Serie TV > Shadowhunters
Segui la storia  |       
Autore: amelia_in_the_shadows    10/11/2018    0 recensioni
Cosa sarebbe accaduto nella 2x05 se Magnus, stanco e triste di non essere mai la vera priorità di Alec, avesse deciso di non aiutare più il giovane Shadowhunter e lasciarlo libero di vivere la propria vita senza di lui, cercando di capire davvero quali fossero le sue (e le proprie) priorità?
Dal primo capitolo:
“E cosa sono per te, Magnus?”
Si fissavano, le mani ancora unite, i corpi vicini, i respiri affaticati. [...]
C’era aspettativa nelle iridi verdognole di Alec, praterie che chiedevano di essere percorse senza freni, ma che non era certo di avere il permesso di attraversare. E non era nemmeno sicuro di volersi assumere un tale rischio per poi ritrovarsi da solo, senza fiato e senza energia, con un cuore ridotto a briciole di pane in mano.
“Sei la persona che aspettavo da secoli, Alexander. Mi piaci, mi piaci tanto, e mi spaventa. Perché so che quello che provo io per te, tu non potrai mai provarlo per me.”
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 2
-
Valere abbastanza
(Alec POV)
 
 
“I’d take another chance, take a fall, take a shot for you
and I need you like a heart needs a beat,
but it’s nothing new
 yeah yeah
I loved you with the fire red now it’s turning blue, and you say
“Sorry” like the angel heaven let me think was you,
but I’m afraid
it’s too late to apologize, it’s too late
I said it’s too late to apologize, it’s too late...”
 
Apologize - One Republic feat. Timbaland
 
Era finita. Era finita, finita davvero.

Alec era terra in tumulto, fuoco senza limiti, mare in tempesta. Quando riemerse dal portale, si ritrovò a qualche metro di distanza dall’Istituto. Aveva pensato a quel posto, così come Magnus, probabilmente. Aveva agito impulsivamente, e se le cose fossero andate male, avrebbe addirittura rischiato di perdersi in qualche dimensione senza possibilità alcuna di tornare indietro.

Di certo, Magnus non l’avrebbe mai saputo. Non se ne sarebbe più interessato.

Alec cercò di eliminare quelle insopportabili prove liquide del suo dolore dal suo viso, ma fallì miseramente; la pioggia cominciò a farsi più arrabbiata, così come il suo umore. Osservò ancora una volta la facciata della cattedrale che gli si presentava di fronte, e decise che non era lì che voleva stare. Non esisteva più un posto dove rifugiarsi, perché le braccia di Magnus non erano più un suo beneficio.

Oscurato da questi pensieri, Alec si disegnò una runa del Calore sulla mano per riscaldarsi un poco e prese a correre, correre, sempre più veloce e con frenesia, verso una meta che non aveva previsto, ma che era necessaria.

Lontana dagli occhi, lontana dal cuore.

Jocelyn era morta, uccisa dalla sua debole difesa. Clary e Jace, dopo tutti i traumi che avevano subito, si ritrovavano senza madre. Isabelle era stata ferita e l’Angelo solo sapeva cosa avrebbe potuto accaderle. E Magnus.

Magnus…

Alec sapeva di non aver riflettuto molto prima di parlare, poco prima; l’unica cosa a cui era riuscito a pensare era stato scappare da quella situazione orrenda. Magnus, l’uomo che credeva sarebbe stato sempre dalla sua parte, pronto ad aiutarlo e difenderlo, l’aveva scaricato come se fosse stato un amante qualsiasi, una questione di poco conto da risolvere.

Gli aveva detto che gli piaceva, che si era affezionato fin troppo, ma erano bugie, perché che persona abbandona qualcuno che ama per renderla libera?

Improvvisamente, Alec pensò ai suoi sentimenti confusi e mai veramente espressi per Jace. Lui non gli aveva mai rivelato cosa provasse per lui, e prima che potesse provare a chiarirsi le idee, Magnus era subentrato come un tornado nella sua altrimenti monotona vita e lui non aveva più avuto tempo da dedicare ai pensieri. Ma poi Jace era stato rapito, e poi quasi ucciso, e dopo ancora aveva rischiato di perdere tutti, per sempre. Di perdere la sua stessa vita. Eppure, alla fine, erano stati altri a rimetterci.

Alec digrignò i denti, contrasse maggiormente i muscoli e sforzò ogni legamento per sfogare come poteva la sua frustrazione repressa.
Non era vero. Non poteva essere vero.

Poderose falcate lasciarono quasi un segno sull’asfalto bagnato di New York, insieme alla freddezza dell’ambiente e del cuore ferito di Alec.

Senza nemmeno rendersene veramente conto, il Nephilim si ritrovò a Central Park. Alec si fermò in un punto piuttosto centrale della zona, attivò il glamour e focalizzò la vista con tutta la concentrazione che gli rimaneva. Con l’arrivo del temporale, l’attività demoniaca sembrava essere in procinto di rivelarsi su larga scala, e Alec sentiva i brividi percorrergli la pelle infreddolita. Se fosse per la pioggia che gli penetrava nelle ossa, goccia dopo goccia, o per le parole di Magnus che gli trafiggevano la testa come mille spilli contemporaneamente, beh, non avrebbe saputo decretarlo con assoluta certezza.

