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Autore: Policewoman92    09/11/2018    3 recensioni
Dopo il caso degli animali scomparsi provenienti dalla famiglia dei predatori, Judy ha conquistato definitivamente il titolo di Poliziotto Agente.
Tanti son quelli che l’acclamano, altrettanti quelli che la detestano… “è pur sempre un coniglio!”
Nonostante la nostra temeraria coniglietta abbia salvato la vita dei predatori (e indirettamente l’ecosistema intero), è ancora vista come un’inutile coniglietta ottusa (come direbbe Nik): il suo posto è quello di coltivatrice di carote… e -perché no?- di genitrice di centinaia di coniglietti.
La collettività non accetta questo cambio di ruoli. Ancorata alla vecchia struttura sociale.
Intanto nuove e molteplici sfide si presentano puntuali al cospetto della novella poliziotta.
Quando il peggio sembrava ormai passato, godendo finalmente della sua tanto agognata vittoria, ancora qualcosa è pronta a mettere in crisi la sua stabilità.
Mai abbassare la guardia!
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Nonostante abbia tanto sognato abitare nella grande Zootropolis,
la nostalgia torna puntualmente a bussarmi alla porta ogni sera.
Ora, dopo poco più di un anno dalla mia premiazione, abito in un nuovo appartamentino…
niente da invidiare al mio vecchio monolocale in affitto: mura poco spesse, pareti umidicce con carta da parati ingiallita, caos a tutte le ore, letto scomodo, parquet scricchiolante e tavolo alquanto instabile.
Questo invece ha l’aria di un vero appartamento… altro che squallida topaia!
Ho acquistato l’immobile a rate qualche mese fa, tasso un po' troppo alto,
ma è un investimento sicuro per il futuro… sebbene mi sarà difficile per ora mettere qualcosa da parte:
stipendio troppo basso, vita troppo cara. Pensate che, quest’anno la coltivazione di carote è andata alla grande, e i miei genitori si sono offerti di aiutarmi economicamente… ahhhh se non avessi loro!
Sapete? A volte è davvero denigrante dipendere dai propri genitori… vorrei essere autonoma. Ma non posso.
È una vita che sono ancorata al loro pelo, vorrei davvero dimostrare di potercela fare anche da sola.
Ed invece eccoci qua, sono ancora “la loro bambina”. Non mi vedranno mai per quello che sono.
Ah, certo. La colpa è mia. Ho preferito salvare gli altri e rendere sicura la città invece di fare… ehmm…che so, l’avvocato divorzista?
….con questi tempi, lì sì che avrei guadagnato bei quattrini!
Ma… torniamo a noi. Dicevo della mia nuova abitazione, oh sì.
La mia casa ha un aspetto un po' rustico, con un piccolo appezzamento di terra che amo definire “il mio giardino”. Mi hanno assicurata che in primavera ha un aspetto meraviglioso!
Per il momento mi accontento del paesaggio invernale che scorgo dalla finestra.
Attraverso i vetri posso vedere con chiarezza la neve che cade volteggiando leggiadra in tanti piccoli fiocchi, ricoprendo il piazzale con un candido manto bianco.
Questo freddo sembra non finire mai, e nel caldo ardere della legna del mio camino, arrotolata nel mio plaid, spesso finisco per pensare alla mia vita d’un tempo.
Specialmente quando cala la notte, i ricordi non mi abbandonano, ma si presentano più insistenti che mai.
A volte è solamente nostalgia, altra malinconia, altre volte invece è dolore di ferite non ancora rimarginate.
Devo ammettere che non ho avuto per niente una vita facile.

Mentre mi manca la mia vecchia vita in campagna e l’armonia della mia famiglia che mi faceva sentire al sicuro, torno a pensare ai periodi bui che ho attraversato.
Certo, mi mancano le lunghe chiacchierate con i miei innumerevoli fratelli, qui la casa sembra un po' troppo silenziosa, azzarderei vuota. Ora so per certo cosa vuol dire sentirsi grande.
Non ho una spalla su cui piangere, non ho nessuno con cui sfogarmi.
A cadenza giornaliera sento i miei, ma non posso mostrarmi turbata, ne soffrirebbero.
Quanto al mio migliore amico, Nik, si è preso un lungo periodo di malattia, per problemi che non sto qui a raccontarvi. Ci separano molti km.
Sono abbandonata a me stessa.

Per quanto in molti mi possano stimare, altrettanti provano molto astio nei miei confronti. È una lotta continua verso chi tenta di mettermi i bastoni tra le ruote.
Ancora non mi reputano all’altezza.
Vorrei tanto sentirmi dire “Dai Carotina! Che sarà mai? Puoi farcela. Sai che puoi” o “A tutti capita di sbagliare. Non è mica la fine del mondo?”.
Ed invece puntualmente mi ritrovo a far soliloqui.
Comincio davvero a pensare che da sola valgo zero.

