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Autore: edoardo811    14/11/2018    6 recensioni
La pace ha continuato a regnare al Campo Mezzosangue, gli Dei si sono goduti molti anni di tranquillità. Ma la pace non è eterna.
La regina degli dei Amaterasu intende dichiarare guerra agli Olimpi, mentre un antichissimo mostro ritornato in auge si muove nell'ombra, alla ricerca di Ama no Murakumo, la leggendaria Spada del Paradiso.
EDWARD ha trascorso l'intera vita fuggendo, tenuto dalla madre il più lontano possibile dal Campo Mezzosangue, per ragioni che lui non è in grado di spiegarsi, perseguitato da un passato oscuro da cui non può più evadere.
Non è facile essere figli di Ermes. Soprattutto, non è facile esserlo se non si è nemmeno come i propri fratelli. Per questo motivo THOMAS non si è mai sentito davvero accettato dagli altri semidei, ma vuole cambiare le cose.
STEPHANIE non è una semplicissima figlia di Demetra: un enorme potere scorre nelle sue vene, un potere di cui lei per prima ha paura. Purtroppo, sa anche che non potrà sopprimerlo per sempre.
Con la guerra alle porte e forze ignote che tramano alle spalle di tutti, la situazione sembra farsi sempre più tragica.
Riuscirà la nuova generazione di semidei a sventare la minaccia?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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Un risveglio particolare

 

 

Correva a perdifiato, in quello che sembrava essere un lungo corridoio nero, al termine del quale nessuna luce lo attendeva. Perle di sudore che scivolavano lungo la sua fronte, il cuore che batteva all’impazzata nel petto, incapace di reggere il ritmo del suo corpo.

Ombre minacciose si muovevano attorno a lui, non poteva vederle, ma riusciva a percepirle, talvolta anche a sentire le loro risatine di scherno, come se trovassero spassoso quel suo ennesimo tentativo di fuga. Come se stessero solo aspettando che le gambe gli cedessero, per potersi avventare su di lui e finirlo una volta per tutte.

Una voce femminile lo chiamava, anzi, sbraitava il suo nome. Gli diceva di continuare a correre, di non fermarsi, di non voltarsi indietro, mai. Il suo obiettivo era uno ed uno soltanto, e quando lo avrebbe raggiunto, sarebbe stato al sicuro, finalmente.

Lacrime cadevano dai suoi occhi, il respiro pesante, affannato, mischiato a sommessi singhiozzii, mentre pensava a tutto ciò che aveva vissuto in quei lunghi ed estenuanti anni. Non gli lasciavano pace. Non gli avrebbero mai lasciato pace. Per quanti potesse abbatterne, loro continuavano a tornare. Lo avrebbero inseguito per sempre, fino a quando non avrebbe esalato il suo ultimo respiro, fino a quando gli occhi non gli si sarebbero chiusi una volta per tutte.

Una luce apparve alla sua visuale come una benedizione. I suoi occhi stanchi, abituati alla penombra, si socchiusero incapaci di sopportare il bagliore improvviso. Un moto di speranza si accese dentro di lui. Mancava poco. Mancava pochissimo. Era quello il luogo del biglietto, ne era sicuro. Era quasi arrivato. Presto sarebbe stato al sicuro, presto avrebbe potuto voltare pagina.

Cento metri, novanta metri, ottanta, settanta. Poteva percepire il calore emanato da quella luce, poteva sentire la libertà, quel sapore che mai era parso così dolce.

C’era quasi, bastava solo…

Un’ombra si genero dal suolo di fronte a lui. Sgranò gli occhi e cercò di fermarsi, ma ormai era troppo tardi: una figura imponente prese vita dall’oscurità, andando ad afferrarlo per il collo con una mano.

Gridò. Fu sollevato in aria come una piuma, la presa che si stringeva attorno alla sua gola. Sul volto della figura apparvero due occhi rossi come il sangue. Gli sorrise, o meglio, ghignò. I denti aguzzi rilucerono in mezzo alla penombra.