Come previsto, le sue riflessioni furono interrotte dall’arrivo di una serie di demoni Shax; saranno stati un gruppo di tre o quattro, e Alec d’istinto mise una mano all’arco e l’altra alla faretra, per poi accorgersi di non averli più.

Il ragazzo rifletté che le sue armi preferite non fossero l’unica cosa che aveva perso quella sera orribile, ed un sorriso rassegnato gli percorse il volto. Impegnò i neuroni istantaneamente, come gli era stato sempre insegnato.

Se pensi troppo, muori. Se non pensi bene, muori.

Alec impugnò la lama serafica palesatasi dopo la sua invocazione in tutta la sua suadente bellezza.

“Fatevi avanti, demoni. Questa sera non ho niente da perdere, quindi date il peggio di voi: voglio divertirmi.”

Il Nephilim parlava loro come se potessero capirlo. Quei parassiti potevano uccidere, ma non brillavano certo in intelligenza. Tuttavia, si fecero avanti incuranti delle minacce a loro volte e si fiondarono sul ragazzo, che con un balzo leggiadro si ritrovò accovacciato a pochi centimetri dal luogo di collisione, per poi tirarsi su compiendo una giravolta elegante ed aggraziata che soppresse tutti gli esseri demoniaci in un bagliore rossastro, simile a fuochi d’artificio, quelli che aveva provato quando le dolci labbra di Magnus si erano posate sulle proprie.

Ora, non gli rimaneva altro che braci scottanti, brucianti come il sapore della sconfitta.

Tuttavia, ne arrivarono altri, e sembravano più arrabbiati e famelici dei precedenti. Alec, adrenalinico per tutta l’eccitazione del combattimento che era da tempo che non provava sul campo, non si fece di certo impaurire. Proseguì con la sua sinergia di colpi e brandimenti di armi, tirando fuori un pugnale che andò ad occupare la mano libera.

Il secondo round fu più impegnativo; essere da solo stava cominciando ad affaticare Alec molto più rapidamente e la pioggia ormai fluente non aiutava di certo la situazione. Lo Shadowhunter non pensò nemmeno per un istante di chiamare aiuto.

Con un grande sforzo, sferzò la sua personale armeria con austerità, approfittando dell’avvicinamento delle creature demoniache al suo corpo per poi trafiggerle col minor dispendio di energia. Dopo diversi minuti di tensione, anche l’ultimo mostro fu combattuto, e Alec si permise di sospirare. Guardò il cielo sopra di sé con gli occhi semichiusi, perché le stille che gli cadevano addosso avevano il peso di macigni sulla sua pelle stanca.

Alla fine, Alec serrò le palpebre e aprì le braccia, asciando che le gocce di acqua piovana lo avvolgessero completamente, la maglia ormai completamente zuppa e le gambe che gridavano riposo. Qualche piccolo taglio sanguinava appena, ma niente che una runa di guarigione non avrebbe potuto lenire.

Il Cacciatore pensò che se li meritava e che, anzi, quello non fosse niente in confronto a tutto quello che aveva fatto lui. La verità, se ne convinse, era che non era un buon parabatai, non un buon fratello, non un buon figlio, non un buon amico e, tantomeno, un buon fidanzato.

Alec rimase in quella posizione per quelli che parvero minuti, fino a quando un movimento repentino non lo fece scattare subito in posizione di difesa. Un demone Shax di dimensioni molto più notevoli dei precedenti si portò in attacco senza lasciare tempo di reazione nello Shadowhunter, che si coprì subito il volto con le braccia. L’essere infernale gli si scaraventò addosso con tutto il peso del suo spesso carapace, e Alec rabbrividì a quel contatto. Venne sferzato a terrà, nella terra ormai ridotta a fango, e quando aprì gli occhi assistì ad un orrendo spettacolo di cerchie di denti che avrebbero potuto squarciargli la faccia in una manciata di secondi.

Il Nephilim lo teneva ad una minima distanza di sicurezza usando tutta la sua forza, ma c’era una parte di lui, qualcosa che lo tratteneva a ribellarsi del tutto. L’incredibile adrenalina di prima era passata, così come la rabbia e l’esasperazione.

In quel preciso istante, Alec provò apatia. In quel momento, Alec non provò nulla, nemmeno la paura per la sua stessa vita. In quell’attimo, la sua testa vagò verso lidi che gli presentarono una grande alternativa a tutto, una soluzione per tutti.

Fu per questo che, quando la grande pinza alla punta della coda del demone fece un guizzo ovviamente diretto alla gola del ragazzo, Alec non si oppose. Immaginò un mondo parallelo dove le cose erano diverse, migliori, dove tutti erano orgogliosi di lui e dove lui non aveva commesso niente di male, dove tutto era normale, e dove lui e Magnus erano insieme, felici.

Sorrise, e l’ultima cosa che ricordò fu una vampata di luce rossa incandescente che lo proiettò rapidamente nel buio più totale.
-
Alec si risvegliò nella stessa posizione in cui aveva perso i sensi, supino a terra e con le braccia sul petto. D’istinto esercitò pressione sulle mani e si accorse di avere ancora le armi tra le dita, ed erano sporche di icore.

