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Autore: Chainblack    11/11/2018    3 recensioni
In fuga dalla disperazione dilagante della Hope's Peak Academy, sedici talentuosi studenti vengono rapiti e rinchiusi in una località sconosciuta, costretti a partecipare ad un nuova edizione del Gioco al Massacro senza conoscerne il motivo.
Ciò che sanno è che, per scappare da lì, dovranno uccidere un compagno senza farsi scoprire.
Guardandosi le spalle e facendo di tutto per sopravvivere, i sedici ragazzi tenteranno di scoprire la verità sul loro imprigionamento sapendo che non tutti potrebbero giungere illesi fino alla fine.
Ambientata nell'universo narrativo di Danganronpa, questa storia si svolge tra i primi due capitoli della saga.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Un mese dopo



- Voleva vedermi? -
Xavier richiuse la porta alle proprie spalle con un movimento lento e posato, quasi come per rispettare quel solenne silenzio che aleggiava nello studio.
Le mura grigie e il mobilio spartano descrivevano in modo conciso l'identità del loro proprietario, così come l'atmosfera pesante che si respirava in sua presenza.
Il ragazzo mosse alcuni passi in avanti e si fermò al centro della stanza assumendo una posa rigorosamente formale, immobile, attendendo istruzioni. L'aver passato l'intera vita a ricevere direttive da un superiore gli aveva sicuramente giovato nel corso dell'inserimento nel nuovo ambiente lavorativo.
Di fronte a lui, dietro una scrivania sommersa di documenti, e ciononostante incredibilmente ordinata e organizzata con scrupolo, un uomo in abiti bianchi lo fissava con un'espressione imperscrutabile.
- Accomodati - disse, senza concedersi convenevoli - Dobbiamo discutere delle ultime novità -
Il ragazzo annuì lievemente e passò a sedersi sull'unica poltrona libera. Il cigolio del cuscino in velluto sotto il suo peso lo tranquillizzò sensibilmente, ma non bastò a sopprimere del tutto il profondo senso d'ansia che lo sguardo penetrante del direttore della Future Foundation gli stava rivolgendo; una glacialità, a suo dire, che rivaleggiava persino quella di Pearl in momenti di collera.
Kyosuke Munakata non era conosciuto per essere un uomo affabile e dalla lunga parlantina; si era guadagnato il successo con l'impegno, l'efficienza, e la freddezza di spirito.
Era il principale motivo per cui Xavier aveva deciso di supportare momentaneamente l'associazione, fino a quando ve ne fosse stato il bisogno; al ragazzo non andava a genio prendere ordini da chi non rispettava. Sorprese se stesso per primo quando si era ritrovato ad accettare l'offerta proposta dal noto gruppo militante autonomo noto come "Future Foundation".
Xavier aveva deciso che non avrebbe lasciato che il proprio senso di gratitudine offuscasse il suo giudizio, obbligandolo ad unirsi a loro per il fatto che lo avevano tratto in salvo una volta scappati dal sottomarino; in base ad alcune circostanze successive, aveva poi finito per accogliere l'invito ugualmente.
Una di quelle era proprio quell'uomo dai vestiti candidi che aveva di fronte.
Era raro che Munakata convocasse qualcuno nel suo ufficio che non fosse Sakakura; faceva eccezione solo Judith, che nel corso dell'ultimo mese sembrava averne ottenuto i favori.
In base a quanto raccontato dalla ragazza, era un uomo che faceva parlare i fatti e considerava quasi solo i risultati; fu più facile, per Xavier, figurarsi come le capacità organizzative di Flourish fossero servite a migliorare l'immagine che il direttore aveva di lei.
Al contrario, lo stesso non poteva dire di se stesso; quelle poche volte che aveva avuto a che fare in modo diretto con la massima autorità della fondazione, a Xavier non era parso di stargli eccessivamente simpatico o che lo vedesse di buon occhio. 
Si domandò se quella conversazione non avrebbe risposto, oltre che ad alcune sue impellenti domande, anche a quel dubbio che non cessava di tormentarlo.
- Signore, devo comunicarle che le indagini sono ancora in corso - cominciò Xavier, senza perdere il tono di apparente riverenza - La squadra a cui mi sono affiancato sta ancora cercando di individuare i ricercati nelle aree designate. Potrebbe volerci altro tempo -
- Sono a conoscenza degli scarsi sviluppi delle ricerche, ma non temere. Non si tratta di certo di una mansione facile, né tanto meno rapida - asserì Kyosuke, incrociando le mani e appoggiandoci il mento sopra - Discuteremo di ciò più in là. Innanzitutto, ci tenevo ad avvisarti che il team di Crowngale ed Harrier è tornato alla base -
Xavier ebbe un lieve sussulto; era ciò che sperava di sentire oramai da una settimana. La sua mano grattò freneticamente il ginocchio con eccitazione.
- Quando sono tornate? - domandò, mantenendo un profilo dignitoso.
- Appena un'ora fa. Hanno fatto rapporto e sono andate a scaricare tutto ciò che hanno reperito lì. Sembra che il recupero abbia dato i suoi frutti -
Xavier esalò un sospiro di sollievo misto a compiacimento; aveva temuto costantemente il pericolo di qualche complicazione imprevista, ma alla fine tutto sembrava essere andato per il verso giusto.
Ricordò di come Pearl aveva impiegato ben due settimane per ristabilirsi pienamente dalle ferite riportate durante il combattimento contro i Monokuma, e una settimana dopo già premeva per poter dare il proprio contributo alla causa della Future Foundation.
Sorprese Xavier in misura maggiore lo scoprire che sarebbe andata in missione assieme a June proprio in merito a quanto suggerito da lui e Judith.
Nessuno del gruppo era convinto che quell'orrenda faccenda si fosse conclusa con la loro fuga; sentivano di essersi lasciati alle spalle qualcosa di prezioso.
Qualcosa di troppo importante per essere lasciato a prendere polvere sul fondo dell'oceano.
Nonostante Xavier avesse intuito che aria tirasse con il direttore Munakata e pur avendo tenuto il capo chino per adattarsi, aveva pienamente supportato il piano di Judith di allestire una squadra per fare un sopralluogo nel sommergibile incriminato.
Essendo stato abbandonato da Sonia era difficile, a causa dei ferrei controlli della fondazione, che l'enorme nave si fosse mossa da lì.
Un gruppo di persone capitanate da June e Pearl, che conoscevano perfettamente l'area, si sarebbe recato a recuperare ogni cosa necessaria, ogni importante memento di quell'inferno.
L'idea fu accolta di buon grado nel momento in cui si intuì il valore strategico dell'entrare in contatto con la tecnologia nemica e quali vantaggi potesse fornire; o, per meglio dire, nel momento in cui Judith convinse i piani alti dell'associazione a considerare quella prospettiva. 
I resti dei Monokuma distrutti da Pearl dovevano essere ancora lì, e il reparto tecnico della Future Foundation bramava i componenti di quegli orsi più di ogni altra cosa.
A quanto aveva sentito dire, persino l'ex-rettore Tengan aveva accolto positivamente quell'idea, premendo per portarla a compimento e appoggiando Judith su ogni fronte.
