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Autore: Ily Briarroot    12/11/2018    4 recensioni
[Fanfic partecipante al contest "Una citazione, una storia" indetto da Elettra.C sul forum di EFP]
Tuttavia, continuava a essere preda di quella verità che nascondeva a tutti e che ogni tanto scalpitava dentro sé, per venire fuori. Si sentiva in colpa ogni volta che ci pensava, perché aveva permesso troppo a Gin e a quel farmaco tramite il quale aveva ucciso molte persone. Non l'avevano mai usata, si era fatta usare, e il ricordo di ciò che era Sherry - prima di essere Ai Haibara - era un peso importante da sostenere da sola.
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Gin, Hiroshi Agasa, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara, Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Behind a shadow




[Don’t you shut your eyes
Don’t hide your heart behind a shadow
‘Cause you can count on me as long as I can breathe you should know
I’ll carry you through the night, through the storm
Give you love only love in return]





L'oscurità avvolgeva tutto, in quella notte fredda e silenziosa. Il tempo era congelato, perso in uno spazio senza certezze, in bilico tra illusione e realtà.

All'improvviso, il silenzio interruppe ogni dialogo, ogni frase di circostanza, ogni spiegazione incompiuta. Le preoccupazioni, la paura e ogni minimo senso di sollievo erano da affrontare individualmente; i cuori battevano furiosi, consci di un pericolo che erano riusciti a evitare.

La prima a non proferire parola, dopo quel salvataggio dell'ultimo secondo, era stata lei.

Non riusciva a capire a cosa fosse dovuto quel malessere profondo che causava le lacrime trattenute a stento negli occhi fragili.
Non sapeva se fosse per il proiettile che le scarniva la pelle all'altezza dell'anca, per quello che le attraversava la spalla destra provocandole fitte tremendamente puntuali o per il bruciore sullo zigomo insanguinato.

No, probabilmente era qualcos'altro. Qualcosa che le aveva scavato così tanto a fondo, che non avrebbe mai potuto credere potesse accadere sul serio.

Spogliata di nuovo da quell'uomo sadico, stavolta di ogni dignità. Privata della libertà, del respiro, intrappolata in quegli occhi da assassino che, per l'ennesima volta, avevano scrutato ogni suo centimetro di pelle.

Uccidimi subito, continuava a pensare in quegli attimi, fissandolo. Uccidimi, muoviti.
Non voleva pensare a quella voce che la stuzzicava, che la umiliava. Lo squallore del suo ghigno mentre le sparava, evitando accuratamente di infliggerle colpi letali.
Già, perché lui - al contrario di ciò che la ragazza aveva mentalmente implorato - stava dimostrando la sua decisione di farla fuori lentamente, in un'agonia lunga e straziante.

La punizione per averlo tradito ed essersene andata la stava sfogando totalmente in quei lunghi minuti.


Shiho lo aveva guardato mentre la neve le ghiacciava il corpo e si tingeva del rosso del suo sangue. Tremava, ma non se ne rendeva conto. Era certa di stare per morire, perché Shinichi non sarebbe mai arrivato in tempo per salvarla.

Ma poi, prima dell'ultimo colpo - quello che avrebbe posto fine a tutto - ne era arrivato un altro, di gran lunga più forte. Il peggiore in assoluto, quello che le aveva fatto davvero male.

"La mandiamo a fare un po' di compagnia a sua sorella maggiore".

Erano solo parole, ma la ragazza sentì il dolore più forte fino a quel momento lungo tutto il corpo e non le importò più del dito premuto su quel grilletto, né la canna della pistola contro sé, perché la persona che le stava davanti - e della quale si era fidata, una volta, e che conosceva tutto di lei - era un assassino spietato e senza cuore.


Lo sapeva da sempre, ma si era fatta spogliare di tutto, in passato. Era un libro aperto, per Gin.


Lo fissava, scrutava quegli occhi e, nei suoi, vedeva se stessa. La scienziata ambiziosa e sfrontata di un tempo, quella capace di farlo stare al suo posto con una frase.

