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Autore: Alicat_Barbix    11/11/2018    3 recensioni
Trama:
John, forse il migliore agente a servizio dell'MI6, viene inviato sotto copertura ad indagare in uno dei più eminenti Night Club di Londra, per stanare la mente criminale più pericolosa che il mondo abbia mai conosciuto. A questa missione John è pronto, sa che non può fallire, che nelle sue mani vi è il destino di Londra e non solo. O almeno, crede di essere pronto, ma un bizzarro incontro con uno dei dipendenti del locale ha il potere di ribaltare le carte in tavola.
Sherlock, decisamente il miglior prostituto all'interno del Morningstar, vive felicemente la sua vita densa di sesso, avventure e disinibizione. Sherlock ama il suo lavoro, lo trova divertente e sa di essere il migliore e che niente potrebbe mai cambiare la sua vita da condannato all'Inferno che però tanto adora. O almeno, crede che niente possa cambiare la sua vita "perfetta", ma un bizzarro incontro con un ex medico militare così facile eppure difficile da leggere con le sue deduzioni ha il potere di stravolgere la sua intera esistenza.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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BEYOND EVERYTHING
 
by Alicat_Barbix
 
 
A Cinderella Story
 
John Watson era una delle migliori spie dell’MI6. Era veloce, agile, preciso nello sparare, disperato. E quest’ultima era certo una di quelle qualità che non potevano mancare in un agente del suo calibro. Di ritorno dalla guerra in Afghanistan, era convinto di aver perso tutto, di non avere un futuro, poi un suo compagno d’armi, congedato assieme a lui, gli aveva rivelato di essere stato coinvolto in un reclutamento per le file degli agenti dell’MI6 e così anche John si era buttato. In pochi mesi, aveva portato a compimento un numero così impressionante di missioni e casi che gli era stato retribuito tre volte tanto il salario dell’esercito, più ovviamente la soddisfazione personale e l’orgoglio da parte dei suoi superiori.
John Watson era dunque, indubbiamente, una delle migliori spie dell’MI6, ma certo mai, mai si sarebbe aspettato una convocazione proveniente dal Governo inglese in persona, Mycroft Holmes, il capo supremo dell’organizzazione. Il Diogenes Club, il luogo che un’elegante segretaria gli aveva comunicato come la locazione dell’appuntamento, era avvolto da un perentorio silenzio imposto da un altrettanto perentoria scritta in bronzo: please, keep quiet. Sulle eleganti poltrone di pelle nera, sedevano alcuni uomini dall’aspetto distinto, intenti a giocare a scacchi o a leggere solitariamente il giornale. John si guardò intorno incuriosito, aspettando che qualcuno si degnasse di spiegargli la sua presenza lì o che, almeno, lo portasse da Mycroft Holmes. Ma poiché nulla di quello che si era augurato accadde, si avvicinò, infine, ad un signore di una certa età, stempiato, e con un paio di occhialetti tondi inforcati sul naso.
“Mi scusi, cercavo Mycroft Holmes.”
L’espressione dell’uomo si dipinse da stupita a inorridita, lasciando John perplesso.
“Sa per caso se si trova qui?”
Qualcuno si girò nella sua direzione, lanciandogli sguardi sbiechi e accusatori, mentre il tipo che aveva davanti diventava sempre più sbigottito da quell’ometto dalla postura eretta e solida che gli poneva domande secche e concise.
“Non mi sente?” domandò allora alzando la voce e osservandolo con la fronte aggrottata, come quando cercava di incutere un blando timore in coloro che interrogava. “Okay, bene. Nessuno?” esclamò poi rivolgendosi agli astanti. “Nessuno ha la più pallida idea di dove sia Mycroft Holmes? Ho un appuntamento. Sono forse invisibile? Potete vedermi?” Da una porta laterale, sbucarono improvvisamente due uomini ammantati di nero con le scarpe avvolte da due sacchetti. “Oh, grazie signori. Mycroft Holmes mi ha chiesto di incontrarlo…” Ma prima che riuscisse ad esprimersi meglio, uno dei due gli premette la mano sulla bocca, impedendogli di parlare, mentre assieme all’altro lo sollevava di peso e lo trascinava via. E John avrebbe anche potuto ribellarsi a quella morsa, ma decise di attendere e vedere dove l’avrebbero condotto.
Lo lasciarono di fronte ad una porta in mogano, elegante e contornata da fregi del colore dell’oro. Ogni cosa, in quell’edificio, era rivestito di una tale eleganza e da un’ostentazione del classico che John era ammirato perfino dall’aria che respirava, quasi.
Dopo che ebbe bussato, una voce ferma gli concesse il permesso di entrare. La stanza in cui si ritrovò non era troppo diversa da quella da cui veniva: era, ovviamente, elegante, raffinata, con un paio di librerie al muro e il pavimento ricoperto da una moquette grigia. L’uomo che lo attendeva, volto di spalle, intento a versare dello scotch in due bicchieri di cristallo, non era da meno: slanciato, con un completo chiaro, i capelli ben tirati indietro, scarpe lucide, ma per quel che riguardava il volto, non riusciva a scorgerlo.
“Tradizioni, John. Sono le tradizioni che ci definiscono.” spiegò improvvisamente l’uomo mentre prendeva i due bicchieri in mano e si voltava, rivelandosi in tutta la sua aura austera. Non era un bell’uomo, constatò John, ma di certo aveva un fascino particolare, un qualcosa di magnetico che attirava irrimediabilmente gli sguardi e portava ad ammirarlo. “Il silenzio, per gente come me e te, è indispensabile per portare a termine un lavoro, non trovi? Il Diogenes Club è la perfetta metafora della vita di una spia, del lavoro di un agente dell’MI6.”
“Il totale silenzio sarebbe una tradizione? Non si può neanche chiedere passami lo zucchero?”
