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Autore: gravityhits    13/11/2018    0 recensioni
Due universi, due persone appartenenti a pianeti diversi che non avrebbero mai dovuto collidere. Entrambi svuotati da una vita che non si aspettavano di avere, entrambi soli contro loro stessi. Lei in caduta libera, in attesa che la gravità faccia il suo lavoro, lui pronto a prenderla.
Kairos: momento giusto, critico o opportuno per agire.
Genere: Dark, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
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Kasper
 
Preparavo la colazione, o meglio, provavo a cucinare qualcosa di commestibile. Erano passate settimane dall’ultima volta che io, Carter e Rebecca ci trovassimo a casa nello stesso momento e decisi di approfittarne per mangiare insieme come una famiglia. 
Non ero brava ai fornelli, passavo più tempo a bruciarmi che a cucinare ma mi piaceva vederli mangiare le mie uova come se fossero le migliori della loro vita. Rebecca non era ancora andata a letto, era appena tornata dal lavoro ed era esausta ma le piaceva l’idea di sederci e passare un po' di tempo insieme. Carter si stava vestendo per il suo turno mattutino in un ristorante italiano e io avevo ancora un mucchio di tempo da occupare prima di dover andare al lavoro. -Joe , c’è posta per te- disse Carter, rivolgendosi a me, lo guardai sorpresa e notai che cercava di nascondere la sua eccitazione. -Nessuno ha il mio indirizzo tranne quelli della Colum…- esordì prima che lui mi mostrasse la lettera con il timbro postale della Columbia. Corsi verso di lui e li strappai la lettera dalle mani.
Era da sei mesi che aspettavo una risposta, avevo mandato domande ad un mucchio di università e avevo ottenuto una risposta da quasi tutte a quel punto. Rebecca e Carter mi spinsero a fare domanda per alcuni college della Ivy League e scelsi la Columbia. Feci domanda un mucchio di volte a diverse università di calibri diversi, sognavo la Columbia e nonostante quello fosse il mio terzo tentativo in due anni, una parte di me ci credeva ancora.
L’unica volta in cui parlai apertamente del mio passato fu quando mi chiesero come fosse la mia vita. Scrissi una decina di pagine, ci misi quasi due settimane per ottenere il risultato che volevo. Desideravo che leggessero qualcosa di diverso, qualcosa di vero che non mirava ad impressionarli ma ad istruirli su come fosse la vita per persone perse come me. Parlai di come mi sentissi un fantasma, di come mi stessi aggrappando alla vita solo perché sentivo di avere ancora qualcosa da fare. Una parte di me sperava di illuminare le loro vite, non aveva alcuna intenzione di venire ammessa ma l’altra parte passava notti a chiedere a chiunque ci fosse lassù di darmi l’unica cosa che avevo mai desiderato fino a quel momento. 
Leggere la parola ‘’ammessa’’ su quel foglio di carta mi cambiò la vita. Fu la prima volta in cui provai la vera e propria felicità. Fu la prima volta in cui le mie lacrime non erano dovute al dolore o alla tristezza. 
-Sapevo che ti avrebbero presa!- disse Carter, mentre mi stringeva tra le sue braccia. 
-Okey…ehm…devo…devo organizzarmi- dissi, Rebecca mi diede un bacio sulla guancia e andò a prendere qualcosa in cucina. Tornò qualche secondo dopo con una vecchia bottiglia di whiskey che comprammo il giorno in cui uscimmo dal riformatorio. -Credo sia il momento di aprirla- disse Rebecca, io e Carter le ricordammo che dovevamo lavorare ma lei continuò a versare whiskey nei bicchieri. -L’abbiamo comprata solo un anno fa…dovremmo aprirla per qualcosa di più..
-Sei uscita da un riformatorio, Joe, la tua istruzione proviene da un luogo dove la maggior parte delle persone non sa cosa sia la grammatica e sei stata ammessa alla Columbia. Sei speciale e ora lo saprà anche il resto del mondo- disse Carter, sorrisi e lo abbracciai. 
I festeggiamenti finirono prima di quanto desiderassimo, bere whiskey alle otto del mattino non fu una delle mia migliori scelte ma pensavo sarebbe andata peggio. Sull’autobus diretta al lavoro iniziai a fare un piano della situazione. Sulla lettera d’ammissione la Columbia mi offriva una borsa di studio, le regole erano semplici: voti alti e comportamento esemplare. Non potevo commettere nessun errore o l’università mi avrebbe tagliato i fondi e con il mio stipendio non mi sarei mai potuta permettere di pagare la retta.
