elaborazione dei suoni, è stato possibile, sulla base di studi anatomo-fisiologici portati avanti in collaborazione con l’Istituto di Antropologia e Odontologia Forense, ricostruire dapprima l’apparato fonatore dei monaci e successivamente, con tecniche di campionatura e mixaggio all’avanguardia, è stato possibile riprodurre anche il canto armonico che esso era in grado di generare.”
Alla reboante rivelazione la platea reagì con un silenzio perplesso. Intervenne il comandante della base, che in tono incoraggiante suggerì: “Dica cos’è successo quando avete fatto i primi esperimenti di recitazione con la voce mixata.”
Ah, certo,” rispose van Zijl annuendo. “Fenomeni strani. Inspiegabili, anzi.”
Di che tipo?”
Scariche elettriche, oggetti che si spostavano da soli...”
Poltergeist?” lo interruppe qualcuno dal fondo della sala. Ci fu qualche risatina.
Per tutta risposta, il professore fece partire un filmato: in un laboratorio c’erano lui e alcune altre persone. Qualcuno prendeva una cassetta blindata, la apriva, indossava un paio di guanti bianchi e tirava fuori il manoscritto, quindi partiva una traccia audio.
Alle prime note, un mormorio attraversò la platea. Un paio di persone si alzarono e abbandonarono la sala.
Sullo schermo frattanto si vedeva crepitare dal nulla un arco elettrico. Dei fogli appesi al muro si sollevarono come investiti da una corrente d’aria e una sedia si spostò di parecchi metri senza che nessuno l’avesse toccata.
Il canto, una specie di nenia ipnotica, continuava arricchendosi via via di armoniche. Altre persone uscirono, una addirittura scossa da conati e con una mano premuta sulla bocca.
Il filmato si interruppe, lasciandosi dietro un silenzio costernato.
Ecco perché il Pentagono ha deciso di acquisire il manoscritto Trebitsch-Lincoln e tutto il materiale a esso correlato,” intervenne bruscamente il comandante di Aguas Muertas, facendo sussultare più di una persona. “Crediamo che sia importante effettuare ulteriori studi su questa… tarma.”
Terma,” lo corresse il professor Gaidher.

Lo schermo tornò grigio. Fermo su un lato della porta, Westbrook girò lo sguardo verso Lyles, che si trovava sull'altro, e sottovoce gli chiese: “L'hai sentito anche tu?”
Egli annuì appena. “Ancora un po' e vomitavo. Quella roba è peggio del metal satanico.”
Io mi sentivo...” Westbrook fece una pausa, quindi in tono esitante chiese: “Le hai viste anche tu le cose?”
Quali cose?”
Quegli affari con tre occhi che c'erano nelle immagini. Per un attimo mi è sembrato di averne uno davanti.”
Devi smetterla di mangiare la pizza ghiacciata col ketchup a mezzanotte,” replicò Lyles. Tentò di assumere un’espressione noncurante, ma Westbrook notò che aveva lanciato intorno un sguardo preoccupato.

§

Seduto a una console, il professor Kozlov fissava un monitor sul quale scorreva una serie di spettrogrammi il cui colore andava dal viola cupo al giallo acceso, passando per tutti i toni del rosso e dell'arancione. Si tirò su le maniche del camice bianco scoprendo gli avambracci ossuti, quindi si passò le mani fra i capelli e strinse fra le dita scomposte ciocche grigie. “Marsia sta cercando di dirci qualcosa,” borbottò. Raccolse una penna e picchiettò con quella la superficie del monitor. Lo spettrogramma sembrò ritrarsi come una specie di creatura marina disturbata. “Marsia è preoccupato.” Passò dallo spettrogramma alla forma d'onda, che prese a muoversi sullo schermo nero sinuosa come lo scheletro di un serpente, di un colore a metà fra il verde e il turchese. Aggiunse le armoniche, una dopo l'altra. Cominciò a dondolare la testa, mormorando a fior di labbra la melodia del canto Bön. “Che cosa stai cercando di dirmi, Marsia?” Mormorò. Poi, a voce più alta: “Henson!”