«Ladro…» sussurrò, avvicinandosi a lui, inondandogli la faccia con il suo alito pestilenziale. «Non puoi scappare per sempre…»

Gemette. Si dimenò nell’aria, cercando di liberarsi. Avvicinò una mano alla tasca della giacchetta, cercando il suo coltello, ma non trovò nulla. Era disarmato, in piena balia di quell’essere.

«Ladro…» rantolò ancora una volta quello, per poi avventarsi su di lui con le fauci.

 

***

 

Riaprì gli occhi di scatto. La luce lo stava avvolgendo, ma questa era diversa da quella vista poco prima. Questa era luce naturale, che filtrava attraverso una finestra, andando ad illuminare l’ambiente che lo circondava. Una stanza. Era in una stanza. E lui era sdraiato sopra un letto.

«Oh, sei sveglio!»

Si voltò di scatto, sorpreso, trovandosi di fronte una persona. Una persona vera, niente ombre, o mostri. Una ragazza per l’esattezza, seduta su una sedia accanto al letto. Questa gli sorrise accomodante. «Te la sei vista proprio brutta ieri sera, sai? Per fortuna sei riuscito a trascinarti oltre il confine, o ti avrebbero preso.»

«C-Cosa…» mormorò lui. «C-Chi…» Si interruppe, toccandosi una tempia, infastidito da una lieve fitta di dolore che lo afflisse. Si massaggiò tra i capelli castani. «Cos’è successo? Dove mi trovo?»

La ragazza fece un verso sorpreso, portandosi una mano di fronte alla bocca. Si rese conto solo in quel momento del suo aspetto davvero grazioso, dei suoi lunghi capelli corvini raccolti in una coda e degli occhiali da vista dalla montatura nera posati di fronte agli occhi color caffè.

«Dei, hai perso la memoria anche tu?!» esclamò lei, dapprima sembrando sconvolta, in seguito quasi eccitata. Si chinò verso di lui, aggiustandosi gli occhiali quasi come per analizzarlo meglio. «Proprio come quella storia di vent’anni fa! Sei anche tu di un altro campo? Quello romano? O magari ce ne sono altri?»

Smise di esaminarla non appena udì quelle parole che per lui non avevano alcun senso. «E-Eh?»

«Giusto!» La ragazza si sbatté una mano sulla fronte. «Se hai perso la memoria non puoi sapere la risposta a queste domande! A proposito, io sono Steph, o Stephanie se preferisci.»

«No, ascolta…» Si mise a sedere, le coperte che scivolarono via dal busto. Indossava ancora la sua maglietta sgualcita, ma della giacchetta nessuna traccia. «Io non ho perso un bel niente… cioè… a parte la mia giacca, a quanto pare…»

«Laggiù» Steph, gli indicò una sedia riposta nell’angolo della stanza, dov’era riposto il suo indumento. «Ma aspetta…» proseguì lei. «… quindi… non hai perso la memoria? Sai come ti chiami e da dove vieni?»

«Edward» annuì lui. «E vengo da… beh… è una lunga storia. Diciamo da molto lontano da New York.» Edward si appoggiò di nuovo allo schienale del letto. «Molto, molto, lontano…»

«Oh…» Quelle risposte parvero deluderla un poco. Steph si sistemò meglio sulla sedia, incrociando le braccia. «Ma… allora come sai del Campo Mezzosangue?»

«Campo che?» domandò Edward, che cominciava a sentire un lieve mal di testa. Si era svegliato da un incubo, l’ennesimo, e ora questa schizzata lo stava tempestando di domande, usando termini dei quali non riusciva a comprenderne nemmeno la metà.

«Questo posto» Stephanie allargò le braccia. «Il Campo Mezzosangue. Dove vivono quelli come noi.»

Il cervello di Edward stava per esplodere. «Quelli… come noi?» domandò, incapace di formulare frasi migliori.