L’università si era offerta di pagarmi gli studi ma mi sarei dovuta arrangiare per i libri e avrei dovuto trovare un lavoro meno impegnativo. La prima cosa che feci una volta entrata nel bar fu informare il mio capo che avrei lasciato il lavoro. Litigammo per un ora e nonostante avessi provato a tenermi il lavoro per un paio di giorni per mettere qualche soldo da parte lui decise di cacciarmi. Non avevo alcun contratto con lui quindi non ci perdevo molto. 
Tornai a casa e iniziai le pratiche per l’iscrizione ufficiale alla Columbia. Rebecca mi preparò del caffè e si sedette accanto a me per darmi una mano. -Sono così fiera di te- disse, sorrisi e la ringraziai. -Dovresti iscriverti anche tu, hai messo da parte abbastanza soldi per la retta alla New York University. 
-Ah…Sun, io non sono come te. Tu sei un genio e io sono quella che ti versa da bere- disse, mi si strinse il cuore. -Non credi di meritare di meglio? Vuoi lavorare in quello strip club per il resto della tua vita?
-È ciò che so fare meglio- rispose, scossi la testa e sospirai. 
 
Mi svegliai presto per il mio primo giorno alla Columbia, infilai una felpa e un paio di jeans e mi assicurai di essere il più normale possibile. Infilai un cappello da baseball e i miei occhiali da vista. Non mi piaceva essere notata.
Passai una mezz’ora a cercare la classe di sociologia e una volta trovata mi sedetti infondo alla classe e sperai che nessuno cercasse di fare amicizia. 
Visitavo il sito dell’università mentre la classe si riempiva e tra un articolo e l’altro vidi il titolo del mio saggio d’ammissione. Tolsero il mio nome e pubblicarono il mio saggio d’ammissione con un’introduzione che citava Sir Winston Churchill “il successo non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale: è il coraggio di continuare che conta’’. Alla fine del saggio dicevano che la persona che l’aveva scritto sarebbe rimasta anonima per il suo bene e la sua privacy e che tutti gli studenti avrebbero dovuto imparare da me. Mi sentì estremamente lusingata e per un attimo fui fiera di me. Poi mi ricordai di quanto odiassi sentirmi dire che ero forte, che ero coraggiosa, che ero riuscita ad attraversare l’inferno e restare in piedi. Spesso parlavano come se il mio passato non mi perseguitasse, come se fossi uscita da quel posto intatta. 
Durante la lezione non riuscì a concentrarmi, nella mia mente passavano vari scenari nei quali gli studenti scoprivano chi fosse l’autore di quel saggio e l’idea mi mandava fuori di testa. 
Camminavo verso la caffetteria e avevo la sensazione di essere seguita, continuavo a ripetermi che il numero di persone che camminavano nella mia direzione mi faceva venire quella sensazione. Poi sentì la mano di qualcuno sulla mia spalla, era un uomo, sentire la sua mano mi spinse a mettermi sulla difensiva ma grazie alla terapia non scappai via correndo. Quando mi voltai vidi due ragazzi davanti a me. Erano entrambi attraenti e dai loro vestiti era evidente che fossero ricchi. Uno dei due mi guardava come se fossi solo un pezzo di carne, ero stata guardata così tante volte in quel modo e probabilmente non sarebbe stata l’ultima. L’altro sembrava si sentisse obbligato ad essere lì, sembrava indifferente. Quello che mi toccò la spalla era più alto di me ma più basso del suo amico. Aveva corti capelli scuri, occhi chiari, mascella pronunciata e sorriso accattivante. La mia attenzione era particolarmente concentrata sul secondo ragazzo. Non era dovuto al suo aspetto fisico nonostante fosse anche lui molto attraente. Il secondo ragazzo aveva corti capelli ricci, indossava una felpa e aveva la testa coperta dal cappuccio, era muscoloso e la sua pelle era color caramello. I suoi occhi erano la sola ragione per la quale non me ne ero ancora andata. Erano grandi, scuri, aveva lunghe ciglia che li davano questa strana aria misteriosa e allo stesso tempo addolcivano il suo sguardo. Il suo viso era perfetto e lui fu il primo ragazzo che guardai senza provare repulsione immediata.
