“Quando sarò grande
farò
il pittore
e saprò
ritrarre con i miei colori
il
mondo che mi circonda.
E dopo aver eguagliato con le mie tele
quelle dei grandi maestri,
me
ne andrò lontano,
in
un luogo dove la voce del mondo non possa raggiungermi;
là, in mezzo agli alberi e alla natura,
innalzerò una piccola capanna
dove
mi ritirerò a dipingere,
solo con me stesso.”
Parole di un bimbo dai riccioli d’oro, la
carnagione rosea e delicata e occhi azzurri come fiordalisi, un moccioso
ridente e sbarazzino, imbronciato e con lo sguardo perso nel sogno.
Un bambino felice.
Ma questo era tanto tempo fa, prima che
tutto accadesse, prima che tu morissi abbandonandomi, vero mamma?
Riesco a vederti mentre scuoti la testa e
i ricci rossi ti ricadono sul viso, coprendo il tuo volto di eterna bambina.
Forse è stata una fortuna che tu sia
morta..
Forse Dio non ha voluto che il tempo
deturpasse la tua bellezza e la tua fresca giovinezza, preservandoti prima che
i suoi effetti si facessero vedere. Ha voluto mantenere intatto il tuo fuoco
prima diventasse cenere.
Mi sorridi e ridi, con quella tua risata
limpida e gioiosa che ti fa brillare gli occhi.
L’ho cercato dappertutto, negli occhi di
ogni donna che ho incontrato, ma non sono riuscito a scovarlo.
Pensavo che Sakura fosse quella giusta..
Mi ha lasciato, abbandonato e mollato
senza riguardi.
In fin dei conti sapevo che prima o poi
sarebbe successo, ma ho sempre sperato fino all’ultimo che non accadesse e che
imparasse ad accontentarsi come ho fatto io, ad adattarsi alla vita “normale”.
Già, perché Sasuke Uchiha, il famoso
pianista, era quello.
Anche se la perdita dell’ultimo non lo tangeva
più del dovuto né urtava in alcun modo la sua placida vita di pittore fallito.
Infatti, sebbene da piccolo fosse stato
il suo sogno quello di diventare un grande pittore e di rivaleggiare con
maestri del calibro di Leonardo e David, non gli era mai importato nulla né
della fama né della ricchezza che ne sarebbero derivate.
Perché interessarsi a qualcosa di così
effimero e illusorio?
Naruto era un artista e come tale era
abituato ad osservare con occhio critico e imparziale il mondo che lo circondava,
andando oltre le mere apparenze.
Benessere, prosperità, fortuna…Tutte
sciocchezze.
Aveva smesso di credere al destino, fato,
sorte o quant’altro parecchi anni fa.
Si, l’aveva amata e per un breve istante
era stato ad un passo dal prometterle la vita che sognava, chiederle di aver
fiducia in lui e di attendere pazientemente ancora per poco, ma l’aveva persa.
A Naruto piaceva la propria vita, andare
vagabondando per la campagna senza alcuna meta o destinazione precisa, sostare
dove il suo senso artistico trovasse motivo di ispirazione, eseguire ritratti
ai passanti, nella libertà più completa senza impegni o secondi fini a frenarlo
in alcun modo.
Non c’era un perché né un come e perché mai
avrebbero dovuto esserci?
La sua vita gli piaceva e basta. Lo
faceva sentire in pace con se stesso e con il mondo intero, ma soprattutto in
quel modo gli sembrava di vedere nell’intimo di ogni persona e di ogni cosa, là
dove erano riposti i segreti del cuore umano.
Sai cos’è quello che mi fa più rabbia,
mamma?
Ah no scusa, è stato un regalo di Sakura.
Comunque ti dicevo, dopo mezz’ora sono riuscito ad accendere quel piccolo
apparecchio tutto fili e bottoncini.
Che dire?E’ nato per fare il pianista
quello lì, come io sono nato “per donare
il sorriso alle persone”.
E’ così che dicevi sempre, no?
Era vero, pensò ricordando.
Erano sgorgate note fresche e dolci, ora
veloci ora lente che avevano riempito da sole il vuoto della stanza. L’armonia
dolce e malinconica prodotta da mano ferma e calda, l’aveva guidato come per un
sentiero immaginario, nei meandri del sogno.
Seguendola, si era ritrovato in giardini
freschi e profumati, rallegrati dal sorriso di mille fiori diversi, in saloni
sontuosi in cui si aggiravano a suon di valzer o di minuetto cavalieri e dame
d’un tempo lontano.
Gli era sembrato di udire il canto del mare, quando l’onda si allarga sempre
più e viene ad infrangersi sulla scogliera, con un suono melodioso e
prolungato. Le ondate si erano susseguite mentre il brano procedeva, finché il
tono era cresciuto d’intensità e ricaduto risuonando a lungo.
Un ultimo accordo d’arpa aveva
accompagnato il finale, poi tutto si era spento.
Il maledetto si meritava davvero quello
che aveva conquistato. Perfino lui avrebbe voluto essere trasportato di nuovo
nell’irreale da quelle note chiare e brillanti, patetiche e gioiose, le arcane
voci degli angeli.