«Sì, i semidei. Anche se non capisco come mai tu ci abbia messo così tanto per arrivare qui. Avrebbero dovuto riconoscerti già almeno cinque anni fa’…»

«Mi spieghi, per favore, cos’è successo?» Edward si drizzò di nuovo, cominciando a spazientirsi. «Come sono finito qui, in questa stanza?»

L’espressione di Stephanie si addolcì, ora sembrò quasi mortificata. Si posò una mano dietro la testa, ridacchiando. «Scusami, non avrei dovuto bombardarti di domande in quel modo. A dire la verità, avrei dovuto chiamare Chirone non appena tu…»

Accorgendosi di come stesse per divagare un'altra volta, la ragazza si interruppe, schiarendosi la voce.  «… insomma, le nostre sentinelle ti hanno visto sul limitare del campo, privo di sensi e con delle brutte ferite. Ti hanno prelevato e portato qui, dove ti abbiamo curato. In mano…» La ragazza si frugò in tasca, per poi estrarre un oggetto a lui molto familiare. «… avevi questo.»

Edward osservò il coltello nelle mani della ragazza. Nella sua mente rivisse la scena: uomini alti due metri, con denti aguzzi e donne con corpo di serpente che lo aggredivano in massa e lui che li respingeva con tutte le sue forze, proprio con quello stesso coltello. Lo avevano ferito, molto più di quanto avrebbe immaginato, ma era comunque riuscito a liberarsi di loro. A causa delle ferite, però, era stato costretto a strisciare pur di superare quell’albero sulla collina. Aveva perso i sensi poco dopo, credendo ormai di essere spacciato. Invece, qualunque cosa ci fosse stata dietro quell’albero, lo aveva protetto per davvero, proprio come gli aveva detto sua madre.

Prese l’arma che Stephanie gli consegnò. Si rigirò il coltello a farfalla tra le mani, per poi cominciare a rotearlo come solo uno che lo aveva impugnato per anni ed anni avrebbe potuto fare. Estrasse la lama dal colore scuro, osservandola assorto. L’unica arma che avesse mai usato in grado di ferire i suoi aggressori. Tutte le altre li avevano sempre trafitti senza arrecare alcun danno. Coltelli, bastoni, mazze… forse anche i proiettili, se solo avesse avuto modo di testare con un’arma da fuoco.

«Dove l’hai trovato?» domandò Stephanie, anche lei piuttosto presa dall’oggetto.

«Apparteneva a mia madre» replicò Edward, gli occhi castani incollati sul coltello.

«Oh. E… ehm, lei è…»

«Hai detto…» Il ragazzo interruppe Stephanie. «… "semidei", giusto? Che significa?»

«Sì, ecco.» Steph si schiarì ancora una volta la voce. «Beh, sono un po’ di informazioni da digerire tutte in un colpo, ma… in parole povere, gli Dei dell’antica Grecia sono reali e vivono in cima all’Empire State Building, da cui, di tanto in tanto… o meglio, molto spesso, scendono per avere relazioni con le persone comuni, i "mortali", insomma. E dalla loro unione nasciamo noi, i semidei, per metà dei e per metà mortali.»

Edward la scrutò per un breve momento, ponderando su come dirle quanto fuori di testa fosse sembrata nella maniera più gentile possibile. «Hai ragione, è un bel po’ da digerire…»

Stephanie ridacchiò e lui si ritrovò a sorridere senza accorgersene. Cosa strana, perché erano anni che non sorrideva in maniera sincera. La serenità di Stephanie gli sembrava al di fuori dal comune. Qualcosa a cui non era abituato. 

«So che fai fatica a credermi» proseguì Steph. «Ma posso dimostrarti al cento percento che quello che ti ho detto è vero.»

«E come?» le chiese Edward, incurvando un sopracciglio.

La ragazza si fece seria, espressione che cozzò con l’atteggiamento tranquillo di poco prima. Indicò il suo coltello. «Quella lama è di bronzo celeste, l’unico materiale in grado di uccidere i mostri. Come quelli che ti hanno attaccato ieri sera.»