-Il mio amico ha passato dieci lunghi minuti a dirmi che sei super attraente e io di solito li credo sempre ma visto come sei vestita e i tuoi occhiali e il cappello…ecco volevo vedere se sotto a tutti quei strati ci fosse la ragazza sexy che sono sicuro tu sia- disse, provai un brivido freddo attraversarmi la schiena e rivolsi un occhiata al secondo ragazzo. Il primo ragazzo mi guardò e si leccò le labbra, strinsi i pugni e sospirai. -Suppongo resterà un mistero per entrambi- risposi, prima di girare i tacchi e andare verso la caffetteria. 
Mi sedetti al tavolo più isolato del locale e cercai di non pensare. Infilai le cuffie e ascoltai della musica per cercare di zittire le voci che sentivo. Non riuscivo a smettere di muovere la gamba destra e il caffè non era per niente utile. Chiusi gli occhi e vidi il suo viso. Il viso dell’uomo che aveva preso tutto ciò che mi apparteneva e l’aveva reso suo. Rividi la prima volta che mi toccò, quando avevo sette anni e non sapevo nemmeno che cosa mi stesse succedendo. Rividi il suo sguardo, il modo in cui si inumidiva le labbra, sentì le sue mani su ogni centimetro del mio corpo..
Alzai lo sguardo e vidi il ragazzo di prima seduto davanti a me, il secondo ragazzo mi sorrideva. Mi fece cenno di togliere le cuffie, non riuscivo a controllare il mio corpo e i miei tremori ma cercai di non sembrare una pazza davanti a lui. -Volevo scusarmi per il comportamento del mio amico, tende ad essere uno stronzo- disse, cogliendomi di sorpresa. -Devo andare- dissi, alzandomi, presi la mia borsa e mi coprì al testa nuovamente con il cappuccio. Mentre cercavo di andarmene lui mi afferrò per il braccio. Il suo tocco fu delicato e gentile. -Ma credo davvero che tu sia super attraente- disse, cogliendomi di nuovo di sorpresa. La mia mano non smise di tremare e lui se ne accorse. -Stai bene?- chiese, deglutì e scappai via. 
Corsi in bagno e chiusi la porta, mi sedetti sul pavimento del bagno e iniziai a togliermi la giacca e poi il maglione. Curiosai in giro alla ricerca di qualcosa per aiutarmi a togliermi quella sensazione, a far smettere quella voce. Sapevo che cosa avevo bisogno di fare e sapevo di non doverlo fare, di dover affrontare la crisi senza farmi del male. Mi bagnai il viso con dell’acqua fredda e incrociai il mio sguardo nello specchio. Vidi il suo volto alle mie spalle, vidi le sue mani sul mio corpo e in quel momento tirai un pugno allo specchio. Solo quando vidi il sangue colare dalla mia mano che lui svanì. Presi un pezzo di vetro e lo strinsi tra le mie mani mentre mi sedevo sul pavimento del bagno e mi rendevo conto che non sarei uscita da lì senza attirare l’attenzione di tutti. Chiamai Carter.
Non ero sicura di potercela fare, avevo passato solo dieci minuti nei panni della studentessa universitaria e mi era bastato uno sguardo di troppo per farmi crollare. Che cosa non andava in me?
Carter sapeva esattamente cosa fare, lasciò il lavoro per venirmi a cercare in uno dei milioni bagni del campus. Mi bendò la mano, mi aiutò ad alzarmi e mi avvolse la sua giacca attorno alle spalle. Vedere il suo sguardo preoccupato e vagamente deluso mi fece sentire peggio di quanto già non mi sentissi. -Che cos’è successo?
-Niente- risposi, mentre cercavo di ripulire il pavimento dal mio sangue. - Che cos’è successo?- ripeté Carter, evitai il suo sguardo e continuai a pulire il pavimento. -Joe! Che cazzo ti è successo?- gridò, facendomi sussultare, mi voltai e lo guardai. 
-Non è successo niente, okey? Un ragazzo ha detto la cosa sbagliata e ha fatto scattare alcuni…ricordi- dissi, lui uscì dal bagno come una furia e io lo seguì. Si guardava attorno nel campus e sembrava cercasse qualcuno. -Chi è? Dove si trova?- chiese, guardandomi, il mio sguardo finì sul ragazzo che era venuto a scusarsi. Ci stava guardando.