Xavier dovette rendergliene atto: era fin troppo brava con le parole, e altrettanto con le lusinghe.
- Quindi non ci sono stati imprevisti? -
- Non è stato menzionato niente del genere - lo rassicurò lui - Non appena avremo concluso qui, potrai ricongiungerti alle tue compagne -
Xavier vide la propria felicità al pensiero di rivederle venire coperta da un alone di inquietudine.
Munakata non era tipo da perdersi in giri di parole, e con quell'ultima espressione era stato decisamente esplicito.
Il ragazzo lo affrontò con la dovuta cautela.
- ...c'è altro che mi deve dire, Signore? -
- Sì, alcune cose - fece l'uomo, passando dritto al punto - I seguaci della Disperazione sono ancora dispersi, ma come ben sai non sono le uniche persone che stiamo cercando. Mi domandavo se la nostra ricerca degli individui coinvolti nell'incidente alla Hope's Peak non avesse dato esiti migliori -
Quel repentino cambio di tono mandò a Xavier un segnale palese, qualcosa che si era aspettato da tempo.
Il ragazzo ricordava bene quell'operazione ancora in corso manovrata dalla Future Foundation; fin troppo, avendo contribuito ad essa a propria volta.
Ancora prima che gli eventi del mese passato venissero messi in moto, i giochi al massacro non erano una novità: stando alle informazioni ricevute, un'altra classe di studenti era stata rinchiusa nell'edificio principale della Hope's Peak e questi ultimi erano stati obbligati ad uccidersi vicendevolmente.
Come se non bastasse, i familiari, gli amici e le conoscenze più strette ed intime dei partecipanti erano stati sequestrati ed utilizzati come ostaggi; carburante per alimentare nei contendenti il desiderio di scappare e ricongiungersi a loro.
Xavier aveva seguito con un certo interesse le vicende di Towa city, l'isola artificiale dove queste persone erano state segregate e ridotte ad una condizione simile alla selvaggina.
Che fossero genitori, fratelli, o anche solo amici stretti, non aveva importanza: l'isola era stata resa un mattatoio in tutto e per tutto. 
Il principale timore del ragazzo, così come del resto dei suoi compagni, era che un destino simile fosse potuto capitare a coloro che avevano più a cuore; gli fu facile immaginarsi come Sonia avesse potuto conservare l'ennesimo asso nella manica, pur essendo confidente nella riuscita del suo piano.
Una volta messa avanti l'ipotesi non ci era voluto molto prima di ottenere il veemente consenso di June e Judith, che avevano premuto per accertarsi che stessero bene, nonostante il mondo intero fosse diventato una zona di guerra a causa dei Monokuma e che le possibilità di un soccorso tempestivo ed efficiente fossero esigue. 
Una squadra di ricerca era quindi stata allestita in gran fretta e mandata in azione sotto le direttive dell'Ultimate Spy il quale, non avendo ricevuto notizie da casa dopo l'annuncio della caduta di Novoselic, si era premurato di cercare il padre e il resto della famiglia reale con ogni mezzo.
Ma il quesito di Munakata aveva un fine ben diverso da quello apparente; gli occhi penetranti del rettore della fondazione non lasciavano spazio a dubbi.
Non era un rapporto, ciò che richiedeva, ma una dimostrazione. Non voleva informazioni, ma risultati.
Xavier aveva fatto partire quella ricerca, e sapeva di doversene assumere la responsabilità. Ma a gravare su di lui era ben più che qualche aspettativa.
A marchiarlo erano principalmente dei sospetti.
- ...stiamo avendo difficoltà - rispose - Abbiamo tentato di localizzare le famiglie dei nostri compagni caduti, ma con il caos che si è venuto a creare ognuno si è 
rifugiato in luoghi remoti, nascosti. Non so se riusciremo a recuperarli tutti. Forse abbiamo un indizio su dove possa essere la sorella di Hillary, ma è ancora tutto incerto -
- A quanto ho notato, Harrier ha espresso una notevole lamentela per non essersi potuta unire al gruppo di ricerca - commentò Kyosuke, facendo finta di cambiare discorso.
- June ha tre fratelli minori. E' normale che sia in apprensione - sospirò Xavier - E dubito che riusciremo a tenerla a bada ancora per molto -
- La invierò al momento più opportuno - concluse l'uomo - Dunque... mi pare di capire che dall'ultima volta non ci siano stati progressi notevoli -
La spia deglutì silenziosamente.
- ...abbiamo tratto in salvo due persone, Signore -
- E non intendo privarti del merito - proseguì - Ma non posso fare a meno di temere che questa eccessiva difficoltà sia dovuta a qualcos'altro oltre che alla mera sfortuna -
Munakata aveva finalmente sferrato il suo attacco, e Xavier si ritrovò a non sapere esattamente come affrontarlo pur essendosi mentalmente preparato.
Da quando era entrato nella Future Foundation i pettegolezzi sul suo conto si erano sprecati; in pochi lo avevano accolto affabilmente sapendo di ciò che era accaduto nel sottomarino, e men che meno il leader dell'associazione.
Pur non essendo incline alle voci di corridoio, Kyosuke Munakata non era il tipo d'uomo da agire con poca cautela di fronte alle possibili minacce.
Erano il pragmatismo e il rigore ad averlo portato al comando; Xavier lo aveva appreso a proprie spese.
- Sospetta ancora di me, Signore? -
- Sei con noi da un mese, Jefferson, ma ancora non ho la piena certezza che tu non stia lavorando per il nemico - spiegò lui, senza mezzi termini - Il tuo talento e il tuo passato ti mettono nella posizione di non poter godere di piena fiducia; spero tu te ne renda conto. E la possibilità che le missioni che ti ho affidato vadano a rilento potrebbe celare un velato ostruzionismo da parte tua. Fino a che ci sarà anche solo una singola, minuscola possibilità che tu non sia davvero un alleato, io continuerò a temere che la schiena della Future Foundation possa essere minacciata da un coltello. Mi sono spiegato? -
Xavier sospirò. Si sentì di avere a che fare con un esemplare di Michael, solo più minaccioso ed autorevole.
- Eppure ho continuamente i suoi uomini addosso, Signore - fece il ragazzo, con schiettezza - Mi risulterebbe difficile fare i miei comodi con una sorveglianza così stretta -
- La prudenza non è mai troppa, Jefferson - replicò - Ah, e ci terrei ad informarti che ho acconsentito all'utilizzo del tuo pseudonimo sotto richiesta di Flourish, e non per mia spontanea concessione -
- Non avevo dubbi, Signore - disse, con tono rassegnato - Dunque? Cosa posso fare per meritare la sua fiducia? -
Kyosuke incrociò le braccia, serrando lo sguardo.
- Portami risultati soddisfacenti - disse - Non richiedo altro. Se sei stato contaminato dalla disperazione non impiegherò molto a scoprirlo e a terminarti; intesi? -
Un lieve sudore freddo gli scese lungo la fronte.
