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Autore: shilyss    11/11/2018    12 recensioni
I Nove Regni sono rimastati schiacciati sotto il pugno di ferro di un nemico invincibile: Thanos, il Titano Conquistatore. Coloro che non sono morti nel tentativo di combatterlo, cercano di sopravvivere come possono. Mentre il potere del nuovo signore di aumenta a vista d’occhio, si dice che ci sia qualcuno che lavora nell’ombra per fermarlo. Che si tratti di una vana speranza?
Dal cap. 1: “Thanos aveva preteso la sua vendetta comunque (…) Il destino di un traditore doppiogiochista era inevitabilmente tinto di rosso. Loki Laufeyson non era andato da Thanos nelle vesti di capo di stato, ma col ghigno beffardo di uno che non aveva niente da perdere, come un lupo solitario egoista e crudele pronto a recuperare in fretta il tempo perduto e il prestigio svanito.”
La mia personale visione dell’Infinity War (assolutamente NO spoiler). Seguito delle mie fanfic “Tutte le tue bugie” e "Oltre l'inganno." Non è necessario averle lette.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Sigyn, Thor
Note: Lemon, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La tela degli inganni'
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Cap. 5

“A Sigyn”

 

Sonje increspò le labbra in una smorfia leggera. Sua madre sarebbe rientrata solo a notte inoltrata; una noiosa festa da grandi l’avrebbe trattenuta ben oltre il tempo in cui lei e Vali sarebbero rimasti alzati. Per tutta la sera, sarebbe rimasta insieme a suo fratello sotto la rigida sorveglianza di Hilda, una delle Asinne fuggiasche che avevano lasciato Asgard quando Thanos l’aveva messa a ferro e a fuoco. Era una donna magra, ossuta, dai lineamenti duri e affilati, che solo raramente si concedeva di raccontarle com’era il regno dove suo padre era cresciuto. All’inizio, a onor del vero, Hilda parlava con un certo orgoglio di alcune delle avventure vissute da Thor e Loki. Con un sorriso appena accennato sulle labbra, concedeva loro qualche breve dettaglio della vita vivace e scapestrata dei due giovani figli di Odino prima che l’Hlidskjalf fosse sconvolto dall’amara verità sulla nascita del dio degli inganni.

Sonje e Vali non conoscevano che per sommi capi quella storia. Sapevano di avere sangue Jotunn nelle vene e di essere mezzi Asi per adozione, ma quella complessa genealogia per loro non aveva un grande significato. Era irrilevante, una caratteristica come un’altra di cui non comprendevano bene le implicazioni. Una nota di colore, come il fatto che gli occhi di Vali erano identici a quelli del dio degli inganni, mentre quelli di Sonje avevano la medesima sfumatura grigia di Sigyn. Fatto sta che l’ossuta Hilda che non rideva mai a un certo punto aveva semplicemente smesso di raccontar loro storie. Ora la donna, seria in volto, sedeva in un angolo della biblioteca a sonnecchiare accanto a un ricamo che non riusciva a finire. Li aveva trascinati lì piuttosto in fretta per qualche oscura ragione che Sonje non comprendeva e che Vali era troppo piccolo per poter decifrare. La bambina detestava tutta quella situazione: fuori pioveva – una pioggia fitta e lugubre che funestava Vanheim da giorni – e il palazzo era pieno di gente straniera venuta da chissà dove, che lei non doveva incrociare nemmeno per sbaglio. Mentre suo fratello era intento a colorare un tetro disegno dove un non ben identificato guerriero infilava la spada nel corpo di non si capiva bene che brutta bestia, lei, che s’annoiava, prese a dare un’occhiata all’immensa distesa di libri che tappezzava ogni angolo della biblioteca, sfiorando con il dito il dorso di pelle dei numerosi volumi. Toccò, senza saperlo, quelli contro cui Loki aveva spinto Sigyn per strapparle un bacio feroce e ardito, la notte lontana in cui l’aveva aiutata a liberare una cucciolata di lupacchiotti[1]. Prese in mano, per riposarlo subito senza nemmeno aprirlo, il noiosissimo testo che Loki stava studiando, e che era effettivamente pieno delle sue chiose minuziose, il giorno remotissimo in cui il dio degli inganni si era finalmente accorto che la nipote di Njord era diventata una donna. Venne attratta da un altro libro, però. Un volume ugualmente importante e piuttosto sottile, che osservò aggrottando appena le sopracciglia. La copertina era in pelle, gli angoli appena consunti. Lo aprì distrattamente, incuriosita dal fatto che le lettere del titolo fossero quasi illeggibili, e trattene il fiato quando lo sguardo le cadde sul frontespizio. C’era una dedica, al centro della pagina. Poche righe vergate con una grafia assai fluida e corsiva.

