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Autore: Alba_Mountrel    11/11/2018    1 recensioni
Una ragazza è persa dentro se stessa... ma qualcosa, o qualcuno la salverà
Genere: Generale, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matt, Mello, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Settimo capitolo
"Ansia bruciante, finto distacco, ritorno"
 
Dopo circa un’ora, ho fatto dentro e fuori dal bagno ben due volte e avanti indietro dalla cucina dieci volte dal nervosismo, adesso sono in cucina a costruire un origami con un tovagliolo usato, mentre il biondo con un vistoso rosario rosso appeso al collo continua imperterrito a lavorare sui fogli sparsi per tutta la tavolata e di tanto in tanto a fissarmi in cagnesco, come se lo stessi disturbando a morte.
Dopo un altro interminabile minuto, sento la porta aprirsi, quindi drizzo un po’ lo sguardo e attivo le antenne.
“Finalmente sei arrivato Matt… chissà perché è uscito… così su due piedi, non so darci alcun senso logico. Comunque, sentire i suoi passi e sapere di avere affianco una presenza: più confortante di questo tizio biondo, è un sollievo per me. Per me, che mi sento costantemente sola, impaurita e incompleta. Tagliata in migliaia di pezzi, di cui solo una parte è presente a me stessa. Quindi, anche una persona come Matt può sembrarmi un’ancora di salvezza”.
«Ciao!». Mi fingo distaccata così da non sembrare una ‘cagnolina fedele’. Però, evidentemente l’amico invece non se l’è bevuta tanto facilmente perché lo scopro a fissarmi di sottecchi con un ghigno inverosimilmente sardonico, appena accennato ma presente.
«Ciao Bellezza, com’è andata con il Mister? Ti ha insultata? Sparata? Cose così? No perché, se è così… lo fulmino e poi ci faccio un bel cappotto di pelle per te». Ride sguaiatamente, tanto che mi appare quasi isterico.
“Che gli è preso tutto a un tratto? Prima era molto più pacato e controllato. Mah, avrà il ciclo anche lui come il suo amico”.
Sorrido vistosamente a questo buffo e insensato pensiero. Mi aspetto una battuta sagace da parte di Matt ma tutto ciò che arriva alle mie orecchie è un sonoro verso di stizza da parte di Mello e mi par strano che invece la reazione di Matt non arrivi per niente.
“È anche vero però che non conosco ancora per niente il tipo, quindi non mi pronuncerò in alcun modo. Adesso che ci faccio caso ha la sigaretta in bocca ma avevo capito che al biondo dà molto fastidio il fumo e di conseguenza non dovrebbe essere entrato con la sigaretta accesa. Mello vorrà fare un’eccezione?”.
«Mello, abbiamo visite. Non ne sai niente, vero?». Mello, che nel frattempo senza che mi accorgessi di nulla ha messo via tutti i fogli che c’erano sul tavolo, ora come per magia completamente vuoto; di scatto mi porta via di mano il tovagliolo-origami e se lo mangia.
“O mio Dio, è impazzito?”.
«Mah…?!».
“Proprio non lo capisco questo tipo”.
«Preparatevi, si balla!». Esclama con voce quasi trionfante.
“Bastardo. Come si balla? Che sta succedendo? Non sarà arrivato qualche loro nemico, spero…”.
D’improvviso mi sento afferrare e strattonare un polso da Mello. Adesso sì che posso ufficialmente allarmarmi. Anzi, senza allarmarmi so già che sto per finire all’inferno quindi tanto vale che me la metta via… no?! No! No, Des ma che ti salta in mente? Questi sono i residui di pazzia post tentato suicidio, ecco cosa. Me ne devo liberare al più presto. Forse Matt sa come aiutarmi. Temo fortemente di ricadere nuovamente vittima di me stessa”.
Sento un sussurro all’orecchio: è la voce calda, un po’ nasale ma decisa di Matt.
 «Tieniti forte bellezza, adesso si vola. Chiudi gli occhi, ti sentirai più al sicuro».
“Come: chiudi gli occhi? Oh no, ragazzi che sta succedendo? Vi prego mandatemi un segno, un indizio, qualsiasi cosa…”.
