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Autore: Sophja99    13/11/2018    0 recensioni
Austen è un sopravvissuto. All’età di sedici anni, la nave su cui viaggiava è stata attaccata dal più temibile e pericoloso capitano pirata del tempo, alla guida del leggendario Vascello Fantasma. Ha visto la morte in faccia e l'ha scampata, ma suo fratello Constant non ha avuto la sua stessa fortuna. Ed ora ciò che Austen cerca è la vendetta, l'unica cosa in grado di rendergli più sopportabile la terribile perdita, e farà di tutto pur di raggiungerla: anche affrontare i suoi incubi più grandi.
Genere: Azione, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Quella che vi presento è una storia scritta quasi un anno fa per un concorso a tema steampunk, da cui alla fine mi sono ritirata non ritenendola all'altezza delle mie aspettative iniziali. Ormai è da parecchio che si trova tra i miei documenti scartati e finiti nel dimenticatoio, ma ieri mi è rivenuta in mente ascoltando una canzone che mi aveva ispirata durante la sua stesura (Davy Jones theme, dai Pirati dei Caraibi - Ai confini del mondo) e così ho deciso di pubblicarla lo stesso, anche solo per ripagare il tempo che le ho dedicato. Spero vi piaccia.^^

 

 

The path to hell is easy

 

Quella notte il mare era stranamente calmo. In quelle zone si poteva stare certi che nella maggior parte dei casi si sarebbe incorsi in una tempesta. Loro erano stati fortunati: le stelle erano ben visibili nel cielo, minuscole sfere splendenti come mai gli era capitato di vederle. Era quella la cosa che Austen più amava della vita di mare e che lo aveva spinto ad arruolarsi nell'equipaggio di quella nave: nella città in cui era nato e vissuto, Hayrìn, l'unica che avesse mai visto prima di imbarcarsi, i fumi e i vapori provenienti dalle fabbriche e dai treni erano tanto forti da coprire l'intera volta celeste e gettare sulla città un'atmosfera grigia e deprimente. Riusciva a trovare conforto dal chiasso cittadino solo nel mare, nei movimenti ripetitivi e calmanti della nave mossa dalle onde. Guardò accanto a sé l'altro ragazzo con cui stava facendo il turno di guardia, Dave. Non ricambiava il suo sguardo, ma aveva gli occhi ben aperti e concentrati. Austen pensò che se avesse socchiuso gli occhi solo per qualche secondo, Dave non se ne sarebbe accorto. Non correvano alcun pericolo fin tanto che almeno uno dei due era sveglio e, oltretutto, non erano soli sul ponte: c'era anche il comandante al timone. Se mai fosse successo qualcosa, se ne sarebbero occupati loro. Ma proprio quando stava per chiudere gli occhi, si accorse che qualcosa non andava. Le stelle, nello stesso punto che prima stava osservando Austen, erano scomparse, o meglio: erano state coperte da qualcosa. Non erano nuvole, perché non potevano arrivare così improvvisamente. Sarebbe potuto sembrare un comune dirigibile, di quelli che si vedevano di continuo solcare i cieli, ma questo volava troppo basso ed era diverso. Eppure, inconfondibile.

Aveva sentito milioni di leggende su un vascello in grado di volare non grazie alla meccanica e alle invenzioni scientifiche del tempo, ma alla magia. Su quell'imbarcazione correvano tanto terrificanti da non far dormire la notte ai più giovani e ai più facilmente impressionabili. Secondo la tradizione, il vascello era talmente veloce da essere in grado di sparire nel nulla; per questo era chiamato da tutti il Vascello Fantasma. Si diceva, inoltre, che la sua ciurma fosse composta da spietati e imbattibili pirati, guidati dal comandante il cui nome faceva fremere anche il più coraggioso marinaio: il capitano McKane. Alcuni ritenevano fosse una qualche creatura soprannaturale, altri un angelo dai poteri straordinari, ma votato al male, e altri ancora credevano addirittura che si trattasse del Demonio in persona, che aveva trascinato con sé sulla terra gli spiriti dei più grandi guerrieri del passato come suo personale equipaggio. Non si era nemmeno sicuri sul sesso del fantomatico capitano, poiché nessuno che lo avesse visto in volto era sopravvissuto tanto a lungo da andarlo a raccontare. Ovunque il Vascello Fantasma andasse, seminava morte e terrore, a cui nessuno poteva scampare. Ed ora stava puntando proprio la loro nave.

«Ma che diavolo...» fece Dave, mentre Austen si tirava su di scatto, indeciso su cosa fare. Avrebbe prima dovuto avvertire il comandante o svegliare subito il resto dell'equipaggio?

