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Autore: heliodor    11/11/2018    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Nota:
Se non vi ricordate chi sono Roge e Malbeth (sono mesi che non sappiamo che fine hanno fatto) leggete prima i capitoli 133 e 134.

La Cittadella

 
"Non mi piace" disse Malbeth. "Non mi piace affatto amico Roge."
Roge, in piedi davanti allo scaffale colmo di libri, leggeva i titoli sui dorsi dei volumi aiutandosi con l'indice. "Stai calmo, Mal. Non agitarti."
"Non dirmi di non agitarmi" disse Malbeth guardandosi attorno.
Indossavano entrambi un saio grigio chiuso in vita da una corda nera.
"Invece te lo dico" disse Roge senza smettere di cercare tra i libri allineati lungo lo scaffale. "Mantieni la calma o rovinerai tutto il lavoro fatto finora."
"Ma perché siamo venuti qui? È pieno di preti del culto."
"Che sorpresa. Siamo nella loro biblioteca principale" fece Roge con tono canzonatorio.
Malbeth saltellò sui piedi come un bambino che doveva andare in bagno e se la stava tenendo. "E ti sembra una buona idea? Se ci trovano..."
"Vedranno solo due monaci che stanno cercando dei libri."
"Monaci che non hanno mai visto prima" disse Malbeth. "Che stanno cercando dei libri proibiti."
"Se si trovano nella biblioteca allora non sono proibiti, no?"
"E se chiamassero le guardie? Quelle lame d'argento fanno paura."
Roge sbuffò. Da quando aveva tolto le catene al collo di Malbeth, l'uomo era diventato sempre più ciarliero mano a mano che passava il tempo. Era incredibile la quantità di cose che riusciva a dire se non gli metteva un freno.
Deve essere rimasto zitto per anni, pensò Roge. E ora sta cercando di recuperare il tempo perduto. O forse è stato sempre un gran chiacchierone e io non ho fatto altro che liberarlo di nuovo. Forse è per questo che la strega nera gli aveva messo un collare.
Scacciò quel pensiero. Era meschino da parte sua anche solo pensarlo. Malbeth si era dimostrato un buon amico e un fedele compagno. E un aiuto, in certi casi.
Come quella volta alla fattoria.
Voleva dimenticare quella volta, ma non riusciva a non penarci almeno una volta al giorno.
Era stato quella notte che aveva scoperto qual era il vero potere di Malbeth.
Ed era questo, non il loro curiosare nella biblioteca, che poteva metterli in serio pericolo. Un pericolo mortale che poteva rispedirli a Krikor con la prima nave a disposizione.
A meno che le lame d'argento non avessero deciso di porre fine alle loro vite lì, in quel preciso istante.
Ce n'erano centinaia a guardia della cittadella di Azgamoor, il luogo più sacro e inviolabile del mondo conosciuto.
Inviolabile per tutti, ma non per lui.
Era impossibile avvicinarsi alla cittadella, anche per l'illusionista più abile. Le lame d'argento erano in grado di vedere oltre il velo. Potevano sentire in qualche modo che avevano di fronte una persona che stava celando il suo vero aspetto o che si stava nascondendo dietro l'invisibilità.
Qualunque fosse la tecnica che usavano, era efficace. Nessuno stregone aveva violato la cittadella negli ultimi secoli.
Almeno così si diceva in giro.
Roge però era diverso.
Lui non aveva bisogno di rendersi invisibile o trasfigurare. Tutto ciò che doveva fare era concentrasi, trovare un portale che lo collegasse a un altro all'interno della cittadella stessa e usarlo.
Più facile a dirsi che a farsi.
Trovarne uno gli costava uno sforzo sovrumano. A Krikor si era illuso di riuscirci facilmente, ma per qualche motivo in quella terra la densità di portali era alta e a lui bastava spendere poche forze per trovarne uno.
Ad Azgamoor era diverso.
I portali erano pochi e difficili da trovare. E anche quando ne individuava uno, doveva tracciarne il percorso per capire dove portava. Ciò gi costava altri sforzi che consumavano gran parte delle sue energie.
