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Autore: Caterpillarkable    17/11/2018    0 recensioni
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Aveva appena mosso qualche passo in direzione dell’uscita del parcheggio antistante il locale, quando qualcosa – o meglio, qualcuno – lo spinse da dietro. Abituato come sempre alle risse, Skull stava voltandosi con già la sua espressione minacciosa e il pugno pronto e carico a spaccare il naso dell’ubriaco che andava cercando la rissa, ma si dovette bloccare. E ricredere.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Lo sguardo di Simon non abbandonò la figura di Eliantho. La ragazza, che da sempre piaceva a Skull, stava uscendo dallo Stuzki a braccetto con J.Jay, al termine di quell’uscita di gruppo tutti insieme, One Up e non.
Tornare a Saerloon dopo tutto il successo della band non era semplice, si trattava sempre di eccezioni che Nathan concedeva ai ragazzi per dare loro modo di vedere la famiglia. Usare quelle occasioni per una birra tra amici allo Stuzki, il locale dove tutto era cominciato, era d’obbligo. Anche con il rischio di trovare sul palco i Bastard Sons of Bastet capitanati da Ivan. Amelia aveva sempre la cura di evitare che i due gruppi si incontrassero – soprattutto dopo quella bruciante sconfitta che aveva macchiato indelebilmente l’orgoglio del leader dei rivali.
Eliantho e J.Jay furono quindi i primi ad andarsene, forse per avere del tempo da passare da soli. Uno a uno, poi, tutti gli altri abbandonarono il tavolo per ritirarsi ognuno a casa propria. Tutti tranne Simon, seduto ancora al suo posto, la terza bottiglietta di birra tra le mani. Fissava con intensità l’etichetta dell’alcolico, mentre ripercorreva con la mente ricordi e conversazioni.
Sapeva di essere un bullo, di avere un modo di approcciarsi alla gente burbero e sì, alle volte anche cattivo. Cosa ci si poteva attendere dal minore della famiglia Kull? Forse non si era mai nemmeno impegnato per dimostrarsi diverso da quello che suo padre, sua madre, le sue sorelle volevano. Forse per questo Eliantho aveva preferito un altro a lui, un suo amico e, per di più, sempre un componente dei One Up.
Un moto d’ira improvviso gli fece staccare l’etichetta con forza dalla bottiglia di vetro, sulla quale rimase il segnl, rompendola poi in mille pezzi. Nessuno sentì il suo grugnito, il verso gutturale che accompagnò quel gesto rabbioso: c’era musica dal vivo, quella sera, e per fortuna non c’era traccia di Ivan e dei suoi compari. L’unica persona che si rese conto della scena fu Amelia, la quale semplicemente osservò fugacemente il batterista dei One Up, distogliendo poi lo sguardo. Qualsiasi cosa egli avesse, alla donna non interessava o, almeno, era abbastanza furba da non intromettersi alla ricerca di un uovo di colombo alla situazione.
Calmatosi, Simon si passò una mano sul viso, ben pensando che fosse davvero l’ora anche per lui di lasciare il locale, oramai in dirittura di chiusura. Sarebbe tornato a casa, dalla sua famiglia e dal suo bel cagnolone – forse il membro dei Kull che più gli mancava. La musica aveva smesso di risuonare tra quelle pareti da una buona mezz’ora, ma il ragazzo non se ne rese conto. Semplicemente, ancora immerso nei suoi mille pensieri riguardo ad una ragazza dai capelli rossi e il nome del girasole, s’alzò dalla sedia. Non stette nemmeno a contare quanti soldi lasciò sul bancone vicino alla cassa – ovviamente con un colpo al mobilio. Probabilmente gli doveva arrivare del resto, ma Simon non si trattenne abbastanza a lungo da scoprirlo.
L’aria fredda e frizzante di Saerloon accarezzò il volto del batterista appena mise piede fuori dallo Stuzki. Ne aveva davvero bisogno per rinfrescarsi la mente e far uscire certi pensieri, che sembravano essersi incollati al suo rimuginare. Sarebbe tornato a casa a piedi, nel cuore della notte.
Aveva appena mosso qualche passo in direzione dell’uscita del parcheggio antistante il locale, quando qualcosa – o meglio, qualcuno – lo spinse da dietro. Abituato come sempre alle risse, Skull stava voltandosi con già la sua espressione minacciosa e il pugno pronto e carico a spaccare il naso dell’ubriaco che  andava cercando la rissa, ma si dovette bloccare. E ricredere.
Ciò che il suo sguardo vide non fu il volto di un uomo dalle guance rosse e gli occhi persi, ma una figura piú minuta e più femminile. 
«Scusami, scusami! Ho perso l’equilibrio portando via questo amplific— MA TU SEI SKULL, IL BATTERISTA DEI…»
Il momento d’entusiasmo dell’evidente ragazza venne fermato dalla stessa voce di Simon.
«Sì, sono io. E tu sei..?»
Con gli occhi appena socchiusi, dandogli un’aria guardinga, il batterista fissava quella ragazza dai capelli ramati – nulla a che vedere con il rosso fuoco di Eliantho. Quell’occhiata più lenta, fece comprendere al ragazzo che non era un volto sconosciuto quello che aveva di fronte.
«Sei la cantante delle Heller
Fu come se una lampadina si fosse accesa nella sua mente. La serata del contest era ancora un ricordo nitido ma anche confuso al tempo stesso. Si ricordava di aver pensato qualcosa riguardo la bellezza di quella cantante, ma giudizio che era stato accantonato per fare spazio all’ansia.
«Puoi chiamarmi Aubrey, ma sì, sono io. Amelia
ci ha fatte esibire stasera, vi abbiamo rubato il palco per qualche ora!»
Un risolino uscì dalle labbra carnose e dipinte di viola di Aubrey. Skull notò l’anellino sul labbro inferiore solo in quel momento, senza rendersi conto dell’accenno di sorriso che nacque sul suo volto. Era decisamente una bomba quella ragazza, ora che poteva vederla meglio e da vicino.
«Aubrey, andiamo!»

Una voce
lontana forse una decina di metri da loro due interruppe il contatto di sguardi che s’era andato a creare tra la cantante e il batterista. Riprendendo con entrambe le mani l’amplificatore, Aubrey iniziò a fare qualche passo in direzione delle due ragazze, le altre componenti delle Heller.
«È stato un piacere averti conosciuto!»

Skull
non rispose subito – anzi, non rispose affatto – troppo impegnato ad osservare quella ragazza allontanarsi, con ancora quell’accenno di sorriso a distendergli le labbra, sempre arricciate in un’espressione di rabbia. Non si offrì nemmeno di aiutarla con quel grosso peso che era l’amplificatore, quando se ne rese conto era oramai troppo tardi.
“Idiota, ti sei perso una gnocca”, pensò tra sé e sé, mentre finalmente si decise a tornare a casa.
 

  
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