Un vento gelido percorse il
cimitero, serpeggiando tra le tombe e le lapidi, arrivando fino a lui. Lo
carezzò a lungo, dolcemente e con dita gentili, sussurrò al suo orecchio meste
parole incomprensibili, poi così com’era arrivato se ne andò, spostando la sua
attenzione altrove, pronto ad allietare con il suo canto e a raccontare con i
suoi sussurri dolenti la propria solitaria storia, a svelare i segreti che
custodiva nel proprio pianto infinito a qualcun altro.
“Credo sia il caso che io vada…” mormorò
sottovoce.
Si piegò sulle ginocchia e sfiorò con le
mani la lapide di fronte a sé sorridendo tristemente.
Aprì il cappotto scuro che indossava,
prendendo dalla tasca interna un piccolo fiore avvolto nella carta trasparente
che poggiò con delicatezza sul marmo grigio.
Un bucaneve, il suo preferito.
Alzò lo sguardo al livello della lastra ed
incontrò quello indulgente di sua madre ed il consueto sorriso affettuoso.
Con gli occhi appannati e un groppo alla
gola lesse l’incisione “Kushina se trouve ici, ne jamais oublier, jamais aimé”.
Stirò le labbra in un ultimo sorriso
stentato e raddrizzò la schiena, scattò in piedi e prendendo il borsone di
fianco a lui se lo mise in spalla.
“Ci vediamo il mese prossimo allora…Ciao
mamma.”
Voltò le spalle alla tomba e si incamminò
nella direzione opposta, senza osservare dove stesse andando, la sicurezza consumata
da chi conosce a memoria la strada che sta percorrendo e non potrebbe perdersi
neanche per sbaglio o procedendo ad occhi chiusi.
Le spalle curve, i passi lunghi e cadenzati,
tutto intorno a quella figura nera, cupa e misteriosa nel suo atteggiamento
chiuso, era immobile. Il vento non soffiava e l’aria era ferma, fissa nella sua
inerzia. Perfino la natura sembrava comprendere i sentimenti di quel suo figlio
e intimava alle altre sue creature il silenzio, per rispettarne il dolore.
Sarebbe passato mai quel sordo rimbombare
nel suo animo?La tortura a cui la sofferenza lo sottoponeva ogni mese
straziandolo?
Forse un giorno avrebbe smesso di
attribuirsi colpe che non aveva e di sentirsi responsabile, ma quel giorno era
ancora lontano e lui mal sopportava stoicamente quel supplizio.
Affrettò
l’andatura ed attraversò il cimitero velocemente. Superò busti di pietra
ed angeli dalle ali spezzate, fantasmi di epoche ormai decadute e dimenticate.
Scese i gradini di pietra e sorpassò le
tombe di grandi poeti ed artisti gremite di turisti, senza degnarle di uno
sguardo. Primo dei cimiteri civili di Parigi, e anche il più grande, Père
Lachaise Cemetery era insieme a costruzioni del calibro di Notre-Dame, il
Louvre e
Per seppellire lì sua madre, la sua
famiglia aveva speso una fortuna e lui si ritrovava ancora a pagarne i mutui,
ma non gli interessava. Per lei avrebbe fatto questo e altro.
Dopo dieci minuti di camminata si ritrovò
finalmente in prossimità dell’uscita. Percorse Père Lachaise Avenue, un lungo
viale alberato, quasi correndo e si precipitò all’uscita. Solo dopo che gli
imponenti cancelli di ferro battuto si furono richiusi dietro di lui,
ricominciò a sentire il proprio cuore ritornare a battere più lentamente ed il
respiro farsi più tranquillo, normale.
Inspirò a pieni polmoni l’aria frizzante
e carica di pioggia di quella mattina e si avviò verso la fermata dell’autobus,
controllando l’ora sull’orologio al polso. Erano le otto e ventitré e l’autobus
sarebbe passato fra qualche minuto. Si sedette stancamente sulla panchina e si
mise ad aspettarlo; era impaziente di arrivare ai giardini il prima possibile.
Con quel tempo pazzo, com’era naturale considerato il fatto che fosse marzo,
doveva cogliere ogni momento buono per dipingere. Fece un rapido conto. Era il 15,
gli erano rimasti meno di 100 euro e doveva ancora pagare le bollette del gas e
della luce. Per il cibo non si preoccupava, c’era sempre nonna Tsunade in
fondo.
Guardò di sfuggita l’orologio. Otto e
ventisei.
Erano ricordi della sua infanzia,
momenti spensierati e meravigliosi in cui sua madre era costretto a tirarlo
ogni volta per la mano o a prenderlo in braccio. Quante volte aveva rischiato
di essere investito?
Ora c’erano gli autobus, veloci e silenziosi,
dall’aspetto gelido, come di grosse lucide bestie meccaniche che ingoiavano gli
uomini. Quel suo andare veloce che faceva sbattere di qua e di là la gente non
era proprio, per niente, piacevole e gli dava invece l’impressione di essere un
pacco da portare a destinazione. Il vecchio e caro tram invece aveva un modo di
fare più garbato e saggio, anche più cortese. Di lui ora restavano solo quelle
rotaie vecchie, ma presto sarebbero state tolte anche quelle.
Che rimaneva di quell’era giocosa quindi?Niente,
a meno dei ricordi, pallida memoria di cose lontane.
Otto e trenta. L’aggeggio infernale si
fermò di fronte a lui proprio in quel momento, efficiente e in perfetto orario
come al solito.
