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Autore: Emmastory    10/11/2018    5 recensioni
Un anno è trascorso alla foresta delle fate. Ormai è inverno e non più primavera, e con il tempo che scorre e la neve che cade, la giovane Kaleia non sa cosa pensare. Il tempo si è mosso lesto dopo il volo delle pixie, con l'inizio di un viaggio per una piccola amica e il prosieguo di uno proprio per lei. Che accadrà ora? Nessuno ne è certo oltre al tempo e al destino, mentre molteplici vite continuano in un villaggio e una foresta incantata. (Seguito di: Luce e ombra: Il bosco delle fate)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-II-mod

Capitolo XXV

Fallimento

La notte era ormai scesa, ma per fortuna non ero da sola. Dopo quello che mi era successo nei boschi, Christopher era rimasto al mio fianco per aiutarmi, offrendomi tutto il supporto possibile. Scappando avevo agito da codarda, lo sapevo bene, e di nuovo a casa, non avevo più ragione di pensarci. Inizialmente credevo che Christopher si sarebbe arrabbiato, e che ancora una volta ci saremmo allontanati, ma a quanto sembrava una stella aveva deciso di sorridere, e ancora insieme, cercavamo una soluzione al mio problema. Stanchissima, avevo quasi finito per addormentarmi fra le sue braccia, e con l’arrivo in casa di Marisa, era sicuro che non avessi più nulla da temere. In quanto figlia della vecchia strega, aveva appreso da lei tutto ciò che c’era da apprendere, rubandole quindi il mestiere con gli occhi. Ora eravamo entrambe sedute sul divano, e ad occhi chiusi attendevo. Erano trascorsi appena pochi minuti, eppure iniziavo già ad avvertire le prime differenze. Aveva le mani calde e non fredde come quelle di sua madre, restava in perfetto e religioso silenzio, e soprattutto non aveva la minima intenzione di rovinarmi la pelle incidendola com’era già successo con la donna che le aveva donato la vita. Era stato un espediente efficace, aveva funzionato ed era vero, ma nonostante fosse benefico, il dolore tendeva a diventare insopportabile, proprio come in quella notte, quando sola e fuori casa, piangevo e soffrivo cercando di scacciare quelle voci. Non muovendo un muscolo, non osavo interrompere quello che per Marisa era un rituale, e appena fuori dalla finestra, il vento sibilava. Occupata a riposare, Sky non aveva nulla a che fare con il freddo che sentivamo, e più il tempo scorreva, più avevo paura. Avevo già visto la signora Vaughn prendermi le mani e dare inizio ad un sortilegio simile, ma nonostante tutto, ora non sapevo cosa aspettarmi. Ad ogni modo, non mi scomposi, arrivando però quasi a sobbalzare quando la voce della mia amica raggiunse le mie orecchie. “Va bene, Kaleia, adesso devi solo concentrarti. Sono con te, andrà tutto bene.” Mi disse, invitandomi a mantenere una calma che non spezzavo e che un qualsiasi estraneo avrebbe potuto definire mostruosa. “Lui è ancora qui, vero?” chiesi, riferendomi a Christopher. Scivolando nel mutismo, attesi la sua risposta, e senza volerlo, raggelai iniziando a tremare. Non sapevo con certezza cosa mi stesse succedendo, ma ero mortalmente sicura che il vento che spirava fuori dalla finestra non fosse la causa dei miei tremori. Uno dopo l’altro, lunghi minuti si susseguirono, e come persa in un mondo tutto suo, che scoprii essere un mondo di magie e poteri a me sconosciuti, Marisa stringeva saltuariamente gli occhi e le labbra, andando alla ricerca di risposte che solo la magia e gli incantesimi appresi avrebbero potuto darle. Di lì a poco, nell’intera stanza cadde il silenzio, e la sola voce di Christopher lo ruppe come vetro. “Sono qui, tesoro, non preoccuparti.” Disse soltanto, osando nell’avvicinarsi sfiorandomi la spalla. “No, non ora. Così mi deconcentri, e non funzionerà.” Gli rispose Marisa, ancora completamente concentrata su quello che stava facendo. Indietreggiando, Christopher non disse una parola, e appena un attimo dopo, la mia amica mi lasciò le mani, ma a giudicare dalla mesta espressione dipinta sul suo volto, reso ancora più pallido dalla debole luce della luna, i risultati di quella sorta di test non potevano certo essere buoni. “Cos’hai scoperto?” azzardai, incerta e ansiosa. Sulle prime, lei non