Si avvicinò un giovanotto sulla trentina, di altezza e corporatura medie, pettinato come un ragazzino degli anni '50, con occhiali dalla pesante montatura nera. “Professore?” disse.
Senza staccare gli occhi dal monitor, Kozlov chiese: “Dov’è van Zijl?”
Sta studiando lo spettrogramma di un sutra assieme al professor Gaidher.”
Uhm. Un professore di favole,” bofonchiò. “Storielle per i bambini. Fra la religione e la vera Scienza non esistono parentele, né amicizia, né inimicizia: esse vivono su pianeti diversi.” Tornò a dedicarsi al monitor. “Guardi qui, Henson. Non nota qualcosa di strano?”
L'altro si piegò appena in avanti e contemplò le armoniche come avrebbe dato una scorsa a un libro nemmeno tanto complicato. “Non c'è rumore,” disse poi, “solo frequenze pure.” Aggrottò le sopracciglia. “Sembrano potenziarsi a vicenda.” Puntò a sua volta la penna verso il monitor. “Proprio qui, vede, professore? L'intensità aumenta in maniera apparentemente inspiegabile e le frequenze che ne risultano vanno negli ultra- e infrasuoni.” Fece un'altra pausa, poi soggiunse: “I valori ottenuti con la FFT sono al di fuori di ogni logica.” Si lisciò il ciuffo castano, si sistemò gli occhiali, quindi chiese: “È stato Marsia a realizzarlo?”
Sì, Marsia. Ma è stupito quanto te, mi pare,” rispose Kozlov. “Per quanto sia lo stato dell'arte a livello di elaborazione del suono, anche lui getta la spugna di fronte a questo.” Il professore fece partire un secondo spettrogramma e le due tracce procedettero per un po' affiancate. “Mi sai dire perché quando il manoscritto è nella sua cassetta blindata viene fuori questo e quando invece è nella stanza dove si trova Marsia viene fuori quest'altro?”
Prima che Henson potesse rispondere, si udirono i soldati ai due lati della porta scattare sull'attenti. “Riposo,” ordinò concisa una voce maschile.
Kozlov si voltò in quella direzione. “Colonnello McDowell,” salutò. Si alzò lentamente in piedi e gli porse una lunga mano ossuta.
L'ufficiale, cinquantenne, spalle larghe, cranio quasi rasato, la strinse energicamente e chiese: “A che punto siamo?” Volse lo sguardo verso lo schermo su cui ancora scorrevano i due spettrogrammi, ormai diversi come il giorno e la notte.
Beh...” Kozlov ritirò la mano e se la mise in tasca. Prese a giocherellare distrattamente con un piccolo flacone nel quale a ogni movimento ticchettavano delle capsule. “Beh, è difficile dirlo. Questo suono non si sta comportando come dovrebbe. Saranno necessari altri studi.”
Il comandante di Aguas Muertas aggrottò le sopracciglia. “Come sarebbe a dire che non si comporta come dovrebbe?”
Kozlov alzò le spalle e assunse un'espressione vaga. “Un FFT fuori da ogni norma, se le dice qualcosa. Suoni che si trasformano gli uni negli altri, si potenziano a vicenda, cambiano. È come avere un gatto infuriato in braccio: una volta che lo lasci andare, chi lo sa dove deciderà di scappare?”
Si spieghi,” disse McDowell irritato.
Lo sto facendo, ma la sua mente sembra avere problemi con la simbolizzazione. Abbiamo qui un insieme di suoni che sfugge a ogni legge della fisica e dobbiamo per prima cosa capire perché.”
Il colonnello non parve particolarmente impressionato. Guardò ancora una volta il monitor, quindi replicò: “È lei il professore, Kozlov, e questo è un laboratorio all'avanguardia, con le tecnologie più sofisticate che il denaro può pagare. Veda di capirci qualcosa.”