Salì veloce e rimase in piedi, mantenendosi
al corrimano di alluminio per non cadere a terra, appena quello ricominciò a
camminare.
Due fermate. Sarebbe sceso a metà di
Avenue des Champs-Élysées e da lì sarebbe arrivato a piedi ai Jardin du
Luxembourg, passando per Boulevard Saint-Germain, Bd Raspail e infine Bd du Montparnasse.
Avrebbe preso un taxi. No, costava
troppo. Magari avrebbe trovato qualcuno con cui dividerlo..
D’accordo avrebbe deciso del da farsi sul
momento. Aveva scoperto da tempo che nei mezzi pubblici era più utile
mantenersi distanti ed occupati. Anche semplicemente osservare qualcuno creava
problemi ormai. Volse gli occhi al di fuori del finestrino, ammirando il viavai
di gente e le strade caotiche.
Non poteva sapere Naruto che quel giorno
sarebbe arrivato a destinazione molto più tardi rispetto a quanto avesse
creduto, bloccato da un problema, un piacevole problema.
*
“Mi scusi, non può andare più veloce?”
Comodamente seduta sui sedili di pelle
nera della vettura, basco nero calato sulla ventitré e gambe accavallate, la
ragazza che aveva appena posto quella domanda cominciò ad attorcigliarsi una
lunga ciocca dei capelli scuri intorno all’indice.
Aveva il viso piegato leggermente verso
il finestrino e gli occhi puntati, sebbene nascosti dalle lenti scure dei grossi
occhiali da sole Chanel, verso il conducente mentre aspettava una risposta.
“Signorina mi dispiace, ma siamo bloccati
nel traffico. Vuole che chiami un’altra vettura che la accompagni all’Opèra?”
Il tono non era stato scortese e Hinata
non se la sentì di rispondergli in alcun modo. Dopotutto la colpa non era di
quell’uomo, ma sua che quella mattina aveva fatto tardi.
Tutto a causa della stupida festa a cui
era stata trascinata a forza da Ino e
che si era protratta fino all’alba. Aveva appena avuto il tempo di tornare a
casa, farsi una lunga doccia fredda e spalmarsi di creme per aver un aspetto
quantomeno decente, cercando di alleviare le profonde occhiaie che le
cerchiavano gli occhi, simili a lunghi lividi. Ino, previdente, le aveva
mandato il suo parrucchiere di fiducia, il miglior styliste della capitale,
davvero in gamba visto che era stato capace di domare in appena un’ora e mezza la
matassa informe e ingarbugliata che aveva al posto dei capelli che ora le
scendevano invece lisci e serici come seta sino alla vita. Per i vestiti invece
era stato tragico. Non si era mai accorta di averne tanti e tra 450 capi tutti
d’alta moda aveva perso ben più di dieci minuti.
Insomma era scesa giusto in tempo, ma ad
un orario decente che le permettesse di arrivare prima di molti altri colleghi.
In vita sua non era mai stata un tipo
sfortunato, ma neanche particolarmente fortunato.
Quella mattina di metà marzo però, si
ritrovò a pensare che qualcuno lassù doveva avercela con lei. Ciò che le stava
succedendo infatti non era minimamente possibile, né concepibile. Che alla
prima limousine si rompesse il motore era plausibile. Certo non le era mai
successo, ma dovevano essersi dimenticati di controllarla. Sulla seconda con
l’autista sbronzo non ci era nemmeno salita, ma adesso quando lo chauffeur,
rivolto verso di lei, andò a sbattere contro la macchina di fronte, si disse
che qualcosa non andava. Era impossibile, matematicamente impossibile e
scientificamente provato, che un tale ammasso di sfortuna la colpisse tutto in
una volta. Proprio quel giorno, quello con la conferenza..
Gemette e si portò una mano al viso,
mentre sentiva il guidatore davanti a loro cominciare a gridare contro il suo
autista. Non poteva andare peggio di così…
Le ultime parole famose. Nello stesso
istante il suo cellulare cominciò a squillare insistentemente e dopo pochi
secondi l’abitacolo della vettura si riempì delle note di una canzone de “La
carica dei
Crudelia
De Mon
Crudelia De Mon
Farebbe paura
persino a un leon
Al sol vederla
muori d'apprension
Crudelia Crudelia De Mon
Forse come musichetta del cellulare
poteva sembrare un po’ infantile, ma lì sul momento le era sembrato l’unico
modo per riconoscerla senza controllare il numero, anche perché il nomignolo
affibbiatole le appariva ogni volta stranamente distorto.
Forse perché sei cieca come una talpa…
Accidenti! Per chiamarla lei doveva
essere davvero in ritardo..
Mentre cominciava il ritornello, Hinata
si decise a tirare fuori dalla borsa di matelassé nera il suo iphone ultimo
modello e ad accettare la videochiamata.
Sul display del cellulare troneggiava la
figura altera della sua aguzzina, il despota che la tiranneggiava ormai dalla
veneranda età di cinque anni.
Indossava il completo serioso, come amava
definirlo, che consisteva in una camicia di seta color vinaccia con ampie maniche
e polsini bloccati con bottoni d’argento a metà avambraccio, infilata in una
stretta gonna di raso nera. Un pendente a forma di camelia viola, in oro bianco
e ametista, scendeva dolcemente nella profonda scollatura, aperta appena in un
gioco “vedo non vedo”.