Mi copre gli occhi con una mano e io non posso far altro che farmi manovrare e fidarmi del ragazzo. Sembra avere completo controllo e potere su di me. “Stranamente però questo non mi spaventa, ne m’infastidisce… La aggiungo alle svariate argomentazioni di cui non sto capendo nulla in tutta questa faccenda. Prima o poi ne verrò a capo, spero”.
Come mi è stato ordinato, chiudo gli occhi e mi preparo al peggio, dopo di che mi sento sollevare da terra e l’unica cosa che comprendo è che abbiamo compiuto un salto.
“Aiuto… Saremo saltati dalla finestra… ma sono tre piani. Aspetta, ma non ho sentito il rumore tipico di qualcosa che cade pesantemente sull’asfalto, come stavo per fare io”.
Questo pensiero blocca tutta la poca concentrazione che avevo e momentaneamente mi perdo in un mondo tutto mio.
«Bellezza ci sei?». Deve star dicendomi qualcos’altro ma non lo sento perché la paura che provo è troppa.
“Non ci sto capendo più nulla ragazzi. Vi prego, mi sento persa, vi prego!”.
«Ti prego…!».
«Ehi… sta tranquilla, ci sono io con te. Ricordatelo sempre quando senti il panico montare».
“Matt… non mi sembri neanche un essere umano con difetti in questo momento. Ma a parte questo, ora sì che posso seguirti, ora sì che posso dire di fidarmi almeno un po’ di te”.
Nel frattempo mi sono riappropriata del mio corpo, e Matt evidentemente se n’è accorto perché scatta in avanti tenendo la sua mano sempre ben ancorata sul mio polso, di conseguenza mi trascina a tutta velocità. Dopo qualche secondo, che a me è sembrato molto di più per via di quel piccolo contatto imbarazzante tra noi e di tutto il resto, arriviamo di fronte a un’auto ferma dietro all’edificio nel quale mi tenevano in ostaggio. La suddetta auto è rossa, un modello americano che così su due piedi non so identificare.
“Glielo chiederò, anche se non importerà poi molto se ci facciamo ammazzare… Dio… che situazione!”
Saliamo in macchina e di tutta fretta accende il motore e sgasa per partire. Per la fretta non ha il tempo di schivare un’aiuola che viene tranciata di netto facendomi prendere un colpo per essermela trovata all’improvviso davanti ma fortunatamente non siamo in moto. Man mano aumenta la velocità perché il rumore di ruote sull’asfalto è subito dietro di noi, sento l’adrenalina bruciarmi dentro le vene e pompare al cuore, ansia energia pazzia ed euforia.
“Tutti insieme dovrebbero portare al mio primo collasso, o all’infarto, a occhio e croce”.
Quasi non sento più nemmeno i pensieri e sto perdendo il controllo del mio corpo ma non posso fare né dire niente che sia totalmente inutile.
“Cosa mai potrebbe fare il ragazzo accanto a me? Fermarsi? Girare in un vicolo per nascondermi? Svanire? Dio, sento la pressione di mille atmosfere tutta nel sangue: un altro modo per morire da aggiungere alla lista. Lista che non ho nemmeno ancora iniziato a stilare ma lo farò di sicuro, quando saremo in salvo. O meglio… io sarò in salvo, perché questo qui sembra quasi divertirsi e non accenna il minimo senso di turbamento, è evidente che per lui una situazione simile sia del tutto normale”.
«Oh cazzo! Ho il cuore a mille». Ho una mano premuta sul petto dalla paura.
“Non voglio morire. Aspetta, cosa? Cervello… hai le allucinazioni”.
«Tranquilla Des, quando c’è Mello a farci strada non c’è da preoccuparsi». Mi regala uno sguardo rassicurante e rilassato ma ci capisco sempre meno.
“Dovrebbe essere come minimo agitato… leggermente almeno. Comunque… mi ha chiamata per nome. Ok, è uno psicologo. Come poteva sapere che in occasioni del genere le battute peggiorano solamente il mio stato? Bah, avrà una psiche superiore oppure collegata alla mia”.
Il solo pensiero mi strappa un sorriso e momentaneamente mi strappa via dalla realtà nuda e cruda donandomi un attimo di serenità.
«Mi piace il tuo sorriso, sai? Comunque… adesso tieniti forte! Aggrappati da qualche parte perché… si vola!». Esclama con fervore e allegria per riportarmi alla realtà.