A Sigyn,

Che conosce gli incantesimi più potenti e non lo sa.

Che queste storie possano scaldarti nelle notti fredde che verranno.

L.

 

Era un regalo che suo padre aveva fatto a sua madre. Sonje batté le palpebre, sorpresa e incuriosita da quella dedica asciutta eppure carica di qualcosa che lei aveva visto e non era mai riuscita a dimenticare. Le domestiche amavano raccontare che i suoi genitori si scambiavano sempre doni sontuosissimi. Gioielli, perlopiù, fatti dai Nani o dagli Elfi. Tiare e collane e diademi e anelli che sua madre sfoggiava solamente nelle occasioni ufficiali. Doni importanti che andavano a impinguare il Tesoro di Vanheim ed erano più di rappresentanza, che di altro. Concetti, questi, che la bambina non era in grado di decifrare. Curiosa com’era, raccoglieva con gli occhi ogni informazione possibile cercando di dare a ogni tassello il giusto senso. Sua mamma non era una maga né un’incantatrice: di che cosa parlava suo padre? Lesse e rilesse quelle due semplici righe fino a impararle a memoria, perché captava, in esse, la magia e il mistero che avevano determinato la sua nascita, ma anche quel calore che era svanito per sempre dalla sua casa il giorno in cui suo padre aveva varcato per l’ultima volta la soglia di casa. A Sigyn. La dedica aveva in sé una dolcezza e una premura rese ancora più particolari dalla natura stessa del dono: un semplice libro che conteneva una serie di racconti di Asgard che non c’era più[2]. Tornò verso le poltrone di pelle su cui, in un altro tempo, suo padre aveva trovato sua madre addormentata – lei si sarebbe svegliata per poi offrirsi di preparargli una tisana e lui non avrebbe né accettato né rifiutato, ma questo Sonje non poteva saperlo – e si sedette sfogliando le pagine ingiallite[3].

“Cos’è?” Vali, sdraiato sul tappeto, smise di disegnare per puntare i suoi occhi verdissimi in quelli della sorella.

“Guarda,” lo incitò la bambina mostrandogli orgogliosa il frontespizio, “questo è un regalo che papà ha fatto a mamma.”

“A Sigyn,” lesse il bambino cercando di decifrare la grafia adulta e corsiva di Loki, “che conosce gli incantesimi più potenti e non lo sa. Che significa? Mamma non è una maga,” disse arricciando il naso con sospetto.