“Funzionari diplomatici e portavoce del Governo condividono il carrello del the. E’ meglio per tutti, credimi. Non vogliamo che si ripeta il 1972.” L’uomo raggirò la scrivania, avvicinandosi a John e allungandogli un bicchiere che quest’ultimo rifiutò con fredda cortesia.
“Mycroft Holmes, suppongo.”
“John Watson, sono certo.”
Si guardarono per qualche istante, studiandosi attentamente. John non era qualcuno facile da impressionare o, tanto meno, da suggestionare, ma quell’uomo che gli si erigeva davanti era quanto di più intimidatorio avesse mai visto. Il potere racchiuso nelle sue mani era percepibile, quasi palpabile, e i suoi occhi tradivano una luce divertita, maliziosa. Improvvisamente, John si sentì quasi insicuro in quella stanza, sotto quello sguardo felino e attento, in balia del volere del capo dell’MI6.
“Si sieda, John, la prego.”
“Non voglio sedermi.” ribatté d’istinto, scrutando dubbioso il volto dell’altro.
“Devo parlarle di una missione, forse della più delicata che mi si sia mai presentata sulla scrivania. Non vorrà certo ascoltare in piedi, non è così?”
Sospirò e si accomodò sulla poltrona di fronte a quella su cui prese posto Mycroft Holmes. “Allora, di che si tratta?”
“Subito al dunque, vedo. Bene, mi piacciono le persone pragmatiche.” E mentre parlava, l’uomo gli porse un fascicolo che lui non esitò un istante ad aprire e a consultare. “C’è un’organizzazione che si muove indisturbata per Londra ormai da molto tempo. Si occupano di droga, omicidi commissionati, prostituzione, e riteniamo che siano anche in contatto con numerose cellule terroristiche.”
“Gente tranquilla, insomma.”
“Molto tranquilla. Anche troppo. Sono discreti e astuti, prevedono le nostre mosse in anticipo e adottano sempre delle contromisure. Stiamo giocando con loro, ormai da anni, una partita a scacchi.”
“Anni? E come mai saltano fuori solo ora?”
“Si prevede un attacco, John. Un grande attacco. Non sappiamo da parte di chi né se ci sia una ragione ad esso collegata, ma i nostri informatori hanno intercettato pochi brandelli di una conversazione fra il capo dell’organizzazione e una cellula terroristica siriana. Non ne siamo certi, ma presto, molto presto, potrebbe scatenarsi un’apocalisse, John.”
John inarcò un sopracciglio mentre continuava a sfogliare il fascicolo. “Ci sono sempre stati pericoli in agguato – tra cui attentati terroristici. Non capisco da dove provenga tutto questo timore.”
“Non si tratta solo di terrorismo, John. Si menzionavano armi, in ingente quantità, e aerei e… guerre. Potremmo essere di fronte ad una guerra, John. E se dovesse scatenarsi, verremmo spazzati via come aghi di paglia.”
“Dovremmo avvertire i Governi alleati.”
“Ho già provveduto, sono sull’attenti anche loro, ma oggi come oggi non possiamo essere sicuri nemmeno dei nostri alleati. L’unica mossa decisiva è estirpare la radice del problema.”
“Vuole che elimini l’organizzazione?”
“No, John. Un uomo solo, per quanto abile, non ce la farebbe mai. Voglio che lei trovi colui che sta dietro a tutto questo e che lo conduca da me vivo.”
John si concesse un sorriso. “Crede davvero che parlerà?”
“Lei me lo porti vivo, poi sarà mia responsabilità cavargli di bocca le informazioni.”
Annuì ripetutamente, osservando le ultime pagine del fascicolo. “Un bordello? Devo cercare in un bordello?”
Mycroft sorrise divertito a quella reazione. “Molti altri miei agenti non si sarebbero certo lamentati. E’ uno dei pochi luoghi in cui lavoro e divertimento possono convivere.” In un unico sorso, vuotò il bicchiere di Scotch e lo appoggiò sul tavolino accanto alla poltrona. “Ad ogni modo, ci risulta che il capo dell’organizzazione abbia una particolare predilezione per questo bordello.”
“E’ di sua gestione.”
“Già… Non sarà facile beccarlo. Ma sono certo che qualcuno che lavora lì potrebbe… risultare piuttosto loquace in determinate circostanze.”
“Dovrei andare a letto con le prostitute per estorcere loro qualche informazione?” domandò John sgranando appena gli occhi.
“Non sono così sprovvedute, né loro né nessun altro che metta piede là dentro. Comunque, si procuri quelle informazioni, John, in un modo o nell’altro e mi porti la persona che c’è dietro a tutto questo.”
John sospirò profondamente, richiudendo il fascicolo e porgendolo nuovamente a Mycroft che però gli suggerì di tenerlo per assimilare meglio le informazioni al suo interno che lo avrebbero facilitato nella missione.
“Se non c’è altro, dunque, io andrei.” sentenziò lisciandosi le pieghe dei jeans troppo larghi sulle cosce ormai esili e scattanti.
“Bene, allora. E’ stato un vero piacere, John. Mi aspetto sue notizie il prima possibile.”
Si strinsero formalmente la mano, infine John si voltò e tornò sui suoi passi, stavolta ben attento a non proferire parola per non attirarsi nuovamente l’ira delle tradizioni.
 
Si sistemò ancora un po’ i capelli, indeciso se tirati in alto lo facessero apparire più attraente. Dubitava che avrebbe davvero messo in atto il piano che Mycroft gli aveva suggerito, ma era meglio essere preparati a tutto. Quella sera avrebbe semplicemente compiuto un giro di perlustrazione per il locale, cercando di non destare troppi sospetti, e avrebbe cominciato a selezionare quelli con cui parlare per avere le informazioni che gli servivano.