- Lei è davvero un uomo radicale, Signore. Lo sa? -
- Esserlo è necessario - spiegò Munakata, senza mutare espressione - La disperazione non va semplicemente combattuta: va soppressa, eradicata. E' il seme maligno che ha portato a questa guerra, ed in questo conflitto io ho bisogno di sapere da che parte stai. Puoi andare, Jefferson -
Dietro a quell'evidente segnale che la conversazione era finita, Xavier si alzò dalla sedia esibendosi in un inchino formale assai sciatto.
Si voltò e si apprestò a lasciare lo studio pregando di ritornarci il più tardi possibile, quante meno volte fossero necessarie.
Xavier Jefferson, quel giorno, imparò che le etichette affibbiate dalla gente, spesso e volentieri, sarebbero rimaste incollate per l'eternità all'identità di qualcuno a prescindere dagli sforzi compiuti per rimuoverle.
Ma un altro pensiero laterale si manifestò nel flusso della sua mente, opposto ma strettamente correlato.
Xavier si fermò a pensare per un istante a come, alla Future Foundation, sarebbe potuto non essere mai il benvenuto; fu con una certa serenità che realizzò come la cosa non gli importasse.
Come fosse un tassello minuscolo in un quadro più grande, una sfaccettatura su un mosaico più complesso.
Canticchiando un motivetto inaspettatamente allegro, si diresse verso i piani inferiori dell'edificio.
I suoi amici erano tornati, e ogni altra preoccupazione non aveva più la priorità.





Solo quando le dita di Pearl sfiorarono il vetro della teca, avvertendone al tatto il freddo e la superficie liscia, si rese conto di quanto tempo era effettivamente passato da quando era entrata in quella stanza. Fissò l'orologio da parete alla sua destra; era rimasta imbambolata per almeno un quarto d'ora, persa in una contemplazione che non degnava di attenzione lo scorrere delle lancette.
Oltre lo spesso strato vitreo, custodito con estrema cura, vi era un dipinto.
Pearl Crowngale non era mai stata attratta in modo particolare dall'arte, né dal sofisticato modernismo che caratterizzava quel periodo, né dai classici che ne avevano disegnato le fondamenta e dato un'identità immortale.
L'Ultimate Assassin osservava solo ciò che catturava la sua attenzione con i dettagli giusti e al momento giusto. La definizione che si era data era quella di una ragazza con poco senso estetico, ma che seguiva semplicemente l'istinto.
Era raro che qualcosa attirasse la sua attenzione, e quelle poche volte che accadeva si trattava principalmente di lavori astratti, che sfuggivano alla logica comune.
A suo dire, gli unici quadri in grado di destare il suo interesse erano quelli in grado di "smuoverle l'anima"; nessuno aveva mai davvero compreso che cosa intendesse dire con esattezza, così Pearl aveva semplicemente accettato di essere tacciata come sempliciotta e di badare ai propri gusti senza esporli.
Nel corso del suo lavoro, tra l'altro, la ragazza non aveva avuto poi molte occasioni per entrare a contatto con il mondo dell'arte; le uniche volte erano quando Brandon Moore la aveva portata a visitare le opere custodite nella propria magione, cercando di istruirla un po'. Sentì di esserci riuscito per metà, ma fu comunque soddisfatto del risultato.
Eppure, quel giorno, Pearl scoprì un lato di quel mondo che fino a quel momento le era rimasto ignoto.
Il quadro che aveva davanti le parlava come fosse dotato di un'anima propria, raccontando una storia nota, ma con intonazione diversa.
Le pupille chiare della ragazza bionda si persero lungo i colori caldi e chiari delle due sagome che facevano da protagoniste indiscusse nell'immagine; un uomo senza volto vestito con eleganti abiti rossi cingeva tra le braccia una fanciulla, anch'essa priva di espressione e tratti somatici, che indossava un lungo e setoso vestito bianco perlaceo.
La loro danza era gioiosa e al contempo malinconica, e avvolgeva l'intero dipinto nelle proprie spire. 
Ogni colore, ogni dettaglio e ogni pennellata erano stati pianificati e ragionati con eccezionale solerzia; nonostante ciò, a Pearl il tratto non apparve troppo statico o eccessivamente movimentato.
Era come se il quadro stesso cercasse un perfetto compromesso tra la realtà e l'immaginazione; Pearl non riuscì a spiegarsi come potesse esistere qualcosa di simile, ma qualcosa dentro di lei vibrava. L'opera le piaceva, e ciò le bastava.
Unico tassello dissonante era una scia rossastra colata lungo il vestito della donna, che ne intaccava la purezza e il candido accostamento cromatico.
Una traccia di colore profondo, che Pearl sapeva non essere frutto di un banale errore: era il simbolo che l'autrice aveva lasciato in quel quadro ben più che la propria anima, ma anche qualcosa di se stessa nel significato più letterale possibile.
Forse anche il fatto di conoscere la storia che vi era dietro, e di averla vissuta in prima persona, fu un fattore determinante per il giudizio di Pearl Crowngale, la quale, in religioso silenzio, rimase a contemplarla ancora un po'.
Aveva rimirato quel quadro già altre volte, ma realizzò di non averlo mai davvero osservato come si deve.
- ...è così bello che, una volta che ci posi gli occhi sopra, non puoi più staccartene - fece una voce alle sue spalle - Dico bene? -
Pearl ne riconobbe immediatamente l'identità; non ebbe bisogno di voltarsi a salutarla, poiché June Harrier le si accostò di fianco unendosi a quel momento di ammirazione.
L'arciera ne rimirò la composizione con una punta di soddisfazione sul volto; era cosciente che se quel dipinto era sopravvissuto era soprattutto per merito suo, e non poteva fare a meno di compiacersi di quella piccola, ma preziosa impresa.
- Il mio maestro era solito dire... - mormorò Pearl, senza staccare gli occhi dall'abito della fanciulla senza volto - ...che l'arte è soggettiva, e va interpretata secondo il proprio punto di vista. Ma, al contempo, per comprenderla pienamente è anche necessario spogliarsi di se stessi ad assumere i panni di una persona diversa -
- Espandere i propri orizzonti valutando quelli altrui? - osservò June, grattandosi il mento - Molto profondo. Niente male, il tuo maestro -
- E' un uomo saggio. Mi ha insegnato molte cose - annuì lei - Spero che stia bene... -
June assunse uno sguardo più comprensivo, comprendendo quale peso avesse quell'affermazione. Dopotutto, ne condivideva l'ansia pienamente.
- Non temere; Xavier si sta facendo in quattro per trovare le nostre famiglie, e la Future Foundation ha molti mezzi e risorse - la rassicurò lei - Li troveremo -
- Quel vecchio sa badare a se stesso - sorrise lei, tentando di sdrammatizzare - Ma ha i suoi limiti. Mi auguro che tutto vada per il meglio -
- Dai, piuttosto che guardare ad un futuro incerto, pensiamo ai successi recenti! - propose June, con un sorriso smagliante - La missione di recupero è andata a gonfie vele! -
A ciò Pearl non ebbe nulla da obiettare.
Le due ragazze si erano offerte volontarie per guidare una squadra di ricognizione nel luogo della tragedia.