Nel buio della notte e nel silenzio di Central Park, perché era lì che si trovava, Alec si mise seduto e si sentì stranamente bene. Il suo corpo non doleva come avrebbe dovuto e i suoi vestiti erano insolitamente asciutti, così come la porzione di spazio in cui era steso. Si guardò intorno, ma così come la pioggia aveva smesso di scorrere incessante, anche i demoni ed ogni loro traccia si erano dissolti nel nulla, ad eccezione del sangue sul pugnale e del manico della spada, ora a riposo poiché non invocata.

Era tutto incredibilmente strano, perché seppur i ricordi fossero molto confusi, Alec pareva certo di stare combattendo con uno Shax molto accanito, di aver trattenuto a stento la sua rabbia istintiva contro una creatura angelica, e poi il nulla.

Alec sbatté un paio di volte le palpebre, si tirò indietro una ciocca di capelli ribelli e si alzò, rimettendo a posto le sue armi. Seppur un po’ confuso, prese a camminare verso una direzione non stabilita: vagò per la città che non dorme mai, i pensieri annebbiati e la figura ingobbita e indebolita, fino a quando non sentì delle voci provenire da un vicoletto appartato.

Con uno scatto repentino il Cacciatore accorse sul luogo, esaminando celermente la situazione: una ragazza, apparentemente disarmata e terrorizzata, stava per essere attaccata da due vampiri dall’aspetto poco raccomandabile. Erano leggermente chini, le lame dei canini esposti, gli occhi iniettati di sangue, e parlavano in un modo che ricordava molto il sibilare dei serpenti.

Alec attivò sicuro una determinata runa sul braccio - permettendogli così di udire anche a distanza - pronto a combattere da un momento all’altro, ma capì presto che in quell’attacco c’era qualcosa di strano.

La vittima, in realtà, non era affatto spaurita, anzi, utilizzava un tono sostenuto e audace; chiedeva informazioni a proposito del consumo di yin fen, e i vampiri sembravano collaborare solo perché erano consapevoli che da lì a poco la giovane sarebbe diventata il loro pasto.

“So che il vostro capo è immischiato in questa faccenda, e io non ho alcuna intenzione di riferirle di questa nostra amichevole conversazione, ma voi dovete parlare. Chiuderò un occhio su quanto ho visto prima, se mi aiuterete a capire chi c’è dietro lo spaccio.”

C’era una sicurezza inaudita nella sua voce. Alec desiderò di averne posseduto anche solo un decimo.

“Non abbiamo bisogno della tua clemenza, Shadowhunter. La nostra Signora Camille non farà ritorno molto presto nel nostro Clan, dopo essere stata spedita ad Idris direttamente dal Sommo Stregone. Quindi, esattamente, cos’è che ci vieta di ucciderti qui, adesso, senza che nessuno si accorga nemmeno della tua assenza?”

E poi, ancora: Camille era stata catturata da Magnus? Cosa? Ma non aveva senso, lo aveva visto e non gli aveva accennato alla questione. Certo, perché avrebbe dovuto confidarglielo, dopotutto?

“Peccato, io volevo venirvi incontro, ma oltre ad essere degli schifosi succhia-sangue, siete pure estremamente stupidi. Il Mondo Invisibile potrà anche fare a meno di voi.”

“Come hai detto?” disse quello con i capelli argentati e lo sguardo sottile. “Sei una povera illusa!” la derise il più slanciato dei due, capelli neri e occhi scuri come la pece.

"Uccidiamola!” gridarono infine entrambi.

Alec decretò che fosse arrivato il momento opportuno per intervenire, non era il momento di perdersi in elucubrazioni del genere.

“Volete violare gli Accordi? Non credo che vi convenga, con Valentine libero e gli Strumenti Mortali nelle sue mani.”

Tutti si girarono sorpresi, soprattutto la giovane Cacciatrice. La osservò rapidamente: occhi chiari, capelli biondi e mossi, corporatura tonica e slanciata. Non la riconobbe.

Non l’aveva mai vista prima.

“E tu chi saresti, eh?” lo derisero i vampiri, seppur spaventati dall’improvvisa entrata in scena dello Shadowhunter.

“Sono Alec Lightwood, e se scomparirò la mia famiglia se ne accorgerà e non avrà pace fino a quando non ne avrà trovato il responsabile, a costo di setacciare tra Nephilim, Nascosti e Mondani. Pensateci bene, prima di far del male alla donna di fronte a voi. È solo un suggerimento.”

Forse aveva un po’ gonfiato la schiera di gente a cui avrebbero dato la caccia Maryse e Robert, perché, ovviamente, avrebbero subito puntato il dito contro chi credevano non saper trattenere i propri istinti, cioè i Nascosti.

“Aspetta, ma lui non è la nuova fiamma dello stregone, quello figo?” lo schernì lo spilungone. “Chi, Magnus Bane?” domandò sconvolto l’altro. “Sì, è proprio il primogenito dei Lightwood!”