Sonje non seppe che rispondere a quella domanda lecita che si era posta anche lei. S’interrogò sulla metafora che aveva utilizzato il padre e ricordò quello che il fratellino non riusciva più a rammentare. Anche quando la sua famiglia era unita capitavano serate come quella, in cui i suoi genitori rientravano a tarda sera, ma l’aria che si respirava in casa era diversa, più allegra. Sigyn si adornava davanti allo specchio dei bei gioielli che Loki le regalava e che faceva indossare per gioco anche a lei promettendole che, un giorno, ognuna di quelle gioie sarebbe stata sua, e poi Sonje l’aiutava a scegliere l’abito giusto, quello che papà avrebbe trovato più bello. E lui, a un certo punto, compariva dal nulla nel vano della porta col suo sorriso perfetto e diceva che le principesse di Vanheim erano terribilmente vanitose, tutte. Sua madre rispondeva fintamente piccata e arrossiva lanciandole uno sguardo d’intesa – lo trovavano bellissimo entrambe – e poi andavano via insieme, lui con le insegne color oro e verde che gli luccicavano addosso, lei ammantata delle sete più preziose di Vanheim. Tornavano a sera tardi, quando lei già dormiva, ma a volte li sentiva rientrare – bisbigli e risate soffocate – e correva da loro scalza e allegra, stringendo tra le braccia l’enorme gatto di pezza regalo di suo zio Thor[4]. Mamma e papà erano di nuovo a casa, e Sonje alle volte riusciva a sorprenderli mentre erano labbra contro labbra, lei che gli cingeva il collo in punta di piedi e teneva le palpebre socchiuse, lui che la guardava sfiorandole la schiena o i capelli[5].

Adesso, invece, tutto era diverso. Sigyn si era preparata, quel giorno come tante altre volte, scegliendo con cura gli abiti e i gioielli che doveva sfoggiare, facendo ben attenzione a che la collana che le si infilava in mezzo al seno non mostrasse l’anello e l’ametista che indossava sempre[6]. Si era guardata allo specchio e Sonje aveva pensato che fosse molto bella, con quei capelli d’oro, anche se sua madre non rideva più di fronte alla sua immagine riflessa e non la riusciva a coinvolgere con l’entusiasmo di prima nella scelta degli abiti. Sonje non sapeva decifrare lo sguardo critico che la regina di Vanheim rivolgeva allo specchio, né comprendeva quanto fosse difficile farsi bella per degli uomini che l’avrebbero scrutata con finta deferenza o con sincera preoccupazione, ma aveva sviluppato, nei confronti di sua madre, una palese e feroce gelosia che la facevano assomigliare fin troppo all’altero genitore di cui aveva ereditato le labbra e la capigliatura corvina. Un sentimento che era nato per un milione di motivi, primo tra tutti la consapevolezza che la sua mamma, alle feste cui partecipava, ballava e rideva e scherzava con gli altri ospiti come faceva quando ancora l’accompagnava suo padre. Una consapevolezza che l’aveva raggiunta quando era stata sgridata da una delle domestiche per un capriccio, anzi, un vero e proprio dispetto fatto con deliberata cattiveria, di cui si era pentita solo a voce, ma che avrebbe rifatto altre mille volte. Aveva sentito le donne ciarlare della sera precedente. Aveva captato il nome di sua madre ed era rimasta ad ascoltare: le cameriere parlavano di quant’era bello l’abito che indossava la regina e di quanto era sembrato a tutti che si stesse finalmente divertendo in compagnia di quel nobile così ammodo – era il momento che si rifacesse una vita, del resto. Il commento l’aveva colpita come uno schiaffo. Le aveva dato la misura definitiva di quanto era successo nella sua famiglia, insinuandole il sospetto che, forse, il suo magnifico papà non sarebbe mai più tornato da loro.

Per chi si faceva bella sua madre? Perché lasciava soli lei e Vali? Se ne sarebbe andata anche lei? Tornava da quelle feste a volte allegra, altre con un umore nero. Allora, si sedeva alla toletta togliendosi con lentezza il trucco nero che le esaltava lo sguardo, pulendo con stizza il rosso che le tingeva le labbra e le diceva di avere gli occhi lucidi perché era stanca. Per placare il suo broncio sospettoso, le dava un bacio sulla guancia sussurrando che andava tutto bene. Mentiva, ovviamente.