Per la prima volta, Steph riuscì a sconvolgerlo. Edward sgranò gli occhi, osservandola con le labbra socchiuse. «Allora… allora non li vedo solo io… non sono pazzo…»

«No, non lo sei» lo rassicurò la ragazza, tornando a sorridergli. «I mortali non possono vederli, per via della Foschia, che impedisce loro di vedere ciò che non potrebbero comprendere, ma noi che siamo divini per metà sì.»

«La Foschia…» ripeté lui, quasi in trance. Scorci di passato percorsero i pensieri di Edward, tutti riguardanti le sue sventure con i mostri. Da quando aveva iniziato a viaggiare da solo per il paese, saltando da una famiglia affidataria all’altra, ogni volta che si era scontrato con loro aveva sempre finito con il sembrare pazzo agli occhi di tutti. Nessuno vedeva ciò che vedeva lui. In genere lo accusavano di aver aggredito cittadini comuni, talvolta perfino agenti di sicurezza o poliziotti. Anche professori. E una volta, perfino il preside.

C’erano stati momenti in cui aveva creduto davvero di essere pazzo, di avere allucinazioni. Eppure, ogni volta che rischiava del tutto di cedere a questa convinzione, ricordava come sua madre gli avesse sempre creduto. Nemmeno lei riusciva a vedere ciò che vedeva lui, ma non aveva mai pensato per un momento che fosse pazzo. Avevano girato il paese intero, fuggendo anche da loro.

E ora… semidei. Ciò che Stephanie gli aveva raccontato gli era sembrata la cosa più idiota che avesse mai sentito. Eppure… eppure non riusciva del tutto a pensare che si trattasse solo di stupidaggini. In un certo senso… quella storia sarebbe riuscita a spiegare molte delle assurdità che gli erano accadute, nonché l’assenza di suo padre e le continue risposte vaghe di sua madre in merito a lui.

Una storia assurda per spiegare cose assurde, aveva senso in un certo, perverso, modo.

«Ehi.» Stephanie gli posò una mano sul braccio, facendolo trasalire. Era rimasto così concentrato sui suoi pensieri che si era perfino scordato di lei. Non avendo la giacca, poté percepire quanto soffice e calda fosse la sua mano.

«Ora è finita» lo rassicurò, osservandolo negli occhi. Notò che non erano semplicemente marroni, ma anche con alcune striature di verde. Erano davvero incantevoli. «Sei al sicuro qui al Campo.»

Edward riuscì a sorridere di nuovo, annuendo. Al sicuro… non gli sembrava vero.

«Deve essere stata dura per te…» proseguì Steph, accomodandosi di nuovo sulla sedia, con sguardo quasi premuroso. «Quanti anni hai?»

«Diciotto.»

«Diciotto…» ripeté lei, quasi a fatica. «Cinque anni più del limite d’età… è… è incredibile…»

«Perché?» Edward cominciò ad allarmarsi. «Cosa c’è di sbagliato?»

«Più i semidei crescono, più sono forti e numerosi i mostri che riescono a percepirli. Ed è a tredici anni che questo cambiamento inizia a verificarsi. Per quell’età, un semidio deve essere portato al Campo, o la sua vita inizia ad essere seriamente in pericolo. Per questo i nostri satiri, guardiani di semidei, vanno alla loro ricerca per tutto il paese. Ma tu…» Steph si sporse di nuovo verso di lui, riacquistando il sorriso. «… tu sei sopravvissuto per cinque anni in più del normale fuori da qui, senza che nessun satiro ti abbia mai trovato. È incredibile. Devi essere davvero forte come semidio.»