Carter si accorse del nostro scambio di sguardi e prima che potessi fermarlo stava andando verso di loro. Il ragazzo sbagliato finì a terra a causa del potente gancio destro di Carter. 
-Cazzo, Carter!- esclamai, correndo verso di loro. -Vattene! Mi farai cacciare nei guai! Sparisci- esclamai, Carter scosse la testa e andò verso il parcheggio. -Che cazzo è appena successo?- disse il ragazzo massaggiandosi la mascella, notai del sangue colarli dal naso e cercai di aiutarlo ad alzarsi. -Mi dispiace, davvero…- dissi, lui si guardava attorno. Notai anche io gli sguardi di tutti puntati su di noi, avevamo dato spettacolo. Lo portai nel bagno che era ancora sporco del mio sangue e lo feci sedere sul water. -Che cavolo è successo qui dentro?- chiese, guardandosi intorno. Bagnai della carta igienica e la usai per tamponarli il naso. -Dovresti metterci del ghiaccio- dissi, mentre cercavo di fermare il sangue. -Dovresti frequentare ragazzi meno violenti- replicò lui, facendomi sorridere. -È stato lui a mettere sotto sopra il bagno?- chiese, scossi la testa e sospirai. -Mea culpa- dissi, lui notò il sangue e notò la mia mano. -Ti sei ferita…
-Anche tu…grande primo giorno- replicai, lui sorrise e fece una smorfia di dolore nel farlo. 
-Nel giro di mezz’ora il mio amico ti ha trattata come un oggetto sessuale, tu mi hai trattato come una malattia sessualmente trasmissibile e il tuo ragazzo mi ha trattato come se ti avessi messa incinta- disse, sorrisi e lo guardai negli occhi. Aveva dei bellissimi occhi. -E ancora non conosco il tuo nome- aggiunse, ci fu un lungo attimo di silenzio mentre io osservavo la sua iride e venivo affascinata dal suo sguardo. -Non è il mio ragazzo- dissi, per qualche ragione quella era l’unica cosa che sentivo il bisogno di dire. 
Non sopportavo che mi si chiedesse il mio nome, avevo la sensazione di soffocare ogni volta che me lo si chiedeva. La verità era che non avevo un nome, non conoscevo il mio nome e non sopportavo venire chiamata con quelle tre lettere datemi dallo stato. -Joe, la gente mi chiama Joe- risposi, lui sorrise confuso e annuì. -A te come piace essere chiamata?- chiese, sorrisi. 
-Kasper- risposi, lui annuì e si alzò. Era stranamente piacevole il modo in cui mi guardava dall’alto. Mi porse la mano e io gliela strinsi. -Piacere Kasper, io sono Kareem.
Iniziò così, fu così che lo conobbi. In un bagno pieno del mio e del suo sangue. 
 
 
Kareem
 
Stavo avendo la solita stupida chiacchierata con Logan, eravamo seduti su una panchina nel bel mezzo del campus. A Logan piaceva sedersi lì alla fine delle lezioni per osservare, anzi, per guardare le matricole. Passava fin troppo tempo a parlarmi di ragazze e insegnarmi come essere un grande seduttore, come fare una bella vita senza nessun impegno. Facevamo parte della stessa confraternita e nei tre anni che avevo avuto il piacere di conoscere la sua intricata, perversa mente imparai molte cose sugli uomini. Avere un padre single estremamente potente e sicuro di se, non sempre tendeva a creare figli potenti e sicuri di se. Logan, per esempio, fingeva di essere sicuro di se, fingeva di sentirsi superiore, fingeva di ottenere tutto ciò che voleva e fingeva di non provare sentimenti ma era solo un ragazzo stupido e arrabbiato. 
Il giorno in cui lo conobbi capì che non mi si sarebbe staccato di dosso, che sarebbe rimasto al mio fianco e avrebbe finto che fossi io quello ad avere bisogno di qualcuno. Negava di sentirsi solo, distruggeva ogni suo rapporto e riempiva il vuoto lasciatoli dalla madre facendo sesso con tutte le donne che li si presentavano davanti. Spesso le feriva, trattava come oggetti sessuali solo perché tutte loro li ricordavano sua madre.
In molti si chiedevano come facessi a frequentarlo, quelli della nostra confraternita lo odiavano, le ragazze erano disgustate da lui ma per qualche ragione io riuscivo a passare del tempo con lui. Ero particolarmente affascinato dalle persone rotte, persone come lui e come me che avevano estremo bisogno di essere rimesse insieme. 