Alec era basito di fronte a quello che stava sentendo e vedendo; possibile che il suo coming out si fosse ripercosso anche sul mondo dei Nascosti? Un’improvvisa consapevolezza si fece poi largo nelle considerazioni di Alec. Certo, non era per lui, ma per Magnus. Lui era quello conosciuto, desiderato, idolatrato per la sua natura istrionica e peculiare. Era il Sommo Stregone di Brooklyn e ricordava quando, la prima sera che si fermò a dormire da lui, gli avesse espresso la sua vergogna se il suo popolo avesse scoperto di aver offerto ospitalità ad uno Shadowhunter. Dovevano averlo trovato estremamente assurdo e inverosimile, ma ora che lo avevano lì di fronte in carne ed ossa, tutto prendeva meccanicamente vita.

“Ok, Albert, non ci conviene metterci contro Stregoni e Cacciatori, non ti pare?” suggerì caldamente - per quanto possibile per un vampiro - il più basso.

“No, infatti. Ringrazia di scoparti il ragazzo giusto, Lightwood. Ora andiamocene!” sputò con una nota di disprezzo il moro, e Alec lo incenerì con lo sguardo.
Gli montò su un odio che lo fece quasi agire d’impulso e sconsiderevolmente, ma riuscì a bloccarsi appena in tempo per vedere la ragazza digrignare i denti e lanciarsi nel vuoto.

“Non tanto in fretta, cari!” disse con tono di sfida, poi accadde tutto molto velocemente: la giovane Nephilim afferrò per un polso il vampiro che Alec avrebbe voluto prendere volentieri a pugni, proprio poco prima che riuscisse a fuggire. Doveva aver attivato precedentemente una runa della velocità, infatti lo stese a terra con una facilità spiazzante. Lo teneva fermo a terra, le mani a bloccargli collo e gambe in un gesto fluido che non faceva trasparire affatto lo sforzo fisico impiegato nella presa.

“Si può sapere cosa vuoi, Figlia dell’Angelo? Ti ho già detto che non so niente di quel tale a cui ti riferivi prima, lasciami andare!”

“È per colpa di gente immonda come voi se i Nascosti vengono considerati al pari della feccia da parte degli Shadowhunters! Siete menefreghisti, insensibili, distaccati, e non date valore alla vita! Avrete anche l’immortalità, ma non avete imparato niente, niente, se non come ammaliare le persone e portarle alla pazzia. Vi odio, vi odio lugubri Figli della Notte!”

Alec ebbe appena il tempo di spingerla via prima che piantasse un pugnale dritto nel cuore del vampiro, che prontamente scappò via senza guardarsi indietro.
“Maledizione! Chi ti ha detto di intrometterti? Vattene via, Lightwood!”

Alec si rese conto solo in quel momento di esserle saltato addosso e di avere il proprio corpo interamente spalmato sulla figura forte della ragazza sotto di lui; si alzò immediatamente con uno scatto meccanico. Le offrì una mano per aiutarla ad alzarsi, ma lei la scacciò via malamente. Mise via l’arma - fortunatamente immacolata - ed estrasse dalla tasca della giacchetta il suo stilo, passandoselo sull’interno del polso.

Come per magia, il suo corpo cambiò: i capelli biondi e fluenti si accorciarono in una capigliatura curata e morbida, le spalle strette si ampliarono notevolmente, rivelando una struttura piuttosto imponente e severa; la carnagione, da pallida e arrossata per la rabbia, divenne leggermente più scura, salutare.

Quando alzò lo sguardo verso di lui, Alec vide che i suoi occhi erano blu come il mare d’inverno e che era un uomo, più precisamente uno Shadowhunter. Non lo aveva mai visto prima, eppure quei tratti estetici gli ricordavano terribilmente un altro Nephilim di sua stretta conoscenza. Si vergognò come un ladro colto sul fatto per aver fatto certi pensieri e le sue guance si imporporarono irrimediabilmente.

“Tu… t-tu sei un ragazzo,” esalò Alec in un sussurro, quasi timoroso di averlo offeso assistendo alla sua metamorfosi.

“E tu sei un idiota. Lo avevo in pugno, perché non eri impegnato a sbaciucchiarti col tuo pomposo fidanzato?”

Alec rifletté se ribattere dicendogli che Magnus non era assolutamente pomposo, o comunque, anche se un po’ lo era, gli piaceva ugualmente o forse di più; l’alternativa era rivelargli che non poteva farlo più perché il suo fidanzato - ammesso che lo fosse mai stato - lo aveva scaricato e che, quindi, si ritrovava a vagare per la City come un’anima in pena, confuso e smarrito.

“Per tua fortuna non lo ero, altrimenti avresti avuto sulla coscienza un innocente, e avrei dovuto fare rapporto al Clave.”

“Sei serio? Aveva minacciato di uccidermi!” urlò infastidito il ragazzo.

“Sì, ma tecnicamente non ti stava attaccando, mentre tu gli hai puntato una lama al petto. Pensi che, qualunque cosa ti spingesse a farlo, ti saresti sentito meglio dopo averlo spedito all’Inferno?”

Sembrò rifletterci per qualche secondo, poi riprese a parlare.

“Forse no, ma almeno non avrebbe commesso altre atrocità tra cui… lasciami pensare, esistere, per esempio?”

Alec non riuscì a reprimere un sorriso, timido, certo, ma pur sempre un sorriso. Per certi versi, quel carattere scontroso gli ricordava se stesso prima di conoscere Magnus. Cercò quindi di reprimerne l’idea.