rispose, e abbassando lo sguardo, evitò accuratamente di guardarmi. In altre parole, sfuggiva dai miei sguardi, ben sapendo che non potevano inseguirla. “Non molto, purtroppo. Tutto quello che vedevo era troppo sfocato, ma non ho potuto fare di meglio, perdonatemi.” Questa fu la sua risposta, che in quel momento di solenne e vitale importanza, arrivò senza farsi attendere, colpendo con durezza, come un pugno nello stomaco. Non sapendo cosa dire, mi ridussi ancora al silenzio, e stringendomi al mio amato, non potei evitare di piangere fra le sue braccia. Non proferivo parola, ma in realtà soffrivo, sia per lui che per me stessa. Si era preoccupato, mi aveva supportato dandomi come sempre tutto l’amore possibile, organizzando perfino l’intervento di Marisa, ma sfortunatamente questo non aveva prodotto risultati. Ero attonita, ferita e delusa, certo, ma non me la sentivo di incolpare la mia amica. In fin dei conti aveva fatto del suo meglio, e fu abbracciandola e ringraziandola sentitamente che la lasciai andare, restando a guardare mentre la sua nera ombra si allontanava nella notte. “Mi dispiace.” Sembrò voler dire, poco prima di andarsene e non sentire dietro di sé altro che lo scatto di una porta prossima al chiudersi. Distrutta dalla tristezza, mi trascinai nella mia stanza, e scivolando in fretta nella dolce incoscienza, dormii. Mi svegliai soltanto la mattina dopo, ancora triste e sconsolata. “Amore…” sussurrò Christopher al mio indirizzo, mesto quanto e forse più di me. “Sì?” dissi appena, senza alcuna voglia di parlare o abbandonarmi al suo ormai solito romanticismo. Non che mi infastidisse, anzi il contrario, ma dopo quanto era accaduto, non ero affatto in vena di dolcezza. Avrei voluto solo riposare addormentandomi ancora, ma il sole del mattino non faceva che impedirmelo. “Cosa c’è? Stai poco bene?” chiese allora lui, togliendo una mano da sotto le coperte e  posandomela con dolcezza sulla fronte. “No, tesoro, non è questo, è che…” biascicai, con il cuore stretto in una morsa e l’animo sospeso a metà fra la tristezza e la vergogna. “Che?” continuò lui, mostrando una lieve insistenza nell’incalzarmi. “Non lo so. Credevo che l’aiuto di Marisa sarebbe bastato. In fondo è una strega, e tu ne eri così convinto, quindi…” balbettai lentamente, non avendo desiderio dissimile dal piangere. “Su, ora calmati. Mi sono sbagliato, ma non è una tragedia.” Rispose lui, sorridendo debolmente e accarezzandomi il viso. Allietata da quelle carezze, lo lasciai fare tenendogli la mano, e respirando a fondo, cercai di calmarmi. La mestizia aveva ormai il pieno controllo su di me e nonostante fossi convinta che nulla al mondo avesse il potere di acquietarmi, non volevo demordere né perdere la speranza. “Ne sei proprio sicuro?” chiesi a quel punto, completamente sfiduciata. “Kaleia, per favore, sorridimi. Non ti accadrà nulla, e lo sai. Sei la mia ragazza, la fata che amo, e sarà così finchè i nostri cuori batteranno. Hai fiducia, vero?” fu la sua unica risposta, sincera e piena dell’amore che sapevo provasse nei miei confronti. Silenziosa, provai a guardarmi dal reagire troppo freddamente, ma le mie confuse emozioni ebbero la meglio su di me, e nulla potè prepararlo al pietoso spettacolo che seguì quei momenti. “Christopher, anch’io ti amo, e voglio crederti, ma questa situazione è assurda. Non capisco cosa sta succedendo, e non riesco più a vivere così! Il nostro è amore, ma per quale ragione non può esistere? Non ha alcun senso!” gridai fra le lacrime, non riuscendo più a trattenermi e dando voce all’unica risposta che avevo sempre taciuto e covavo nel cuore da tempo. Colpito dalla mia reazione, Christopher rimase a guardarmi, e non appena provò ad avvicinarsi ancora e stringermi, io mi divincolai dalla sua presa, che per qualche strana ragione mi provocava dolore e non più conforto, e stanca di subire, lasciai la stanza, rintanandomi in salotto e chiudendo ogni porta e finestra, nella forse vana speranza di trovare in una buia e nera coltre un vero e proprio riparo da me stessa, dai capricci del mio cuore parzialmente umano e da quella relazione che solo ora capivo essere stata un fallimento.
   
 
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