Quella che dedicava la sua vita alla creazione di un veleno e che digitava, decisa e leggera, i tasti del telefono per ogni nuova scoperta.

Poi, tutto era trascorso troppo velocemente. Shinichi era arrivato, portandola via da quell'inferno. E adesso, in quel maggiolino silenzioso e angosciato, Ai non osava proferire parola.
Fu Agasa a prenderla in braccio, mentre l'apparente bambino gli faceva strada verso il laboratorio. Bastò il minimo movimento ad acuirle il dolore, che si tramutò in una stilettata dritta al torace. Gemette appena, poiché non riuscì a trattenerla del tutto.
«Forza, Ai. Siamo a casa».

La voce del dottore le infondeva un vago senso di sollievo che si spense subito dopo. Percepì all'improvviso qualcosa di morbido sotto di sé e solo dopo qualche istante si rese conto di trovarsi sul proprio letto. La vista sfocata le dava fastidio e fu costretta a sbattere più volte le palpebre nel tentativo di delineare i contorni di ciò che le stava intorno.

Percepì parlare appena i due attorno a lei; confabulavano qualcosa, tuttavia ne capiva poco e niente.

«Non sarebbe meglio portarla all'ospedale? Bisognerebbe estrarre i proiettili prima che sia troppo tardi... ».
«No, professore, chiederebbero spiegazioni. Segua le mie indicazioni e andrà tutto bene».
La voce apprensiva di Agasa, poi quella più determinata di Shinichi.
Ai urlò ancora quando la fitta all'anca la travolse del tutto e vi poggiò una mano istintivamente, senza pensare al sangue che macchiava le lenzuola e la coperta.

Dopodiché, decise di lasciarsi andare a quella confusione, al dolore che si acutizzava ogni volta che respirava più profondamente o quando compiva il minimo movimento.  
Percepì una mano sulla testa, le dita sottili tra i capelli. L'espressione innocente di Shinichi la stava fissando, tradendo la sua sicurezza dal sudore sulla fronte e dallo sguardo teso.

«Tranquilla, Ai. Ci siamo quasi» lo sentì mormorarle, mentre lei cercava di trattenere l'ennesimo gemito. Fu quel tono, quel contatto, a convincerla a chiudere gli occhi e ad assecondare quella sensazione che lottava per strapparla alla realtà.

Quando aprì lentamente gli occhi, si sorprese di essere sana e salva a casa del dottore, come se le immagini e i ricordi sbiaditi fossero stati solo un sogno.

«Come hanno fatto a prevedere le mosse di Ai?»
«Non lo so. È una delle cose che sto cercando di capire, anche se... ».

La voce sottile di Shinichi si interruppe subito dopo, quando lei sollevò appena il busto. Quest'ultima si accorse del cerotto che aveva sulla guancia e delle macchie rosse sulle lenzuola candide, mentre le fasciature contenevano le ferite sul corpo. La felpa blu di Shinichi la teneva al caldo e al riparo, mentre provava ad alzarsi in piedi.

«Rimani sdraiata, sei ancora debole» le consigliò con apprensione Agasa, studiandola. «Ti vado a preparare una tisana, ti aiuterà a ristabilirti».
«D'accordo, grazie».
Parlare costituiva una fatica immane; il filo di voce che le uscì dalle labbra ne era la prova.
Rimase sdraiata, voltandosi appena sul cuscino mentre il bambino che le aveva salvato la vita le si avvicinava, le mani in tasca.

«Come stai? Tutto bene?».

Shinichi notò lo sguardo perso dell'amica; gli occhi lucidi che nascondevano chissà quali emozioni, forse più grandi dell'incendio divampato all'hotel Haido City.
«Sai... avrei dato per scontato la mia morte» gli rispose, ignorando la sua domanda. Chiuse un istante le palpebre, percependo il fastidio nei muscoli. «Cosa ti ha spinto a correre in mio aiuto? Non ci metteranno più di qualche giorno per trovarmi».
«Che domande» le rispose brusco Shinichi, sbuffando. «Non ti avrei di certo lasciata lì. Non preoccuparti, non scopriranno chi sei».