«Dave, tu parla con il comandante. Io vado sotto coperta» disse e l'altro annuì, correndo subito a poppa. Austen percorse rapidamente il ponte centrale sotto lo sguardo minaccioso della chiglia del veliero che normalmente sarebbe dovuta essere sommersa. Raggiunse la botola che portava alle cabine dell'equipaggio nello stesso momento in cui dal vascello vennero fatte cadere numerose corde. Scese tutti gli scalini con un unico balzo e spalancò le porte delle stanze gridando più forte che poteva: «Ci stanno attaccando! I pirati ci stanno attaccando!» Dopo pochi istanti iniziarono ad uscire i primi marinai, alcuni ancora insonnoliti, altri imprecando per essere stati svegliati così bruscamente.

«Fratello, cosa succede?» domandò Constant. Aveva i suoi stessi capelli castani, ora tutti scompigliati, e la medesima fisionomia del viso. L'unica cosa che li differenziava era il colore degli occhi: quelli di Austen erano castano scuro, mentre Constant aveva una tonalità più sull'ambra. I due fratelli si toglievano qualche anno, ma avevano comunque preso insieme la decisione di diventare marinari e salire su quella nave mercantile.

«È... il Vascello Fantasma

«Cosa? Ma quella non era una leggenda?» chiese, mentre finiva di allacciarsi la camicia.

«Credimi: l'ho visto con i miei occhi» affermò Austen, risalendo le scale e risbucando a poppa, seguito da Constant. Ma non erano preparati allo scenario che si presentò davanti a loro: uomini incappucciati erano scesi dal vascello, che era ancora in aria sopra le loro teste, e stavano facendo strage dei loro compagni. Erano più forti, più preparati, più svegli di loro; sarebbe stato impossibile sconfiggerli.

Austen sfoderò la corta spada che teneva sempre con sé e il fratello fece altrettanto. «Non possiamo batterli» commentò amaramente Austen, iniziando a vedere a terra i primi cadaveri delle persone con cui aveva condiviso giorni di viaggio. «Ci stanno abbattendo uno dopo l'altro.»

«Dobbiamo almeno tentare» disse Constant, alzando la spada e preparandosi ad attaccare o a difendersi. Austen pensò che sembrava proprio un piccolo, ma tenace guerriero. Il fratello ora cercò di attirare l'attenzione di uno degli uomini impegnato a battersi e massacrare un loro compagno, ma era tutto inutile: avevano solo sedici anni, troppo sprovveduti per combattere, troppo giovani per uccidere. Austen strinse la spalla del fratello minore e lo tirò indietro: conosceva bene il suo carattere battagliero, ma voleva cercare di tenerlo fuori dai guai, per quanto gli fosse possibile.

Tutto a un tratto un'ulteriore figura scese dal Vascello Fantasma per la corda e atterrò a poppa, proprio accanto al timone, come a voler reclamare fin da subito il comando della nave. Il suo viso era coperto dal cappuccio del mantello, ma si poteva notare subito che aveva una corporatura ben più magra rispetto al resto della sua ciurma. Sembrò fermarsi un istante a godersi la scena della battaglia e del caos nato con il loro arrivo; quindi, con un salto aggraziato scese sul ponte centrale, sguainando la spada dal fodero. «Tutti voi conoscerete questo veliero e il suo capitano» disse, facendo un cenno verso la nave volante, con una voce chiara e femminile, che riuscì a sovrastare il rumore delle armi che cozzavano le une con le altre. Non ricevette risposta, ma tutti la stavano ascoltando.

«Io sono il capitano McKane» affermò. Si sentì la debole risata di un componente del loro equipaggio e il commento: «Ma sei una donna...»

L'uomo non riuscì a finire di pronunciare l'ultima parola che uno sparo risuonò nell'aria, tanto forte e inaspettato da far sussultare Austen. Dal mantello del capitano era sbucata una pistola, ora con la canna fumante, e la pallottola che era partita dall'arma aveva trapassato con macabra precisione il collo dell'uomo, che stramazzò a terra con ancora in viso un'espressione di puro stupore, sotto gli occhi increduli e terrorizzati dei presenti.

«Ora che mi conoscete, direi che è ora di passare alla burocrazia. Sapete, oggi mi sento particolarmente clemente: voglio proporvi un accordo equo e voi lo accetterete se avete cara la vita» continuò, come se non fosse accaduto nulla. «Lasciateci la merce che trasportate senza ribellarvi e vi risparmieremo.»

Stava evidentemente aspettando una risposta dal loro comandante che sembrò riflettere sulla proposta. Quindi, gettò la spada a terra e guardò il suo equipaggio come ad ordinare di fare altrettanto, mentre diceva: «Accettiamo.»