Localizzate le coordinate del soccorso avvenuto il mese prima, il sottomarino novoselita della famiglia Nevermind era stato facilmente rintracciato nella grotta sommersa dove era stato ormeggiato e abbandonato. Il solo pensiero di tornare lì dopo così poco tempo per smaltire l'orrore vissuto provocò in loro una contorsione allo stomaco.
Bastò mettere piede a bordo per avvertire un gelido brivido percorrere le loro schiene, mentre le urla delle vittime e il loro sangue versato tornavano come immagini residue nella loro memoria.
Eppure, la loro determinazione fu incomparabile: quella missione andava portata a termine.
Avevano lasciato ben più che ricordi spiacevoli e traumi in quelle profondità abissali: vi era qualcosa che non avrebbero mai e poi mai rinunciato a recuperare.
Qualcosa che non meritava di rimanere lì.
Una volta accertato che i Monokuma ritrovati sul posto, distrutti e ridotti in pezzi, non fossero in funzione e che l'intera struttura era stata privata di energia elettrica e delle sue normali funzioni, June e Pearl si erano prese la libertà di vagare per la scuola fittizia in cerca del loro obiettivo.
Ripercorrere il piazzale dei dormitori, la strada che passava per il ristorante, e i corridoi dove si erano consumati i delitti fu un doloroso colpo al cuore.
Quel luogo, senza luce né vita, appariva molto più come un cimitero di quanto non fosse effettivamente.
La ricerca si era conclusa, infine, con un lauto successo. E, di fronte a loro, vi era il frutto di un ritrovamento extra.
Il quadro di Vivian Left era stato posto nel laboratorio artistico così come era stato lasciato dalla sua creatrice. 
June e Pearl avevano insistito affinché potessero portarlo con loro, e non fu l'unica cosa.
Pur cercando in giro qualcosa che potesse fungere da memento, furono capaci di rinvenire soltanto un unico altro reperto: uno spartito musicale rilegato con cura e  posizionato sul pianoforte del laboratorio musicale.
Quadro e partitura erano stati messi nella stessa teca, in esibizione in una delle sale principali della sede della Future Foundation, affinché non venissero mai divisi.
June osservò malinconica il piccolo pilastro di fianco al dipinto dove era stato posizionato il plico di fogli denominato "Vivian", ultima composizione dell'Ultimate Musician e culmine della sua carriera.
Relegarli lì era come concedere loro di rimanere assieme per l'eternità.
Trattenne a stento una lacrima, ma si costrinse a resistere. Aveva pianto molto, nell'ultimo mese; in quel momento aveva bisogno di essere forte.
I suoi occhi inumiditi si posarono poi su un altro, piccolo elemento inserito nell'insieme, un qualcosa che non ricordava.
Si affacciò sul vetro e gettò un'occhiata sul bordo della mensola sottostante il dipinto; un piccolo congegno spento era stato posizionato sopra di essa, appena sotto le sagome danzanti.
Ad osservarlo meglio, si trattava di un metronomo. Notando come la fattura non pareva di fabbrica, June si chiese che cosa ci facesse lì.
- E quello? - disse a Pearl, indicando il punto in questione.
- Ah... Judith è passata non molto tempo fa - spiegò l'Ultimate Assassin - E' un ricordo di Hillary... voleva che venisse conservato qui, assieme a loro -
- Hillary... - mormorò June, abbassando le spalle - Judith aveva un suo lascito, eh? -
- Mi rammarico del fatto che non ci sia pervenuto qualcosa di tutti loro... - sospirò Pearl - La morte è assoluta, ma... nessuno merita di venire dimenticato -
- Nessuno di loro lo sarà, Pearl. Nessuno - fece June, con voce strozzata - Non potremmo neppure volendolo -
- Forse. Ma, un giorno, noi non ci saremo più. E questa vicenda verrà persa, obliterata nella storia e nelle sue innumerevoli tragedie - osservò l'altra - Il mondo si
dimenticherà del loro dolore, e sarà come se non fosse mai avvenuto. Che triste ironia... forse un po' ingiusta -
- Beh, è inevitabile, no? - commentò l'arciera - Il nostro stesso pianeta, un giorno, cesserà di esistere; e con lui, ogni ricordo dell'umanità. Tutto è destinato a svanire, quindi perché preoccuparsi di qualcosa di simile? L'importanza di questa storia sta nel valore che ha per noi, e per coloro che ne verranno in contatto. E questo credo valga per tutto ciò che riguarda la nostra vita -
- Ah, care vecchie conversazioni sull'esistenzialismo - sorrise Pearl - Non hanno età. Si finisce sempre per approfondire la questione senza mai risolverla -
- Forse è perché la maggior parte della gente il senso della vita magari lo capisce. Accettarlo, però, è un altro paio di maniche -
- Chissà? Ho passato tutti questi anni a cercare di capire cosa fosse la morte - sospirò Pearl - Ma la vita? Un vero mistero, non c'è che dire -
Rimasero in silenzio a fissare il quadro per diversi altri minuti. Nessuna delle due sentì di dover aggiungere altro.
Pearl, nel rimirare il moto danzante dei due amanti senza volto affiancato dallo spartito musicale, si domandò se quelle due opere non fossero una sorta di risposta a  quell'eterno quesito; una che apparteneva solo a Lawrence e Vivian.
Rasserenata da quell'idea, socchiuse gli occhi pacificamente, sorridendo.
- ...che ne è stato dei Monokuma distrutti che abbiamo raccolto? - disse a June, spezzando il filo del discorso e passando al successivo.
- L'ex-rettore Tengan ha chiesto che gli venissero recapitati in laboratorio per delle ricerche accurate - rispose Harrier, assecondandola - Sembra che lo studio della tecnologia nemica possa darci un considerevole vantaggio, in questa guerra a venire -
- Non dubito che i piani alti sapranno cosa farne - asserì Pearl.
Entrambe sospirarono. Era giunto il momento di andare, e di affrontare quell'ultimo gradino a testa alta.
Il motivo principale per cui si erano recate con tanta insistenza nel sottomarino era per ripescare qualcosa di molto più vitale di quanto i resti degli androidi o i ricordi dei caduti potessero mai essere. 
Nulla che potesse essere messo sullo stesso piatto della bilancia.
Le due ragazze si scambiarono una vicendevole occhiata languida.
- ...andiamo? -
- Sì... -
Uscirono dalla stanza, lasciandosi la teca alle spalle.
Era giunto il momento dell'ultimo commiato.




Il pomeriggio di Graham Claythorne andava concludendosi dopo un gran numero di ore trascorse a lavorare il terreno; appoggiò la vanga al carrello degli attrezzi, si asciugò la fronte sudata con la manona ancora sporca di terreno, e osservò in silenzio il prodotto del suo operato.
Le zolle di terra smossa indicavano che in più punti erano state scavate delle buche, adeguatamente riempite con semi dei fiori più disparati. Quel terriccio fertile avrebbe accolto alcune delle sue composizioni più belle e variopinte, un mosaico floreale che avrebbe tenuto fede alla fama che si era procurato in tanti, tanti anni di servizio.
Riuscì ad immaginarsi che forma avrebbero preso le aiuole, una volta cresciute abbastanza e doverosamente curate; più trasportava l'immaginazione, più realizzava che splendido giardino sarebbe potuto diventare con le dovute attenzioni.