«Ah… ah sì, più di così?». Chiedo istupidita, e lui ride di gusto con una risata dolce e divertita ma profonda.
«Sì, più di così. Qua non siete molto allenati all’azione, eh?!».
“Eh no. Aspetta, ma qua dove siamo? Non riconosco come Padova questo posto. Guardo fisso davanti a me con occhi vitrei e il cervello momentaneamente mi si spegne. Paura, fastidio, confusione, rabbia, terrore, pazzia. Tutte insieme si sovrappongono in me in pochi secondi e sento che potrei urlare…”.
«L’hai capito? Non siamo più a Padova. Ma ne parliamo dop…». Non termina la frase che si sente partire il colpo d’una pistola, il quale per fortuna colpisce solamente il finestrino retrovisore dalla mia parte, però il solo fatto che un proiettile mi passi affianco mi fa saltare il cuore in gola e caccio fuori l’urlo che non si era ancora concretizzato. Urlo fortissimo, chiudendo gli occhi e proteggendomi il viso e il petto con le braccia più che posso.
«Brutti cani rognosi maledetti!» esclama con finta rabbia, come mi sono accorta che sta fingendo rimane un mistero «Glieli do io i proiettili… bifolchi!». Esclama ancora, e poi…
«No… pensa a portarci in salvo!». Urlo d’un tratto.
“Non voglio che uccida anche se in effetti non sarebbe un’idea del tutto folle metterli in difficoltà… ma questo non mi deve neanche passare per l’anticamera del cervello”.
Mi guarda sbalordito e confuso allo stesso tempo, con la pistola nella mano sinistra a mezz’aria e lo sguardo fisso su di me che adesso quasi mi sento in imbarazzo. Ho detto quella frase quasi senza pensarci, così d’istinto, e adesso quasi non so che è successo.
“A volte penso davvero d’essere pazza. Forse lo sono”.
«Come vuoi Des. Allora aggrappati dietro al sedile, devo tirare al massimo e superare Mello se vogliamo avere una chance di evitare altri spari o imprecazioni». Mi sorride benevolo e in cerca di un assenso.
“Sul serio sta aspettando il mio permesso? Credevo fossi io l’ostaggio…”.
«Credevo d’essere io l’ostaggio». Chiedo confusa e lo sento ghignare lievemente.
«No, ti sbagli. Non c’è nessun vero ostaggio qui. Almeno per il momento, perché se quelli continuano a inseguirci finiranno dritti dritti nella nostra tela e allora sì, avremmo degli ostaggi». Continua a sorridermi come niente fosse.
“O è scemo, o sadico oppure non gliene importa niente di tutto questo. Al che sono tentata di trarre la conclusione che è menefreghista o, appunto sadico. Non so se mi può far piacere. Anzi, non mi fa affatto piacere”.
«Des, ci sei? Resta concentrata, te l’ho detto… dobbiamo velocizzare il passo». Non me lo faccio ripetere e cerco un appiglio sicuro portando le mani dietro al sedile, così finalmente lui può ingranare la marcia automatica, e aumentare la velocità. Quando schiaccia sull’acceleratore sento il petto sobbalzare e partiamo a tutta velocità, tanto che sento il vomito bussare alle porte dello stomaco.
“No, porca… il vomito no, un po’ di dignità mi è rimasta ancora… credo”.
Stringo gli occhi e serro i denti per farmi coraggio e costringere il mio cervello a mantenere il controllo della situazione.
“Dovrei essere un asso ormai in fatto di controllo e invece mi sento tutta sconquassata… sarà l’effetto che mi fa la vicinanza di Matt?”.
Rido sotto i baffi a questo pensiero. Per mia sfortuna, lui se ne deve essere accorto, perché ride brevemente di gusto e schiaccia ancora più l’acceleratore e la macchina sembra dover esplodere da quanto è fuori giri.
“Spero l’abbia modificata in qualche strano modo e che non cominci a fumare nel giro di un minuto”.
Per una mezz’ora buona continuiamo così, dopo di che comincio a non sentirmi più col fiato sul collo, e così all’improvviso vedo comparire al mio fianco, la moto nera e scattante di Mello
“L’ho già detto che la mia memoria fa cilecca un po’ troppo spesso? Sì. Beh, lo ripeto volentieri se necessario, anche se in verità… basta. Sto uscendo come al solito dalla realtà”.