“Perché cambiare aspetto?” si ritrovò a chiedere, senza sapere bene il perché. Riconosceva che non fossero affari suoi, ma era sinceramente curioso.

L’altro si tirò su ignorando il palmo rivolto verso il cielo di Alec, e si sistemò la divisa. Portava una giacca di pelle color testa di moro, un paio di jeans scuri e degli scarponcini abbinati. Lo stile ricordava vagamente quello piuttosto basic di Alec, solo che i suoi lineamenti più nordici gli conferivano un altro tono

“Perché non ti fai gli affari tuoi?” replicò il giovane, testardo.

“Sei tu che mi hai chiesto perché non fossi col mio ragazzo!”

Alec si domandò perché si stesse giustificando con quello che, fondamentalmente, era uno sconosciuto per lui.

“Ok, senti. Alec, giusto?” Alec annuì con il volto, incrociando le braccia al petto. “Bene, Alec, a me non me ne frega assolutamente niente di te e Magnus Bane, nel senso che proprio non mi importa se tu stai con un uomo che, tra le altre cose, è pure un Nascosto - e lo avete rivelato al matrimonio dell’anno davanti ai più illustri Rappresentanti del Clave. In realtà, vi stimo molto per questo. Davvero. Avrei voluto vedere le loro facce turbate, ma ascoltami bene: questa è una mia battaglia personale. È qualcosa che devo superare da solo, e fino a quando non avrò risolto la questione, non avrò pace. Forse hai ragione, quell’essere ripugnante non aveva fatto niente fuori dalle regole di fronte ai miei occhi, ma credimi se ti dico che i Nascosti, purtroppo, non sono tutti come la tua dolce metà, così come non tutti i Nephilim sono come te.”

“Lui… l-lui non è la mia dolce metà. Cioè, non più,” disse Alec, in un mezzo sussurro imbarazzato, senza sapere bene perché glielo stesse rivelando.

“Ah, bene. Allora mi sbagliavo, sono tutti uguali. Hanno l’immortalità, e noi siamo solo pedine mortali che muovono come gli fa comodo” intervenne prontamente lo Shadowhunter con un tono che probabilmente voleva essere ironico, ma Alec abbassò lo sguardo a terra.

“Lui… lui non è così. Lui… ci ha sempre aiutati, ma io...”

Alec era ad un passo dal correre via da quella situazione troppo invadente.

“Scusa, mi dispiace, ho dato per scontato che fosse stato lui a… sai, a troncare. Magari non è andata così.”

Come se Alec avesse voluto farlo. Lasciare Magnus era un’opzione che nemmeno contemplava, dopo tutta la strada compiuta per uscire allo scoperto, per poter frequentare quell’uomo tutto lustrini e occhi profondi come pozzi infiniti.

“No, hai indovinato,” ovviamente, pensò Alec. “Mi ha lasciato lui. Anche se non per i motivi che dici tu - non che abbia importanza.”

“Beh, vedi il lato positivo: ti ha aiutato ad ammettere a tutti chi realmente tu sia, e sei stato d’esempio per molti,” gli diede una pacca sulla spalla, e Alec alzò il volto incontrando quello del Nephilim. “E poi quando ti ricapiterà di sconvolgere i capi di Idris? Per l’Angelo, perché mi perdo sempre il meglio?”

Rise ad occhi chiusi, e Alec lo osservò rapidamente. Il suo viso era piacevole, doveva riconoscerlo. Si proclamava un traditore solo a pensarlo, ma si sentiva anche tradito da Magnus, in qualche modo. Lo aveva abbandonato, calpestato la sua fiducia, ignorando tutto quello che avevano dovuto superare per poter stare insieme.

“Avrei voluto che anche i miei genitori la pensassero come te, ma sai, non si può avere tutto dalla vita, no? E comunque, grazie.”

Alec non era abituato ad essere consolato, perché solitamente lo faceva lui con i suoi fratelli, e poi lui era il più grande, non gli piaceva essere ritenuto tanto debole da aver bisogno di sostegno. A meno che quel supporto non provenisse da un certo stregone… che non lo voleva più.

Alec, forse, poteva accettarlo. O meglio, doveva farlo.

Sapeva che Magnus era troppo buono per turbarlo con una cruda verità, ma Alec dentro di sé sapeva che il Nascosto non sarebbe tornato per parecchio tempo. Forse mai più.

“Tu puoi contare sui tuoi fratelli. Insomma, so che con il tuo parabatai ci sono stati dei disguidi, ma sono ancora vivi, no? Non sprecare il tuo tempo dietro chi ne ha talmente tanto a disposizione da dimenticare quanto il nostro sia, al contrario, contato.”

Quella fu una stilettata per Alec. Perché diceva la verità.

Forse per Magnus era davvero solo uno svago, in fondo lui avrebbe potuto avere chi voleva e divertirsi per tutta la vita, avrebbe trovato un altro Alexander, uno più divertente, più sicuro, più interessante.

Eppure il modo in cui Magnus lo guardava, come gli parlava… Alec provava una strana sensazione allo stomaco tutte le volte che lo incontrava, ma non riusciva mai a comportarsi adeguatamente, ad esprimere a voce o con semplici gesti la sincerità dei suoi nascenti sentimenti.