A Sigyn. Che conosce gli incantesimi più potenti e non lo sa. Sonje lesse rapidamente una delle storie e si accorse di conoscerla da tempo, perché era una fiaba molto amata; parlava di come suo padre avesse ottenuto dai Nani e dagli Elfi doni preziosi da portare agli Asi – la cintura e i guanti per zio Thor su tutti – e del modo in cui Odino aveva evitato che i Nani, offesi dai suoi tranelli, gli tagliassero di netto la testa[7]. Quando Loki ripercorreva con lei quell’evento, riusciva a farla ridere e le mostrava la piccola cicatrice che gli era rimasta addosso come fosse un trofeo. Ma ora, rileggendola, Sonje aggrottò la fronte ed ebbe paura. Dall’alto dei suoi dieci anni, si accorse improvvisamente che le belle avventure di suo padre avevano tutte un retrogusto amaro e inquietante. Stringendo il libro il petto, decise che avrebbe tenuto il volume con sé.[8]

 

***

 

Loki si guardò accuratamente attorno, e solo quando fu sicuro che non ci fosse nessuno a spiarlo, si decise a riprendere il suo consueto aspetto. Deglutendo, si incamminò col suo solito passo altero ed elegante verso i corridoi spogli dell’ennesima dimora adibita a quartier generale. All’inizio del suo servizio presso Thanos, aveva provato a mettere in salvo alcune delle reliquie appartenute ai vari popoli che erano stati schiacciati sotto gli stivali del Titano. Libri, perlopiù, ma anche gioielli, manufatti artistici, opere d’arte. Con un’ansia che non sapeva di possedere, aveva scoperto di amare il bello e di volerlo proteggere[9]. Che pena che era stata, vedere le guglie delle biblioteche bruciare, le splendide e ricercate torri d’astronomia ridotte in macerie, gli ingranaggi di qualche strana macchina distrutti senza poter essere nemmeno compresi! All’inizio della sua ritrovata carriera di tirapiedi scelto di Thanos, Loki si era premurato di proteggere e salvare il salvabile; quando il Titano si era accorto della sua mania, lo aveva apostrofato con uno sprezzo ilare e palese, cui l’ingannatore aveva risposto abbassando il capo e mordendosi le labbra quasi a sangue per non ribattere.

“Siete un popolo di ladri e saccheggiatori, voialtri asgardiani,” aveva detto, “ce l’avete nel sangue.”

Forse era vero. Magari c’era realmente una cupidigia instillata fin da piccoli e assimilata assieme al latte materno, negli Asi che, da popolo potente e invincibile, si era trasformato in un manipolo di profughi reietti, ma il dio degli inganni non riuscì soffocare un moto d’orgoglio per l’attrazione smodata che la gente con cui era cresciuto – la sua gente – nutriva per i tesori e per le reliquie e per tutto ciò che di strano e complicato c’era nel mondo e nell’universo. Di fronte alle beffe del Titano capace solo di inseguire il suo folle piano, Loki si era sentito come il re che non era mai stato e il petto gli si era caricato d’orgoglio. Il suo padrone avrebbe potuto dimezzare la popolazione e schioccare le dita quante volte voleva: sarebbe sempre rimasto una creatura gretta e ottusa, incapace di capire e comprendere la vera bellezza dei suoi domini. L’ignoranza lo avrebbe relegato in una dimensione di subalternità rispetto a lui, dio degli inganni e principe di Asgard, legittimo erede al trono di Jotunheim e figlio di Odino[10]. Da allora, tuttavia, aveva smesso di accumulare tesori e salvare opere d’arte. Esporsi sarebbe stato troppo rischioso. Si limitava, quando poteva, a sfiorare con la punta delle dita gli splendidi manufatti prima che fossero irrimediabilmente distrutti. Solo così, si diceva, un giorno qualcuno avrebbe ripreso a creare. Un prezzo altissimo che, inevitabilmente, avrebbe dovuto essere pagato. Le sontuose porte delle stanze del Titano si aprirono, e subito fu apostrofato dal suo occupante, visibilmente scocciato.