«Mello» urlo per farmi sentire «Tutto bene?».
“Chissà perché adesso mi viene così naturale preoccuparmi di uno così…”.
Mi fissa un secondo, poi solleva un sopracciglio con fare interrogativo, poi ghigna molto ma molto ironicamente, dopo di che scambia un rapido sguardo di derisione con il suo amico che al contrario sorride neutro ma fa una cosa inaspettatamente piacevole nei miei confronti: pigia il pulsante del mio finestrino e lo tira su, togliendo la possibilità al biondo di replicare, in quanto i finestrini sono oscurati. A quest’azione, rimango un attimo sorpresa ma poi mi volto verso l’artefice di ciò, e gli sorrido grata e divertita allo stesso tempo, ne segue una sensazione di rimembranza in me: mi torna in mente che fino a poco fa ero in una casa che non è la mia e non sapevo dov’ero o se mi avrebbero ammazzata, o se avrei fatto dei passi avanti o sarei rimasta catatonica, o ricordi simili.
“Invece, sono in macchina all’aria aperta o quasi, insieme a due ragazzi come me burloni e a quanto pare, salvatori miei e del mondo. Forse hanno trovato la formula segreta e magica… per portarci verso un mondo migliore”.
Tutti questi pensieri miscelati insieme alla situazione che non potrebbe essere più assurda, mi fanno scaturire una risata per nulla trattenuta, isterica. Mi lascio andare, sfogando tutto il peso di un tempo indefinito, tutto quello che era rimasto irrisolto dentro di me, qualcosa che non sapevo nemmeno di aver provato. Mi tornano in mente anche vecchi rancori e vecchi ricordi, ed emozioni e sentimenti e quant’altro che credevo ormai cancellato dalla mia testa. Poi, puntualmente l’immagine di una foto di tutta la mia famiglia unita per natale, mi perfora l’animo e la mente come un coltello affilato e mi riporta definitivamente alla realtà.
“Nel peggiore dei modi direi…”.
Intanto, Matt è rimasto senza fare una piega ad assistere alla mia patetica e infantile scenetta, però ovviamente la sua espressione è confusa, quindi ne approfitto per bombardarlo con la domanda più importante, quella che avrei dovuto porgli immediatamente.
«Perché sono qua… con voi? Dimmi la verità, il vero motivo, perché sapevi dove abito, perché mi conosci e perché non mi avete ammazzata ancora adesso, e anzi mi volete… salvare addirittura». Enfatizzo sulla penultima parola per sottolinearne l’assurdità.
«Ti sembra il momento adatto? Guarda che ho tramortito, legato e imbavagliato quel tornado di Mello per molto meno, sai?  Guarda che non sono stronzo come il mio amico, so benissimo di doverti delle spiegazioni ma… Bellezza… andiamo, non è il momento.  Un discorso delicato e poi in questa macchina ci può aver messo le mani chiunque quindi non so nemmeno se siamo al sicuro o liberi di parlare. Inoltre, ripeto… è un discorso serio ma anche spinoso e quindi entrambe dobbiamo essere concentrati e ricettivi. Non ha senso parlarne ora. In ogni caso, ti senti meglio ora che stai cominciando ad esternare ogni cosa? Io sì. Sono ogni volta più felice quando ti sento ridere anche se non per i più leggeri dei motivi, lo capisco ma ridere fa pur sempre meglio di un pensiero negativo inespresso... o di mille…». Lascia la frase in sospeso e si gira fissandomi con due occhi profondi come laghi immensi, o prati erbosi incontaminati. Al che mi vien da soffermarmi sul fatto che forse questo tizio non sa di quanto potere magnetico riescono ad avere su di me i suoi soli sguardi.
“Non parlo neanche della sua naturale affinità con la gente. Ha messo a tacere Mello, con uno stratagemma del cazzo, lo ammetto, però cosa vuoi fare con menti come le loro? Ricattarle bassamente, ovvio no?!”.
il suo sguardo mi fa talmente battere il cuore che la difficoltà di mantenere il suo sguardo è troppa, rivolgo lo sguardo verso il finestrino e mi sento come imbambolata. Sento la testa più leggera e non riesco quasi a capacitarmene, ritengo di essere un po’ troppo vulnerabile.