L'altro scosse la testa. “Noi siamo scienziati. Non seguiamo mappe di tesori nascosti e la X non indica mai il punto dove scavare.”
E questo cosa significa?”
Che la ricerca richiede tempo, pazienza e dedizione. Non funziona come nei cartoni animati, dove all'improvviso si accende una lampadina sopra la testa del protagonista e tutto gli diventa chiaro.”
Quanto potrebbe volerci?” insisté imperterrito il colonnello.
Di nuovo, Kozlov alzò le spalle. “Due giorni come un anno, chi lo sa. La Scienza non segue tabelle di marcia, la Scienza è genio e rigore che procedono di pari passo, l'uno inutile senza l'altro.” Fece una pausa, quindi soggiunse: “E ora, se vuole scusarmi...”
McDowell strinse i pugni e tese le spalle. Lanciò un'ultima occhiata a lui, poi al monitor e infine a Henson, che in risposta si sistemò gli occhiali con gesto nervoso, quindi ringhiò: “Veda di darsi una mossa, professore: lei non è l'unico esperto di questa roba sulla piazza.”
Ma sono il migliore.”
La risposta giunse che il colonnello aveva già oltrepassato la porta e quindi cadde nel vuoto.
Kozlov scrutò critico i due soldati, poi disse: “E voi che fate lì impalati come due marionette? Che fine ha fatto il vostro cervello?”
I militari rimasero immobili, lo sguardo fisso all'infinito.
Bah, marionette,” brontolò. Poi si rivolse a Henson: “Vado nel mio alloggio, ho bisogno di allentare la Valvola Riducente[1].”

Kozlov considerò che l’alloggio che gli era stato messo a disposizione poteva decisamente essere definito confortevole: c’erano un letto, una scrivania, un computer, un piccolo frigorifero e un armadio per gli effetti personali. Incastrata da una parte, c’era anche una porticina che dava su un bagno completo di servizi.
Nel soffitto era incassato un neon che mandava un debole ronzio, ai suoi lati c’erano due bocchettoni coperti da grate, per la circolazione dell’aria.
L’uomo chiuse la porta alle proprie spalle, girò la chiave nella toppa e poi se la infilò in tasca. Successivamente trasse dal frigorifero un cartone di succo d’arancia, alcune zollette di zucchero e un bicchiere e li allineò sulla scrivania, poi prese dalla tasca del camice il flacone col quale era solito giocherellare e da esso estrasse una capsula bianca che posò solennemente sul piano del mobile. “3,4,5-trimetossi-β-fenetilammina[2],” mormorò quasi con affetto.
Si sedette sulla poltrona girevole, prese la capsula fra pollice e indice e per un po’ rimase a contemplarla, cercando di scorgere in trasparenza la polvere che essa conteneva. Si passò la lingua sulle labbra e in un subitaneo guizzo le pupille gli si dilatarono.
Si versò mezzo bicchiere di succo, quindi si mise in bocca la capsula e la mandò giù. Si allungò contro lo schienale e chiuse gli occhi con un sospiro di soddisfazione.
Li riaprì dopo un tempo imprecisato. La prima cosa che colpì il suo sguardo fu una goccia di succo d’arancia sulla superficie bianca. La minuscola sfera era come un sole, come un opale di fuoco che sotto la luce della lampada sembrava quasi ardere di un fuoco interno, pulsare di una vita propria. Gli evocò una goccia di magma persa in un mare di neve talmente candida da emanare una vaga luminescenza azzurrina. Strinse gli occhi, allungò la mano per toccarla, ma all’ultimo si interruppe, reputando il gesto quasi sacrilego.
In quel momento vide la porta della camera aprirsi senza che la maniglia si abbassasse: ruotò di lato in un silenzio irreale e sulla soglia comparve lui stesso, molto più giovane e come sarebbe stato se il suo sviluppo psicofisico si fosse svolto nella maniera ideale: alto, snello, dalle movenze eleganti e cariche di forza trattenuta. I capelli erano una lucida criniera corvina, gli occhi vividi abissi di ossidiana che studio e droghe non avevano ancora offuscato. Indossava un camice radioso, di un bianco che sembrava quello della veste degli arcangeli.
