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Autore: CrazyAF_    09/11/2018    1 recensioni
Songfic ispirata alla canzone di Ruth B. "Lost Boy".
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"Neverland is home to lost boys like me
And lost boys like me are free
Neverland is home to lost boys like me
And lost boys like me are free"
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Campanellino/Trilly, Nuovo personaggio, Peter Pan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lost boy


There was a time when I was alone

Nowhere to go and no place to call home

My only friend was the man in the moon

And even sometimes he would go away too
 

La luce della luna penetrava attraverso una vecchia finestrella circolare, l'aria gelata dell'inverno che si faceva strada attraverso il vetro rotto. Il manto blu scuro del cielo era decorato con puntini lontani e luminosi, che di tanto in tanto sparivano dietro colonne di fumo denso e grigio.

Un bimbo di appena sette anni si stava godendo quello spettacolo. Se ne stava seduto sulla rientranza della finestrella, una vecchia e logora coperta sulle spalle e i respiri regolari degli suoi compagni orfani a cullarlo. Avrebbe dovuto seguire il loro esempio e tornarsene a letto, ma il sonno si ostinava a non arrivare.

Quando le suore avevano spento le luci, ordinando a tutti di andare a dormire, lui ci aveva provato a prender sonno. Aveva chiuso gli occhi, si era rilassato nonostante il freddo si fosse infilato sotto la sua coperta; aveva persino provato a contare pecore immaginarie, solo che riusciva ad arrivare sempre e solo a quindici, poi doveva ricominciare.

Era rimasto nel suo lettino per un po' senza muovere un muscolo, gli occhi sbarrati e le orecchie ben aperte per percepire ogni singolo rumore. Nella sua mente una sola preghiera: "Ti prego, fa che mi addormenti!". Le ore erano passate lentamente, strazianti e noiose. Alla fine si era messo a sedere, aveva puntato gli occhi sulla finestrella circolare e un piccolo e dolce sorriso era apparso sul suo volto.

Adesso, stringendosi nella vecchia coperta, tremando per il freddo, il bimbo guardava la luna.

"Ciao" le aveva sussurrato, sperando che nessuno degli altri orfani si svegliasse, o che le suore non avessero sentito il cigolio del suo letto quando si era alzato. "Non riesco a dormire, mi fai compagnia?"

La luna non gli rispose, ma rimase in silenzio a fissarlo. Il bimbo sospirò e poggiò il mento sulle ginocchia. Era deluso, stanco, arrabbiato. Si sentiva solo al mondo, abbandonato dai suoi stessi genitori. Di amici non ne aveva e la sua casa era l'orfanotrofio in cui era stato accolto quando era ancora in fasce. Avrebbe voluto piangere.
 

Then one night as I closed my eyes

I saw a shadow flying high

He came to me with the sweetest smile

Told me he wanted to talk for awhile

He said, "Peter Pan, that's what they call me

I promise that you'll never be lonely," and ever since that day
 

Il bimbo piegò il capo di lato, adagiando quindi l'orecchio alle ginocchia. Un raggio lunare gli illuminò il viso, delicato come la carezza di una madre. Ne vedeva molte di mamme, in giro per la città, e spesso si chiedeva che sensazione si provasse ad averne una. A sette anni, rendersi conto che non si conosce il calore di un abbraccio materno, di un bacio caldo sulla fronte o di un sorriso affettuoso era orribile.

Chiuse gli occhi per scacciare le lacrime, e quando li riaprì per poco non cadde dalla rientranza sulla quale era seduto. Qualcosa di scuro gli volò davanti, spaventandolo. Mentre il cuore gli martellava nel petto, si costrinse a credere che non c'era niente di cui aver paura: era semplicemente l'ombra di un gufo, che sicuramente si era messo in volo dopo aver individuato la sua preda.

Solo che... quell'ombra era troppo grande per appartenere un gufo comune.

Decise che forse era meglio tornare a letto, provare nuovamente a prender sonno. Quindi scese dalla rientranza della finestrella, le gambe e le braccia intorpidite per il freddo e per la posizione in cui era rimasto per chissà quanto tempo. Non fece in tempo a fare due passi che davanti a lui, veloce e silenzioso, apparve una figura. Questa fece un passo avanti e un raggio di luna lo illuminò: era un ragazzino.