Lanciò un’occhiata al suo riflesso nello specchio e dovette ammettere che non gli dispiaceva troppo. Il suo fisico era asciutto e prestante, i mesi in Afghanistan lo avevano temprato, l’addestramento per l’MI6 lo aveva reso più robusto e forte, e un pizzico di fascino personale non guastava mai. Afferrò il cardigan scuro, se lo gettò sopra la linda camicia bianca e uscì dalla sua proprietà nei pressi di Hyde Park, una villetta moderna che si era comprato con i lauti compensi che il Governo gli aveva gentilmente offerto dopo la conclusione delle sue varie missioni. Era stato un bel salto di qualità dalla squallida pensioncina militare a quella meraviglia per gli occhi.
S’infilò nel primo taxi disponibile e comunicò la sua destinazione – non senza attirarsi un’occhiata in tralice da parte dell’autista. Ci mancavano solo i tassisti moralisti. Quando arrivò a destinazione, balzò giù frettolosamente, sbattendo contro una ragazza con addosso solo un tanga e un cartellone con la scritta del locale con la quale si scusò subito, ricevendo in cambio un volantino. Quando si fu allontanata, pagò il tassista e si preparò alla missione.
Il Morningstar si presentava agli occhi della gente comune come un night club qualunque, con luci a neon e tanta musica. John rimase qualche istante a studiarlo, chiedendosi che cosa avrebbe mai trovato al suo interno. Infine, deglutì sonoramente un paio di volte ed entrò. Un salone enorme, cosparso di poltroncine dai cuscini variopinti e bassi tavolini ricchi di posacenere in cristallo, lo accolse nel suo abbraccio che odorava di tabacco e di canne. Una donna dal seno prosperoso gli si avvicinò per prendergli la giacca e posarla in camerino ma lui la allontanò con un garbato gesto della mano, dicendo che stava bene così. In quella stanza, per quanto ampia, non vi erano che poche persone intente a fumare, a chiacchierare o ad iniettarsi in vena qualche dose di eroina o chissà che altra porcheria. La musica da discoteca, giungeva ovattata, lontana, e John la seguì, immaginando che si trovasse lì il fulcro del locale, il luogo dove avrebbe potuto carpire il maggior numero di informazioni.
“Quest’area è riservata ai soci.” lo bloccò uno dei due energumeni parati di fronte all’ingresso della parte del locale da cui proveniva la musica.
“Capisco. Beh, di cosa c’è bisogno? Una card, un lasciapassare, cosa?”
“Gira i tacchi e vattene, amico. Non è posto per tipi come te.”
“Non me ne vado prima di essere entrato là dentro ed essermela spassata.”
“Ho detto” rimarcò uno dei due avvicinandoglisi minacciosamente. “gira i tacchi e vattene, o non finisce bene.”
John sostenne lo sguardo, per nulla impaurito. Sarebbe stato capace di atterrarlo in un paio di secondi al massimo e spezzargli tutte le ossa chiamandole per nome, ma nonostante ciò si trattenne dallo scatenare una rissa che non lo avrebbe condotto da nessuna parte. “Se solo mi lasciaste-”
“Sei sordo o cosa!? Fuori!”
Vide partire il pugno con un anticipo tale da consentirgli di schivarlo senza alcun problema retrocedendo di due passi. Il buttafuori lo fissò come un toro avrebbe fissato un drappo rosso, con rabbia, umiliazione, insoddisfazione. Probabilmente, pensò John, avrebbe dovuto lasciarsi colpire per non destare troppi sospetti sulla sua abilità nel combattere, ma non aveva alcuna intenzione di farsi picchiare da quell’idiota palestrato che non aveva la più pallida idea di come si lottava.
“Signori, signori, per favore! Basta con questa violenza!” intervenne una voce femminile da dentro il locale e dopo pochi secondi, il secondo buttafuori si scansò, lasciando intravedere la figura longilinea e altera di una bellissima donna dai capelli castano scuro e due occhi gelidi.
“Miss Adler…” farfugliò allora quello che aveva sferrato il cazzotto osservandola come se fosse apparsa la madonna.
“Per favore, sapete che odio le contese a meno che non si svolgano tra le lenzuola. Qual è il problema?”
“Quest’uomo pretende di entrare liberamente nonostante non sia un socio. Io gli ho detto molte volte di andarsene, ma visto che con le buone non lo capiva-”
“Ti sei ridicolizzato mancandomi in pieno col tuo pugno.” intervenne John incrociando le braccia e cercando di mostrarsi il più sicuro e sprezzante possibile. Forse, si disse, c’era una carta vincente da giocare ed era proprio il suo potere sul gentil sesso. La donna, infatti, da quando aveva fatto la sua comparsa gli lanciava occhiate interessate, quasi fameliche, come se non aspettasse altro che sfidarlo ad un qualche giochetto erotico.
“Brutto figlio di-”
“Robinson!” tuonò lei, acquietando sul nascere l’ira del buttafuori. “Ho detto niente violenza, se non quella finalizzata al reciproco piacere. Non toccherai il signore qui presente a meno che tu non voglia portartelo a letto e possederlo irruentemente. E’ quello che vuoi fare?”
“Dio, no, che schifo!”
“Anche perché non penso sarebbe lui a dominare me.” aggiunse John lanciando uno sguardo di sfida all’altro interessato che per tutta risposta si fece scrocchiare le dita.
La donna scoppiò a ridere e gli si avvicinò con fare lascivo, facendogli scivolare una mano sulla schiena, vicino ai glutei. “Il signore è con me. Parlerò io col capo e farò in modo che abbia a disposizione tutti gli accessi che desidera. Grazie per la tua efficienza, Robinson.”