«Perfetto. Allora iniziate a buttarli nel mare. Non li voglio più fra i piedi» e si voltò, già diretta sotto coperta per vedere la merce che portavano.

«Un attimo. Avevate detto che ci avreste risparmiato!» provò ad opporsi il loro comandate, quando uno degli uomini incappucciati lo stava già afferrando e trascinando sul bordo del ponte.

«Una nuotata non vi farà nulla» replicò la donna.

L'unico a non aver ancora gettato a terra la spada era Constant, che, anzi, stringeva con forza il manico. Austen stava per chiedergli il motivo e ad invogliarlo a lasciare la presa, quando il fratello improvvisamente si mosse: prese la mira e lanciò la spada verso il capitano McKane. Quella la schivò con grande fracilità, pur trovandosi di spalle e non avendola potuta vedere, e si voltò lentamente verso i due fratelli.

Austen si sarebbe dovuto aspettare un'azione del genere da parte di Constant: era sempre stato un ragazzo molto irascibile, il tipo che cercava gli scontri e le zuffe, ma quella non era una semplice rissa tra bambini. Lo guardò e gli vide in volto un'espressione determinata, nonostante riuscisse a leggergli la paura per il fallimento del tiro.

All'improvviso la donna cominciò a ridere. «Sciocco ragazzino» sussurrò con voce cristallina. Dal tono che usò sarebbe potuta apparire come una madre che sgridava il figlio, ma c'era nella sua figura un qualcosa di talmente pericoloso, da mettere i brividi ad Austen. «Tanto sciocco, quanto coraggioso.» Si avvicinò così velocemente che il ragazzo quasi non se ne accorse e non ebbe il tempo di realizzare cosa stava per accadere. «Peccato che questo non basterà a salvarti» disse nello stesso istante in cui la sua arma trafiggeva il petto di Constant. Nel farlo, il cappuccio le si alzò leggermente, mostrando parte del suo volto; era incredibilmente bella e giovane, ma ciò che più colpì Austen furono i suoi occhi: erano di un azzurro tanto chiaro da sembrare bianco in alcuni punti. A prima vista apparivano degli occhi angelici, ma in quel momento Austen non riuscì a leggervi altro se non una sconfinata e disumana crudeltà. «No!» gridò, mentre il corpo di Constant cadeva sul pavimento impolverato del ponte.

Il capitano si calò meglio il cappuccio e guardò i suoi con aria soddisfatta, come Austen aveva avuto modo di vedere prima che i suoi occhi venissero nuovamente coperti. «Uccideteli tutti, compreso l'altro ragazzo.»

«Constant... Perché l'hai fatto?» domandò Austen, con una mano premuta sulla ferita, tentando inutilmente di bloccare l'emorragia.

«Papà... sarebbe stato fiero di me» sussurrò.

«Nostro padre non avrebbe mai voluto che ti facessi uccidere» rispose Austen con le lacrime agli occhi vedendo le forze abbandonare il corpo del fratello.

La mano di Constant toccò quella di Austen. «Scappa.»

Austen annuì, sebbene lasciare là il fratello fosse l'ultima cosa che desiderasse fare. Intorno a loro regnavano la confusione e le urla di chi cercava di lottare con i pochi mezzi che aveva e veniva ucciso. Lanciò uno sguardo al capitano McKane che si era appena calata nella botola della nave, quindi guardò di nuovo il fratello. «Lo giuro sulla mia vita: vendicherò la tua morte» promise, accarezzando la mano di Constant. «Riposa in pace, fratello» sussurrò, mentre l'altro esalava l'ultimo respiro. Si alzò e, come un uomo tentò di afferrarlo, lui lo schivò e fece l'unica cosa che gli avrebbe assicurato la salvezza: corse più che poteva fin quando non sentì più il pavimento del ponte sotto ai piedi. La caduta durò pochi istanti e l'impatto con l'acqua gelida gli provocò fitte di freddo ovunque. Ma almeno era vivo.