Ciao, Me,” lo salutò.
Me rispose con un grazioso cenno del capo, quindi si sedette sul letto. Kozlov notò che la coperta sembrava riflettere il chiarore emanato dal suo candido indumento.
Come te la passi?” gli chiese.
Il nuovo arrivato si limitò a scuotere la testa.
Il professore sorrise. “Capisco, non sei qui per fare conversazione, vero?”
Di nuovo, l’altro scosse la testa. Kozlov alzò lo sguardo: la luce del neon si era trasformata in una corrusca raggiera di aghi di ghiaccio, il ronzio del sistema d’aerazione nella misteriosa nenia di uno sciamano. “Ho un problema,” disse.
Me annuì serio.
Un problema con le armoniche di quel dannato brano,” precisò Kozlov.
Me annuì di nuovo: evidentemente sapeva anche quello. Il professore non se ne stupì: se Me era lui stesso, sapeva tutto quello che sapeva lui. “E quindi, come potrebbe darmi delle risposte?” disse, di nuovo rivolto all’ignea apocalisse della goccia di succo d’arancia. Rialzò gli occhi verso il suo doppio: “Come potresti?”
Finalmente Me parlò: “Hai dimenticato? Io sono te a un livello superiore.”
Kozlov sollevò le sopracciglia. “Oh, certo,” assentì sarcastico.
Me sorrise e dalla fila di denti candidi che scoprì nell’atto promanò un lampo che costrinse l’uomo a mettersi una mano sugli occhi. “Hai provato a misurare l’intensità dei campi elettromagnetici?” chiese.
Il professore abbassò la mano. “Quali campi?”
Rifletti: archi voltaici uguale campi elettromagnetici, è molto semplice. Sembra che queste armoniche abbiano il potere di ionizzare i gas dell’atmosfera, non è vero? Probabilmente le vibrazioni entrano in risonanza con le particelle subatomiche e conferiscono loro energia.”
Se questo fosse vero...”
È vero,” intervenne Me categorico.
Dicevo, se questo fosse vero, l’intera recitazione del canto svilupperebbe una quantità enorme di energia.”
Senza contare l’effetto che ha sull’organismo umano,” puntualizzò Me.
Sarebbe a dire?”
Fenomeni di trance in soggetti predisposti. In altri cefalea, nausea, vomito, attacchi di panico. In alcuni casi esperienze deliranti primarie. So che anche tu ne hai risentito.”
Ovvio che lo sai,” replicò ruvido il professore, “sei me.”
Hai visto cose, vero?”
Non più di quelle che sto vedendo adesso.”
Me scosse la testa come di fronte alle intemperanze di un bambino. “Hai visto cose,” ripeté, questa volta con apodittica sicurezza.
E anche se fosse?”
Me si limitò a scuotere la testa, quindi si alzò in piedi e disse: “Ora vado. Misura i campi elettromagnetici.”
Aspetta! Perché il fenomeno si manifesta solo in presenza del manoscritto?”
Me, che stava già dirigendosi verso la porta, si voltò a guardarlo da sopra la spalla. “Fa da catalizzatore.”
Qualche sostanza che si trova nelle immagini?”
Quello e la risonanza inconscia delle figure con archetipi di distruzione, che vengono da esse evocati.”
Me! Aspetta, Me!”
La figura attraversò la porta in senso opposto.

Kozlov aprì gli occhi. Era semisdraiato sulla poltrona, il neon aveva perso la sua corona di aghi di ghiaccio, la goccia di succo si era ridotta a una macchia opaca, di un arancione spento da mitilo morto. Il bianco non brillava più di luce propria.
L’uomo si alzò incerto, si versò un bicchiere di succo e lo bevve con foga, facendosene colare un rivolo da un angolo della bocca. “I campi elettromagnetici,” disse poi fra sé e sé. “Ma certo, è ovvio. Sarà meglio trovare il sistema di contenerli in qualche modo.”