Venne trascinato all’interno della sala da ballo senza che neanche se ne rendesse conto, la mano della donna che si muoveva indisturbata sulla sua schiena mentre lo guidava attraverso la calca serrata delle persone che ballavano. Su alcuni palchetti circolari, ballerine e ballerini si esibivano in una sinuosa e provocante lap dance.
“Hai voglia di ballare?” urlò lei cercando di sovrastare la musica.
“Non al momento.” rispose John alzando a sua volta la voce, così la donna lo condusse in un’altra stanza, più silenziosa, con divanetti su cui gli avventori si lasciavano accarezzare e massaggiare dalle mani esperte di prostitute dalla bellezza scioccante.
La sua accompagnatrice lo fece accomodare su un divanetto che era rimasto libero e si allontanò per prendergli da bere al bar del locale, dall’altra parte della pista da ballo. Una volta solo, John osservò l’ambiente con occhio clinico, studiando i volti dei clienti e quelli delle prostitute, cercando di ricollegare quelle facce con le fotografie che aveva trovato nei fascicoli. Riconobbe una o due ragazze, mentre invece gli uomini presenti non comparivano fra i più assidui frequentatori, anche se probabilmente la cosa sarebbe presto cambiata a giudicare dai loro sguardi beati.
“Sei solo?”
Una voce maschile lo fece sobbalzare e solo in quel momento si rese conto che un uomo non troppo più giovane di lui gli si era seduto affianco e gli aveva porto un cocktail. John rimase senza parole di fronte a quell’apparizione inaspettata: il misterioso individuo indossava un corto gilet di pelle che si apriva senza altre difese sul nudo petto prestante, e un paio di pantaloni neri, anch’essi di pelle a fasciargli le gambe magre e prestanti.
“No, veramente sto aspettando-”
“Che ne dici di fare aspettare chiunque tu stia aspettando e di assentarti per cinque minuti con me?”
John si specchiò in quegli occhi chiari e luminosi e provò immediatamente un senso di imbarazzo, di disagio. “Io… Non credo sia una buona idea.”
“Sono perfettamente d’accordo.” assentì l’altro scivolando più vicino a lui, così che le loro gambe si toccassero. “Però, devi ammettere” continuò scostandogli il colletto della camicia con l’indice “che le follie sono sempre le esperienze più… memorabili.”
“Non ci provare neanche.” intervenne la voce imperiosa della donna che lo aveva accompagnato lì, arrivando con andatura ancheggiante, ma inviperita. “Trovatene un altro, Victor, questo è mio.”
L’individuo di nome Victor sbuffò, mentre si allontanava da John. “Non è giusto, Irene. Perché devi accalappiare sempre le prede migliori?”
“Perché sono una cacciatrice esperta, tesoro. Ora vai e cercati qualcun altro.”
“Non sono invitato neanche per una cosa a tre?”
“Non mi piace appropriarmi di qualcosa per poi doverlo cedere. In futuro, forse, si vedrà…”
Victor si passò una mano tra i ricci biondi e rifilò un’occhiata divertita a John che ricambiò con sguardo confuso. “Spero di rivederti presto.” sussurrò quello con voce calda prima di voltarsi e sparire nella sala da ballo.
John rimase senza parole a guardare il punto dove, fino a poco prima, si ergeva la figura di quell’uomo che l’aveva avvicinato così spudoratamente. Ma in fondo, pensò, era naturale che la gente del posto fosse così. Per quanto cercava tra i ricordi che contenevano i volti e i nominativi dei… dipendenti del Morningstar, era certo di non aver mai visto il volto di quel tipo fra quelle pagine. Avrebbe dovuto sollecitare Mycroft ad aggiornare quelle carte.
“E pensare che non è neanche il più diretto.” osservò la donna togliendogli dalle mani il cocktail che gli aveva offerto Victor per sostituirlo con un Angelo azzurro dall’aspetto promettente.
“Sul serio?”
“Assolutamente. Non pensavo bastasse così poco per mandarti in tilt.”
“Io… non sono andato in tilt!” ribatté portandosi il cocktail alle labbra.
“No, certo che no. Spera solo di non incontrare l’Angelo.”
John le puntò addosso uno sguardo incuriosito. “L’Angelo?”
Lei annuì, continuando a sorseggiare il suo drink. “E’ così che lo chiamiamo, noi del locale. L’Angelo caduto. A vederlo somiglierebbe in tutto e per tutto ad un Angelo, ma in realtà, in profondità, cela il diavolo in persona. Persino tutti noi ci siamo cascati, con lui.”
“Si prostituisce?”
“Oh sì, ed è anche molto bravo, te lo dico per esperienza. Peccato che prediliga gli uomini e quindi i suoi servizi verso il genere femminile siano volutamente molto limitati. Ma del resto, non posso biasimarlo: anche per me è così.”
John si lasciò sfuggire un sorrisetto. Ottimo, stava raccogliendo informazioni ed era il momento buono per carpire qualche dettaglio in più. “Allora, parlerai col vostro capo per lasciarmi passare senza che debba riempire il tuo ammiratore di pugni?”
La donna rise. “Robinson, fuori da quel completo scuro, ci sa fare, devo ammetterlo, e quando ha la serata libera dalle sue mansioni non si fa scrupolo a richiedere i miei servizi. Il suo problema è che ora è fissato con me, crede che io gli appartenga ed è sempre più geloso.”
“Dopo la scenata che gli hai fatto prima, probabilmente mi seguirà e mi pianterà una pallottola in testa.” borbottò vuotando il drink.
“Probabile.” ridacchiò lei poggiando a sua volta il bicchiere vuoto sul tavolino di fronte al divanetto. “Non credo di aver ben capito il tuo nome.”
“Non l’ho detto.”
“Illuminami, dunque.”
“Andy Rose.” rispose John ricordando i documenti con la sua nuova identità che Mycroft gli aveva procurato.