I vaporosi capelli biondo cenere erano tirati
in un austero chignon con la fila laterale, il bavero inamidato della camicetta
ben alzato intorno al collo sottile. Tutto a conferire a quella donna dal
fascino e dalla bellezza innegabile un aspetto severo e rigido, inflessibile,
come lo sguardo che incrociò.
Un lungo secondo di silenzio e poi fu
investita dalla urla furibonde di Ino Yamanaka, sua migliore amica nonché
famosa autrice di romanzi rosa, cinica, sfrontata e spudorata, una di quelle
rare persone senza peli sulla lingua.
“SI PUO’ SAPERE CHE FINE HAI FATTO??SARANNO
TUTTI QUI A MOMENTI!”
“Ino..” pigolò lei cercando una via
d’uscita in quella situazione, ma senza trovarla. E intanto l’altra continuò a
gridarle contro, abbassando appena il tono di voce, “Proprio oggi dovevano
venirti le manie da protagonismo?Oggi che c’è il meeting?”
Finalmente Hinata trovò il coraggio di
risponderle; con un movimento fluido della mano si tolse gli occhiali e piantò
i suoi occhi grigi in quelli blu oltremare dell’altra.
“Non puoi neanche immaginare cosa mi sia
successo da quando sono riuscita a tornare a casa stamattina!L’appartamento era
vuoto!Vuoto, capisci?E come se non bastasse il fatto che l’acqua calda non
c’era e il frigo fosse vuoto, la limousine si è rotta. Ma no, aspetta, non
finisce qua! La seconda aveva l’autista sbronzo e la terza è andata a sbattere
contro una macchina! E tu vieni a dirmi che mi comporto da prima donna!?”
Durante tutto il suo breve sproloquio
Hinata non aveva ripreso fiato e si ritrovò con il respiro spezzato e le guance
chiazzate di rosso, sgonfiata come un palloncino. Sentiva la testa leggera..
Ino, dallo schermo del telefono, invece la
guardò come se si fosse improvvisamente messa a ballare con l’hula hop. Accanto
a lei fece capolino la testa scura della sua manager che aveva assistito a
tutta la scenata e la guardava tra il faceto e il divertito. Ok, che Ino
urlasse come una scaricatrice di porto era cosa di normale amministrazione, ma
che anche Hinata, la raffinatissima pupilla della sua agenzia, si mettesse a
fare acuti e a strepitare, era qualcosa di preoccupante e stava a significare
soltanto una cosa: la sua protetta aveva raggiunto un pericoloso punto di rottura.
Se n’erano accorte da tempo ormai: era stanca, distratta e questo per una
persona come lei, abituata a dare sempre il massimo e ad impegnarsi
costantemente, era molto strano.
“Wow..” riuscì finalmente a dire Ino,
sbattendo gli occhi, abilmente truccati e illuminati da un ombretto porpora, un
paio di volte e sostituendo all’espressione sbigottita una semplicemente
stupita e preoccupata.
“Ehm tesoro forse sei un po’ stressata,
vuoi che Kurenai sposti la conferenza a domani?”
Spostare la conferenza?In quel modo
avrebbe avuto la giornata libera in teoria, ma sapeva bene che in realtà
l’avrebbe trascorsa in teatro a provare…
Come leggendo nei suoi pensieri Ino arcuò
leggermente le sopracciglia e le sorrise maliziosa e radiosa. “Niente prove
tranquilla..Oggi avrai una giornata tutta per te. Torna a casa e riposati,
oppure esci e divertiti. Te la meriti.”
La vide bisbigliare qualcosa a Kurenai che
si mise a ridere e poi si voltò nuovamente verso di lei.
“L’unica raccomandazione che ti facciamo
è di non perderti e portare dei contanti con te. Non vorrei offenderti cara, ma
l’ultima volta che sei uscita ti abbiamo ripescata due ore dopo circondata da
una folla urlante e scalpitante.” La sua espressione divenne irritata e
proseguì “Non vorrei neanche puntualizzare, ma per tirarti fuori di lì mi sono
beccata un pugno in uno occhio e il livido è rimasto per due settimane. Due settimane
rinchiusa in casa!Riesci a comprendere il supplizio?” Si portò una mano al
cuore e l’altra con il dorso sul viso rivolto verso l’alto, gli occhi chiusi.
Che attrice..Da oscar..
Immaginava che..ehm..atroce sofferenza
fosse stata per Ino non uscire, ma era stato necessario. Chissà che scalpore
avrebbe causato facendosi vedere con un occhio tumefatto. Prevedeva già lo
scandalo e lei per prima sapeva meglio di chiunque altro cosa potesse causare e
significare in una carriera. Anche una singola sciocchezza come quella avrebbe
potuto mandare in fumo anni e anni di duro lavoro, come sporcare una fedina
penale precedentemente senza macchie.
L’ematoma di Ino, rinomata per la sua
fama di accalappiatrice e adescatrice di uomini ricchi e
Dopotutto “chi
di spada ferisce, di spada perisce”. Quando si prefiggeva di conquistare
qualcosa o qualcuno, Ino non guardava in faccia nessuno ed era capace di
abbattere ostacoli di qualsiasi tipo, comprese fidanzate recalcitranti ad
abbandonare i loro compagni o spose all’altare. Eh già, perché l’ultima
conquista della sirena bionda era una vecchia fiamma, molto vecchia, dato che
risaliva alle scuola medie.