 

 

Nove anni dopo

Austen scese le sottili scalette che collegavano la nave su cui aveva viaggiato alla terraferma. Quello era sempre il momento che più gli dispiaceva perché doveva separarsi dalla barca che lo aveva accolto per giorni di navigazione e perché segnava la fine di un viaggio, per quanto breve fosse stato. Ora, però, c'era un motivo in più a rendergli l'arrivo così sgradevole: il porto in cui la nave era attraccata era quello di Hayrìn. Era stato proprio in quel posto che anni prima Austen e Constant si erano imbarcati sulla nave in cui il fratello aveva poi trovato la morte. Da quell'avvenimento, Austen non si era dato più pace: non appena scampato al Vascello Fantasma e aiutato da un peschereccio di fortuna, non aveva fatto altro che viaggiare da una città all'altra, cercando di guadagnare qualche soldo come marinaio e sperando di poter rivedere il Vascello per prendersi la vendetta tanto agognata. Scattava tutte le volte che sulle navi sentiva un rumore sospetto o nella notte gli sembrava di vedere il Vascello oscurare il cielo, ma rimaneva sempre deluso nell'accorgersi che si trattava solo di topi e nuvole. Ormai gli restavano solo la rabbia che non smetteva di covare dentro di lui e gli incubi che tutte le sere tornavano a tormentarlo dei terribili occhi azzurri del capitano e del momento in cui uccideva suo fratello. Eppure, nonostante il veliero non si fosse più presentato durante i suoi viaggi, sentiva continuamente notizie di navi mercantili attaccate, totalmente spogliate della mercanzia e abbattute insieme a tutto il loro equipaggio dal Vascello Fantasma.

Si strinse più forte sulla spalla la grande sacca con le poche cose che aveva necessità di portarsi dietro e si fece largo tra la massa di gente che affollava il porto. Non aveva un posto in cui andare: non vedeva i suoi genitori da quando lui e il fratello erano partiti e diventati marinai. Ormai erano passati anni e non sapeva nemmeno se vivessero ancora nella stessa casa o, soprattutto, se fossero vivi. Ma ciò che davvero lo frenava dall'andare a trovarli era il fatto che avrebbe dovuto informarli della morte di Constant e del motivo per cui non era tornato da loro e aveva navigato senza sosta.

Lanciò uno sguardo al sole visibile appena sopra gli edifici che costeggiavano il porto: mancava poco al tramonto e doveva cercare un posto dove passare la notte prima che facesse buio. Si concesse un'ora per girare tra le vie della città che lo aveva accolto nei primi anni della sua vita e lasciò riaffiorare i ricordi: i comignoli fumanti delle case e delle fabbriche, i miliardi di dirigibili e mongolfiere che costellavano il cielo, le strade affollate notte e giorno da carri trainati da cavalli, automi e persone, molte delle quali portavano i buffi cilindri che allora andavano tanto di moda, ma che Austen non aveva mai sopportato. Gli scienziati erano riusciti a creare robot sempre più all'avanguardia; certamente non erano ancora riusciti a renderli pienamente vivi, a dare loro un'anima e un cervello autonomi, ma ormai si erano perfettamente integrati nella società e quasi ogni famiglia ne aveva almeno uno nelle loro case per fargli svolgere le più svariate mansioni. Ovunque Austen posasse lo sguardo, vedeva gente di ogni grado sociale accompagnata dal suo personale robot, grande o piccolo che fosse.

Infine, fece ritorno al porto dove ricordava che si trovasse una locanda a cui il padre soleva andare a bere con i suoi amici, il North Shore. Con un po' di fortuna avrebbe trovato una stanza dove alloggiare per quella notte prima di ripartire.

Il locale era rimasto esattamente come lo ricordava, con la sua insegna sbiadita e il legno delle pareti corroso dal tempo. Fuori vi erano diversi gruppi di uomini che parlavano animatamente tra loro e dall'interno proveniva un forte vociare, segno che fosse pieno di gente, e la luce gialla-rossastra tipica delle candele. Come mise piede nella locanda, venne travolto da un intenso odore di rum, vino e ogni altro tipo di liquore che circolava e veniva bevuto dai clienti, già tutti ubriachi. Andò dritto al bancone, infilandosi nell'unico spazio non occupato e, non appena il locandiere si fu liberato e gli venne accanto, Austen ordinò una camera e un boccale di birra.

Pagò e, una volta pronta, prese la bevanda. Quindi, si voltò per cercare una tavolo libero in cui bere in pace, ma non riuscì a fare nemmeno un passo, perché tutta la sua attenzione venne catturata da una voce femminile terribilmente familiare. Sciocco ragazzino. Quelle parole avevano tormentato ogni singola notte di quegli ultimi nove anni e sarebbe stato impossibile non riconoscere quella partcolare voce. I suoi occhi seguirono la direzione da cui proveniva e caddero sulla compagnia che stava provocando il maggiore chiasso tra tutti. Alcuni uomini erano seduti a formare un cerchio disomogeneo intorno ad un'unica persona, tutti intenti a chiacchierare e ridere fragorosamente. Quando Austen la vide, gli tornò in mente ogni istante di quella fatidica notte.