“Irene Adler.” si presentò a sua volta la donna, nonostante il suo nome fosse ormai stato pronunciato diverse volte da coloro che avevano incontrato. Invece che stringergli la mano, però, Irene si sporse in avanti, le labbra a un soffio dall’orecchio dell’agente. “Che ne dici di proseguire le presentazioni al piano di sopra, nella mia suite?”
John si morse istintivamente un labbro, colto in fallo. Stava andando tutto alla perfezione, finalmente, era certo di poter estrapolare qualcos’altro dalla conversazione, e invece ora quella donna gli proponeva di salire con lei per fare sesso. Quei dipendenti così spregiudicati, senza catene morali a limitarli, sarebbero stati estremamente difficili da raggirare a suo piacimento.
“Mi piacerebbe, ma non credo sia la serata adatta.”
“E perché?” domandò Irene accarezzandogli il ginocchio. “Sono certa che potrebbe esserlo, con me accanto o sotto...” Con un movimento lento, la sua mano cominciò a risalire fin sulla coscia, sempre più. “… o sopra…” Le dita di John si serrarono repentinamente attorno al suo polso, interrompendola ad un soffio dal suo interno coscia.
“Mi dispiace, ma per stasera ho solo bisogno di qualcosa di forte da bere e di un po’ di musica a palla.”
L’espressione di lei si dipinse di delusione mentre si allontanava con un sospiro profondo. “Come vuoi. Vado a cercare qualcun altro che possa, anche solo lontanamente, somigliarti.” Si alzò, ma prima di andarsene, si voltò nuovamente verso di lui, chinandosi alla sua altezza. “Mi piaci, Andy Rose.” E detto questo gli stampò un bacio casto sulle labbra, prima di defilarsi come aveva fatto il suo collega poco fa.
John si passò una mano in volto, ancora frastornato da tutti quegli eventi. Aveva bisogno di qualcosa di più forte di un angelo azzurro. Ritornò nella pista da ballo, dove ora i più stavano urlando alla vista delle ballerine che si sfilavano sensualmente i reggiseni, ma lui non si fermò neanche un istante ad allungare gli occhi sul corpo di quelle giovani ragazze. Gli faceva schifo, tutto quello. Gli facevo schifo il posto e gli faceva schifo quello che lo aveva messo in piedi, anche se ancora non lo conosceva. Tutta quella disinibizione, quell’umiliarsi pubblicamente… non riusciva ad accettarlo. Avrebbe scovato chiunque c’era dietro a tutto quel porcile e avrebbe assistito alla sua tortura con un sorriso sulle labbra, solo per aver creato quell’inferno in terra.
Si sedette al bancone e ordinò stancamente due margarite. Guardò l’orologio da polso: mezzanotte e due. Era lì solo da mezz’ora. Non aveva idea di quanto tempo ancora avrebbe resistito, ma dubitava che per quella sera avrebbe scoperto molto altro parlando con i dipendenti. Magari avrebbe potuto fermare qualche avventore… Probabilmente non sapevano nulla neanche loro. Sospirò e ingoiò un generoso sorso del drink che gli era stato appena messo davanti, il liquido gli scese bruciante in gola e dovette stringere gli occhi per non lasciarsi sfuggire una smorfia. Non se lo ricordava così forte.
“Vedo che qualcuno è frustrato.” osservò una voce accanto a lui.
John si voltò verso il suo interlocutore che aveva da poco preso posto sullo sgabello accanto al suo. “Non può immaginare quanto.”
“Le suggerisco di trovarsi qualcuno con cui passare un’oretta o due. I problemi sembrano svanire con una buona dose di sesso.”
“Non ho bisogno di fare sesso, ho bisogno di… non lo so neanche io di cosa ho bisogno, ma di sicuro non ho bisogno di pagare una ragazzina, magari una minorenne, per soddisfare i miei desideri come se fosse uno di quegli oggetti alternativi alla masturbazione!” sputò tutto insieme, in una valanga di parole, mentre vuotava il primo bicchiere di margarita e si avvicinava il secondo.
“Okay, amico, vedo che lei è davvero frustrato.”
“Ma dai? Lei sì che è un ottimo osservatore.”
“Non sa quanto.” concordò con tono serio l’altro ordinando a sua volta una margarita mentre John vuotava la sua e ne chiedeva un’altra. Sapeva che era sbagliato. Sapeva che doveva restare lucido e occuparsi della missione, ma qualcosa, in tutto quello, lo stava distruggendo e non era sicuro se fosse la calca urlante, le ballerine che si spogliavano di fronte a sconosciuti che le fotografavano, le prostitute che alleviavano momentaneamente i problemi dei loro clienti… Era tutto troppo.
“Dovrebbe andarci piano con quei drink. I nostri sono i più alcolici di Londra.”
“Non ho quattordici anni, lei non è mia madre e io reggo bene l’alcol.” ribatté subitamente prima di bere l’alcolico.
L’uomo accanto a lui ridacchiò appena, il tono grave. “Sulle prime due non ho da ridire, ma sulla terza… potrei avanzare qualche opposizione.”
“La smette di prendersi gioco di me? Non ha niente di meglio da fare come… ballare, fumare, scopare o che so io?”
L’altro non sembrò curarsi di quelle parole e continuò disinibito a guardarlo con un sorrisetto diabolico sulle labbra. “Al momento mi sto godendo uno spettacolo davvero esilarante che non mi perderei per nulla al mondo. Vuole una sigaretta?”
“Non la voglio la sua sigaretta! Voglio…” Un malore improvviso lo scosse da capo a piedi e percepì l’impellente urgenza di alzarsi e andarsene, ma quando ci provò, ogni cosa cominciò a roteare senza sosta, così tanto che non capì più se fosse lui a girare o il resto del mondo. Avvertì una presa salda ai fianchi e un buon odore di acqua di colonia. Provò a mugugnare qualcosa o a riaprire gli occhi che aveva serrato per non vedere quell’universo distorto che gli dava la nausea, ma la minaccia di un conato di vomito lo trattenne, mentre un paio di braccia forti lo trasportavano da qualche parte.