Ino aveva deciso all’improvviso, forse
guardando vecchie foto, cosa piuttosto improbabile, o più credibilmente
controllando lo scrigno, pardon baule, delle memorie, vale a dire doni, omaggi
e quant’altro elargitole nel corso degli anni dai vari partner, che avrebbe
recuperato l’amore e i regali del plurimiliardario giapponese Shikamaru Nara e
poco importava se il suddetto uomo era a due settimane dal compiere il grande
passo. Proprio così.
Dopo battibecchi furiosi, litigi e buffe, il matrimonio
era saltato e lo sposo si era convinto di essere ancora profondamente legato
all’ex ragazza, di cui peraltro non conservava alcun memoria.
Che dire della sventurata sposa
abbandonata così infelicemente all’altare?Niente, sennonché in un impeto di
gioia assai difficile a comprendersi, aveva abbracciato colei che le aveva
mandato all’aria le nozze.
Bah, le stranezze della vita..
E così ora Ino si era trovata una
preziosa e quanto mai utile alleata, gradita compagna di giochi e passatempi,
un’anima affine alla sua. Temari Sabaku, statuaria e bionda come una dea greca
e con occhi pece pronti a incenerire chicchessia, aveva allegramente
abbandonato il tetto paterno e il Giappone, trasferendosi nella libera
metropoli francese e si era subito immersa nella Borsa Internazionale,
investendo i suoi modesti risparmi nel campo delle finanze con ottimi, se non
brillanti, risultati.
In pochi mesi era riuscita a rendersi
completamente indipendente e con quel fiuto per gli affari che era proprio
della famiglia d’origine, i suoi guadagni erano aumentati e cresciuti
proporzionalmente alla sua reputazione, cancellando la sua nomea di fidanzata
sfortunata e disperata e trasformandola in quella di brillante donna in
carriera.
E intanto Ino aveva smesso di cambiare
uomini con la stessa frequenza delle borse, trovando molto più redditizio e
conveniente approfittare a tempo indeterminato delle grazie e delle virtù del
fidanzato e delle risorse pressoché illimitate della Nara’s Company.
Unendo al danno la beffa, il disgraziato
si era visto non soltanto oggetto di brame indescrivibili e imprigionato nelle
grinfie di un’arpia, ma anche descritto dai quotidiani e dalle riviste
scandalistiche come crudele e spietato millantatore che aveva spezzato il cuore
ad una perla come
In un colpo solo, imprigionato nelle reti
della donna e senza aver alzato un dito, aveva cominciato ad essere descritto
ovunque come un casanova e rubacuori, un vero e proprio libertino senza freni, capace
con quell’espressione svogliata e al contempo indifferente sul volto di far
cadere ai propri piedi qualsiasi donna.
Se la sua “quasi” moglie si era limitata
ad un’azione legale per diffamazione e a rubargli i migliori investitori, la
sua attuale fidanzata non era stata tanto amabile e premurosa e gliele aveva
cantate di tutti i colori.
Ancora portava i segni del massacro
nascosti dai suoi eleganti completi Armani.
Ino, bella quanto furba, era stata tanto
accorta e prudente da non colpirlo in punti visibili, cosicché nessuno potesse
osservare ciò che le sue gentili manine gli avevano procurato.
Lo sventurato sopportava con stoica
pazienza le strizzatine d’occhi, ogni battutina maliziosa o pacca sulla spalla,
perché anche se avesse voluto confessare il suo stato di vittima soggiogata al
volere della donna, chi gli mai avrebbe creduto?
Eppure Shikamaru aveva trovato, insieme a
tanti guai e disgrazie, anche un’amica sicera, partecipe del suo dolore ed
esposta come lui al carattere volubile e suscettibile di Ino. Tutto il
contrario di Ino, tanto da chiedersi come potessero così diverse essere tanto
intime, Hinata Hyuga aveva solleticato la sua curiosità ed acceso il suo
interesse. E la fidanzata, invece che prenderlo a pugni come al solito, sue
bizzarre dimostrazioni d’affetto, era stata ben felice di soddisfarlo e di dare
risposta alle sue domande.
C’era stato un lampo di orgoglio, mentre
decantava le lodi e i pregi della sua amica, biasimandola contemporaneamente
per il suo carattere introverso e discreto e lui aveva cominciato a
interrogarsi su chi fosse quella donna riservata e misantropa con cui scambiava
sempre poche parole tra uno spettacolo e l’altro all’Opéra, che aveva accettato
anni e anni di soprusi e angherie dalla sua deliziosa compagna tacitamente e
con rassegnazione e che vedendola arrivare sorrideva sempre allegra, con quel luccichio
misterioso negli occhi e senza ombra di malizia.
Nei mesi successivi, mentre la sua
relazione con Ino procedeva a grandi vele, era stato semplice e istintivo
conoscere la sua migliore amica e arrivare ad un livello di comprensione
sconosciuto alla sua adorabile metà.
Era stato Shikamaru ad avvisare Ino e a
metterla in guardia sulla salute della ragazza, a consigliarle di parlare alla
sua agente affinché ne limitasse il lavoro.