Sospirò; non riuscì a sorridere.
Nell'interezza della sua onorata carriera di floricoltore, non fu capace di ricordare un singolo episodio in cui i frutti del proprio mestiere non fossero riusciti a riscaldargli il cuore, a rallegrarlo. Aveva cominciato a coltivare seguendo una passione, ed era ciò che lo aveva spinto a farne il proprio lavoro.
Graham Claythorne amava i fiori profondamente, in modo genuino; un sentimento che esprimeva solo con i fatti, e poco verbalmente.
Ma il trovarsi lì, in quel giardino, incapace di provare gioia per ciò che ne sboccerà, lo lasciò spaesato; quasi impaurito.
Una delle sue poche certezze della vita veniva meno, e Graham si trovò costretto a fare i conti con i pensieri che aveva soppresso nel corso dell'intera giornata passata a scavare, seminare, e tacere.
"Ogni fiore rappresenta qualcosa", era solito dire l'anziano giardiniere; che fosse un messaggio, un concetto, un augurio, vi era sempre qualcosa di adatto.
Ma quel giorno, Graham aveva deciso di utilizzare "parole" del tutto differenti per esprimere il suo stato d'animo.
Aveva piantato fiori vivaci, colorati, incandescenti; un tripudio di colori caldi e soavi, che potessero portare calore nell'animo di chi lo osservava.
Un calore volto, però, a fare da mediatore in una situazione opposta.
Quei fiori avrebbero avuto un scopo preciso: circondare le undici lapidi incastonate nel terreno, sulla sommità di altrettante bare seppellite nel giardino della sede principale della Future Foundation, su quella remota isola al largo della costa.
Graham non era uno sciocco; ben cosciente che fosse uso comune quello di utilizzare fiori come dono per i defunti, sapeva che il giorno in cui avrebbe dovuto adoperarli per qualcuno di caro sarebbe potuto arrivare. Era una piccola porzione del suo mestiere che gli lasciava un sapore amaro in bocca.
Ma quelle undici tombe non erano affatto convenzionali; erano troppo piccole e troppo premature.
In più, in una di loro, Graham Claythorne aveva dovuto adagiare a malincuore la cosa più preziosa della sua intera esistenza.
Si era offerto volontario per aiutare i membri della fondazione a seppellire tutte le bare nel giardino, sentendosi in dovere di dare il proprio contributo.
A detta dei presenti, nel momento in cui il vecchio aveva disteso il corpo del nipote sul letto interno della bara, nessuno era stato capace di distinguere chi fosse il morto.
L'espressione sul volto di Graham Claythorne era qualcosa che Judith Flourish si augurò di non vedere mai più per il resto della sua vita.
La ragazza era rimasta in giardino anche dopo che tutti i colleghi della fondazione se ne erano andati via, rimanendo a contemplare lo stoico lavoro dell'uomo.
Si meravigliò di come avesse trovato la forza di continuare imperterrito ad adoperarsi per far fiorire quella zolla di terra erbosa nonostante le circostanze; che fosse semplicemente per onorare la dipartita dei suoi compagni o che fosse proprio per tenere la mente occupata con altro, lontana dal pensiero di aver perduto Kevin, lo ignorava.
Judith vide in quel modo di fare qualcosa che le provocò una certa ammirazione.
Passarono diversi minuti prima che Graham concludesse il suo quantitativo di lavoro quotidiano. A quel punto, si diresse verso il carrello che aveva portato con sé e ritornò alle lapidi trasportando un mazzo di fiori.
L'Ultimate Lawyer riconobbe i petali azzurri e la costituzione larga di quei boccioli: erano ortensie. Intuì da chi Kevin avesse preso la passione per quel certo fiore.
Graham passò a depositare un'ortensia su ogni tomba, delicatamente posizionandole al centro dell'epitaffio. 
Ben presto, ogni lapide fu ornata da una gentile macchia color cielo, unico sollievo da quel mesto grigiore.
Claythorne non mancò nessuno; un fiore per Refia, un fiore per Alvin, uno per Elise, uno per Hayley.
Uno per Vivian, uno per Lawrence, uno per Hillary, uno per Karol, uno per Pierce.
Poi, Graham giunse alla tomba di Kevin; Judith notò come l'anziano avesse offerto un'ortensia in più a quel sepolcro.
"Un favoritismo comprensibile" considerò Judith, ipotizzando come l'uomo stesse dicendo addio a ben più di una semplice persona, con quel gesto.
In fondo alla fila di lapidi, per ultima, vi era quella di Rickard.
Graham si inginocchiò lentamente, ed esitò prima di poggiarvi sopra il fiore.
Voltò il capo verso destra, assaporando l'atmosfera con cautela. Non era l'unica persona ad essersi trattenuta al cimitero.
Una ragazza dai capelli corti e biondi era rimasta seduta davanti alla stele di Rickard Falls per tutto il tempo, nascondendo gli occhi verdi arrossati dalle lacrime tra le ginocchia.
Graham notò come il proprio gesto non sembrasse tangere il suo animo già fragile, sospirò, ed adagiò l'ortensia.
In silenzio, tornò al carrello ed iniziò a mettere tutto a posto per andare via, ripulendo ogni arnese con un vecchio straccio umido.
Judith osservò quel triste quadretto; non ricordava occhi così spenti dal giorno del processo di Orson Joss.
Una brezza gelida le accarezzò la guancia; quel preludio alla sera le diede un pretesto per intervenire in quella situazione disperata.
Si avvicinò lentamente alla ragazza, evitando di provocare rumore; deglutì e inumidì la lingua asciutta e seccata, cercando le parole migliori.
- ...signorina Geister, sta iniziando a fare freddo - le disse, con voce gentile e comprensiva - Le va di rientrare? -
Trascorse almeno un minuto senza che Vera reagisse minimamente a quell'invito; dopo di ciò, si alzò a fatica dalla posizione seduta e diede le spalle a Judith senza
degnarla di un solo sguardo. Si avviò a capo chino verso la sede della Future Foundation, lasciando l'Ultimate Lawyer in compagnia di una profonda amarezza.
"...di certo avrebbe preferito che sopravvivesse qualcun altro" pensò, addolorata "Non di certo io... e nonostante ciò non riesco a darle torto..."
Un lento cigolio metallico sopraggiunse, arrestandosi di colpo.
Judith osservò come Graham si fosse fermato col carrello proprio di fronte a lei, osservandola con sguardo buio.
Sorpresa da quello strano gesto, la giovane indietreggiò di un passo. Lui le fece cenno di non avere timore.
- ...non averne a male - borbottò lui.
- S-Signor Claythorne...? -
L'anziano giardiniere si grattò la barba morbida, emettendo uno sbuffo d'aria dalle narici larghe.
- Non ti odia - sospirò - Dalle tempo. Non auguro a nessuno di sopravvivere a qualcuno che ami -
Detto ciò, si diresse a propria volta lungo il sentiero per l'edificio principale lasciando Judith da sola coi propri pensieri.