“Ecco, da bravo, si inginocchi qui e ingoi questa senza storie.”
Si ritrovò in gola… qualunque cosa quello sconosciuto gli avesse rifilato senza che ebbe anche solo il tempo di rifiutare. Non seppe dopo quanto tempo la nausea lo colse di sorpresa e lui si appoggiò, con l’aiuto di quelle braccia indistinte, al water, vomitando. Sentiva caldo e tante goccioline di sudore gli imperlavano la fronte e gli impiastravano i capelli. Una mano gli accarezzava il volto gentilmente, asciugandoglielo, mentre un'altra gli sosteneva il capo mentre veniva scosso dai conati. Quando il suo stomaco tacque, si ritrovò seduto per terra, appoggiato ad una parete bianca, con gli occhi chiusi e il respiro flebile.
“Che cos’era… quella cosa?”
“Uno stimolante per rigettare. E’ un toccasana per eliminare la sbornia.”
Si limitò ad annuire un paio di volte, mentre il rumore dello sciacquone gli risuonava nelle orecchie. “Credo di… di aver bisogno…”
“Di aria, certo.” completò la voce dello sconosciuto, mentre le sue braccia lo sollevavano gentilmente da terra e lo conducevano, nuovamente, dove meglio credevano. John mantenne le palpebre chiuse, timoroso che come le avesse aperte sarebbe stato colto da altri conati. Salì dei gradini sorretto da quella figura che non aveva ancora messo bene a fuoco, tanto era il buio che regnava nella zona bar al lato della pista, e tanta era la confusione che lo aveva animato nei pochi momenti in cui era riuscito a scorgere qualche frammento di quella immagine prima di rimettere. Percorsero quello che, data la lunghezza e il silenzio, doveva essere un corridoio. Dal piano di sotto, giungeva smorzata la musica della discoteca.
“Okay, ora si regga a me che apro la porta…”
Sentì una chiave infilarsi in una toppa e il conseguente scatto della serratura. L’uomo lo condusse nella stanza misteriosa e appena entrato, una fresca brezza gli sbuffò addosso, incoraggiandolo ad aprire gli occhi. Non fece caso all’ambiente intorno, ma solo al balcone che si apriva dietro un’ampia porta finestra spalancata. Si diresse barcollando verso il terrazzo e, una volta fuori, appoggiato alla ringhiera, respirò quanta aria i suoi polmoni potevano sostenere, un senso di libertà gli colmò i polmoni. Alle sue spalle, udì dei movimenti a cui però, in quel momento non volle dar peso. Era troppo stanco e debilitato anche solo per voltarsi e capire che cosa stesse succedendo – probabilmente l’uomo stava riordinando la camera in vista di quell’inaspettato ospite. Improvvisamente, un pensiero gli svettò nitido in testa: chi era quell’uomo per possedere una camera propria al Morningstar?
“Allora, va meglio?” chiese una voce profonda accanto a lui che lo fece sussultare e quando si voltò, scorse la figura di un giovane uomo dal fisico asciutto rivestito da una camicia porpora, la pelle chiarissima, il volto affilato coronato da ciocche ribelli di ricci corvini, e gli occhi chiarissimi, dal colore indefinibile. Fu una visione quasi mistica, con la luce della luna e dei lampioni che illuminava quel viso così particolare e squadrato. In mano, l’uomo teneva un reggiseno di un improponibile colore rosa che John fissò sbigottito.
“Ah, no, non è mio. E’ di una mia… amica.”
“Immagino…” borbottò di rimando portando nuovamente il suo sguardo al cielo scuro della capitale. “E a questa sua amica piacciono i colori inguardabili?”
“Non tutti, solo questa tonalità di rosa. Non ricordo neanche il suo nome, per me ormai è solo la donna in rosa.”
“Assidua frequentatrice?”
“Lo sono tutti dopo la prima volta.”
Calò il silenzio e John si appoggiò più comodamente contro la balaustra. Perfetto, era finito nelle mani dell’ennesimo prostituto di quel bordello. Ci mancava solo lui.
“Allora? Sto aspettando.” esordì alla fine quando non riuscì più a sopportare quell’irreale quiete.
“Cosa?”
“Le sue avances.”
“Le mie a… Perché? Le è venuta improvvisamente voglia di fare sesso?”
John gli rivolse uno sguardo ironico. “Sarà il fascino dell’eroe che mi ha salvato.” L’uomo inarcò un sopracciglio e a quel punto si trovò a specificare: “Non ero serio, ovviamente.”
“Ovviamente.”
“Glielo chiedo perché finora chiunque io abbia incontrato mi è saltato addosso con lo scopo di portarmi a letto, e mi sembra strano che lei si limiti a starsene lì a guardarmi con… un reggiseno in mano.”
Lo sconosciuto scoppiò a ridere e lanciò il reggipetto dentro la sua stanza. “Non sono un ninfomane. E lei ha già specificato di non voler un amante per stanotte. Tra l’altro, nonostante siamo aperti da appena un’ora e mezza, sono già stremato dalle attenzioni che i miei clienti hanno richiesto. Mi prenderò una piccola pausa. Non potrei reggere un ulteriore rapporto adesso.”
“Non ho mai detto che non avrei respinto le sue avances.” gli fece notare John con un mezzo sorriso.
“Né io ho mai detto che le mie avances fossero respingibili. Nessuno mi respinge, caro il mio ex soldatino.”
John si lasciò sfuggire una risatina: ogni singolo individuo là dentro possedeva un ego più grande di… “Aspetta… Cosa? Cos’hai appena detto?”