Era una donna giovane dalla bellezza stupefacente e magnetica. Indossava degli abiti di colore blu che assomigliavano più ad un'armatura, ricoperta di cristalli all'altezza delle spalle e con una profonda scollatura. Il collo era coperto da un colletto su cui spiccava un grande diamante dai riflessi bluastri. I lunghi capelli di un biondo tanto chiaro da apparire bianco ricadevano sinuosi sulle sue spalle con alcune piccole ciocche intrecciate e incorniciavano un grazioso viso dalla carnagione pallida e le labbra rosee, reso ancora più delicato da un piccolo neo poco sotto l'occhio sinistro. Dal suo aspetto sarebbe potuta apparire una donna amabile e raffinata, ma erano l'espressione accigliata e superba del volto e il modo in cui si atteggiava a rivelare quanto in realtà fosse pericolosa. E poi c'erano i suoi occhi, gli stessi che accompagnavano ogni suo incubo notturno: questi erano la chiave per comprendere la sua natura egoista e feroce.

Si lasciò sfuggire di mano il boccale, che cadde a terra e andò subito in frantumi, facendo spargere la birra e catturando l'attenzione di tutti, che smisero di parlare e si voltarono verso di lui.

«Tu...» sibilò Austen, avvicinandosi alla donna e sfoderando la spada. Gli uomini che la circondavano si alzarono tutti insieme, non capendo cosa stesse accadendo. Austen arrivò a puntare la lama al collo del capitano, che, invece, non sembrava affatto spaventata dalla minaccia, quanto piuttosto divertita.

«Ti conosco?» chiese.

«Tu che dici, capitano McKane?» sussurrò Austen, enfatizzando le ultime parole, che pronunciò con disgusto, e finalmente vide il volto della donna mutare. Ora vi poteva confusione.

«Come puoi conoscermi con quel nome? Come puoi riconoscermi?» domandò, gettando nello stesso istante un'occhiata dietro le spalle di Austen, che si sentì afferrato e trascinato via. Lui si ribellò tirando una gomitata nel punto in cui credeva si trovasse lo stomaco dell'individuo. Per sua fortuna, lo centrò e sentì la presa dell'uomo su di lui indebolirsi. Approfittò dell'occasione per spingerlo via con forza, ma venne subito attaccato da un altro uomo, anzi: un robot. Questo cercò di sferrargli un pugno con la sua enorme mano meccanica, ma Austen ebbe la prontezza di schivarlo. Gli automi erano sì molto forti, ma, poiché non avevano una mente pensante per sviluppare strategie, non erano in grado di combattere come un essere umano. Anche in questo caso Austen si trovò avvantaggiato. Sollevò la spada e la inserì nell'unico punto non coperto da un guscio di metallo: poco sotto il petto. Sarebbe bastato tagliare qualche filo per indebolirlo. Quindi, passò al collo, altra parte debole. Tirò un fendente con tutta la forza che aveva, recidendo la testa del robot. La tattica più efficace, l'unica in grado di abbatterlo sul serio, era colpire il centro pulsante del meccanismo, il cuore, ma una semplice spada non era in grado di trapassare il metallo e colpirlo. Ma questo sembrò essere sufficiente a metterlo al tappeto, almeno per il momento. Il corpo acefalo dell'automa rovinò a terra, mandando scintille nelle zone in cui fili erano stati recisi.

Nella locanda era improvvisamente calato il silenzio; tutto era accaduto tanto velocemente da non lasciare a nessuno il tempo di realizzare cosa stesse succedendo e reagire. Austen, col fiato corto e il cuore a mille, si voltò verso la donna, il cui volto aveva ora perso ogni traccia di divertimento.

Ma la sua espressione ebbe una variazione improvvisa e fu attraversata dal lampo di un sorriso. Si alzò e con uno scatto fulmineo si diresse alla porta, uscendo dalla locanda. Austen all'inizio non capì cosa la donna avesse intenzione di fare, ma partì prontamente all'inseguimento, sotto gli occhi ancora allibiti dei presenti.

Era veloce. In pochi istanti aveva frapposto tra di loro una larga distanza, che andava aumentando, soprattutto dopo che Austen rischiò di inciampare in una pozzanghera. Cercò di concentrarsi di più, di infondere maggiore forza alle gambe e portarle al massimo delle loro capacità, sebbene non fosse molto abituato a correre per così tanto tempo a quella velocità. La cosa fondamentale era che non doveva perderla di vista; ora che l'aveva trovata, doveva tenere fede alla promessa di vendetta fatta al fratello e ucciderla una volta per tutte. La seguì attraverso i vicoli più angusti e sporchi della città, finché le gambe non iniziarono a fargli male e il fiato si fece corto. Naturalmente lei lo stava facendo apposta, in modo da fiaccarlo e far perdere le sue tracce. All'improvviso la strada sbucò su un ponte e lui, quando arrivò alla metà di esso, si accorse che non la vedeva più. Il respiro divenne affannoso, non solo per la corsa, ma soprattutto perché realizzò che se n'era andata. Si era lasciato sfuggire probabilmente l'unica possibilità che gli era stata concessa di rimediare al torto subito da Constant. Si passò una mano tra i capelli, affranto, mentre una rabbia cieca gli ribolliva dentro.