§

Seduto sul letto a gambe incrociate, gli occhi fissi sullo schermo e il joypad stretto fra le mani, Beau imprecò tra i denti. “Eh no, bastardo, no...” Si udì un rumore che avrebbe dovuto essere quello di un fucile laser, il soldato si piegò bruscamente da una parte come per evitare un colpo. “Figlio di puttana!” esclamò. Sullo schermo, le mani del suo personaggio imbracciarono un'arma e cominciarono a fare fuoco su una moltitudine di avversari. “Figli di puttana!” ripeté con foga, vuotando caricatori su caricatori. “Bastardi!” Di nuovo si piegò, facendo cadere nel movimento una lattina di coca, che rotolò via spargendo il suo contenuto sul pavimento.
E dai, Beau!” protestò Westbrook, sdraiato sul letto di fianco con un libro in mano. Abbassò lo sguardo sulla lattina, che finiva di rotolare lasciandosi dietro una liquida traccia marrone, e disse: “Adesso pulisci.”
Un attimo.” Altri spari, l'esplosione di qualcosa di grosso. “Cazzo!” Raffiche di mitragliatrice, di nuovo il soldato si buttò da una parte, facendo oscillare pericolosamente l'armadietto con tutto il suo contenuto. “Cazzo, bastardi!” Poi, in tono più concitato: “Eh no, bastardi! No, no! Cazzo, no!” Lo schermo si fece tutto rosso.
Sei morto?” s'informò Westbrook.
Cazzo!”
Beau?”
Cazzo! Cazzo! Cazzo! Lo sai quanto tempo è che sto dietro a questo fottuto livello? Eh? Lo sai? E quel cazzo di SWAT mi salta fuori all'ultimo momento e mi spara in faccia, cazzo!” Prima che l'altro potesse replicare, afferrò il joypad come un pallone da football e con un lancio poderoso lo mandò a fracassarsi contro il muro, quindi si rivolse alla lattina e la calciò con tale forza che essa rimbalzò contro tre pareti prima di esaurire il proprio movimento.
Cazzo!” sbraitò di nuovo. Rimase ansante al centro della stanza, con lo sguardo spiritato e i pugni chiusi.
Lyles, datti una calmata!” provenne dalla stanza attigua.
Beau si voltò fugacemente in quella direzione, poi girò lo sguardo verso i resti del joypad. “Merda,” brontolò.
Giornataccia?” s'informò Chet.
L'altro crollò le spalle. “Scusa. Mi sa che sono un po' nervoso.” Raccolse la lattina, quindi prese dall'armadietto il suo asciugamano e fece per pulire il pavimento.
Ma no, non con quello,” lo fermò Westbrook, alzandosi dal letto. “La tua solita mania di fare le cose senza pensare. Va' a prendere un po' di carta, no?”
Quella del cesso?”
Anche, sì.”
Beau uscì dalla stanza e tornò dopo un po' con un rotolo di carta igienica. Lanciò un altro sguardo carico di rimpianto ai resti del joypad, quindi cominciò ad asciugare le mattonelle. “Scusa, Chet, è che sono un po' nervoso,” ripeté dopo un po'.
Non più del solito, mi pare,” osservò l'altro.
Il primo si alzò in piedi e lo fissò negli occhi. “E invece sì,” disse.
Chet aggrottò le sopracciglia e scrutò attento l'amico, che a sua volta aveva due profonde rughe verticali sulla fronte. “Che ti succede?” gli chiese.
È quella specie di metal satanico. Tu sei mai stato là dentro quando fanno uno dei loro esperimenti?”
Westbrook annuì.
Allora hai capito, no?”
Si fissarono di nuovo negli occhi. Quelli azzurri di Beau, normalmente spavaldi al limite della tracotanza, erano velati d'apprensione. “L'ultima volta ho visto della roba che non ha spiegazione,” disse.