“Oh, siamo passati al tu, adesso. Devo prenderlo come un segno per mostrarle il frutto proibito dell’Eden a cui nessuno riesce a rinunciare?”
“I-io… No, certo che no! Hai det… Ha detto: caro il mio ex soldatino.”
Gli occhi dell’altro si serrarono appena, confusi. “Quindi?”
“Come fa a sapere che sono un ex soldato?”
La paura lo raggelò. Che fossero stati informati del suo arrivo? Che gli agenti di Mycroft avessero lasciato trapelare qualcosa? Che lui stesso avesse sbagliato da qualche parte? Sentì il coltellino svizzero premergli nei mocassini e la pistola, sotto la cintura, scottare.
“Non lo sapevo, l’ho dedotto. La sua postura è rigidamente eretta, il taglio di capelli caratteristico dei soldati, è abbronzato sul viso e sulle mani ma non oltre le maniche, l’abbronzatura, però, non è recente, tiene una pistola nascosta nei pantaloni, un coltellino nella scarpa e ha rigidi principi morali che la portano a detestare questo posto. Quindi sì, da questo quadro generico deduco che lei è un ex militare, mi sbaglio?”
John lo fissò con occhi sgranati, completamente sbigottito da quella spiegazione. “Affatto, no… E’…” cercò di schiarirsi la gola. “… è tutto giusto.”
“Ne ero certo.”
“E’ stato…”
“Irritante? Sconveniente? Invadente?”
“… fantastico.” completò però l’agente.
L’uomo corrugò appena la fronte. “Sul serio?”
“Ma certo, è stato assolutamente… meraviglioso. E… come… come diavolo ha fatto a notare così tanti particolari e a metterli insieme come se fossero tasselli di un puzzle?”
L’altro scrollò le spalle. “Sono dotato di un IQ superiore alla media, i miei genitori me l’hanno sempre detto, anche se mio fratello ha sempre fatto il bullo sostenendo che fossi, della famiglia, quello più lento.”
“Eccezionale. E’ davvero un ottimo osservatore.” esclamò ancora John, citando nuovamente le parole che al bar aveva pronunciato ironicamente.
“Beh, sì. Solitamente la gente mi manda affanculo quando deduco la loro vita. Peccato che alla fine tornino sempre con la coda tra le gambe per farsi possedere un’altra volta.”
John sorvolò sulla parte sessualmente esplicita del discorso e si concentrò piuttosto sulle reazioni della gente: effettivamente, essere smascherati a quella maniera, magari anche ridicolizzati da qualcuno appena incontrato, poteva risultare umiliante e fuori luogo, probabilmente sarebbe stata la reazione più logica, ma lui non riusciva a non restare affascinato dalla semplicità con cui quell’individuo aveva spiegato qualcosa di altrettanto semplice, ma che lui non sarebbe mai riuscito a fare.
“Ignori la gente. E’ solo invidiosa.”
“Sono d’accordo. Il mondo è cosparso di idioti, è una croce che devo portare, purtroppo…”
John lo guardò con aria torva, ma decise di lasciar perdere. Era stranamente piacevole chiacchierare con quel tipo così particolare e si sarebbe anche spinto a formulare qualche domanda al fine di raccogliere informazioni, ma quell’abilità e quella sagacia lo spaventavano: temeva che potesse capire, che potesse smascherarlo e consegnarlo al loro capo… No, non poteva rischiare.
“Grazie per l’aiuto e per la piacevole chiacchierata. Ora sarà meglio che vada.” sentenziò dopo qualche istante di silenzio.
“Sul serio? Ma non siamo mica nella fiaba di Cenerentola! Può rimanere ancora un po’.”
“Cenerentola, dice? Non ho nessuna fata madrina che mi ha regalato un abito mozzafiato, sono venuto in taxi e non su di una zucca trasformata in carrozza, non ho incontrato, né tantomeno ballato con il principe dei miei sogni e la mezzanotte è passata da un pezzo. No, direi che non c’è niente di lontanamente simile a Cenerentola.” concluse con sguardo allusivo.
“Beh, l’avrei invitata a ballare se non fosse crollato come un ragazzino per qualche margarita. Il mancato ballo lo deve solo alla sua poca sopportazione all’alcol.” replicò l’altro appoggiandosi a sua volta alla ringhiera. “E poi… non trova che la serata di Cenerentola sia stata… triste? Hanno ballato, a malapena si sono scambiati un bacio, e poi pouf lei è svanita lasciando dietro di sé soltanto una scarpetta di cristallo. Se solo fosse stata meno santarellina non avrebbero sprecato tutto quel tempo a ballare come due spocchiosi di fronte alle nobili del regno verdi d’invidia. Si sarebbero dedicati ad… altre attività.” John lo osservò avvicinarsi ancora di più, arrivando quasi a violare il suo spazio vitale. “La mezzanotte è passata eppure Cenerentola è ancora qui. Non le piacerebbe andare oltre uno stupido ballo?”
I suoi sensi scampanellarono pericolosamente quando sentì la mano sfiorargli il basso schiena, con l’intento di scivolare più giù, nella stoffa dei pantaloni, ma fortunatamente non era uno sprovveduto, così gli prese la mano prima che arrivasse a destinazione e gli rivolse uno sguardo di sfida.
“Cosa credeva di fare con la mia pistola?”
“Gioco di ruolo. Io, un famigerato detective che la minaccio di stendersi sul letto e arrendersi alla giustizia. Eccitante, non trova?”
“Non credo proprio.” sospirò senza però evitarsi di sorridere di fronte a quei tentativi di abbordaggio. Solo quando si ritrovò a fissare quegli occhi misteriosi si rese conto di stringere tuttora la mano dello sconosciuto, così si affrettò a lasciargliela e a recuperare la distanza facendo un passo indietro.
“Ora è proprio ora di andare.” si limitò a sussurrare mentre si aggiustava il cardigan nero.