«Sei davvero determinato» osservò una voce dietro di lui. Si voltò e vide la donna in equilibrio sul corrimano del ponte. Austen non poté evitare di provare un'immenso sollievo, sebbene fosse ancora presto per cantare vittoria. «Qualunque motivo ti spinga ad odiarmi così profondamente deve essere davvero serio.»

Lui non rispose, ma tentò un fendente all'altezza delle sue gambe. Quella, però, lo precedette con un salto e riatterrò sul suolo vicino a lui. La donna sguainò a sua volta la spada. «Ora è una lotta equa.»

«Hai detto la stessa cosa del tuo stupido accordo: le merci in cambio della nostra salvezza» disse con disprezzo, caricando un affondo, che venne, tuttavia, subito fermato dalla lama dell'avversaria. Le spade stridettero tra loro, finché il capitano non si allontanò, tornando alla posizione di guardia.

«Tutti meritano la possibilità di vivere, no?» affermò, ma era ovvio dal suo tono che la frase fosse carica di ironia.

«Tu non di certo. Chi toglie la vita, non ha il diritto di goderne.»

Austen provò a fare una finta, ma lei la parò, senza cadere nell'inganno. Fece qualche breve attacco, per studiare il modo in cui parava, il tempo che impiegava a rispondere con movimenti difensivi e la resistenza. Era davvero abile e rapida, ma, se giocava di astuzia, forse sarebbe riuscito a renderla inoffensiva. Tirò una stoccata, ma anche questa venne deviata dalla spada del capitano, portando il colpo fuori bersaglio. Tentò di nuovo con l'affondo e, quando le lame si scontrarono, stavolta lei non si tirò indietro. Voleva testare quanto sarebbe riuscito a resistere prima di tirarsi indietro. Austen accolse la sfida e impiegò tutta la forza che sentiva scorrere sulle braccia, ma questo sembrava non bastare. Le lame non si muovevano di un centimetro e, anzi, sembrava che stesse per avere la meglio la donna. Doveva a tutti i costi dimostrargli quanto valeva, batterla e farle patire tutte le sofferenza che aveva inflitto a Constant. Constant. Fu il pensiero del fratello a infondergli nuovo vigore e fermezza. La spada del capitano iniziò ad abbassarsi, fin quando la lama dell'arma di Austen non toccò la base dell'altra. A quel punto, una volta abbattuta la sua difesa, sarebbe bastato spingere verso il basso e l'avrebbe disarmata, ma per lui non era sufficiente. Fece leva con tutta la sua forza sulla spada della donna, quindi la staccò e rapidamente le tagliò la mano.

L'arto reciso cadde a terra, con l'arma ancora stretta tra le dita ormai senza vita. Lei fece un passo indietro e si guardò il braccio privo di mano, da cui colavano rivoli di sangue. Il suo volto inizialmente si colorò di sorpresa e soffernza, per poi lasciare il posto ad un sorriso. «Credi davvero che questo basti per battere il famigerato capitano McKane?»

«Hai ragione. Non basta. Devo ucciderti» disse, caricando di nuovo un fendente, ma quella, sebbene indifesa, si mosse rapidamente e scartò l'attacco. «Aveva solo sedici anni! Era solo un ragazzino e tu l'hai ucciso come se la sua vita non contasse nulla» urlò.

«Uno sciocco ragazzino» ribatté lei con uno sguardo freddo, inespressivo. «Tu gli somigli molto.»

Austen rimase pietrificato da quelle parole. Lei ricordava. Come poteva dire una cosa del genere dopo tutto quello che aveva fatto a loro e alle persone innocenti morte per mano sua? Lasciò cadere la spada e le afferrò il collo con le mani con l'intenzione di strangolarla, ma lei non gli permise di afferrarlo bene e le sue dita riuscirono ad afferrare solo il colletto, che si strappò. Per la violenza del gesto, il diamante si staccò e cadde a terra.

Il capitano seguì con uno sguardo per la prima volta carico di puro terrore la corsa del diamante e fissò il punto in cui si era fermato. Per fortuna, era finito proprio accanto ad Austen, che si piegò e lo prese prima che lei tentasse di afferrarlo.