Magari era roba segreta,” minimizzò Chet.
Lyles scosse la testa. “Mi è bastato guardare le loro facce per capire che anche loro se la stavano facendo sotto. Soltanto quel tizio che sembra lo scienziato pazzo dei fumetti era tranquillo.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Ma secondo me è solo perché le armi più potenti di tutta la base sono i cannoni che si fuma.”
Beh, ma in pratica cos'avresti visto?” chiese Westbrook, sospingendo l'amico fuori dalla porta.
Non lo so. È quella cantilena che fa venire i brividi. Quando fanno partire quella...” si interruppe.
Chet si girò a fissarlo. “Quando fanno partire quella...?”
Il primo scosse la testa. “Non lo so. Succedono cose.”
Che specie di cose?”
Beau si fermò e per qualche secondo sembrò ponderare sulla faccenda. Infine chiese: “Tu non hai avuto la sensazione che ci fosse qualcun altro, in quel laboratorio?”
Chet annuì. La sensazione l'aveva avuta eccome. Era stato come trovarsi in una stanza completamente buia con qualcuno immobile di fianco: per quanto non avesse visto o sentito niente, aveva percepito qualcosa come un'aura di calore, o magari un campo elettrico. Meccanicamente si guardò l'avambraccio, coperto di una fine peluria bionda. Beau notò il movimento e gli chiese: “Anche a te si sono rizzati i peli quando eri là dentro?”
Sembravo un coniglio d'angora,” ammise Westbrook. “Bart si è sentito male, hanno dovuto portarlo fuori.”
Davvero?”
Cascato giù come una pera. Il fucile aveva il colpo in canna, a momenti ammazzava uno di quelli là. Quando l'ha saputo, il sergente si è incazzato come una iena.”

§

Il laboratorio odorava di ozono e disinfettante al cloro. Le luci al neon – tutte accese – toglievano le ombre alle cose. Al centro della sala erano stati portati dei tavoli a rotelle, di quelli lunghi da obitorio, e dei tecnici vi stavano posizionando sopra varie apparecchiature. Con un gesto istintivo, Westbrook strinse fra le mani l'M-4 poi si voltò verso Lyles e gli altri membri della squadra Bravo. Beau stava girando su e giù come un leone in gabbia, ma anche gli altri apparivano piuttosto nervosi. Morales non la piantava di far girare fra le dita uno spinner fatto a simbolo di Batman, Thomas e Clarke stavano battibeccando a bassa voce attenti a non farsi sentire dal sergente. In compagnia di Gray e Wang, il caporale Mitchell stava continuando a girare tutt'intorno all'allestimento come una specie di cane da pastore che vede il gregge infilarsi in mezzo a un branco di coyote.
Sarà la decima volta che passano lì davanti,” disse Lyles, lanciando ai tre uno sguardo torvo.
Westbrook alzò le spalle. “Lo sai com'è fatto Mitchell.”
Mi chiedo cosa dovrebbe fare la squadra qui dentro,” ringhiò. “Non siamo mica scienziati.”
Chet non rispose, anche perché non avrebbe saputo bene cosa rispondere. L'unica cosa che aveva origliato tra i vari turni di guardia era che dopo gli ultimi esperimenti era stata fatta richiesta di aumentare il personale militare. Addirittura si era parlato di far arrivare ad Aguas Muertas un altro plotone.
Fissò di nuovo i tavoli d'acciaio, ormai coperti di apparecchiature e cavi. Un tizio con un camice bianco e gli occhiali da nerd stava sistemando dei monitor su cui scorrevano misteriose sinusoidi. Il professore con l'aria da scienziato pazzo stava invece scrivendo sulla tastiera di un computer con il case raffreddato a liquido, grosso come il monolito di 2001, Odissea nello Spazio. Di tanto in tanto ci parlava, chiamandolo Marcie, o qualcosa del genere. “Non si chiamava Hal?” si domandò a mezza voce.
Beau interruppe il suo nervoso passeggiare. “Cosa?”