Mentre il mio migliore amico cercava una ragazza, io leggevo il saggio di una neo-studentessa. 
Il racconto era affascinante, scritto bene, pieno di metafore e figure retoriche. Era come se la scrittrice volesse raccontare la sua storia ma allo stesso tempo cercasse di renderla accessibile a tutti, come se cercasse di far rispecchiare chiunque in lei. Raccontava un evento traumatico che aveva vissuto e dalle parole che usava sembrava fosse durato allungo. Parlava della sua vita come un salto nel vuoto, come se qualcuno l’avesse spinta e che ogni volta che riusciva a salvarsi veniva di nuovo spinta nell’abisso. Descriveva così il suo stupro.
Non avevo mai letto qualcosa di così intenso e dopo aver letto il racconto un paio di volte ancora mi chiedevo che cosa le fosse successo esattamente. Era come se fosse talmente difficile per lei ricordare da non riuscire a scrivere in modo esplicito e diretto ciò che le era successo ma allo stesso tempo il suo modo di raccontare la sua storia era unico.
Logan mi diede una pacca sul braccio e mi fece cenno di guardare davanti a me, in quel modo mi distrasse dal racconto e mi spinse a guardare la mia ex ragazza. Era incantevole, come sempre, e per un secondo mi chiesi quale fosse il mio problema. Per quale ragione mi piaceva distruggere tutto ciò che avevo di bello?
Ma quella sensazione durò solo un secondo e tornai a non sentire nulla. 
Conobbi Lucy al liceo, fu amore a prima vista suppongo. Il genere di storia romantica da film per teenager. Lei mi amava, avrebbe fatto qualunque cosa per me e per anni ho pensato di amarla anche io. Poi un giorno mi svegliai nel letto di un'altra, lei lo venne a sapere. Pensavo di dovermi sentire in colpa, quella era la sensazione che avrei dovuto provare ma non provavo nulla. Lei era davanti a me, piangeva e cercava di risolvere la situazione. Nonostante io le avessi spezzato il cuore lei era pronta ad andare avanti. Così facemmo ma dopo averle spezzato il cuore, iniziai a calpestarlo, sbatterlo al muro e farlo a pezzi. Continuò a perdonarmi fino a che non persi la testa e le puntai una pistola contro, chiedendole se mi avrebbe perdonato se l’avessi uccisa. Non avevo intenzione di farlo, volevo solo capire fino a che punto si sarebbe spinta, fino a dove sarebbe arrivata. Quanto amore provasse nei miei confronti e che cosa volesse dire esattamente.
Lucy era un altro dei miei esperimenti sociali, un altro modo per capire se ero umano, se ero in grado di provare emozioni come tutti gli altri. Esperimento miseramente fallito, suppongo. 
I nostri sguardi si incrociarono, la sua espressione cambiò, il suo sorriso svanì. Le feci cenno con il capo ma lei non ricambiò e continuò a parlare con le sue amiche.
Nel mentre Logan posò gli occhi su una ragazza e corse ad inseguirla e io corsi ad inseguire lui per assicurarmi che non esagerasse troppo. Rimasi in piedi dietro di lui mentre parlava con la sua vittima. Indossava una felpa, una giacca, un cappello e degli occhiali da vista e aveva la testa coperta dal cappuccio. Teneva la testa bassa e non riuscivo a capire perché lui l’avesse fermata.  Lui le rifilò una stupida frase e lei alzò lo sguardo. Quando vidi il suo viso capì perché lui l’avesse notata. I suoi occhi furono la prima cosa che vidi, erano così profondi e delicati, erano azzurro ghiaccio e verdi attorno alla pupilla. Il suo viso era minuscolo, aveva guance paffute, lunghe ciglia scure, labbra carnose a forma di cuore, una fossetta sul mento. I suoi capelli sembravano corti ma non riuscivo a vedere il colore. Era più alta della media, aveva un bel corpo, belle curve nonostante fossero nascoste da tutti quei vestiti. 