Con sguardo attento Shikamaru aveva
sempre pensato, sin dalla prima volta che aveva visto Hinata, che dietro quel
suo incantevole aspetto di ninfa dei boschi, si nascondesse un fisico esile e
fragile e una salute delicata e Ino, dando ascolto agli accorti e saggi
avvertimenti dell’uomo, aveva cercato di provocare una reazione nell’amica e di
smuoverla dalla posizione in cui si era cristallizzata nell’unico modo che
conosceva.
Gli inviti a cene, feste ed eventi mondani erano aumentati a vista
d’occhio, tanto che Hinata si era ritrovata la cassetta della posta sommersa di
lettere e praticamente costretta a prendervi parte.
Ma partecipare attivamente ai ricevimenti
dell’alta società non era stato un bene e non aveva fatto altro che acuire il
suo senso di insoddisfazione e repulsione verso quel mondo frivolo, sofisticato
quanto finto, superficiale e capriccioso. Il tedio per quella vita vuota era
aumentato, mentre lei era diventata succube della notorietà di cui ormai godeva
non solo a Parigi, ma anche nel resto nel mondo ed incapace di occuparsi da
sola di sé.
Cose semplici e basilari come prepararsi un pasto, asciugarsi i
capelli o anche vestirsi erano ormai sfumature tenui e lontane di una vita che
non esisteva più perché semplicemente non era più sua.
Come Shikamaru le aveva predetto, Ino ne
aveva osservato progressivamente il lento deterioramento. Oppressa dalle
responsabilità e dagli obblighi, la squisita dolcezza e la sincera cortesia di
Hinata erano state plasmate fino a diventare costrutto artificioso di un
altresì costrutta identità. Come poteva confondersi l’ingenuità con l’astuzia,
la mitezza e la moralità con spocchiosa alterigia e superbia?Da semplice
ragazza qual era, era stata plagiata e trasfigurata in una figura dalle
fattezze irreali con conseguenze disastrose per il suo carattere sprovveduto e
inesperto. Hinata, ferita da tali bassezze e menzogne, tradita nella fiducia di
cui aveva sempre dato prova, si era fabbricata un sistema protettivo basato su
un limitato numero di certezze e sicurezze e si era rinchiusa in esso. La danza,
da coronamento di un sogno di bambina, era diventata semplice lavoro. Nessun
piacere nel ballare sulle note di musiche stupende e a stretto contatto con
grandi artisti. A che pro emozionarsi?Per essere nuovamente ferita o per
ricevere nuove pene e dolori?
Alla bravura e alle sue lampanti capacità
erano allora subentrate la professionalità e la serietà per le quali ora era
ancor più lodata e approvata.
Eppure a memoria di quelle accuse infondate
che avevano un tempo messo in discussione la sua preparazione, rimanevano
cicatrici invisibili, segni indelebili, tracce pronte a ricordarle ciò che si
era ripromessa anni or sono.
La
fama, il successo, la gloria prima di tutto.
Conclusa la telefonata con Ino, Hinata sospirò
e lanciò una breve occhiata all’orologio tempestato di diamanti stretto al suo
polso sottile. Otto e quarantacinque.
Aveva la giornata libera, ma come
l’avrebbe trascorsa?E soprattutto dove?Tornare a casa era impensabile. Ora
ricordava vagamente di aver concesso la giornata libera ai domestici e non
aveva alcuna intenzione di tornare agli appartamenti che davano sulla Senna.
Erano sigillati da anni ormai, anche se una donna aveva ordine di tenerli
funzionanti e in ordine in qualsiasi momento. Che fare dunque?
Le urla in francese dei due uomini si
erano fatte più alte e di lì a poco la vettura sarebbe stata circondata di
persone. Quando si trattava di vedere persone litigare la gente era
particolarmente ricettiva le aveva spiegato Ino e presto bene o male avrebbero
iniziato a domandarsi chi andasse in giro in limousine. Di sicuro qualcuno che
fosse abbastanza ricco da potersi permettere un lusso del genere: un politico o
una celebrità.
Dal finestrino vide alcune persone dai
marciapiedi fissarla insistentemente. Si voltò verso il suo autista e poi di
nuovo verso quelle persone. Sospirò e scosse leggermente la testa, mentre
prendeva il telefonino, la borsa e i suoi inseparabili occhiali da sole.
Sistemò meglio il cappello ed aprì lo sportello. La prima cosa che i passanti,
fermatisi ai bordi dei marciapiedi per assistere alla scena, videro, furono
bassi stivaletti di pelle con lacci sul davanti e lunghe e snelle gambe
fasciate in pantaloni di velluto scuro. Le calzature, piccole come se a
indossarle fosse una bambina di nascosto dalla madre, toccarono l’asfalto e vi
si aggrapparono saldamente, come in cerca di un appiglio. La mano candida,
quasi non vedesse la luce del sole e non ne sentisse il calore da tempo che
uscì, si assicurò alla fiancata dell’auto e Hinata si alzò, protetta ai
pericolosi occhi del mondo dalle lenti degli occhiali, a celarle il viso come una
maschera sino al naso, impeccabilmente francese, piccolo e con la punta
all’insù. Visibile solo la bocca dalle labbra sottili, lucida e rossa come una
ciliegia.