«B-Beh…» Edward distolse lo sguardo da lei. Era sempre stato allergico ai complimenti. Forse perché non era affatto abituato a riceverne. «Grazie…»

In effetti, anche quelle parole tornavano. Da bambino non aveva incontrato molti mostri e i pochi in questione erano sempre stati piuttosto ridicoli. Ma più era cresciuto, più anche loro erano cambiati, diventando più numerosi, più grossi, più pericolosi. Come gli uomini dai denti aguzzi, oppure quelli con un solo occhio, dei colossi alti due metri che avrebbero potuto spezzarlo come un fuscello. 

E poi… loro. Occhi rossi come il sangue, denti aguzzi e corna. Dei diavoli in miniatura, in tutti i sensi. Erano apparsi una sola volta, proprio in una maledetta notte dopo il suo tredicesimo compleanno. E da allora non aveva più smesso di fare incubi su di loro. E ogni volta che li sognava, era come se fossero davvero lì, reali come le poche certezze che ancora aveva. Ladro. Così lo chiamavano. Non aveva mai capito il perché.

«Hai sete?» domandò ancora la ragazza, per poi indicare un bicchiere posato sul comodino accanto al letto. Una bevanda arancione con tanto di cubetti di ghiaccio vi era riposta dentro. Edward la prese incuriosito, per poi sorseggiarne il contenuto. Non appena la bevanda entrò in contatto con il suo palato si sentì rinvigorito, tuttavia rimase sorpreso dal suo sapore.

«Ma… ma sa di waffles» mormorò, sorpreso, suscitando una risatina da Steph.

«Il nettare degli dei ha un sapore diverso per ciascuno di noi, in base a quello che preferiamo.»

Edward la osservò sbigottito. Tra tutte le cose che aveva scoperto quel giorno, quella era di gran lunga la più sorprendente. Una bevanda che sapeva di cibo. Una di quelle cose di cui non sapeva di aver bisogno fino a quando non le provava la prima volta.

«Non esagerare, però. Quella roba è mortale per… i mortali, e noi rimaniamo sempre mortali per metà. Uno o due sorsi possono andare bene, ma non di più, o… beh, potresti prendere fuoco.»

Per qualche strano motivo, la sete passò al ragazzo, che posò il bicchiere di nuovo sul comodino quasi dispiaciuto. Il sapore dei waffles, era pur sempre il sapore dei waffles.

«Ora, però…» continuò Stephanie. «… posso chiederti come facevi a sapere di questo posto? Come ho già detto, nessun satiro sapeva nemmeno della tua esistenza.»

«Non credo di aver ancora capito la questione “satiro”, ma…» Edward estrasse un biglietto dalla tasca, per poi mostrarlo alla ragazza. «… è tutto scritto qua sopra. L’indirizzo di questo posto e di come avrei dovuto superare l’albero in cima alla collina.»

Stephanie prese il biglietto e lo lesse assorta, per poi annuire. «Sì, l’Albero di Talia… dove i confini del campo iniziano. Qui dice che l'ha scritto tua madre. Davvero è stata lei?»

«Sì.»

«Ma come sapeva di questo posto?»

Edward sollevò le spalle. Una risposta più che chiara. Nemmeno lui ne aveva idea.

«E…» La porta della stanza si aprì, interrompendo la frase di Steph. Un uomo su una sedia a rotelle fece capolino. Aveva lunghi capelli ricci e la barba curata, una coperta gli copriva le gambe.

«Vedo che hai iniziato senza di me, Stephanie» disse con tono paziente e un tenue sorriso. Il suo non sembrava un rimprovero, tutt’altro, però la ragazza avvampò comunque.

«Chirone! S-Scusa ma… è stato più forte di me… e poi…» Stephanie osservò Edward, strizzandogli l’occhio. «… non ti ho mica infastidito così tanto, vero?»

Mise parecchia enfasi in quella domanda. Edward soppresse una risatina ed annuì. «Vero.» Stephanie si illuminò, sorridendogli grata per la complicità, dopodiché il ragazzo tornò ad osservare l’uomo sulla carrozzina, il già citato Chirone, che ormai era arrivato accanto a Steph.

