Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: Sarane    13/11/2018    1 recensioni
"Ho pensato che, forse, riguardare il resoconto degli ultimi dieci anni della mia vita - le impressioni più oneste gettate su carta senza uno scopo, le riflessioni, le sciocchezze infantili - potrebbe aiutarmi a tirare le fila del mio essere momentaneo.
Riguardare ogni mio appunto per ritrovare un senso.
Magari, ritrovare anche un dialogo in queste sedute di nulla, dove mi smarrisco in intrecci di linee nere e mi disegno le mani, come i bambini, inseguendo pensieri che a voce non so esprimere."
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 



I rituali sono inevitabili.
Per quanto uno si sforzi di lottare contro la routine, ci sono cose che ripetiamo ancora e ancora, che addirittura ci piacciono proprio per la loro rassicurante banalità.
Il lunedì è diventato un rituale.
Mi faccio la mia ora di chiacchierata abituale, ormai statica e perfettamente incasellata in un contesto di prevedibile monotonia, e dopo sono libera.
Mi siedo e parlo.
Sembra che parlare sia la soluzione a tutto, che l’unico modo che mi resti per spezzare la mia stagnante apatia sia parlarne ancora e ancora, fino alla nausea.
E allora ci provo, ogni settimana, sempre alla stessa ora.
Mi sembra di compiere un rituale che più il tempo scorre più perde importanza.
All’inizio, avevo un brivido.
L’ebrezza di un nuovo confronto, di qualcosa di rivelatorio, forse. Ma penso di averci riposto troppe speranze.
La prima cosa che quell’uomo mi ha detto, è stata che non sarebbe stato semplice.
“Sei molto intelligente, le persone come te sono difficili da guidare”
Cazzate.
Semplicemente, aveva già capito che non c’era verso, ma non me lo voleva dire, così avrebbe potuto continuare a vampirizzarmi. Mi stava bene, ho deciso di permetterlo, onestamente non mi cambia nulla.
Il problema, ad oggi, è che la distanza cresce invece che diminuire, il mio interesse si perde, fatico a restare concentrata, mi distraggo, perdo il filo. E mi annoio ad ascoltare.
Ho memorizzato ogni libro nello studio, ama l’arte.
Talvolta ne parliamo, più di qualche volta. Di musica, di arte, dei suoi quadri, dei miei lavori, dello scrivere.
Gli faccio domande, lo faccio parlare, mi faccio raccontare del suo volontariato, della beneficienza, delle sue vecchie esperienze lavorative, delle sue figlie, di come si è avvicinato alla pittura.
Commentiamo i suoi quadri.
Gli parlo di me ovviamente.
Ma lo faccio parlare tanto anche di lui.
Ci sono dei momenti in cui se ne accorge, mi dice che con me è facile divagare, non si rende conto di come siamo arrivati a sfiorare certi argomenti, la sua adolescenza, suo fratello, quando era giovane e i libri che gli piacevano da bambino.
Quando mi arrabbio gliela rendo difficile, lo provoco.
Mi piace sottolineare un suo limite, sorridergli e chiedergli come lo fa sentire.
Non me ne frega niente
Beh frega a me, questo limite ti rende incapace di aiutarmi come si deve
Non lo penso, è una brava persona, è in gamba nel suo lavoro.
Sono io che non sono onesta. Mi dice cose che già so, che ho già rielaborato, ma fingo sempre di cadere dalle nuvole, di non aver mai contemplato certe possibilità, certe ovvietà.
Anni di abitudine a fingermi più ingenua di quanto non sia, a ridimensionarmi costantemente, per non far sentire nessuno in difetto. Sono troppo abituata a sembrare più stupida, fin troppo sotto il livello della media, tanto che anche io a volte mi osservo, come da fuori, e mi domando se davvero io non mi sia trasformata nella mente assente che interpreto ogni giorno.
Mi riecheggia sempre la voce di mio padre in testa.
Non far pesare niente a nessuno, adeguati.
Non alzare il livello, mantieniti sempre sugli standard della persona che ti ritrovi davanti, niente di più e niente di meno.
Non c’è gloria nell’umiliare il prossimo, nel non farlo sentire all’altezza.