Gli aveva detto che lo odiava, ma non ci aveva creduto neppure per un secondo. Voleva farlo, davvero, perché sarebbe stato notevolmente più semplice, ma era impossibile. Chi mai avrebbe potuto odiare veramente Magnus Bane?

Ok, diverse persone - tra cui i suoi stessi genitori - lo avrebbero voluto anche morto, ma Alec non era tra queste. E si ritrovò a provare l’impulso di difenderlo dalle parole di quel Cacciatore.

“Magnus sa dare un valore al tempo, non è uno qualunque” lo ammonì con decisione.

Il ragazzo dagli occhi cobalto lo guardò con un sorrisetto che Alec reputò quasi fastidioso, e poi gli si avvicinò.

“E deve essere molto bravo a fartene perdere la cognizione.”

Anche questo era vero. Alec non si era nemmeno accorto di come le settimane fossero passate da quando si erano conosciuti, troppo preso dai drammi di Clary - una fitta al pensiero di Jocelyn lo fece trasalire -  e dai casini di Jace - insieme ai sentimenti contrastanti che provava verso di lui -  ma sapeva che non era abbastanza.

Voleva avere di più, conoscere di più, sperimentare di più.

Improvvisamente ebbe voglia di volare via, scappare in un punto non precisato, sparire per un po’.

“È tardi. Pensi di poter tornare all’Istituto senza immischiarti nuovamente negli affari dei vampiri?”

“Non posso promettertelo, perché sono affari anche miei.”

“Non dovrebbero esserlo,” lo ammonì Alec, serafico.

“Scusa, ma non sei la persona più idonea a darmi questo tipo di suggerimento, Alec,” ribatté lui con un sorrisino.

“Magari posso aiutarti?” si offrì il primogenito dei Lightwood.

“No. È una faccenda privata,” concluse infine lo Shadowhunter.

“Certo. Allora ci si vede.”

Alec fece per allontanarsi, ma il giovane lo prese per il polso, costringendolo a girarsi nuovamente. Fu una sensazione strana: non esattamente sgradevole, ma nemmeno voluta. Non era il tocco caldo e delicato di Magnus, ma quello calloso e rigido tipico di un Cacciatore.

“Sei troppo scosso per andare in giro ad ammazzare demoni da solo, torniamo a casa, per questa sera,” disse, e mollò la presa, per poi incastrare i suoi zaffiri con le pietre di giada di Alec. Quest’ultimo si toccò istintivamente la zona incriminata, e poi emise un sospiro al ricordo dello scempio di poco prima.

“Ho già fatto un giro di perlustrazione e la zona dovrebbe essere libera. E poi quella non è casa mia,” sbuffò imbronciato.

“Forse, ma lì ci sono le persone che ami, e quindi è lì che dovresti stare.”

Alec rispose di impulso. “A me non sembra di ricordare che la tua famiglia viva all’Istituto, però. Allora perché la definisci casa?” domandò, forse spingendosi troppo oltre; non aveva alcun diritto di domandarglielo, ma la sua impulsività aveva preso il sopravvento.

“Lo sai che non ti ho mai sentito parlare tanto, Alec Lightwood? Comunque, per rispondere alla tua domanda, all’Istituto ci vivono le persone che più si avvicinano ad una famiglia per me, e cioè i miei compagni e amici Nephilim. Lory e Xavier sono come fratelli per me, e quindi io sto dove sono loro, insieme contro il male.”

Aveva uno sguardo fiero, deciso. Quello tipico di un figlio dell’Angelo nato per combattere in nome di Raziel.

“I tuoi genitori sono morti?” si sbilanciò Alec, pentendosene subito dopo.

“Sì, loro non erano affini al pensiero di Valentine Morgenstern, e per questo sono stati uccisi. Sono cresciuto con mia sorella più grande, poi lei… beh anche lei è venuta a mancare,” strinse i pugni ai lati dei fianchi. “E quindi eccomi qui.”

Alec fu dispiaciuto dal racconto appena ascoltato. Per uno Shadowhunter era normale perdere le persone care fin da giovani, perché questo voleva dire combattere contro le forze demoniache già in tenera età; perdere tutto il nucleo familiare, però, era davvero una tragedia.

Sapeva come si sentiva Jace, ricordava i primi tempi in cui cercava di ambientarsi, ostentando una corazza impermeabile che mascherava una fragilità che non si sarebbe mai permesso di mostrare a nessuno, forse solo al suo parabatai. Ed era in quei momenti che aveva capito di amarlo, seppur incapace di scandire un confine tra affetto e fraterno e… qualcos’altro. Era tutto ancora così difficile, così incerto.

Alec gli diede una pacca sulla spalla, consapevole che non sarebbe servita assolutamente a nulla, ma non sapeva che altro fare. “Mi dispiace per le tue perdite, Underhill. Davvero.” Il suo cognome gli uscì dalle labbra inaspettatamente.

“Sai come mi chiamo?” chiese il ragazzo, evidentemente preso in contropiede.

“Cerco di ricordare tutti quelli dei miei compagni di New York. Tu sei Underhill, addetto al settore sicurezza dell’Istituto, giusto?”