“Già. Decisamente. Però mi sento bene almeno in questo momento, poi ovviamente capiterà qualcosa che mi farà ritornare alla realtà e capire che è tutto un errore, ma… è così sbagliato? Sentirsi bene per anche solo un secondo? Cosa ho da perdere? Una famiglia, un moroso o un marito? No. Quindi? Quali sono i miei problemi… da risolvere? Che sia nella mafia? Che forse avrà ammazzato innocenti? Mi ha giurato di no. Che abbia le mani sporche di chissà quale crimine per un fine… ‘superiore’? Può essere. Eppure, chissà perché il mio istinto mi dice tutto il contrario. Istinto bastardo. Per ora mi limiterò a tenermi il cuore nel petto e a pensarci su bene… cioè, vale a dire: mille e una volta”.
Passa un’altra mezz’ora buona e…
“Oddio, ma siamo a Padova, cioè… di nuovo a Padova. Dev’essere un sogno, sto ancora dormendo e nessuno mi vuole svegliare? AH, a sto punto non mi pongo più domande di questo genere perché tutto può essere”.
Mi sento piacevolmente in subbuglio per essere tornata nella mia città.
“Che poi… ‘mia città’, ci sarebbe da discuterne ma tralascio di pensare a questo, ora. Ha ragione Matt: non è il momento”.
Dopo dieci minuti superiamo delle vie più chiuse, strette e sinistre, il che mi fa pensare a nulla di buono, anche se un po’ me lo aspettavo.
“Voglio dire, da qualche parte dovranno pur lavorare questi due…”.
«Matt... ma siamo a Padova…».
“Beh, sono proprio un genio… capitan ovvio proprio”.
«Forse un po’ me l’aspettavo però mi sono sorpresa che una mia previsione si rivelasse esatta. Di solito non succede».
“Chissà perché… ma vedere un ambiente noto mi ha fatto arrossire. O è lui che mi fa quest’effetto? Con quel sorriso smagliante, apparentemente freddo e derisorio, che invece nasconde dentro di sé tutt’altro. A proposito, sta sorridendomi o ridendo di me? Posso dedurlo”.
«Allora Des… ti va un frullato? Al gusto Death?». Ride di gusto a questa sua battuta.
“Non mi fa totalmente ridere però devo ammettere che un po’ me la sono cercata, vista la scenata messa in atto la prima volta che ci siamo incontrati. Ah, se esistesse il tasto undo anche nella realtà, quante cose potrei cambiare. Però, a pensarci bene… la capacità di cancellare il passato e ciò che meno ci aggrada… ci permette in un certo senso di restare sempre gli stessi, e quindi gli stessi problemi e gli stessi difetti rimarrebbero insiti in noi senza possibilità alcuna di livellarli. È il dover accettare di non poter tornare indietro che permette alla mente di cambiare, di modificare il suo metodo di giudizio. Interessanti questi pensieri… peccato che non sia il momento adatto, visto che sono in una situazione di pericolo e in macchina con un mezzo sconosciuto che se gli gira mi può far fuori. E io che vado anche a pensare al suo piacevole aspetto. Che bocia visià dio…”.
«Senti… dove intendete portarmi? Voglio saperlo se dobbiamo fare… squadra». Il tono mi esce un po’ più seccato di quanto desiderassi.
“Matt sembra anche comprensivo ma non lo conosco così bene da poter dire che mi lascerà stare. Che sbadata che sono”.
Passa ancora qualche minuto e, infine arriviamo davanti un piccolo condominio attaccato a una schiera di altri piccoli e degradati condomìni. Ha l’ingresso alla fine di due, tre scalette alla cui fine c’è un vaso di fiori appassiti e ingialliti che rovina ancora di più la vista dell’intera zona. Non siamo propriamente a Beverly Hills. All’improvviso mi sento leggermente spingere sulla schiena verso le scalette e comincio a sentirmi inghiottire dall’ansia, un’ansia quasi incontenibile che però, come al solito sfocia in un lieve e silenzioso gemito di paura, semplice e per nulla rappresentativo del mio reale stato d’animo.
“È ufficiale… sono fottuta”.
   
 
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