Sarebbe dovuta tornare a fare rapporto a chi di competenza, ma non ne ebbe né la forza né tanto meno la voglia.
Si limitò a trovare uno spiazzo d'erba fresca su cui sedersi e rimirare il colore del mare al tramonto. 
Il fresco odore di sale e il riflesso arancione del vespro sulla superficie dell'oceano riuscirono per un istante a distogliere la sua mente da ogni pensiero, placandola.
Tornò alla realtà solo quando i suoi si poggiarono sulle due file di lapidi che aveva di fianco, dalle quali si sentiva come fissata.
Rabbrividì, e socchiuse gli occhi cercando di distogliere la vista da quella visione macabra.
- Ti stai ancora crucciando per quanto accaduto? -
Una voce dal nulla la sorprese, facendola sussultare. La familiarità del tono e dei modi si ricollegarono immediatamente all'identità dell'individuo.
- Mike... hai finito, per oggi? -
- In orario, come sempre - commentò Michael, con sufficienza - E scommetto che tu, invece, ancora no -
Lei gli mostrò un broncio sconsolato.
- Oggi non sono nel pieno delle forze... - mormorò.
- Di certo non migliorerai se continui a vessarti per ciò che è successo ai nostri compagni - rispose lui, sedendosi al suo fianco in mezzo al prato brullo.
Judith lo fissò con una certa incredulità.
- E tu, Mike? Sei davvero capace di... lasciarti qualcosa del genere alle spalle? Come se niente fosse accaduto...? -
- Devo, se non voglio impazzire. Ma voglio essere chiaro - precisò lui - Metterci una pietra sopra? Sì. Dimenticare? Impossibile. Rimarrà un ricordo indelebile, ma non vuol dire che dovrà necessariamente fare da zavorra. Non credi anche tu? -
Lo stupore mutò in uno sguardo di ammirazione.
- Devi possedere una determinazione incrollabile per riuscire ad attenerti ad un pensiero simile - si congratulò lei - Ammetto di essere un po' invidiosa della tua forza d'animo... -
- Bah... non esserlo - sbuffò lui - Sai perché sono forte? Perché sono un cinico bastardo, e mi difendo così. Conosco i miei limiti, e piuttosto che superarli preferisco assecondarli e trarne beneficio. Credimi, è molto meno stressante in questo modo -
- Judith! Non stare a sentire a quel musone! -
I due vennero sorpresi dall'entrata a bruciapelo dell'Ultimate Archer, che piombò loro addosso stringendoli con le braccia.
Michael si maledisse per non essere riuscito ad ascoltare in tempo il rumore dello scalpitare dei suoi passi, disabituato a causa dell'assenza di June dalla sede.
Era la prima volta che la rivedeva da quando era partita in missione con Pearl, e il calore del suo saluto lo travolse come un fiume in piena.
Dal canto suo, invece, Judith ricambiò con un altro abbraccio; tutta l'ansia che aveva provato nel corso della mancanza delle compagne evaporò, svanendo nel giro di quel gesto d'affetto.
A pochi metri di distanza, Pearl camminava lentamente e con entrambe le mani in tasca, sollevandone una per un saluto senza troppe cerimonie.
- Finalmente siete tornate...! - esclamò Judith, con sollievo - Temevo che potesse accadervi qualcosa di brutto, in quel maledetto sottomarino... -
- Non c'è stato nulla da segnalare, tranquilla - la rassicurò June - Anzi, ero io ad essere preoccupata per te! Se ti lasciavo ancora qualche giorno in compagnia di Mike ti saresti trasformata in una gran brontolona, proprio come lui! -
- Sono felice di vedere che il tuo tatto da pachiderma sia rimasto invariato... - la punzecchiò Michael - Piuttosto, Pearl, non sarà stato poco saggio partire appena dopo il tuo recupero? Se continui ad agire pensando di essere invincibile rischi di romperti di nuovo -
Pearl attese che June cessasse la sua breve sfuriata verso il chimico e i suoi modi poco garbati, poi si accomodò sull'erba sedendosi di fianco a Judith.
- Non temere, Mike - rispose con un sorriso - Farò attenzione -
- Dunque... il recupero è andato senza intoppi, giusto? - domandò timidamente Judith.
Pearl e June si limitarono ad annuire e a rimirare il risultato dei loro sforzi.
I loro occhi si poggiarono sulle undici bare conficcate nel terreno, poco lontane dall'ombra di un salice solitario cresciuto nel giardino, le cui fronde si muovevano ad ogni capriccio del vento.
La spedizione aveva avuto come principale obiettivo il recupero delle salme che, a detta di Xavier, si trovavano in un punto nascosto dell'imbarcazione alla quale solo i loro aguzzini avevano potuto avere accesso normalmente.
Il vederli imprigionati nella resina, congelati in un tempo che non scorreva più, quasi come fossero trofei, aveva provocato nelle due ragazze una sensazione d'ira che a malapena erano riuscite a contenere. Si erano personalmente prese la briga di tirarli fuori dalle loro gabbie, da quella immeritata galera, e di portarli via.
La sepoltura in quel luogo era sembrata l'alternativa più umana e rispettosa per poter dare finalmente un ultimo addio ai loro compagni, sfortunate vittime di un'ingiustizia.
Persino June non riuscì a preservare il proprio buonumore a quella vista, e optò per aggiornarsi con Judith e Michael in un secondo momento.
Si sedettero fianco a fianco tutti e quattro e rimasero in silente contemplazione.
Uniche rotture di quella quiete erano lo spirare del freddo vento serale e il rumore quatto dei passi di una quinta persona, che in quel momento giungeva dal vialetto.
Xavier oltrepassò il sentiero e raggiunse il praticello dove i quattro compagni si erano riuniti. 
Ebbe un momento di rapida paralisi nel vedere le lapidi, ma evitò di fissarle troppo a lungo. Avrebbe avuto tempo e modo, per quello. 
Si limitò a far scivolare le scarpe lungo l'erba umida, incamminandosi col viso rivolto verso il tramonto.
Nessuno proferì parola al suo arrivo; June si limitò a spostarsi per fargli spazio, e il ragazzo si accomodò tra lei e Judith.
- Sei in ritardo - lo incalzò Michael.
- Ciao anche a te, Mike - rispose lui, sorridendo, silenziosamente grato per aver rotto il silenzio che incombeva - Il capo mi ha tenuto in ufficio più del previsto -
- Ancora non ti ha preso in simpatia? - domandò June, sbuffando - Che tipo cocciuto... -
- Non ho fretta di farmi piacere - disse, quasi con noncuranza - Appena porterò risultati sufficienti, vedrete che allenterà la presa -
- Munakata è un uomo rigido, ma giusto - si intromise Judith, tentando di mettere una buona parola - Vedrete che presto capirà che non ha nulla da temere -
- Fa bene ad avere dubbi, invece - sbottò Michael - Non mi sarei fidato di lui se ti avesse accettato di buon grado alla cieca -
June batté una mano per terra con del vivido rossore in faccia.