Sta iniziando a piovere, ne sento il tintinnio. Le giornate di pioggia mi fanno compagnia.
Sembra che solo il cielo avverta ciò che sento.
Quando ero piccola e pioveva, ero solita rifugiarmi nella piccola palestra del garage.
Iniziavo ad allenarmi, come se la tristezza di quel cielo mi desse la carica: “riprova” diceva, “che tanto a piangere ci penso io”. E lì mi sentivo inarrestabile.
L’entusiasmo finiva il giorno seguente, con le ginocchia sbucciate, quel che avevo fatto era evidente.
Ricominciava la solita tortura: spinte, urla, insulti, botte. Io non potevo essere un poliziotto.
Per gli altri ero folle, e per i miei dovevo crescere… non ero più una bambina, stavo per diventar grande.
Dovevo pensare alle cose concrete. Dovevo comprendere quale fosse la realtà e come girava il mondo.
Ed io, ostinata, continuavo a ripetermi che ce l’avrei fatta. Che avrei sorpreso tutti, persino me stessa.
Intanto continuavo ad essere derisa, non avevo più amici. Tutti si allontanavano.
Forse era comune pensare che la pazzia fosse una malattia contagiosa? Non mi è dato saperlo.

Condividere i miei sogni ed aspirazioni con qualcuno era il mio desiderio.

In fondo, mi dico, ero sola… e lo sono tutt’ora. Perché allora mi sento persa?

Spesso penso che se non avessi avuto quell’illuminazione sugli ululatori notturni, forse sarei stata felice…
o perlomeno avrei ritrovato col passar del tempo il mio equilibrio.
Almeno non potevo dire di non aver realizzato il mio sogno di diventar poliziotta… dopo era andato in mille pezzi, ma non potevo dire di non avercela fatta.
Ma accontentarsi di una pseudo-vittoria era davvero la cosa migliore per me?
Ci penso e ci ripenso, ma non mi so dare una risposta.
Un lato del mio cuore ama la mia vita, l’altra metà ne è uscita completamente a pezzi continuando a sgretolarsi ogni giorno che passa.

Sia chiaro, non ho alcun ripensamento sul volere o meno essere un poliziotto. Al contrario, ne sono perfettamente cosciente… è il vuoto che vedo attorno a me che mi ammazza.

Io, unica coniglietta poliziotto, sola in una città estranea. Senza amici, senza affetti.
Forse mi autocommisero troppo… dovrei reagire. Ma come?