“Loki Laufeyson, razza d’intrigante, che fine hai fatto?”

L’Ase non riuscì a puntare lo sguardo a terra come avrebbe dovuto. Non ce la faceva mai del tutto. “Perlustravo le zone attorno al quartier generale, nobile Thanos.” Mio signore sarebbe risultato un appellativo decisamente più opportuno, ma la deferenza con cui gli riuscì di pronunciare quel nobile parve placare l’alieno. Lo vide piegare la testa calva e lucida in un breve cenno d’assenso.

“E che mi dici delle notizie sull’ultima gemma?”

“False.” Loki rispose sicuro, alzando il mento fino a incontrare gli occhi color ametista del mostro. “Totalmente false. Un possibile depistaggio,” insinuò con il principio di un sorriso furbo.

“Chi oserebbe?”

“Chi non ha niente da perdere, signore.” Deglutì, intimamente soddisfatto per il pronome possessivo che era fortunosamente riuscito a evitare ancora una volta, e che solo pronunciare faceva male come un coltello infilzato nella carne.

Il Titano strinse le palpebre fino a ridurle a due fessure sottili. “Voglio le loro teste su una picca,” replicò distante. L’ingannatore si affrettò a porgere un inchino breve e deciso, e quello proseguì impassibile. “E la pietra vera dov’è?”

Eccola, la sola, unica e vera ragione per cui il dio degli inganni respirava ancora e non era un cadavere gettato in una fossa comune col collo spezzato: la sua abilità di mago che gli aveva fatto intercettare una a una le varie gemme. Era davvero incalcolabile il numero di massacri che il Titano aveva compiuto per recuperarle; il dio degli inganni, che pure era nato per essere re e per guidare eserciti feroci, sentiva di avere le mani lorde del sangue degli innocenti. Gli Asi erano sempre stati un popolo di guerrieri spietati, cui combattere piaceva in una maniera viscerale e morbosa, ma le loro battaglie e le successive razzie cui si abbandonavano avendo poi la premura di chiamarle con altri nomi, avevano un limite. Odino e Bor prima di lui non avevano mai avuto l’intenzione di cancellare per sempre popoli e tradizioni. Mancava loro la sistematicità che, invece, caratterizzava il modo di agire delle truppe di Thanos. Al contrario degli Asi, il suo nuovo, tremendo signore aveva un solo, irragionevole scopo, e non dava né peso né valore alle vite che spezzava. Il suo obiettivo era trovare le Gemme dell’Infinito e portare un presunto ordine nell’universo distruggendo tutto ciò che gli si parava davanti, senza distinzioni né eccezioni. Mentre rientrava nella sua tenda o in qualche base fatiscente resa appena più gradevole per gli ufficiali e i generali, con gli stivali ancora inzaccherati dal sangue e dal fango, Loki si era ritrovato più volte a domandarsi se il prezzo che stava pagando in vista di una futura quanto sfocata vendetta non fosse troppo alto. Fino a dove e a che punto sarebbe riuscito a liberarsi dal peso delle inutili atrocità commesse e a raccontarsi la bugia che aveva ucciso e sterminato seguendo un criterio disgustoso, sì, ma solo e unicamente per creare il più in fretta possibile le condizioni necessarie per liberarsi di Thanos.

“Quella vera, mio signore,” annunciò, e stavolta lo sentì in tutta la sua interezza, il peso grave e opprimente di quel possessivo che gli era uscito dalle labbra. “L’hanno nascosta davvero molto bene per non farcela trovare,” proseguì, “l’hanno occultata alla vista con incantesimi potenti, ma io l’ho trovata lo stesso, ho intercettato anche questa.” Increspò l’angolo esterno delle labbra verso l’alto sforzandosi di sfoggiare il sorriso soddisfatto del tirapiedi zelante la cui parte era costretto a recitare, lui, che era nato per essere re.