La maggior parte dei portali conduceva fuori città, diretti chissà dove. Ne aveva trovato uno che puntava a nord, verso il mare. Non aveva idea di dove finisse. Forse su di un'isola o magari in mare aperto.
Era impossibile saperlo senza tracciare il portale.
Trovarne uno che portasse all'interno della cittadella aveva richiesto giorni di sforzi e tentativi. Aveva temuto di cedere e dover rinunciare, ma alla fine c'era riuscito.
L'ingresso del portale si trovava in una via laterale di una piazza che di giorno era trafficata ma che di notte di svuotava.
Il che voleva dire che solo col buio poteva usare quella via per entrare nella cittadella.
L'uscita si trovava in una sala spoglia all'interno di uno degli edifici di mattoni che formavano la parte centrale del complesso.
Dopo il primo viaggio aveva scoperto che era vuota, ma avevano corso un rischio enorme quando avevano attraversato la soglia.
Si erano preparati per giorni, studiando diversi piani di fuga nel caso si fossero ritrovati in un dormitorio o nella mensa.
Invece erano apparsi di notte in quello che doveva essere stato un magazzino in disuso, poco sopra il livello della strada.
Da lì avevano iniziato a esplorare la cittadella con cautela, usando il saio come copertura nel caso fossero stati scoperti.
Finora nessuno aveva fatto loro domande e i monaci non si erano accorti che erano degli estranei.
Nella cittadella c'erano migliaia di preti, monaci e altri religiosi. Gli era parso normale che venissero ignorati.
Ma per quanto tempo accadrà? Pensò Roge. Prima o poi incontreremo qualcuno abbastanza curioso o tenace da porci delle domande alle quali non sappiamo rispondere e allora tutto questo finirà.
Prima che accadesse doveva trovare quello che gli serviva.
"Questi libri non vanno bene" disse scuotendo la testa.
"Cos'hanno di sbagliato?" domandò Malbeth. "Sono libri. Tu cercavi libri, no?"
"Non sono abbastanza antichi. Guarda questo." Prese uno dei volumi e l'aprì. "In fondo all'ultima pagina c'è la data in cui è stato scritto. La vedi? È di appena due secoli fa."
"Non basta?"
"Mi servono testi più antichi."
"Quanto antichi?"
"Mille anni. Duemila. Non lo so."
"Nessun libro può resistere per così tanto tempo" disse Malbeth. "La carta diventerebbe polvere."
"È per questo che esistono le copie. Ora taci e dammi una mano."
Si spostarono in una sala adiacente dove c'erano altri scaffali allineati lungo la parete. Al centro erano stati sistemati tavoli e leggii. In quel momento erano vuoti, vista l'ora tarda.
Ma non erano gli unici frequentatori della biblioteca. Ogni tanto qualche monaco passava perla sala senza fermarsi e senza badare a loro.
In ogni caso Roge fingeva di aver trovato il libro che stava cercando quando questo succedeva e lo rimetteva a posto non appena il nuovo arrivato si era allontanato.
Uno dei preti entrò nella sala e gettò un'occhiata verso di loro.
Come le altre volte Roge afferrò il primo libro e lo aprì a una pagina a caso.
Invece di andare via il prete si avvicinò. "Fratello? Che stai facendo a quest'ora? Posso aiutarti?"
E ora, pensò Roge.
"Credo di aver trovato quello che cercavo" disse mostrando il libro.
"Posso vederlo?" Il prete allungò la mano verso di lui.
Roge gli porse il libro.
"Trattato di filosofia di Andus Guylhail" disse il prete leggendo la copertina. "Ti interessi di filosofia orientale, fratello?"
Roge si strinse nelle spalle. "Pensavo di scrivere un saggio."
"È roba da eruditi" disse il prete storcendo il naso.
"La mia è solo curiosità" disse Roge annaspando alla ricerca di una scusa credibile.
"Non mi hai detto come ti chiami" disse il prete.
Roge sfoderò il suo sorriso migliore. "Nemmeno tu. In ogni caso io sono Elias Hele e lui" indicò Malbeth. "Arman Mersa."