- Non sei proprio in grado di dire qualcosa di carino, vero...!? -
- Ho solo esposto un dato di fatto! - ribatté il chimico - E poi cosa credi? Anche io ritengo che sarebbe meglio per tutti se iniziassero a dare a Xavier un po' più di credito -
- Dai, June, non prendertela - rise Xavier - Lo sai benissimo che è il suo modo di tirarmi su di morale. E' fatto così -
Detto ciò, elargì a Michael un pacca amichevole sulla spalla allungando il braccio. Inaspettatamente, l'Ultimate Chemist sbuffò e ricambiò il gesto.
L'arciera rimase piacevolmente colpita dall'intesa che i due ragazzi avevano raggiunto in quel tempo che era stata via; guardò Michael con uno sguardo che emanava fierezza e soddisfazione, ed anche una maliziosa vena di compiacimento. Michael fece di tutto per ignorarla, ma arrossì in modo palese.
- Piuttosto... June, Pearl? - proseguì Xavier - Sono felice di trovarvi bene -
- E' stato più semplice del previsto - lo rassicurò l'Ultimate Assassin - Ce la siamo cavata con poco sforzo -
- Io e Pearl facciamo una squadra notevole, se c'è da far lavorare i muscoli! - si pavoneggiò scherzosamente l'arciera.
- E anche il recupero dei familiari coinvolti nell'incidente sta procedendo bene - aggiunse Judith - Alcuni sono già stati portati in salvo. Confido che le ricerche saranno fruttuose -
Le notizie sarebbero dovute essere di conforto, ma Xavier sapeva che non erano altro che un paraurti.
Quella conversazione era finalizzata a ben altro che al semplice scambio di novità e al recuperare momenti persi.
I cinque compagni stavano tacitamente evitando di buttare in mezzo lo scomodo argomento principale, tanto minaccioso quanto vicino.
Xavier sentì la necessità di far durare quella finta calma ancora un po' più a lungo.
- Avete programmi nell'immediato futuro? - domandò loro - Cosa farete ora che la missione è conclusa? -
- Io sono ancora sommerso di roba da fare - rispose Michael, grattandosi la nuca - Sto lavorando nel reparto scientifico della fondazione sotto le direttive di Kimura -
- Oh! Sei riuscito a farti qualche amico o continui a fare il lupo solitario? - domandò June, sperando in un responso positivo.
- Per il momento conserviamo un rapporto strettamente professionale - sentenziò lui - Ma devo dire che c'è gente interessante, lì. La nostra leader ha poca spina dorsale, ma è in gamba -
- "E' in gamba" mi sembra un ottimo complimento sulla "scala Mike" - rise Judith - Vorrà dire che possiamo stare tranquilli -
- Anche io mi terrò impegnata per un po' - sopraggiunse Pearl - Dopodomani riparto in missione -
June spalancò gli occhi. 
- Ma come... di già!? -
- Sei appena tornata e già ti getti di nuovo nella mischia - commentò Xavier - E' davvero necessario? -
La ragazza si sistemò i capelli biondi scompigliati dal vento.
- C'è stata un'emergenza in alcune città non troppo distanti da qui - spiegò lei - A quanto pare c'è un pazzo che se ne va in giro ad ammazzare ogni criminale colpevole di omicidio gli capiti a tiro. Mi unirò alle indagini della sesta divisione della "Sezione Speciale Anti Crimine" della Future Foundation per un po' di tempo -
Nell'udire ciò, a Judith vennero i sudori freddi ed una repentina contrazione allo stomaco.
- Vai sulle tracce di "Killer Killer"...? L'assassino di assassini!? - esclamò l'Ultimate Lawyer - M-ma... una missione simile, a così breve distanza dalla tua convalescenza...! -
- E' imperativo che la cosa venga risolta il prima possibile - asserì Pearl - Il problema, a quanto pare, ha finito per ingigantirsi nelle ultime settimane -
- U-un momento...! Questo matto prende di mira gli assassini...! - strepitò June - Non è un motivo in più per NON andare!? -
Pearl Crowngale non riuscì a darle torto; era ben cosciente che il suo titolo di "Ultimate Assassin" avrebbe costituito principalmente un forte svantaggio, in quell'indagine.
Ciononostante, aveva preso la sua incontrovertibile decisione.
- ...è proprio per questo che devo farlo - disse fermamente - Anche se ho trovato la mia risposta a quella fatidica domanda, sento che è ancora parzialmente incompleta. Un "assassino di assassini"... ho come l'impressione che questa persona possa avere qualcosa che a me ancora manca -
Lo sguardo glaciale di Pearl non lasciava spazio a dubbi; non avrebbe permesso a nessuno di fermarla.
Judith comprese come l'amica stesse andando non solo a compiere il proprio dovere, ma anche ad affrontare una parte di sé con cui doveva ancora regolare i conti.
Notando come la sua scelta fosse stata presa con coscienza e fermezza, nessuno tentò di dissuaderla. Non riuscirono, però, a non trasudare una certa apprensione.
- P-promettici solo che starai bene... ok? - balbettò June, tenendola per mano.
Di tutta risposta, Pearl mostrò loro un sorriso caldo e privo di preoccupazione.
- Non mi perdonerei se non tornassi da voi - disse - Ce la farò. Avete la mia parola -
- Questo mi basta - sospirò l'Ultimate Archer, vagamente rincuorata - Anche io farò la mia parte; mi unirò al team di avanguardia a partire dalla prossima settimana -
Un'occhiataccia accigliata di Michael la colse alla sprovvista.
- Bah! Proprio il lavoro più pericoloso dovevi andare a scegliere! - esordì lui con un grugnito insoddisfatto - Perché proprio nella squadra incaricata di stanare e catturare i seguaci della Disperazione!? Vuoi farci morire d'ansia!? -
- B-beh, qualcuno doveva pur farlo...! - replicò lei, incapace di capire se Michael le stesse facendo una ramanzina o si stesse semplicemente preoccupando per lei - E
poi un tiratore è sempre utile... ed è tutto ciò che so fare -
- Rilassati, vecchio mio, avrà dei veterani a coprirle le spalle. Nella truppa del capitano Izayoi ci sanno fare - aggiunse Xavier, mitigando la situazione - Inoltre, tutte le missioni sono organizzate e coordinate dai nostri alleati al Quartier Generale, quindi siamo in buone mani. Dico bene, Judith? -
Xavier si sentì costretto a richiamare a sé tutto l'aiuto possibile per placare l'apprensione di Michael prima che lo facesse esplodere.
Sgomitò scherzosamente verso Judith, attendendo di ricevere man forte dal suo affidabile pragmatismo; aiuto che, però, non giunse come si era atteso.
Xavier ci badò poco fino a quando non scorse il viso dell'Ultimate Lawyer, perso a fissare un punto nel vuoto davanti a lei.
- ...Judith? -
Quel richiamo reclamò l'attenzione degli altri tre, che notarono quanto palesemente l'espressione della compagna fosse diventata più cupa, quasi come si fosse spenta.
A preoccuparli principalmente era stata la velocità con cui era avvenuto quel cambiamento, cosa assai rara soprattutto considerato il suo carattere mite.
- Judith, che succede? - Pearl si sporse verso di lei - Qualcosa non va? -
Judith Flourish sospirò con un velo di tristezza; il labbro le vibrò con un tremolio incerto.