Il Titano lo soppesò per un momento troppo lungo, quasi volesse valutare quanto fosse affidabile e sicuro. “Organizzerai la spedizione di recupero, Ingannatore,” ordinò infine senza entusiasmo. “So che hai passato del tempo con tua moglie, ultimamente.”

Del tempo. Loki sentì l’adrenalina scorrergli nelle vene, si sforzò di mascherare ogni traccia di sorpresa, stupore, terrore. Del tempo. Una sera sola non è “del tempo”. Sono ore rubate al Fato filato dalle Norne, minuti spesi a ricordarsi com’era la vita prima di diventare uno schiavo. Ricoperto di mostrine e con le insegne lucide, certo, ma pur sempre un subalterno, un servitore che potrebbe essere rimpiazzato in ogni istante. Si sforzò di utilizzare un tono di voce mellifluo e distante. Chissà chi era, l’intrigante ficcanaso bastardo che si era preoccupato di spargere la voce di quella notte in cui lui si era soffermato nella stanza per gli ospiti allestita per la regina di Vanheim fino all’alba. Forse uno dei commensali impomatati che li aveva visti lanciarsi occhiate troppo lunghe e intense? Oppure la spia era l’attendente che, per un momento, aveva guardato la porta chiusa oltre le sue spalle dove sapeva esserci Sigyn? Non voglio rubare tempo alla vostra udienza privata con la regina, si era azzardato a dire, e Loki non lo aveva corretto né redarguito perché aveva nelle narici l’odore di lei e la desiderava e voleva ribadire il suo possesso, la conquista dai capelli d’oro che stava per cadere di nuovo tra le sue braccia.

 

“Il prezzo di una firma,” spiegò asciutto, ma il sangue Jotunn gli ribollì nelle vene, al pensiero di dover dare spiegazioni a qualcuno circa il suo operato – peggio, tra le lenzuola.

Thanos annuì appena. “Ti ha dato dei figli. Anche un maschio, mi pare.”

“Un bambino di pochi anni,” minimizzò Loki scrollando le spalle.

“Ci occuperemo anche di lui.”

“È presto, mio signore. È davvero presto.” Il dio degli inganni puntò lo sguardo chiaro e quasi trasparente sul Titano, dimenticando improvvisamente i suoi orgogliosi tentativi per non piegarsi definitivamente di fronte a lui – non più di quanto avesse già fatto, ad ogni modo.

Quello gli rivolse un’occhiata in tralice. “Voialtri asgardiani succhiate il latte materno con le armi già in mano. Anzi, succhiavate,” puntualizzò con una nota di disprezzo, rievocando la città degli Asi distrutta. “Vuoi che per il tuo piccolo erede sia diverso, Loki?”

“So bene qual era la regola, ad Asgard. Non appena sarà il momento, andrò di persona a Vanheim affinché faccia quello che deve: diventare un tuo soldato, nobile Thanos.”

La voce di Loki risuonò sicura e decisa come lo sguardo fiero e determinato che rivolse al Titano, anzi: c’era, nel suo tono, l’ombra di un lieve compiacimento, come se l’idea che il più giovane dei suoi figli potesse presto vestire le insegne blu e rosse di Thanos fosse un vanto. Era una menzogna atroce, ovviamente, una delle più false che gli era mai uscita dalle labbra. Il solo pensiero di ficcare il figlio in una delle orrende accademie militari da cui sarebbe uscito solo per arruolarsi nelle fila del Titano rappresentava un incubo atroce che quasi non aveva corrispettivi. Era vero, gli Asi iniziavano a combattere più o meno all’età di Vali, ma la loro innocenza veniva tutelata e preservata il più possibile dall’occhio vigile di maestri selezionati con cura. Il dio degli scherzi e degli inganni aveva visto molte cose, nella sua vita, forse persino troppe. Conosceva bene il cuore degli uomini e le ombre che, talvolta, lo divoravano, ed era proprio grazie alla sua acuta e appuntita capacità di analisi che, dopo tante battaglie, era ancora vivo. Il pensiero doloroso che gli era balenato in testa la notte infinitamente lunga in cui Sonje era nata – che lui non dovesse avere una progenie di nessun tipo perché aveva troppi nemici – si affacciò di nuovo nella sua mente insinuandosi come una scheggia[11].