Indossava un paio di pantaloni verdi, a pinocchietto, e una maglietta a maniche corte che sembrava fatta di foglie. I capelli erano boccoli castani, che però tendevano al biondo. Ai piedi non aveva scarpe, infatti erano sporchi di terra. Sul viso c'era un sorriso spavaldo e dolce al tempo stesso.

La paura del bimbo parve svanire all'improvviso, i suoi muscoli si rilassarono sotto la coperta. Sorrise a sua volta, incuriosito da quel personaggio che era apparso come dal nulla all'orfanotrofio.

"Ciao!" lo salutò il ragazzo, con voce squillante. "Io sono Peter Pan!"

Il bimbo si guardò intorno, convinto di vedere gli altri orfanelli svegliarsi, ma tutti ancora dormivano. Si chiese come fosse possibile, dato che Peter aveva praticamente urlato nel presentarsi a lui. Scuotendo piano il capo, scacciò via quel pensiero e si presentò a sua volta. In lontananza – o era vicino? – il suono di campanelli.

"Tu non sei dell'orfanotrofio" disse il bimbo, e Peter annuì. "Da dove vieni, allora?"

Il sorriso sul volto di Peter si allargò. "Dall'Isola Che Non C'è"

Il tintinnio di campanelli si fece più forte, melodioso, e qualcosa che somigliava ad una lucciola andò a posarsi sulla spalla di Peter. Il bimbo piegò il capo con fare curioso, fissando la creatura che adesso si era messa a bisbigliare nell'orecchio del ragazzo. Questo annuì, poi fece un salto e volò fino al letto del bimbo.

"Vieni," gli disse, facendogli segno di sedersi accanto a lui. "facciamo due chiacchiere!"

Il bimbo rimase immobile, gli occhi spalancati.

Com'era possibile? Come aveva fatto Peter a volare? Forse si era addormentato, alla fine, standosene seduto alla finestrella circolare e tutto quello era solo un sogno, eppure: com'è che era così reale?

"Come... come hai fatto?" domandò il bimbo.

Peter corrugò la fronte. "A fare cosa?"

"Ma come a fare cosa!" esclamò il bimbo; ormai, che avesse urlato o meno, era sicuro che nessuno si sarebbe svegliato. "A volare! È impossibile!"

Peter e la lucciola parvero scambiarsi quella che poteva essere un'occhiata divertita, poi lui tornò a guardare il bimbo e si strinse nelle spalle. Volare era normale per Peter.

"Vuoi che ti insegni come si fa?" gli chiese Peter, alzandosi in piedi sul letto. "E' divertente, sai? In questo modo, sarà più facile per te seguirmi all'Isola Che Non C'è!"

"E chi ha detto che voglio venire con te?" replicò il bimbo, stringendo due lembi della coperta.

Peter scoppiò a ridere. "Tutti vogliono venire all'Isola Che Non C'è!"

Fece un balzo verso il soffitto e si alzò in volo, poi portò le braccia dietro al capo e galleggiò nell'aria. Disegnò cerchi invisibili, prendendo sempre più velocità, poi, sempre volando, si finse uno spadaccino.

"Ci sono i pirati!" proseguì, chiudendo una mano a pugno e usando l'indice per formare un uncino. Poi finse di avere lunghi capelli che pettinò con una spazzola invisibile: "E le sirene!"

"Pirati? Sirene?" ripeté il bimbo, gli occhi luminosi e, allo stesso tempo, ancora incerti.

"E indiani!" Peter, ancora in volo, si mise a ballare attorno ad un fuoco emettendo suoni con la bocca. Infine indicò la lucciola e disse, con orgoglio: "E fate!"

"Indiani? Fate?" ripeté nuovamente il bimbo.

Peter perse quota piano e, con delicatezza, tornò a terra. "Io e i bimbi sperduti ci divertiamo sempre, da mattina a sera. Combattiamo i pirati, giochiamo a nascondino con le fate, prendiamo il sole ascoltando il canto delle sirene, ceniamo insieme agli indiani!"

Campanellino trillò, disegnando archi sopra la testa di Peter. Quella che assomigliava a polvere dorata cadde dal suo corpicino.