 «Io sono Chirone, e assieme al direttore del campo sono il punto di riferimento per tutti i semidei. Per qualsiasi problema, non esitare a rivolgerti a me…» Lasciò la frase a metà, lasciando intuire ad Edward che, per continuare, volesse sapere il suo nome.

«Edward» annunciò il ragazzo, con un cenno del capo.

Chirone annuì. «Bene, Edward. Immagino che Stephanie ti abbia già spiegato tutto quanto.»

«Sì, è così.»

«L’ha presa piuttosto bene» commentò Stephanie. «Non tutti accettano di essere semidei così semplicemente.»

Edward scrollò le spalle. «A dire il vero, non so cosa pensare di tutto questo. L’unica cosa divina che credo di aver mai avuto, penso sia la sfortuna. Ma… se qui sarò davvero al sicuro, allora non mi opporrò certo all’idea di avere un padre divino.»

«Lo sarai, non temere» spiegò Chirone. «L’inizio è un po’ difficile per tutti, ma ti ambienterai presto. Ora che sei nel campo, presto verrai riconosciuto anche tu. Entro sera potremo stabilire dove alloggerai, ma fino ad allora…» L’uomo si rivolse a Stephanie. «… ti spiacerebbe portare il nuovo arrivato a fare un giro del campo?»

Stephanie balzò in piedi con un ampio sorriso. «Certo che no! Lo accompagno subito!»

Il suo entusiasmo contagiò anche Edward e Chirone. «Allora i miei servigi non sono richiesti» annunciò quest’ultimo, per poi consegnare al ragazzo sdraiato una busta di plastica. «Qui c’è la divisa del nostro campo. Spero che non ti dispiaccia indossarla.»

Edward prese la busta. Conteneva un paio di semplicissimi jeans e una maglietta arancione sgargiante, gli stessi abiti che indossava Steph, ora che ci faceva caso. Annuì. Vestiti puliti e soprattutto gratis, come rifiutare? «Va bene.»

«Ti lasciamo un momento per cambiarti» comunicò ancora l’uomo, iniziando a dirigersi verso l’uscita, seguito da Steph, che prima di svanire dietro la porta sollevò entrambi i pollici in direzione di Edward. «Vedrai, ti divertirai un sacco qui!»

«Lo spero» replicò lui, contagiato ancora una volta dall’entusiasmo della ragazza.

La porta della stanza venne chiusa ed Edward tornò a concentrarsi sui suoi nuovi vestiti. Sospirò, per poi tirarli fuori dalla busta.

Ci siamo Edward… questo è il tuo nuovo inizio, pensò mentre cominciava a cambiarsi. Sperò che il suo lungo e tortuoso viaggio ne fosse valsa davvero la pena.

A volte ci pensava. Pensava a come le cose sarebbero state se avesse lasciato che i mostri se lo fossero preso e basta. Niente più fughe, combattimenti, ferite, lividi, niente di niente. Solo pace. E ogni volta, finiva con il ripetersi che arrendersi sarebbe stato come dare uno schiaffo alle persone che, invece, avevano creduto in lui.

E forse, forse era vero. Forse sarebbe davvero stato al sicuro lì. Di una cosa era certo, l’ambiente, già solo dal poco che aveva visto dentro quella stanza, prima in Stephanie e poi in Chirone, era molto più sereno di quello a cui si era abituato lui negli anni. Le premesse, per il momento, sembravano buone.

Finì di indossare la maglietta quando un campanellino d’allarme trillò nella sua testa all’improvviso. Cominciò a sentirsi a disagio, osservato. Drizzò lo sguardo, verso l’armadio sul lato della stanza. Sopra di questo, la statuina di un serpente teneva gli occhietti gialli puntati su di lui. Era sempre stata la sopra?

Edward assottigliò gli occhi, puntandoli proprio sulle iridi giallognole del serpente, questo finché quello non batté le palpebre, facendolo sussultare. Si strofinò gli occhi con forza, pensando di essersi immaginato tutto, e fece per guardarla ancora quando la voce di Stephanie lo riportò alla realtà. «Edward, hai finito?»