Logan glielo fece notare in modo estremamente sessista e volgare. Si offese ma li rispose e se ne andò. -Stronza- commentò Logan, quando lei se ne andò. La seguì con lo sguardo fino alla caffetteria. -Le ho fatto un complimento e..- esordì Logan, prima che lo interrompessi. -Resta qui, torno subito- dissi, prima di correre verso la caffetteria. Lei era seduta al tavolo più nascosto del locale, aveva le cuffie alle orecchie e teneva la testa bassa. Mi sedetti davanti a lei e solo dopo qualche secondo lei notò la mia presenza. Alzò lo sguardo e le feci cenno di togliere le cuffie. - Volevo scusarmi per prima, Logan è uno stronzo e purtroppo non cambierà mai. E per la cronaca, non ho detto nessuna di quelle cose- dissi, non sapevo bene perché mi stessi scusando ma qualcosa mi spinse ad inseguirla. -Devo andare- disse, si alzò, prese le sue cose e andò verso l’uscita. Una parte di me sentiva di non poterla lasciarla andare, le afferrai il braccio e la fermai. Lei mi guardò confusa e li dissi la cosa più stupida che potessi dire. -Ma credo davvero che tu sia estremamente bella- dissi, notai che la sua mano tremava, notai il suo sguardo spento e spaventato. -Stai bene?- chiesi, lei si mise a correre.
Considerai che scappare via da me a gambe levate fosse un modo per dirmi ‘’sei un porco come il tuo amico ’’. Quando uscì dalla caffetteria, Logan era sparito e quindi ne approfittai per rileggere il racconto e approfittare dell’aria fresca. Continuavo a fissare la porta del bagno in cui l’avevo vista entrare e notai che non era ancora uscita. Dopo un quarto d’ora un ragazzo entrò in quel bagno e cinque minuti dopo usciva da lì insieme a lei. Supposi fosse il suo ragazzo e pensai peccato. Poi il ragazzo iniziò a venire verso di me, inizialmente pensai fosse solo una mia impressione ma poi il suo pugno incontrò il mio viso. Mi colse alla sprovvista e mi ritrovai con il culo a terra senza conoscerne la ragione. La ragazza gli disse di andarsene, sembrava arrabbiata e vagamente preoccupata. Lui andò via e lei mi aiutò ad alzarmi. -Che cazzo è appena successo?- chiesi, confuso mentre lei mi dava una mano. -Mi dispiace, davvero..- disse, glielo lessi negli occhi. Mi portò nel bagno più vicino, dove lei aveva appena passato quindici minuti. Come entrai notai lo specchio rotto e il sangue a terra. Associai la reazione violenta del suo ragazzo al casino che c’era in bagno. Diedi per scontato che lui avesse avuto una reazione eccessiva o avesse visto qualcosa che aveva male interpretato. Lei mi fece sedere sul wc, bagnò della carta igienica e la usò per tamponarmi il naso. Notai quanto fosse bella da così vicino e notai la fasciatura che aveva alla mano. -Che cavolo è successo qui dentro?- chiesi, mentre lei cercava delicatamente di fermare il sangue. Guardai di nuovo la sua mano quando incrociò il mio sguardo e lei strinse il pugno. -Dovresti metterci del ghiaccio- disse, cambiando discorso. -Dovresti frequentare ragazzi meno violenti- dissi, lei sorrise. -È stato il tuo ragazzo a mettere sotto sopra il bagno?- chiesi, lei scosse la testa e sospirò. -Mea culpa- disse. -Ti sei ferita- dissi, lei sorrise e mi guardò. -Anche tu…grande primo giorno- replicò, sorrisi e provai un leggero dolore dovuto alla ferita. -Nel giro di mezz’ora il mio amico ti ha trattata come un oggetto sessuale, tu mi hai trattato come una malattia sessualmente trasmissibile e il tuo ragazzo mi ha trattato come se ti avessi messa incinta- dissi, lei sorrise e sospirò. Mi piaceva il suo sorriso, sembrava nascondere qualcosa. -E ancora non conosco il tuo nome- dissi. -Non è il mio ragazzo- disse, soffermandosi a guardarmi. -Kasper, mi puoi chiamare così- disse, lo trovai uno strano modo di presentarsi. -Kasper? Il tuo nome è Kasper? Potevi trovare un nome un po' più credibile almeno- dissi. -Kasper- disse, annuì e mi alzai. Lei mi guardava torreggiare su di lei, era piacevole guardarla dall’alto. -Piacere Kasper, io sono Kareem- dissi, porgendole la mano.
Iniziò così, fu così che la conobbi. In un bagno pieno del suo sangue e del mio.
 
 
   
 
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