Alec notò l’espressione meravigliata sul volto di Underhill, a metà tra il soddisfatto e il malinconico.

“Corretto. Sai, penso che nemmeno Aldertree conosca tutti i nominativi dei Cacciatori dell’Istituto. Eppure è il capo. Curioso, no?”

“No, non lo è. È semplicemente assurdo. Un buon leader dovrebbe conoscere la propria squadra approfonditamente, per poter adottare strategie efficaci e piani calibrati per le missioni. E poi… per l’Angelo, scusa! Stavo straparlando.”

Alec si coprì il volto in un gesto pudico.

“No, mi piace questo lato di te. Credo che saresti un buon capo, sai? Ci hai mai pensato?”

Già, anche Magnus glielo aveva detto qualche volta. Anzi, ci credeva proprio, nonostante Alec fosse ben consapevole che non sarebbe mai successo. Sicuramente nel futuro quel ruolo sarebbe toccato a qualcuno di carismatico, forte e vincente. Uno come Jace, non come lui.

“Non mi piace illudermi. Sono un tipo pratico e so quali sono i miei limiti. Per esempio, ora so che è meglio che tu rientri.”

“Dovresti farlo anche tu. Sei uno straccio, hai bisogno di riposare.”

“Lo farò, ho solo bisogno di qualche minuto ancora, sai, per riflettere,” e si allontanò di qualche passo. “Da solo.”

Alec si girò e cominciò ad incamminarsi, quando Underhill lo richiamò.

“Grazie per prima, Alec” disse, rivolgendogli un debole sorriso che fece increspare lievemente anche le labbra all’arciere.

“Figurati. Buon riposo.”

Alec sparì velocemente senza più voltarsi, per ritrovarsi, poco dopo, nuovamente sotto il palazzo di mattoni che aveva imparato ad associare al concetto sempre più familiare di rifugio. Puntò lo sguardo verso il piano che più di tutti aveva imparato a conoscere e vide le finestre chiuse e le luci spente.

Riconobbe l’assenza.

Fece male, e con quel dolore Alec corse via, con il vento che gli sferzava contro, facendolo rabbrividire. Non era comunque niente paragonato alla sensazione di gelo che sentiva nel petto.

Magnus era definitivamente partito.

Se n’era andato.
-
Quando fu uscito dalla doccia della sua camera all’Istituto, Alec si diresse verso la scrivania, alla ricerca di qualche report da visionare per cercare una scappatoia al turbinio di pensieri che gli impedivano di addormentarsi. Evitare Jace, Clary e tutti gli Shadowhunters in qualche modo coinvolti con lui si era dimostrato sorprendentemente fattibile, forse complice l’ora molto tarda. Aveva giusto fatto una breve visita ad Izzy, assicurandosi che stesse dormendo. Sembrava stare un po’ meglio, ma era comunque preoccupata per lei. Le aveva dato una carezza e un bacio sulla fronte, poi se ne era tornato nella sua stanza, incredibilmente spoglia in confronto a quella della sorella.

Alla fine, Alec posò lo sguardo su diversi fascicoli, ma li ignorò; vide poi carta e penna abbandonati in un angolo. Non ricordava nemmeno quando fosse stata l’ultima volta che aveva impiegato quel materiale per scrivere a qualcuno. Forse ad Aline.

Alec era uno Shadowhunter, ma era pur sempre un ragazzo all’epoca dell’era digitale e, come tale, possedeva uno smartphone. Quasi tutte le comunicazioni le otteneva e riceveva tramite chiamata o messaggio; al massimo, nei casi di maggiore riservatezza, inviava un messaggio di fuoco.

In quel preciso istante, prese posto sulla sedia, inforcò tra le mani la stilografica e iniziò ad aggredire un foglio con tutta la quiete repressa fino a quel momento.

Scrisse, Alec; scrisse tutto quello che gli passava per la testa.

Scrisse una lettera redatta di getto all’unica persona a cui avrebbe mai potuto pensare nel compiere un simile gesto in quel momento: Magnus.

Scrisse senza preoccuparsi di niente, se non dei propri sentimenti, impressi nero su bianco come rune sulla sua pelle di luna.

Mentre elaborava i pensieri sotto forma di grafemi, Alec si perse per un po’.

“Caro Magnus,

penserai che io sia uno stupido per scriverti una lettera quando avrei potuto chiamarti o mandarti un messaggio, ma la verità è che non ho il coraggio di farlo.

Telefonarti significherebbe affrontare la possibilità di sentire la tua voce, e io non sono pronto. Iniziare una conversazione scritta equivarrebbe alla probabilità di leggere una tua risposta scocciata o irritata, e anche in questo caso non me la sento.

Scrivendo non posso ascoltare il suono suadente della tua voce e nemmeno leggere il sarcasmo delle tue battute. In questo modo, non c’è nessun intoppo e posso dirti tutto quello che provo, o almeno tento.

Provo a capire cosa tu intendessi dire col fatto che devo imparare a conoscermi.

Provo a capire perché non sia stato in grado di smentire che io non amo Jace, non nel modo in cui, probabilmente, lo intendi tu. Non nel modo in cui potrei amare te.