Suo figlio era un bambino di pochi anni che a malapena lo ricordava, un principino molto amato del tutto incapace di sopravvivere alla schiavitù e ai soprusi cui i ragazzini venivano sottoposti una volta inquadrati nelle file di Thanos. Circondato com’era sempre stato dall’affetto e dal tepore della calda e luminosa Vanheim, Vali non aveva i mezzi e gli strumenti per resistere nemmeno un giorno in mezzo al fango e alla fame e non perché ritenesse che il suo erede fosse invariabilmente debole, ma per una delle sue constatazioni precise quanto amare: al Titano non interessava affatto addestrare un nuovo futuro generale. Lo schiocco, se ci fosse stato, sarebbe avvenuto molto prima e dopo, con tutta probabilità, non ci sarebbe stata alcuna necessità di avere un esercito. No, Thanos voleva semplicemente controllare maggiormente lui, Loki, di cui, a ragione, non si era mai fidato del tutto. Desiderava testare la sua devozione e, perché no, anche torturarlo con il peso della conoscenza. Il figlio maschio del dio degli inganni, per quanto fosse nient’altro che un bambino, era una pedina importante nello scacchiere politico dei Nove Regni anche se non sarebbe mai diventato re di niente, esattamente come lui. Avrebbe, invece, raccolto il peso delle molte malefatte che Loki stesso aveva compiuto, pagando sulla propria pelle per atti di cui non era responsabile. Che vendetta facile e squisita sarebbe stata, per i suoi nemici, quella che avrebbe avuto per oggetto Vali! Anche i più insignificanti e luridi tra quanti lo volevano vedere morto, coloro che Loki avrebbe potuto schiacciare senza problemi sotto le suole dei suoi alti stivali in qualsiasi momento, avrebbero finalmente avuto l’occasione per fargliela pagare nel più atroce dei modi. Un ricordo sepolto nel tempo tornò improvvisamente a galla, uno di quelli che non si concedeva mai di ricordare: Vali aveva mosso i primi passi sotto il suo sguardo orgoglioso, fierissimo. Lo aveva raggiunto barcollando sul tappeto del salotto, le braccine tese nel tentativo di afferrarlo, e il dio dell’inganno si era ritrovato a stupirsi per quella conquista semplice eppure eccezionale.

Deglutendo, si chiese se Odino avesse provato lo stesso vuoto nel petto, la prima volta che li aveva visti nelle file dell’esercito di Asgard. La sua mente svelta e aguzza arrivò anche a sfiorare il pensiero di Laufey e del suo sguardo scarlatto, ma accantonò immediatamente quel pensiero a favore di un altro, ben più terribile. Sigyn. S’immaginò nell’atto di eseguire la promessa che aveva appena fatto a Thanos e di portarglielo via. Pensò alle lacrime che lei avrebbe versato, allo sguardo tremendo che gli avrebbe rivolto. Poteva sopportare la sua lontananza, ma quella di suo figlio no, non ne era in grado.

“Ancora pochi mesi e sarà pronto,” concesse modulando accortamente la voce. “Non è opportuno accelerare i tempi. Come con la Gemma, dobbiamo essere cauti, per ottenere il migliore risultato possibile.”

L’allusione tetra e forse troppo rivelatoria chiuse finalmente il pesante dialogo. Thanos finse di credere alle sue parole bugiarde e di condividere la posizione che aveva espresso; gli affibbiò altri compiti scomodi riguardanti il recupero dell’ultima reliquia e poi, finalmente, si decise a lasciarlo andare.