«Perché tieni tanto a questo oggetto?» chiese, osservandolo, e capì dallo sguardo furioso che lei gli lanciò che aveva appena trovato qualcosa di davvero importante per lei. Rigirandoselo tra le mani, si accorse che nella caduta si era scheggiato, nonostante i diamanti fossero molto resistenti e la caduta fosse stata di poco conto. «Peccato, si è rotto.»

«Cosa?» chiese lei, reggendosi il braccio monco. «Ridammelo» sibilò, spostando improvvisamente la mano restante. Austen non fece in tempo a capire cosa avesse intenzione di fare, che la donna si mosse e gli lanciò un piccolo, ma affilato, coltello, che gli trafisse la mano. Il ragazzo lasciò andare il diamante e si prese l'arto ferito, estraendo l'arma e socchiudendo gli occhi per il dolore.

Il capitano raccolse l'oggetto ed Austen la vide guardarlo con preoccupazione e allo stesso tempo sollievo.

«Come combattente non sei male» affermò, dandogli le spalle e saltando di nuovo sul corrimano. «È stato divertente giocare con te, ma adesso devo andare.»

Richiuse la mano sul diamante e quello emise una debole luce azzurra. Anche il braccio mutilato si illuminò nel punto in cui era stato reciso e, davanti agli occhi basiti di Austen, la pelle riprese a crescere, fino a formare una nuova mano. Il ragazzo guardò a terra accanto a sé, dove si trovavano ancora la spada e la mano tagliata della donna, come a cercare una conferma che ciò fosse davvero accaduto poco prima.

«Chi sei tu davvero?» chiese Austen, la voce ridotta a un sussurro.

«Qualcuno che non riuscirai mai a dimenticare» pronunciò il capitano McKane, prima di lasciarsi cadere dal ponte.

Austen, sebbene fosse ancora incredulo per ciò che aveva appena visto, si precipitò per accertarsi che fosse morta, ma sotto di lui non vide nulla. Il ponte era abbastanza alto e dava sull'unico fiume che passava per Hayrìn. L'avrebbe dovuta vedere se era davvero caduta, ma la donna sembrava essere scomparsa.

Un rumore lo attirò dietro di lui e, quando si girò, vide davanti a sé il Vascello Fantasma, che volava verso l'alto. Nonostante la lontananza, gli parve di scorgere una chioma bionda.

 

Il lampadario oscillava a ritmo lento e regolare, come ogni altro oggetto della cabina. Proprio durante il loro viaggio era scoppiata una tempesta, che, dove si trovavano, aveva gli stessi effetti violenti subiti dalle navi via mare, solo che in cielo l'ostacolo maggiore, oltre alla pioggia, non erano le onde, ma il vento. Stephanie aveva passato l'intera notte al timone e aveva lasciato il posto al suo primo ufficiale di coperta solo quando la pioggia si era iniziata a placare, poco prima dell'alba. Ora si era ritirata nella sua stanza, con i capelli biondi ancora gocciolanti e i vestiti zuppi, ma non aveva l'intenzione, né la voglia di cambiarsi ed asciugarsi. Non riusciva a fare altro oltre a riggirarsi il diamante tra le mani e, soprattutto, osservare con apprensione la parte scheggiata.

«Ti sei mai chiesto perché facciamo tutto questo? Derubare, uccidere...» chiese all'improvviso all'altra figura presente nella cabina. «Certo che no: sei un automa.»

Il robot, in risposta, rilasciò uno sbuffetto di vapore dal tubo che aveva sulla spalla.

«Molte volte ti invidio: le uniche cose per cui sei stato programmato sono pulire il ponte e aiutare gli altri marinai. Sei una macchina, estranea ai sentimenti e alle sofferenze. Non hai bisogno di farti vedere continuamente forte dagli altri, di usare il terrore per farti rispettare dalle persone crudeli che popolano questo mondo» si alzò e si affacciò dall'oblò per guardare il mare di nuvole che si estendeva sotto di loro. «Io sono l'ultima che dovrebbe dire queste cose. Gli anni che ho vissuto sono comparabili alle vite che ho tolto. Bambini, donne, uomini, anziani... Non faceva alcuna differenza. Godevo nel vedere il loro dolore, attendevo il momento in cui li avrei trafitti con la mia spada e mi sarei appropriata delle loro ricchezze. Mi sentivo invincibile, senza capire che tutto ciò era solo grazie a questo piccolo oggetto. La mia forza dipendeva da un diamante.»

Si voltò verso gli occhi atoni dell'automa, cercando di sopprimere la rabbia.