Il computer. Lo chiama Marcie, hai sentito?”
L'altro scosse la testa. “Te l'ho detto: a quello gli manca qualche rotella.”
Ci fu un’altra mezz’ora di preparativi, poi finalmente l’affaccendamento parve calmarsi. Nel silenzio generale, il tizio con gli occhiali da nerd indicò una telecamera e chiese: “Sta registrando?”
Giunse una risposta affermativa.
L’altro allora si posizionò davanti all’obiettivo, snocciolò la data e annunciò: “Sperimentazione Trebitsch-Lincoln numero dodici. Recitazione fase preliminare.” Successivamente andò a una cassetta blindata, la aprì e dopo aver indossato dei guanti bianchi ne trasse il manoscritto, che collocò su un apposito supporto.
Chet ebbe l'impressione che un alito di vento gli passasse sul viso, ma l'aria era immobile. Si voltò verso Beau e incontrò il suo sguardo torvo, segno che anche lui doveva essere turbato da qualcosa.
Si udirono scattare degli interruttori e le luci ebbero una lieve oscillazione. Subito dopo cominciò a farsi udire il ronzio basso di potenti apparecchiature elettriche.
Il caporale Mitchell abbandonò la parte centrale della sala e ordinò: “Tutti indietro, ragazzi. Nessuno vada oltre la linea bianca sul pavimento.”
Perché?” volle sapere Lyles.
Campi magnetici. Se entrate là in mezzo con gli M-4 viene fuori un casino.”
Sì, ma… e se succede qualcosa?”
Interveniamo da qui.”
Perplesso, Westbrook chiese: “In che modo, caporale?”
Prima che il graduato potesse rispondere, partì la prima traccia audio. Cominciò un salmodiare basso, gutturale, che sembrava una via di mezzo tra un canto dissonante e un lamento. A esso si unì dopo poco una prima armonica, che prese a seguire la melodia principale.
Westbrook abbassò gli occhi sui propri avambracci, dove i peli erano ritti come per un’esposizione al freddo intenso. Si voltò verso Beau e vide alle spalle dell’amico Clarke piegato in due in preda ai conati e Thomas addossato al muro con gli occhi fuori dalla testa e il respiro ansante.
L’odore di ozono divenne più intenso, le luci oscillarono di nuovo, alcuni neon si spensero, uno addirittura scoppiò con un rumore sordo. Accanto al supporto del manoscritto cominciarono a crepitare nell'aria scariche elettriche violacee.
Basta!” disse una voce allarmata sullo sfondo. “Basta, i campi di contenimento non tengono più.”
Una cassetta piena di attrezzi crollò al suolo spargendo tutto il suo contenuto, un fascio di fogli prese a turbinare come investito da una folata di vento. Si aggiunse un’altra armonica, acuta ai limiti dell’udibile, le scariche si fecero più intese e virarono verso una tonalità di azzurro chiaro.
Basta!” ripeté la voce.
Uno dei tizi in camice bianco abbandonò la stanza di corsa, un altro si afflosciò giù dalla sedia come una specie di straccio e rimase fermo lì.
Il case di un computer emise un nugolo di scintille e poi cominciò a fumare.
Un tizio che non aveva il camice, indiano a giudicare dai lineamenti, tirò fuori dalla tasca una specie di collana, se la arrotolò intorno alle dita, giunse le mani e cominciò a recitare qualcosa.
Un’altra armonica, talmente bassa che Westbrook si sentì vibrare le costole, seguì le altre, ma a quel punto tutti i neon saltarono e subentrarono i LED degli antincendio. I monitor si spensero e il canto finalmente cessò.
Nella scarsa luce, il soldato ebbe per un istante l’impressione di vedere delle grandi ombre che sovrastavano il personale indaffarato a ripristinare le strumentazioni, ma un attimo dopo i neon si riaccesero e delle ombre non vi era più traccia.






[1] Da “Le porte della percezione”, di A. Huxley.
[2] Mescalina.

   
 
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