Provo a capire perché io sia riuscito a far scappare l’unica persona che sia sempre stata gentile e comprensiva con me, senza essere in dovere di farlo per un ordine imposto o consanguineità.

Non voglio però sapere cosa volessero dire quelle parole pronunciate in una lingua che non conosco. Era la tua lingua madre?

Non mi hai mai parlato del tuo passato, tutto quello che ho visto è stato un tuo vecchio amore che cercava di reclamarti nel suo presente.

Mi sono illuso che, forse, tu potessi preferire me.

Non so da cosa potesse nascere una sicurezza di questo genere, ma forse la verità è che sono sempre stato bravo a darmi false speranze: uno come te non sta con uno come me, piuttosto con una come Camille, bella ed eterea come un marmo scolpito nella pietra.
 
Ora lei non è più qui, ma chissà quanti altri uomini e donne troverai, pronti a buttarsi ai tuoi piedi e soddisfare ogni tua richiesta.

Sai, ho conosciuto un ragazzo, questa sera. Un Nephilim del mio Istituto, per l’esattezza, e mi ha detto che siamo stati un esempio per molti col nostro bacio al mio mancato matrimonio.
 
Mi piace pensare che sia stato così, ma so che in quel “molti” manca la persona che più avrebbe dovuto crederci: io.

Ho rovinato tutto, e mi dispiace.

Mi dispiace se non ti ho dato abbastanza.

Mi dispiace se non sono stato capace di scegliere.

Mi dispiace se non mi sono esposto come avresti voluto.

Mi dispiace se non mi sono esposto come avrei dovuto.

Mi dispiace se ti ho sfruttato per le missioni.

Mi dispiace se non ti ho rivelato quanto mi dispiacesse per tutte queste cose.

Mi dispiace perché non sai quanto io creda in quello che ti sto dicendo e il dolore fisico che mi provoca anche solo muovere la penna sulla carta.

Mi dispiace perché, naturalmente, tu questa lettera non la riceverai mai.

Resterà qui, con me, e insieme a me invecchierà e morirà. La rileggerò, forse, solo per provare qualcosa, qualcosa che mi riporti a te.

Una carezza, un pugno, un bacio. Qualunque cosa che mi colleghi a te, Magnus.

Tuo,

Alec”

Quando ebbe finito, Alec raccolse la carta profanata e si abbandonò sul letto, coperto solo da un asciugamano legato al grembo. Si girò, stendendosi prono, e la rilesse. Il viso gli si rigò di leggere stille salate, le quali andarono a colpire anche la pagina; quando finalmente terminò con la lettura, piegò in quattro l’elaborato prodotto e lo nascose in un cassetto del comodino, sotto una sciarpa verde chiaro indossata rare volte, regalatagli da Izzy; gli diceva che gli risaltava il colore dei suoi occhi.

Quel cassetto sembrava un po’ l’angolo delle cose dimenticate, e ad Alec il paragone parve adeguato, perché così come probabilmente non avrebbe mai rimesso quell’accessorio troppo vistoso e troppo colorato per i suoi gusti (e il suo umore), allo stesso modo Magnus non sarebbe mai venuto a conoscenza di quella lettera.

Era innegabile che scriverla lo avesse un po’ alleviato del dolore al petto che provava da quando era scappato dal balcone del suo loft, ma non era scomparso, anzi, era sempre lì, accovacciato e pronto a ripresentarsi.

Ad Alec andava bene, se questo significava sentire qualcosa.

Sentire lui: il suo - non più suo - Magnus.

TBC…

NdA

Salve Lettori,
ecco il secondo capitolo di questa What if? dal sapore malinconico. Dopo l’esplicazione del fattaccio, possiamo entrare nella trama vera e propria (a partire dal prossimo aggiornamento). Spero di poter continuare a farlo di sabato, vita vera permettendo. 
Comunque, a proposito di questo capitolo, ecco il personaggio di cui avevo accennato l’insediamento nelle scorse note: Underhill-senza-nome. Voi lo avete apprezzato nella serie? Lo avete minacciato di non toccare Alec dallo schermo del vostro PC? E di questo Underhill, che ve ne pare?
Ah, per quanto riguarda l’angst delle lettere, vi avviso già che saranno una caratterizzazione di ogni (?) capitolo scritto dal punto di vista di Alec, perché io amo scrivere lettere e lo faccio tutt’ora con la mia amica di penna. Sì, sono un’anima vintage.
Spero che questa idea vi piaccia e che non odierete troppo ‘sto povero Cristo, in fondo non lo conosciamo nemmeno a fondo... magari ne scoprirete qualcosa di più? E Magnus, cosa starà facendo? Dove sarà? Starà pensando al suo Alexander? Chissà… *sorride sadicamente*
Detto questo, come sempre, vi invito a rendermi partecipe delle vostre impressioni sulla storia attraverso le recensioni, positive o negative che siano, insieme a suggerimenti, idee ed ipotesi sui successivi racconti. Mi farebbe davvero piacere. E grazie a chi ha messo la mia storia nelle seguite, lo apprezzo moltissimo.
Grazie, grazie, grazie.
Spero davvero di soddisfare le vostre aspettative!

Un abbraccio alla Izzy a tutti,

Amelia
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: amelia_in_the_shadows