“Scappi, scappi! Nessuna fuga è eterna, se lo ricordi.” esclamò l’uomo seguendolo all’interno della stanza e poi, fuori, nel corridoio, diretto verso il piano di sotto.
John lanciò fugaci occhiate intorno, a quelle porte con numeri d’ottone scolpiti sopra, a quelle diramazioni che sembravano voler formare un dedalo. Si chiese se il capo di tutto quello risiedesse in una di quelle suite o se invece fosse totalmente estraneo a quel luogo e vi si presentasse occasionalmente per controllare gli affari.
“Sta cercando di ricordarsi la strada per venirmi a trovare di nuovo?” chiese la voce dell’uomo misterioso alle sue spalle. John si limitò a ridacchiare e a scuotere la testa con esasperazione. Improvvisamente, però, una morsa gli afferrò un braccio e si ritrovò voltato, con il viso a pochi centimetri da quello dell’altro.
“Che sta-”
“Sssh…” lo zittì dunque l’uomo, portandogli due dita sulle labbra. “La prossima volta che tornerà, chieda di me. Chieda dell’Angelo caduto.”
“Dunque è lei…”
“Noto con piacere che ha sentito parlare di me.”
“Ho sentito delle sue innate abilità di seduttore.”
“E allora non c’è altro che deve sapere di me.”
“Il suo nome?”
L’uomo sbatté ripetutamente le palpebre, improvvisamente colto di sorpresa. “Vuole sapere il mio nome?”
“Certo che lo voglio sapere. E’ forse… vietato dalle regole di questo posto?”
“No, no… Solo che a nessuno dei miei clienti è mai importato.”
“Io non sono un suo cliente.”
Un sorrisetto maligno affiorò sulle labbra del famigerato Angelo caduto, conferendogli quell’ossimoro che Irene aveva illustrato appena un’ora prima: un angelo fuori e un demone dentro. “Questione di tempo. Mi dica il suo, prima.”
“Andy. Andy Rose.” rispose John dopo aver represso a fatica il suo vero nome, ricordando a se stesso che era in missione sotto copertura. Un’espressione quasi disgustata si delineò sul volto dell’altro. “Che c’è?”
“Non lo so… mi aspettavo qualcosa di più… non ne ho idea. Non le dona.”
“Oh, beh, grazie tante. E potrei sapere anche il suo di nome?”
“Sherlock.”
“… Sherlock?”
“Sì, qualche problema?”
John scoppiò a ridere. “Lei insulta il mio nome quando il suo è Sherlock?”
“Non ho insultato il suo nome, ho solo detto che non le dona.”
“Purtroppo non posso dire lo stesso del suo.” sospirò lui.
Sherlock gli rivolse un’occhiata cauta. “Mi sta dicendo che le piace?”
“E’ particolare, è folle, è fuori dagli schemi… un po’ come lei.”
“Noto che ci siamo appena incontrati eppure crede di sapere molto su di me.”
John scrollò le spalle e scansò delicatamente il corpo dell’altro dal suo, riprendendo la sua avanzata verso le scale. Una volta giunto alla rampa, si voltò, sulle labbra una stupida battuta riguardo il loro incontro, ma dietro di sé solo il vuoto. Tornò sui suoi passi e si guardò intorno, ma di Sherlock nessuna traccia. Era svanito nel nulla.

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SPAZIO AUTRICI
Bene, eccoci tornate con una nuova long-fic che abbiamo già - più o meno - terminato, di 10 capitoli. Allora, prima di continuare un attimo con il commento del capitolo vorremmo avvertire chi non ci conosce di un minuscolo e apparentemente insignificante dettaglio: l'angst è la nostra unica fonte di gioia, con noi, guys, sarete teletrasportati in una dimensione di sadismo allo stato puro, quindi... Get ready.

Parlando del capitolo, non c'è in realtà molto da dire. John è figo, cazzuto e sicuro di sé, ma anche il nostro Sherlock non scherza. Abbiamo inserito OOC proprio per quest'ultimo, in quanto è una trasposizione della sua caratterizzazione che l'ambiente in cui la nostra vicenda è ambientata necessita. Comunque speriamo di non aver esagerato, fatecelo pure sapere nelle recensioni.
Nella storia è presente il personaggio di Victor, signore e signori, ebbene sì! Chissà che ruolo giocherà nella vicenda... Solo il tempo può dirlo!! (ehehehe)
Per quanto riguarda il supercattivo che gestisce tutto l'ambaradan, chissà chi potrebbe mai essere... Mah, proprio non saprei....
Infine, il titolo del capitolo richiama il giochetto di Sherlock nell'approcciare John, questo penso sia abbastanza ovvio, mentre il titolo in generale della ff... CHISSA'! 

Per quanto riguarda il POV, è venuto naturale scrivere il capitolo iniziale visto dagli occhi di John, ma la narrazione verrà affidata alternatamente a entrambi i nostri protagonisti, di capitolo in capitolo, per sviscerare con maggior precisione non solo la loro psicologia , ma anche le loro avventure singolari. E se ne vedranno delle belle...

Infine, l'immagine... L'abbiamo trovata bellissima, con queste stelle e questi due tesori ai lati opposti, come se fosse l'universo stesso a separarli... Ma no, nella nostra storia non sarà affatto così, no no *tossicchiano colpevoli* Ovviamente non ci appartiene, l'abbiamo spudoratamente presa da google immagini perché era semplicemente troppo bella - e... significativa? *cof cof* - per non metterla.

Bene, questo è quanto! Speriamo di ritrovarvi la prossima domenica con il secondo capitolo (tranquilli che saremo puntuali ogni settimana, promessooo!!) e vi auguriamo una settimana serena, dunque non come la nostra... Sciau!

Alicat_Barbix
   
 
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