I lunghi capelli d’ebano si aprirono come
un ventaglio dietro la schiena e la figura sottile, coperta da un lungo cappotto
di lana cotta immancabilmente nera, si slanciò e si protese in tutta la sua
altezza verso il cielo a svettare su tutto ciò che la circondava.
Borsa al fianco, cappello sempre pendente
su un lato secondo l’indiscussa e intramontabile tradizione e moda parigina,
Hinata si guardò intorno e riconosciuto il luogo in cui si trovava come Avenue
des Champs-Élysées, si diresse a passo svelto verso i taxi, precipitandosi nel
primo, senza accorgersi di non essere sola fino a quando fu troppo tardi per
tornare indietro.
*
Non era sola, appurò senza aprire gli
occhi. Per paura di essere riconosciuta dall’occhio più attento o allenato di
un passante, si era buttata nel taxi senza neanche controllare che fosse vuoto.
Mossa sbagliata e al contempo perfetta. E
con quella prima manovra il destino cominciò a muovere i suoi fili invisibili e
a tessere la sua tela.
“Mi scusi…” una voce bassa e roca
convinse Hinata ad aprire finalmente gli occhi.
Alzò la testa fino a incrociare lo
sguardo divertito e in parte seccato di un uomo, più che legittimo dato che gli
era praticamente finita addosso e lo stava schiacciando.
Prima ancora di guardarlo in volto la sua
attenzione fu completamente catturata dalla macchina fotografica che gli
pendeva al collo. Un brivido le corse lungo la schiena e chiedendo scusa
debolmente, si sedette sul sedile di fianco, rigida e decisa fermamente a
scendere alla prima occasione.
Era un fotografo, magari anche
giornalista..Accidenti tutte le sfortune a lei?
“Signorina..” la voce del conducente la
riportò alla realtà.
“Si?” sussurrò indecisa se buttarsi
dall’auto in corsa o..
“Mi dispiace, ma dovrebbe scendere,
vede..”
“Non fa niente.” lo interruppe l’uomo
dietro di lui “Io e la signorina divideremo il taxi, sempre che per lei vada
bene si intende…” si girò verso di lei e lo vide osservarla con sguardo
penetrante e squadrare tutta la sua persona.
Fece un breve segno di assenso e rivolse
gli occhi al finestrino senza vederlo davvero, mentre il cuore le batteva
all’impazzata. Forse l’aveva riconosciuta e le avrebbe fatto domande, ma lei
non aveva alcuna intenzione di rispondere. No, nessuna..
“Dove deve andare, signore?”
“All’Opèra e sono anche in leggero
ritardo, quindi se potesse andare più veloce le sarei grato.”
All’Opèra?Possibile stesse andando per
seguire la conferenza o peggio per parteciparvi?
“E voi signorina?”
Non ci aveva pensato..Dove voleva
andare?Sentì lo sguardo del suo vicino fastidiosamente puntato sul collo e si
affrettò a rispondere di slancio “Jardin du Luxembourg.”
“Nella direzione opposta..” sentì
borbottare l’autista, un uomo basso e leggermente tarchiato, con radi capelli
sulla testa tonda e lucida come una moneta.
Una ciocca di capelli le finì sugli
occhiali e lei la spostò dietro l’orecchio.
L’uomo che aveva notato anche quel gesto
per lei familiare, le rivolse la parola nuovamente.
“Jardin du Luxembourg, eh?Offrono uno
spettacolo straordinario in primavera. E’ la prima volta che vi si reca?”
Hinata spostò la testa di tre quarti,
quel poco che bastava per guardarlo in faccia e non sembrare una maleducata e
sorrise distratta.
“No, ma è da tempo che non ci vado e
desidero molto vederli.”
Era vero. Se ne accorse nel momento
stesso in cui le parole le scivolarono veloci dalle labbra. Erano passati mesi,
se non anni dall’ultima volta in cui c’era andata, in cui aveva sentito la
brezza gentile del vento carezzarle il viso e i capelli volarle intorno.
“Come avrà capito sono un giornalista.”
Si era accorto del lungo sguardo che
aveva lanciato alla macchina fotografica, così come sapeva che a lei non fosse passato
inosservato il modo in cui l’aveva studiata da capo a piedi.
“All’Opèra c’è un meeting con il Corpo di
Ballo e sono tutti in fermento perché pare ci sarà anche
“No..”si affrettò a rispondere Hinata,
con voce leggermente più dolce rispetto a prima.
“E’ appassionata di danza classica?” rispose
interessato l’uomo.
Aveva capelli castani lunghi fino al
collo, legati in un codino, un filo di barba appena accennata su mento e guance
e profondi e intensi occhi verdi.
Ora che ci pensava non aveva l’aspetto
proprio dei giornalisti. Ma qual era l’aspetto dei giornalisti?
“Una mia amica è una ballerina.” si
ritrovò a precisare.
“Oh..capisco e immagino lei sia una sua
grande ammiratrice.” osservò con un grande sorriso, per nulla derisorio o
canzonatorio.
“Strano..” replicò allora Hinata in parte
colpita, fissando di nuovo dinnanzi a sé.
L’uomo la guardò, aspettando che
continuasse. “Davo per scontato che la sua prossima domanda sarebbe stata chi
fosse questa ragazza, se fosse brava o al massimo se fosse francese.”
L’altro indurì appena lo sguardo, mentre
la mascella si irrigidiva.