"Vieni con me" disse Peter, allungando una mano perché il bimbo la prendesse. "Ti prometto che non sarai mai solo e che avrai una famiglia che ti vorrà bene. Io e i bimbi sperduti saremo la tua famiglia"
 

He sprinkled me in pixie dust and told me to believe

Believe in him and believe in me

Together we will fly away in a cloud of green

To your beautiful destiny

As we soared above the town that never loved me

I realized I finally had a family

Soon enough we reached Neverland

Peacefully my feet hit the sand

And ever since that day
 

L'incertezza del bimbo svanì nell'udire quell'ultima parola. Prese la mano di Peter e annuì piano, lasciando cadere la coperta a terra. Non aveva più freddo, il sonno non sarebbe mai arrivato e l'eccitazione gli montò dentro. Quando Peter afferrò Campanellino, il bimbo chiuse gli occhi e percepì quella polvere brillante che gli cadeva sul capo; si sentì più forte.

"Trova un pensiero felice," mormorò Peter, sorridendo al bimbo che teneva ancora gli occhi chiusi. "poi salta"

Il piccolo rifletté a fondo. Scavò nei suoi ricordi, cercò di trovare i momenti belli della sua breve vita... eppure, sembrava non ci fosse niente di felice. A quel punto aprì gli occhi e abbassò il capo: era deluso da sé stesso, perché senza pensiero felice non avrebbe mai potuto volare.

Sconsolato, aprì la bocca per dire a Peter che non sarebbe mai andato via con lui e che non avrebbe mai visto l'Isola Che Non C'è. Niente pirati, sirene, indiani o bimbi sperduti per lui; niente famiglia. Poi, veloce come un lampo, eccolo: il suo pensiero felice.

"Trovato!" esultò.

Volare via da quell'orribile orfanotrofio e raggiungere l'Isola Che Non C'è, quello era il suo pensiero felice.

Quindi fece un salto, spingendosi il più in alto possibile. Pensava che la gravità l'avrebbe riportato a terra in pochi secondi, ma quando guardò in giù vide che il pavimento era a quasi un metro da lui. Peter lo raggiunse con agilità, poi gli disse di seguirlo.

"Seconda stella a destra e poi dritti, fino al mattino!"

Uscirono dalla finestrella circolare col vetro rotto, seguendo Campanellino che era veloce come la luce. Nessuno dei due si guardò indietro e, una volta lontani dall'orfanotrofio, il bimbo si sentì più vivo che mai. Sfiorò le nuvole con una mano, guardò i tetti delle case che sfrecciavano sotto di lui, fece una giravolta e urlò dalla felicità.
 

I am a lost boy from Neverland

Usually hanging out with Peter Pan

And when we're bored we play in the woods

Always on the run from Captain Hook

"Run, run, lost boy," they say to me

Away from all of reality

Neverland is home to lost boys like me

And lost boys like me are free

Neverland is home to lost boys like me

And lost boys like me are free
 

°*°
Angolo Autrice

Hello!

Spero vi sia piaciuta questa songfic che ho scritto oggi, ispirandomi alla canzone "Lost boy" di Ruth B.
Volevo spiegare brevemente il perché, quando Peter si presenta al protagonista, praticamente urlando, nessun altro orfanello si sveglia. Per fare ciò, bisogna che voi cambiate momentaneamente il modo di vere Peter Pan: non è più il bambino che non vuole crescere, non è più quel ragazzino che persino io speravo venisse a prendermi per portarmi sull'Isola Che Non C'è. Bensì, Peter veste i panni dell'Angelo della Morte. 
Non importa come la vita del protagonista si sia spenta, o quale sia il suo nome. Ciò che importa è che lo scopo di Peter è quello di recuperare la sua anima e portarla in un posto migliore. Per cui, il protagonista
 era già mortoquando ha visto per la prima volta Peter, e quindi nessuno si è svegliato sebbene i due abbiano parlando a voce alta.
E niente... so che forse non si è capito perché avrei dovuto darvi più indizi, ma il pensiero era quello.
Concludo dicendo che l'Angelo della Morte è buono e ha buone intenzioni: vuole portare il protagonista in un posto in cui può avere  una vera famiglia, amici, divertimento eterno. 

Bye!

 

 
   
 
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