Ieri ho addirittura provato a fare un giro di chiamate… beh, breve giro. Conosco davvero pochi esemplari.
Tra questi ho provato a sentire una mia vecchia conoscenza, uno dei miei peggior nemici dei tempi dell’elementari: Gideon Grey.
Dall’ultimo incontro mi pareva sinceramente cambiato, o meglio, aveva preso perfettamente coscienza della sua situazione di disagio.
Non era più il solito bullo attaccabrighe, anzi si era scusato.
In fondo, nel mio cuore, so di non averlo perdonato del tutto. Aveva reso la mia vita un inferno.
Ancora sono vivide nella mia mente le immagini di quando, al suono della campanella, mi aspettava dietro l’angolo. Io lo sapevo, ma non avevo scampo.
Allora, prima di girare quel corridoio, il naso m’iniziava a tremare.
I miei compagni di classe lo notavano, ed cominciavano a beffeggiarmi e ripetevano in coro “Coniglietta fifona!”… certo, i poliziotti non avevano paura. Anzi, non dovevano averne.
Quello che mi lascia perplessa è che ancora oggi, anche qui a Zootropolis, la gente tende a credere che i poliziotti siano una sorta di statue marmoree da poter elogiare per il loro coraggio e per le loro imprese, ma che essendo delle statue marmoree il loro cuore sia praticamente dello stesso materiale: pietra.
Niente emozioni, niente paura, niente tenerezza… semplicemente un unico pezzo, rigido, imponente e autoritario. Ahhh quanti falsi miti su noi poliziotti:
…non possiamo mai sbagliare, no no. Non ci è concesso manco cedere alle emozioni. Robot!
Ed ecco che la mia tremenda fifa nei confronti di Gideon Grey diventava un ulteriore ostacolo che non riuscivo ad abbattere.
Ma lui, né loro, avevano una cosa: il coraggio.
Intesi, il coraggio non è mancanza di paura. Io avevo paura ma lo affrontavo lo stesso.
Il naso mi tremava, la coda era drizzata, le zampe posteriori semi-flesse e… partivo! Lo affrontavo.
Devo dir la verità, le prendevo sempre di santa ragione, ma ne ero felice -o meglio- soddisfatta.
Nessuno tra i miei compagni di classe avrebbe mai avuto il coraggio di affrontare il grande bullo della scuola.
Sapevo per certo che non era amato da nessuno, ma tutti lo rispettavano per il territorio che lui marcava.
Se avessero sfidato Gideon Grey lui li avrebbe presi di mira. Anche loro sarebbero stati nel mirino dei bullizzati
… e solitamente nel mirino finivano solo le prede, coloro che chiamavano “i deboli” o “nullità” (...un po' a piacere!).   
Vivere costantemente in guardia, con le orecchie in ascolto. Il pericolo era sempre in agguato.
Forse per questo che sono una brava poliziotta, mi sono allenata a lungo, non riposando manco un istante.
Anche quella è scuola.
Unico posto in cui mi sentivo al sicuro era sul palco, durante le recite, là davvero potevo essere ciò che volevo.
La maestra ci diceva di dare libero sfogo alla nostra fantasia e ai nostri sogni.
Ma non bastava, io volevo viverlo davvero.
L’unica cosa che mi ritrovavo a vivere e rivivere ogni dannata volta era la derisione dopo ogni mia comparsa:
inizialmente i miei genitori erano fieri di me, mi consolavano. Ero solo una bambina un po' troppo fantasiosa per i normali canoni sociali.
Ma crescendo, lì vedevo coprirsi la faccia con la zampa destra poi con la sinistra, e lo sguardo basso alle ginocchia. Provavano vergogna.
Una volta mia madre scoppiò anche a piangere correndo via nella nostra tana. Ricordo ancora lo sguardo di mio padre, colmo di delusione, mi guardava dritto negli occhi e scuoteva la testa. Tra tutti i figli ero io quella problematica, motivo di disonore per l’intera famiglia. Mi ripeteva più e più volte di non rifarlo, ma io continuavo incostantemente a domandargli “perché?”“perché non potevo essere quel che volevo? Cosa avevo in meno rispetto a tutti gli altri? Perché i conigli devono solo coltivare carote? Perché la mia unica aspirazione deve essere solamente avere una famiglia numerosa?” …proprio non riuscivo a capirlo. Non lo comprendo tutt’ora.
È una domanda a cui forse non darò mai risposta. Perché? Ve lo dico io: noi possiamo tutto.
Al diavolo le categorizzazioni!
Comunque, Gideon Grey è cambiato davvero. Io oso dire “evoluto”.
Pian piano ha iniziato a capire che le convenzioni sociali sono solo convenzioni, un uso, non la regola né la divina verità.
E chi lo avrebbe mai detto? Lui, dalla mente così chiusa, poter sostenere un concetto così aperto!
Purtroppo, ho potuto dialogare solo poco tempo con lui… doveva tornare al lavoro.
Quelle poche battute che ho potuto scambiarci, oltre alle formalità di rito (ciao, come stai…ecc), si sono concentrate sul suo improvviso cambio di rotta.
Era una storia che mi aveva incuriosita parecchio!
Devo dirvi che non è stata per niente una cosa naturale, gli eventi gli hanno fatto cambiar prospettiva.
Tutto risale a quando, ormai maggiorenne, ha la prima cotta… che poi è il suo unico vero amore.
La sua metà era una piccola volpe rossiccia, ma molto gracile. Per la prima volta in vita sua, prese coscienza delle sue insicurezze.
Balbettava, non riusciva a proferire parola, le zampe gli sudavano e si comportava da perfetto imbranato. Risultati pessimi, un vero disastro.
Ma poi la sua goffaggine riuscì a far breccia nel suo cuore. E fu così che, dopo aver costruito la loro famiglia,
dopo un po' di tempo la volpina si ammalò gravemente, costretta a trascorrere giorni interi nel suo letto.
A volte non ha manco la forza di alzarsi, altre riesce persino ad andare al parco con il suo unico cucciolo.
Ebbene, questa condizione di debolezza ha costretto Gideon Grey a riflettere sulla caducità della vita.
Si rese conto che in fondo non esisteva una specie universalmente debole così come non né esisteva una universalmente forte.
Qualsiasi specie poteva ammalarsi o morire. Qualsiasi specie poteva essere la più forte del branco, o la più debole.
Definiva le volpi le più astute e per questo anche le più forti, ma si sbagliava e lo comprese sulla propria pelle.
Il dolore di poter perdere la persona che più al mondo l’aveva amato, lo portò alla piena consapevolezza dell’ingiusto destino che tendevano a riservare alle specie rispetto alle proprie etichette.
Astenia Red era la prova vivente della debolezza della sua specie.
…ci siamo lasciati con la promessa di risentirci al più presto. È molto preso dal suo nuovo lavoro e sono contenta che i miei abbiano accolto la sua cooperazione a braccia aperte. Almeno questo posso dirlo: è tutto merito mio.
Forse il mondo può cambiare.
Sono tanti piccoli passi a formare un tragitto. Tanti piccoli traguardi a disegnarne la meta.
   
 
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