Le persone scambiano la cultura per intelligenza e si sentono svilite.
Così, finisco ogni santa volta a dire che non ci avevo pensato, che certi meccanismi sono inconcepibili per me, troppo complessi. Quando voglio che noti qualcosa, ma non voglio ammettere di averci riflettuto consciamente, uso una terza persona.
La mia migliore amica parlando mi ha fatto notare che….
E infilo le mie riflessioni nella bocca di qualcun altro.
È più semplice.
La tua amica è in gamba, ha mai pensato di fare la psicologa?
No, non è così intuitiva con tutti, le riesce solo con me.
Che ridere.
Mi diverto con poco. Ultimamente però, mi sto estraniando, sto pensando di non andarci più, lui mi ha detto che se compio una simile scelta devo motivargliela.
Non so come motivarla.
Sento solo che sbattiamo contro lo stesso muro ancora e ancora e, se almeno prima mi divertivo, se almeno prima avevo un confronto, ora provo solo noia. Smettere di andare da lui sarebbe un po’ come cambiare i Testimoni di Geova del martedì quando diventano monotoni e incapaci di argomentare, quando le loro ragioni si arrampicano su pareti troppo lisce che li fanno capitombolare a terra.
Era il nostro gioco, mio e di mio padre, dibattere con i testimoni di Geova, tormentarli, e poi confrontare tra di noi le risposte che avevamo dato e ridere da vere carogne.
Lui non è noioso.
È simpatico, cerca di tenermi sveglia con l’ironia, ha capito come sono. E allora, metà della seduta si consuma in frecciatine e battute ironiche.
Ti ho intravista, ma mi mostri solo il tuo lato più spensierato.
Le persone hanno la tendenza a fare le dure, mostrano la loro scorza per difendersi e dentro poi sono cuoricini di panna dalla fragilità imbarazzante. Il mio è l’opposto problema, sembro una spumiglia, una torta glassata, ma sotto il primo strato c’è solo cemento contro cui spaccarsi i denti.
Ci sto facendo i conti.
Qualcuno che ho particolarmente amato mi ha detto che io distruggo chiunque mi sia troppo vicino.
Ha detto che distruggevo anche lui, ma che in fondo tante cose fanno male e quindi tanto valeva farsi demolire da me.
Forse sono solo questo, una sorta di cancrena.
La mia migliore amica mi ha rivolto le stesse parole, dice che va bene, che è il giusto prezzo per essermi amica. Non so confortarla e la faccio più piangere che altro, e lei dice che va bene.
Non so dosare le parole, ma vorrei saperlo fare.
Ieri, frugando in una pila di fogli accumulati con la tenacia di un’accaparratrice seriale, mi sono imbattuta in una serie di riflessioni sparse, alcune così datate da farmi quasi tenerezza, per la tragicità intrinseca della mia adolescenza. Tanto ora mi sono scarnificata quanto allora ero prolissa.
Li ho messi un po’ in ordine, stimando la datazione dalle mie memorie, per quanto mi sia possibile visto i contenuti vaghi, e ho pensato che forse riguardare il resoconto degli ultimi dieci anni della mia vita, le impressioni più oneste gettate su carta senza uno scopo, le riflessioni, le sciocchezze infantili, potrebbe aiutarmi a tirare le fila del mio essere momentaneo.
Riguardare ogni mio appunto per ritrovare un senso.
Magari ritrovare anche un dialogo in queste sedute di nulla, dove mi smarrisco in intrecci di linee nere e mi disegno le mani, come i bambini, inseguendo pensieri che a voce non so esprimere.
E, se non dovesse funzionare, partirò di nuovo, come ogni volta che la vita mi va stretta e non trovo una soluzione.
In teoria, vado cercando i nodi nevralgici della mia patetica e inconcludente esistenza, più concretamente mi sembra di aprire un vaso di Pandora per liberare mali che, a volte, sarebbe meglio tenere sopiti. Mi basta sperare che sotto tutta la melma che voglio smuovere esista anche solo per errore una risposta ad una domanda che in realtà nemmeno ho ancora formulato, ma che dovrebbe avere almeno il sentore di una verità, finalmente.
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Sarane