 

Allontanandosi dalle stanze del tiranno, Loki non riuscì a trattenere un sospiro grave e basso, a malapena soffocato dal rumore secco dei suoi stivali sulla pietra del corridoio. Si chiese a che punto fosse Thor con l’organizzazione del loro piano. Increspando le labbra in una smorfia infastidita, ripassò per l’ennesima volta il piano precisissimo che aveva ideato il giorno in cui Asgard si era trasformata in un mucchio di cenere e rovine, che si era dato la pena di limare e perfezionare ogni giorno per anni – che continuava ad aggiustare persino in quel momento, perché ogni dettaglio doveva essere perfetto. Anche se il tempo a sua disposizione era spaventosamente poco e la speranza di sopravvivere scarsa, lui e Thor avrebbero messo a segno la loro vendetta: presto, sarebbe stata la testa calva di Thanos ad essere infilata su una picca. Ecco quanto poteva essere spaventosa la rappresaglia degli Asi. Di fronte a quel pensiero forse troppo intriso di speranza, Loki stirò le labbra in un ghigno feroce.

 

 

Continua…

 

L’angolo di Shilyss

Cari Lettori che siete arrivati fin qua,

Voglio ringraziare tutti coloro che hanno recensito, preferito, ricordato e seguito questa storia. Grazie davvero, ogni riga è per voi ♥ Per quelli che non lo hanno fatto, vi ricordo che su Efp è possibile utilizzare delle liste: usatele, non vi costa niente e farete un Autore felice! ^^

Vi avevo promesso un capitolo a stretto giro e, avete visto? Voi avete nutrito la Fatina (grazie ♥) e io ho avuto una botta d’ispirazione unica (merito del fatto che sto metabolizzando pian piano l’Infinity War). Allora, purtroppo che Vali debba espiare per le colpe del padre è canone nel mito. Ci sono dei riferimenti riguardo a ciò che potrebbe capitare al bambino se fosse strappato alla madre. Il rating di questa storia è arancione e lo rimarrà: pertanto, non leggerete nulla di più sconvolgente a delle allusioni come quelle di oggi. Non è affatto detto che io sia così crudele con Vali come nel mito, però trovo giusto partire dalle medesime basi. La connotazione un po’ alla Seconda Guerra Mondiale di Thanos sono un mio canone che spero possiate gradire.

La Fatina dell’Ispirazione necessita sempre delle vostre cure per poter spandere i suoi glitter! Per ulteriori info e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/

Ricordo che Vanheim e l’Impero di Thanos così come QUI sono intesi e descritti, con questo ordinamento sociale, politico e culturale sono una mia idea: vi pregherei di non utilizzarla o, di inserire un disclaimer apposito in cui dichiarate i credits . Anche il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.

Vostra,

Shilyss



[1] Come raccontato in Tutte le tue bugie, la mia fanfiction che anticipa questa! Stessa cosa vale per il ricordo successivo.

[2] Come raccontato ampiamente negli scorsi capitoli.

[3] Come raccontato nel capitolo 1 della raccolta di shot: “Oltre l’inganno.”

[4] Ehhh sì, è proprio Gatto Thoo <3

[5] Questa scena è un omaggio alla mia fanfiction “Tesori, whisky e ossessioni.” Leggetevela!

[6] Come ricorderete, l’ametista è menzionata in Tutte le tue bugie; sulla fede che Sigyn porta al collo e non al dito, guardate i capitoli precedenti! ^^

[7] È la storia legata al mito di Sif e del taglio dei capelli. Si trova, ovviamente, nell’Edda.

[8] I nani punirono Loki severamente, anche se non gli tagliarono la testa.

[9] Un omaggio a me medesima meco: mi riferisco alla mia long “Confessioni di una mente pericolosa.”

[10] Una citazione da Avengers: Infinity War ovviamente (piango).

[11] Riferimento al capitolo 2 di Oltre l’inganno, la shot “Se solo riuscissi a pregare.”

   
 
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