“Penso che lei abbia un’idea piuttosto
distorta del giornalista o la travisi completamente.”
“Non credo.”osservò assente.
“Non tutti i reporter sono persone senza
scrupoli, pronte ad inventare frottole o storie, screditando chiunque pur di
far comprare più giornali. Le riviste, di qualsiasi genere, non sono
diffamazione gratuita.”
Si girò verso il tassista mettendogli in
mano dei soldi. “Io scendo qui.”
“Ma la conferenza all’Opèra?”chiese
quello meravigliato.
“Ho l’idea che oggi non ci sarà alcun
incontro, dato che la protagonista non sarà presente.”
Lo sapeva!L’aveva riconosciuta, ma allora
perché…?
Ancora intontito, ma comunque felice per
non dover più fare un bel tratto di strada, l’autista che non aveva compreso la
situazione, fermò il taxi e si voltò per dargli il resto, ma lui lo bloccò
ammiccando in direzione di Hinata. “Pago anche per la signorina.”
Aprì lo sportello e stava per scendere,
ma all’ultimo secondo parve ripensarci e si girò verso di lei, un’espressione
di desolato dispiacere dipinta sul volto.
“So che non potrà mai dimenticare il torto
fattole anni fa, ma mi prometta di pensare a quello che le ho detto. Ricordo
con nostalgia una ragazza meravigliosa che ai tempi del suo debutto, salendo
sul palcoscenico dimenticava ogni cosa e sembrava brillare ed irradiare luce
come una stella, fulgida nella sua semplice bellezza non artefatta. Ora invece
quella ragazza è una donna, fuoco che brucia qualsiasi cosa tocchi. Certo le
fiamme sono stupende, ma le dirò una cosa…personalmente preferivo la purezza
dell’acqua e la sua capacità di
disinteressarsi completamente del resto.”
Una breve pausa di silenzio, il tempo
necessario per vedere la donna di fronte a lui tenersi tenacemente al sedile e
le rivolse un sorriso gentile, mentre la osservava boccheggiare alla ricerca di
una risposta con la maschera che si sfaldava e cadeva miseramente in pezzi.
“Le auguro una buona giornata,
signorina.”
Una breve folata di vento la colpì, prima
che lo sportello si richiudesse e lei rimanesse inerme, come svuotata e privata
di ogni energia. Le parole dell’uomo a rimbombarle nella mente in una nenia
senza fine, si ritrovò a riflettere e a ponderare sulla sua vita come non
faceva da anni.
Sin da bambina le era stato inculcato che
fosse suo preciso dovere essere la persona che era diventata. Poco importava
che lo fosse davvero o fingesse, lei doveva sembrare perfetta, splendida ed
impeccabile e forse perché sotto l’influsso di una buona stella o per semplici
capacità personali, era riuscita a raggiungere le pesanti aspettative
familiari, superandole se possibile.
E da tutti era vista come l’emblema dell’eleganza
e della grazia.
Era apprezzata molto per il suo carattere
così insolito in quell’ambiente, schivo e quasi timido, da altri visto come
semplice altezzosità e superbia, ma soprattutto per il suo corpo.
Detta così sembrava orribile, ma era
questa la realtà. A tutti importava poco o nulla di Hinata Hyuga, figlia di un
importante imprenditore giapponese innamoratosi di una donna francese. Tutti
cercavano e accoglievano tra loro la prima ballerina del corpo di ballo
dell’Opéra Garnier e prima franco-nipponica a ricoprire il ruolo di première
danseuse nel prestigioso ensemblee francese, notoriamente chiuso ad
“infiltrazioni” straniere*.
Ultimo passo della sua carriera al
momento, era stata la promozione a étoile e anche dietro questo premio più che meritato, erano girati
pettegolezzi ad opera dei soliti maligni invidiosi che dietro la sua veloce
scalata e il suo successo, vedevano solo esempi di corruzione o influenze
esterne.
C’è chi sin da bambino ha un sogno e lo
porta avanti con le unghie e con i denti, chi purtroppo è costretto a
rinunciarvi perché non ha la possibilità di renderlo realtà, chi ancora non
alza un dito e si trova già appena nato con un futuro assicurato. Eppure un
sogno non porta felicità, o almeno non sempre. Lei la sua felicità l’aveva
buttata via, quando aveva cominciato a ballare senza anima, con rabbia e
perseguendo un fine stupido e senza senso. Ma era stato davvero un errore così
terribile cercare di ottenere e di assicurarsi degli agi che la rendessero più
tranquilla?Eppure non le avevano portato felicità. No, rinunciare a se stessa e
indossare la maschera che tutti volevano vedere, l’aveva resa ostile e privata
dell’unica cosa che la rendesse davvero soddisfatta, rendere felici le persone,
commuovere e far sorridere.
Una vita senza scopo non può esistere.
“Signorina!”
Il conducente aveva fermato la macchina e
girato verso di lei la fissava preoccupato.
“Si sente bene, signorina?”
“Oh..si grazie..”
“Siamo arrivati.”
Volgendo gli occhi al finestrino Hinata
vide l’entrata dei giardini, affollata come al solito.
Con un groppo in fondo alla gola si fece
forza e si avviò con passo sciolto ed elastico verso la fiumana di persone che
premeva per entrare, facendosi trasportare all’interno dai movimenti frenetici
della ressa.
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