«Sì…» mugugnò lui, voltandosi verso la porta. La ragazza rientrò nella stanza, sorridente, per poi notare la sua espressione confusa. «Qualcosa non va?»

«Perché c’è quel serpente la sopra?» domandò lui, indicandole l’armadio.

Non appena pronunciò quella parola, tuttavia, Stephanie saltò come una molla. «UN SERPENTE?!» La ragazza si rannicchiò su sé stessa, sollevando una gamba da terra. «Dov’è? DOV’È?!»

«Calmati!» Edward sollevò le mani, cercando di riportarla alla ragione. «È solo…» Si voltò di nuovo verso l’armadio, ma sulla cima di esso non v’era più alcuna traccia della statuetta. Schiuse le labbra. «Ma… ma cosa…»

«Hai… hai avuto una giornata dura, ieri» mormorò Stephanie, anche se sembrava ancora scossa all’idea che un serpente potesse essere davvero lì. «Sei… sei solo stanco, e… e immagini cose. Tranquillo, è… è normale.»

Edward avrebbe voluto dirle che quello che aveva visto tutto gli era sembrato meno che fittizio, ma per non rischiare di far sbarellare ancora di più la poveretta, decise di non insistere.

«Se ci fosse stato un… serpente…» Stephanie deglutì. «… ti posso assicurare che me ne sarei accorta. Credimi, possono sentirmi fin dall’altra parte del campo se ne vedessi uno.»

Malgrado tutto, quella frase fece tornare un lieve sorriso sul volto di Edward, presto emulato da lei, che gli indicò la porta. «Dai, ti porto a vedere il campo!» La ragazza si avviò verso l'uscita. Edward fece per seguirla, ma quella parola folgorò ancora la sua mente.
 
Ladro. Si morse un labbro. Perché quei mostri lo chiamavano così? Perché sua madre aveva aspettato così tanto per parlargli del campo? Come faceva lei a sapere di tutto quello? E perché nessun... satiro era mai venuto a cercarlo? Cacciò via quei pensieri cupi, uscendo dalla stanza.






N.d.a. (saranno tutte in grassetto così da levare ogni dubbio).

 

Salve a tutti, è la prima volta che scrivo in questa sezione, ma non la prima che scrivo in generale. Questa è una storia che avevo in mente da tanto tempo, potrei dire perfino anni, anche se ovviamente con il tempo ha subito correzioni e quant'altro anche per sposarsi meglio con la sezione e con lo stato attuale dell'universo creato da Riordan. Come avrete modo di capire più avanti, è una storia che si svolge MOLTO tempo dopo l'ultimo libro che è stato scritto da lui (non so quando leggerete questa nota, comunque è per dire che la storia è ambientata nel futuro per evitare di intaccare in alcun modo l'universo creato dallo scrittore). Ci saranno ovviamente citazioni e riferimenti alle vecchie saghe, specialmente riguardanti i personaggi immortali (dei, cacciatrici, Chirone, ecc ecc).

Non ho letto le sfide di Apollo, o Magnus Chase, perciò non ci saranno riferimenti a nessuna di queste due saghe (che spero non abbiano influito molto sull'universo Jacksoniano, sempre collegandomi al discorso del rispetto della continuity). Non so molto bene cosa aspettarmi dai lettori, non so se l'idea dei semidei di nuova generazione sia vista di buon occhio o meno, in ogni caso voglio assicurare tutti quanti che questa storia è pura farina del mio sacco e spero che i miei OC possano piacervi, abbiamo iniziato con Edward e Steph, poi ne arriveranno altri. Diamine, spero che l'intera storia vi piaccia e che questa introduzione abbia catturato la vostra attenzione. E... nulla, spero di fare nuove conoscenze in questo fandom in cui mai mi ero avventurato! Buona giornata a tutti voi! 

   
 
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