«Non ho mai rivelato a nessuno tutto ciò prima d'ora. Curioso che io lo stia dicendo proprio ad un robot, che non mi sta nemmeno ascoltando e che non ricorderà le mie parole. Forse perché ho paura di essere giudicata come una debole, se ne parlassi con i miei uomini, ed io ho sempre cercato di non mostrarre mai quel lato di me sinora. Meglio così: almeno morirò con onore, come il capitano McKane, il pirata più temibile di tutti i mari, non Stephanie, la povera ragazzina abbandonata dai suoi stessi genitori.

Questa pietra era un regalo che loro mi fecero così tanto tempo fa che a stento riesco a ricordare. Allora ero poco più di una bambina e loro mi dissero che il diamante proveniva da una terra molto lontana da qui, che avevano scoperto per caso in uno dei loro tanti viaggi esplorativi. Là le persone avevano ali per volare, vivevano per più di mille anni e tutti erano sempre felici. Sembra assurdo, vero? Eppure, questo minuscolo diamante ne è la prova. Non so come faccia, ma mi ha resa indistruttibile e fa in modo che questa nave riesca a volare senza l'aiuto di qualsiasi delle moderne tecnologie a vapore con cui oggi si fa funzionare tutto, e che io non invecchi, né possa essere ferita. È stato soprattutto grazie ad esso che io sono riuscita a sopravvivere per anni da sola, anche dopo che i miei genitori mi lasciarono in un orfanotrofio per andarsene nel loro nuovo mondo idilliaco, e che ho costruito tutta questa fama intorno al mio nome e alla mia ciurma. Avrei anche potuto distruggerlo subito. In fondo, i miei genitori non sono stati altro che egoisti con me; perché conservare il diamante? Tutti tendiamo a tenere dei ricordi delle persone che abbiamo amato, per quanto possano averci ferito. Ma tutto ha un prezzo e lo stesso vale per questa pietra: più vite prende, più velocemente arriva la resa dei conti. E sembra proprio che oggi il destino sia venuto a reclamarla.»

Osservò ancora una volta lo sfregio in bella vista sulla superficie del diamante. «Nella mia vita non ho portato altro che sofferenza, credendomi indistruttibile, proprio come questo diamante. Ma anche la più resistente pietra preziosa è destinata a rompersi a lungo andare.»

Chiuse gli occhi per sopprimere le lacrime. Era da tanto, troppo, tempo che non piangeva: da quando aveva visto per l'ultima volta i suoi genitori e li aveva guardati andarsene per sempre. Ora, però, la ragione era ben diversa: aveva vissuto tanti anni credendo di essere invulnerabile e immortale ed ora che stava andando incontro alla morte aveva paura di essa. Rilasciò un profondo respiro e lasciò cadere al suolo il diamante, che andò in mille pezzi.

 

 

Austen sorseggiò il secondo bicchiere di vino. Se continuava così, avrebbe finito per ubriacarsi, ma non gli importava. Forse era proprio quello che gli serviva, per soffocare i ricordi e i pensieri confusi che affollavano la sua testa. Era tornato di nuovo al Night Shore, dove era partito il suo ultimo incontro con il capitano McKane. Non capiva nemmeno lui perché vi fosse andato; forse per provare ad affrontare i suoi incubi e superarli, o forse proprio per ricordare. Non era stato in grado di mantenere la promessa fatta al fratello e dentro provava una grande delusione e rabbia verso sé stesso. Era stato tanto vicino al farlo, ma proprio alla fine lei era riuscita a riprendersi quel dannato diamante ed era guarita in modo inspiegabile. Chi sei tu davvero? le aveva chiesto poco prima che lei si gettasse dal ponte, ma probabilmente quella domanda sarebbe rimasta per sempre senza risposta perché quel giorno Austen era venuto a sapere del ritrovamento di una nave, che tutti riconobbero come il famoso Vascello Fantasma, schiantata al suolo. I pirati che erano sopravvissuti alla rovinosa caduta che aveva distrutto il veliero vennero arrestati, ma non sembrava esserci traccia del capitano McKane. Era come se fosse scomparsa nel nulla. Austen non poteva sapere se fosse davvero morta o se, invece, fosse scappata: non gli rimaneva altro da fare che sperare che il destino le avesse finalmente dato la punizione che meritava per le sue innumerevoli colpe. Guardò distrattamente il tavolo in cui l'aveva rivista, seduta nel suo modo sfacciato e provocante, ormai solo un fantasma della sua mente. Qualcuno che non riuscirai mai a dimenticare. Anche se fosse davvero morta, di una cosa poteva andare certo: i gelidi occhi azzurri del capitano McKane non avrebbero mai smesso di popolare i suoi incubi.

   
 
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