La ramata lo osservò qualche attimo, immobile, perdendosi nei suoi occhi blu. Si accorse che lo sguardo di lui non aveva mai smesso di indagare, di scavarle nel profondo.

«Forse sarebbe stato meglio. Almeno non avrei più messo in pericolo tutti voi» continuò poi lei, facendo forza sui gomiti per drizzare la schiena contro il cuscino. «Non è questo il mio posto, sai che sono come loro. Faranno di tutto per arrivare a me».
Shinichi accennò un sorriso, trattenendo a stento la rabbia verso quegli uomini che avevano distrutto la vita a entrambi e che, per un secondo, gli avevano fatto temere di aver perso la sua compagna di viaggio, l'amica più fidata che avesse potuto affiancarlo in quella lotta impegnativa e rischiosa.

Dopodiché, i suoi pensieri si interruppero a causa di un altro gemito di lei nell'esatto momento in cui la vide spostarsi sul materasso.

«Tu non sei come loro. Non sei un'assassina, toglitelo dalla testa».
«Una volta non la pensavi così» gli rinfacciò, ansimando appena per il bruciore delle ferite sulla pelle. «Comunque, questo non è il mio posto e me ne andrò il prima possibile. Sono più simile a loro di quanto tu possa pensare».

Shinichi sgranò gli occhi, osservandola in silenzio. Poi scosse la testa, mentre il sorriso tornava sul suo volto.

«Neanche per idea, non ti permetterò di andare via. Qui sei al sicuro» le rispose, con tutta la calma del mondo. «Qui c'è qualcuno che ti vuole bene».
Ai non rispose, tranquillizzandosi nell'udire quelle parole. Tuttavia, continuava a essere preda di quella verità che nascondeva a tutti e che ogni tanto scalpitava dentro sé, per venire fuori. Si sentiva in colpa ogni volta che ci pensava, perché aveva permesso troppo a Gin e a quel farmaco tramite il quale aveva ucciso molte persone. Non l'avevano mai usata, si era fatta usare, e il ricordo di ciò che era Sherry - prima di essere Ai Haibara - era un peso importante da sostenere da sola.

«È meglio essere odiati per ciò che si è che essere amati per ciò che non si è» sussurrò lei appena, mentre il detective le dava le spalle. Lo vide bloccarsi e voltarsi lievemente, prima di lanciarle l'ultima occhiata convinta. «E io non sono quello che credi tu».

«Non dire certe cose. Sono un detective, capisco le persone. E tu sei senza dubbio migliore di ciò che credi» le disse Shinichi indifferente, prima di riprendere a camminare verso il salone. «Adesso stai tranquilla e riposati».

E Ai non potè fare a meno di sorridere, perché nonostante tutto, nonostante la sofferenza dell'anima e del corpo, c'era ancora qualcuno in grado di scaldarle il cuore e di farla sentire al sicuro.






*********




Note dell'autrice
Ed eccomi con una nuova oneshot! È un missing moment ambientato - come avrete capito - subito dopo la fine dell'episodio "Incontro indesiderato -, attraverso il quale ho cercato di descrivere una situazione tra Conan e Ai, un po' lasciata in sospeso. Ho sempre interpretato quella scena, quando lei è a terra ferita, come un qualcosa che va oltre il dolore fisico, perché lei ne esce davvero giù in tutto, come se stesse per piangere da un secondo all'altro (anche dopo il salvataggio). Ed ecco qui il risultato! Senz'altro, il merito va alla citazione che ho inserito per il contest al quale partecipo, "Una citazione, una storia" di Elettra.C. Grazie a chiunque abbia voglia di leggere e lasciare una recensione.
Ah, la citazione iniziale, invece, è tratta dalla canzone "No hero" di Elisa.
Alla prossima,
Ile


 
  
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