Aveva scelto quei nomi copiandoli da un romanzo d'avventura. Sperò che quel prete non fosse un appassionato dei romanzi della Stennig.
"Io sono Giray" disse l'uomo. Gli restituì il libro. "Mi occupo di tenere aggiornato il catalogo della biblioteca."
"Davvero?" fece Roge interessato. "Posso chiederti se ci sono dei libri che mi interessano?"
"Chiedi pure."
"Cerco testi precedenti al primo periodo della tirannide."
Giray sembrò pensarci sopra. "Si tratta di testi di millecinquecento, duemila anni fa. Forse anche di più."
Roge scrollò le spalle. "La storia è l'altra mia passione" disse con modestia.
Giray annuì. "Forse posso aiutarti, ma mi serve un po' di tempo per compilare una lista di testi che potrebbero interessarti."
"Davvero lo faresti?"
Il prete sorrise. "Per un fratello questo e altro. Vado a recuperare quella lista. Tu aspettami qui."
Mentre si allontanava Roge pensò a quanto era stato fortunato.
"Visto?" disse a Malbeth. "Sta andando tutto bene."
"Io non mi fiderei di quel prete."
"A me sembra una brava persona. Ci sta anche aiutando."
Malbeth non smise di fissare l'entrata della sala. "Aveva qualcosa di strano negli occhi."
"È quello che dici di tutti quelli che incontriamo. Te lo ricordi il locandiere che secondo te ci spiava solo perché aveva un neo sul naso? O quel contadino che pensavi ci stesse inseguendo mentre la sua fattoria stava per andare a fuoco?"
"I suoi occhi non mi piacciono" ripeté Malbeth. "Andiamo via."
Roge sospirò. "Solo quando avremo quella lista."
"Andiamo adesso" disse Malbeth. Si avviò con passo spedito verso l'entrata della sala.
Roge gli corse dietro e lo prese per il braccio. "Dove vai?"
Malbeth si voltò. Sembrava sul punto di mettersi a piangere. "Dobbiamo andare via. Non mi piace."
"Invece resteremo qui" disse Roge. "Solo per cinque minuti, intesi?"
Malbeth lo fissò con espressione vacua.
"Dovevi ascoltare il tuo amico e andartene."
L'uomo in armatura entrò nella sala con passo silenzioso nonostante il metallo che aveva addosso.
Roge trasalì alla sua vista.
Abbiamo parlato troppo, pensò. E a voce troppo alta.
La sua mente lavorò furiosa per trovare una via di fuga. Il portale d'uscita si trovava in un altro edificio, impossibile raggiungerlo senza farsi vedere. E lì attorno non percepiva altri portali.
Il guerriero appoggiò la mano sull'elsa della spada. La sua armatura scintillava sotto la luce delle torce, tanto da sembrare d'argento. "Qualunque cosa tu abbia in mente di fare, ti consiglio di non farla."
È solo, pensò Roge. E noi siamo in due. Stregoni addestrati. O almeno io lo sono.
A Valonde si era allenato come tutti gli altri nel colpire un guerriero in armatura, ma non era mai stato molto bravo. I suoi tiri andavano a segno solo cinque o sei volte su dieci, molto al di sotto della media.
Bryce, la migliore, mancava il bersaglio solo una volta su cento.
Posso farcela, si disse.
"Non mi senti quando parlo?" fece il guerriero. "Ti ho detto di non pensarci nemmeno. Finiresti solo per farti male. O morire."
"Ha ragione lui, amico Roge" disse Malbeth.
"Non dire il mio nome."
Giray, scortato da altri sei guerrieri in armatura d'argento, entrò nella sala. "Se si muove colpiscilo, Deham."
Il guerriero mantenne la sua espressione rilassata.
I sei guerrieri si disposero in cerchio attorno a loro.
Se c'era una possibilità di fuggire, ora l'ho persa, si disse Roge.
Malbeth sembrava più tranquillo adesso che erano in guai seri che prima.
Non lo capirò mai, si disse Roge.
Giray si tenne fuori dal cerchio. "Se fai una sola mossa le lame d'argento ti colpiranno."
Roge alzò le mani. "Mi arrendo."

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