- ...dunque è così? - mormorò - Andiamo... semplicemente avanti con le nostre vite? -
Il suo occhio languido era rivolto verso le steli funebri ordinatamente disposte davanti a loro.
Non fu necessario precisare il contesto per capire cosa stesse provando in quel momento; Pearl ricordò la conversazione avvenuta poche ore prima con June e di come
era rimasta impressionata dal modo in cui l'Ultimate Archer era riuscita a convivere con quel grosso fardello emotivo.
Era un confine che, però, Judith ancora stentava a varcare.
Non attribuì quella sfaccettatura del suo carattere ad una mera deformazione professionale, ad un avvocato troppo protettivo che non riusciva ad accettare una condanna
ingiusta, bensì ad una sua forte caratteristica caratteriale: Judith non era in grado di dimenticare o di lasciar correre, nemmeno volendolo.
Il suo morboso senso di giustizia le impediva di sentirsi a proprio agio in caso anche una singola circostanza non fosse andata nel verso giusto; Pearl ricordò come la fine del secondo processo e il disperato tentativo della compagna di impedire l'esecuzione di Hayley le fossero rimasti impressi come indelebile segno di quel suo tratto spesso deleterio e, a lungo andare, forse autodistruttivo.
Persino quel suo fermaglio bianco, accessorio divenuto un marchio distintivo, non era altro che un memento che la ancorava ad un insuccesso passato.
Anche quel giorno, l'Ultimate Lawyer tendeva la mano in avanti come a voler raggiungere quelle di chi non c'era più.
- Dovremmo alzarci, voltare le spalle... - mormorò lei - ...e accettare che rimangano qui, a marcire in questo giardino...? -
- Judith, non pretenderai di assumerti la responsabilità di quanto accaduto? - obiettò Pearl - Hai il brutto vizio di flagellarti per cose che non puoi controllare -
- Lo so... conosco questa parte di me, e la detesto - sospirò - Ma, al contempo, mi sento bruciare dentro e so di non poterci fare nulla! E' vero, siamo sopravvissuti... siamo rimasti in vita fino alla fine, ma... a quale prezzo? E' davvero giusto che noi siamo qui e che loro siano... lì sotto? -
- No, ovvio che non lo è - intervenne June, oramai priva del suo usuale sorriso - Ve lo dissi anche allora: una volta morto il primo di noi, non vi sarebbe stata alcuna possibilità di avere un epilogo che ci rendesse felici... questo non è un lieto fine. Non lo sarà mai -
- L'unica cosa che abbiamo guadagnato è la possibilità di scegliere - fece Michael, con lo sguardo perso nella vastità del cielo - Scegliere di continuare a vivere o di farla finita. Ai nostri compagni non è stato concesso neanche quello. Tutto sommato dovremmo ritenerci fortunati, non trovi? -
- La possibilità di scegliere... - Xavier assaporò quelle parole. Avevano un gusto amaro.
Aveva vissuto la propria esistenza come un ciclo continuo di causa ed effetto, scelta e conseguenza. E le decisioni che aveva preso nel corso di quel mese avevano portato a quel momento; a loro cinque, seduti sul prato di un cimitero, a domandarsi il significato di ciò che avevano trascorso nel sottomarino.
Il vedere Judith così afflitta da quel dolore non era una visione semplice da digerire, soprattutto considerando quanto il ragazzo attribuisse a se stesso la responsabilità di quei decessi. Le parole di June di un mese prima ancora gli rimbombavano in testa: "un fardello che si sarebbe portato dietro per la vita".
Non avrebbe mai voluto che qualcuno, men che meno Judith, si sobbarcasse un peso che spettava a lui e alle scelte che aveva fatto.
Ma non aveva intenzione di traslarlo su qualcun altro, né voleva farsi schiacciare da esso.
Se l'unico modo di tirare avanti era di diventare abbastanza forte da poterlo reggere, Xavier Jefferson lo avrebbe fatto.
- Loro non ci sono più; ora tocca a noi - disse Xavier, volgendo l'occhio alle proprie spalle, verso il tramonto - Dobbiamo scegliere. Scegliere se continuare, o arrenderci. E tu cosa farai? Ce l'hai un motivo, una speranza, anche solo un presentimento, che ti spinge a proseguire? -
- Un motivo, dici...? - domandò lei, ancora insicura.
- Sì, uno scopo - fece June, girandosi a sua volta verso il mare tinto dal riflesso arancione - Un motivo per rialzarti e reagire -
- ...un motivo per preoccuparti per qualcuno - Michael si tolse gli occhiali e lasciò che l'aria fredda del mare gli inondasse il volto.
- Un motivo per combattere - Pearl si slegò i capelli biondi e li lasciò danzare al vento.
- Ce l'hai un motivo per vivere, Judith? - le domandò, infine, Xavier.
Judith Flourish sentì la mano di Xavier raggiungere lentamente la sua, stringendola con affetto. Ne avvertì la presa delicata e calda, morbida al tatto.
Rimirò il suo sguardo: addolorato, ma gentile. Ferito, ma forte. Un singolo occhio verde brillante, senza paura, senza malizia.
Un occhio che non celava inganni.
E, a quel punto, finalmente sentì il proprio animo sciogliersi candidamente. Sorrise, e si asciugò quell'unica lacrima che aveva versato in quel breve frangente.
Strinse a sua volta la mano, e allungò il braccio opposto fino a raggiungere Pearl e June, invitando anche Michael ad unirsi.
Ognuno contribuì a quell'abbraccio, formando una catena compatta, unita.
Judith avvertì il calore di quelle quattro persone come fosse il proprio, quasi fossero una sola cosa, avvertendo il tocco delle loro mani e delle loro volontà.
Assieme, i cinque amici osservarono il lento calare dell'ultimo raggio di sole di quella fatidica giornata.
Quando non vi furono che la sera e le stelle a cingere quel momento, Judith socchiuse l'occhio e lasciò andare un lungo, lento sospiro.
- Ce l'ho -


 
FINE
 


 
-   -   -   -   -   -   -   -   -
 
Questo capitolo segna la fine di "Danganronpa Side: The Eye's Deception",
una storia fanmade volta a rappresentare ben più che un tributo alla saga.
Un ringraziamento speciale a Zarwell_94, per averla seguita fin dal principio e per aver fornito costante supporto, a whitemushroom e Roxo per averla assaporata nella sua interezza e per i commenti e la passione che mi hanno dimostrato nell'apprezzarla,
e a chiunque sia arrivato fino alla fine di questo racconto.
Spero vivamente che l'odissea vissuta da questi miei sedici personaggi possa aver significato per voi
tanto quanto ha avuto valore per me il potervela raccontare.
Che possiate aver appreso qualcosa dalle loro vite, o semplicemente che la lettura possa avervi intrattenuto;
lo considererei un successo in entrambi i casi.
Non è una semplice storia; per me è molto importante, e leggendola le avete dato vita.
Grazie per averle dato una possibilità.


 
- Valozzo

 



Un ringraziamento a Master Chopper per l'affetto dimostrato per questa storia
e per questo suo regalo speciale.
 
   
 
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