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Autore: Urban BlackWolf    18/11/2018    2 recensioni
Può un falco forzare se stesso e rallentare per mettere in discussione le scelte fatte nonostante la sua natura lo costringa alla velocità, alla determinazione nel raggiungimento dell’obbiettivo di una vendetta?
E può una gru riuscire a proteggere con l’amore e la cieca fedeltà tutto ciò nel quale crede fermamente?
Possono due esseri tanto diversi fondersi in uno per tentare di abbattere le barriere che li separano pur solcando lo stesso cielo?
Ungheria 1950: Michiru, figlia della ricca e storica Buda, dove tutto è cultura e tradizione, lacerata tra il dovere ed il volere, dalla parte opposta di un Danubio che scorre lento e svogliato, Haruka figlia di Pest, che guarda al futuro correndo tra i vicoli dei distretti operai delle fabbriche che l’hanno vista crescere forte ed orgogliosa.
Una serie di eventi le porteranno ad incontrarsi, a piacersi, ad amarsi per poi perdersi e ritrovarsi nuovamente, a fronteggiarsi e forse anche a cambiare se stesse.
Genere: Romantico, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Le Gru della Manciuria

 

 

I personaggi di Haruka Tenoh, Michiru Kaioh, Setsuna Meioh, Usagi Tzukino. Mamoru Kiba, Makoto Kino, Rei Hino e Minako Aino apparsi in questo capitolo appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Capitolo XXV

 

 

Bivio

Prefettura di Hokkaidō – città di Hakodate, casa Kōtei, febbraio 1929

 

Quando il signor Takaoka gli aveva consegnato quella lettera affrancata con l’effige di un sovrano ungherese, Alexander si era sentito, se possibile, ancora più euforico. La sua piccola Michiru era passata dal gattonare al fare i primi sgambettanti passi verso la conquista del mondo, il lavoro non poteva andare meglio di così ed il rapporto con la sua adorata Kurēn era la cosa più salda che avesse mai avuto in tutta la sua vita. Una concretezza ed una stabilità alle quali il suo giovane cuore di uomo avventuroso voglioso di emergere, ambiva di avere da quando aveva lasciato la sua patria. Ed ora quei fogli composti da una calligrafia aguzza che ricordava bene, arrivati con la lentezza propria della posta transoceanica del loro tempo, datati agli ultimi giorni di gennaio e che gli annunciavano la lieta notizia della nascita della secondogenita del suo amico fraterno Jànos Tenoh.

“Belle notizie?” Chiese la moglie inginocchiata sul tatami della loro camera da letto mentre con le labbra gli sorrideva, ma con gli occhi era sempre attenta ai movimenti di una Michiru più che indisciplinata.

“Altro che belle moglie mia, meravigliose!” Porgendole una foto allegata allo scritto, ricambiò il sorriso mentre si chinava per afferrare la figlia e farla volare in alto.

“Non sbatacchiarla così Alex. Ha appena mangiato.”

Consigliando l’uomo si concentrò sullo scatto riconoscendo l’amico del marito. Non lo aveva mai visto di persona, ma Alexander gliene aveva parlato talmente tanto e con dovizia di particolari, che nel trovarsi davanti alle iridi quel viso dal sorriso sincero, si sentì come di fronte ad un parente.

“E così è nata! Avevo capito che il lieto evento sarebbe avvenuto in primavera.”

“Si. E’ settimina.”

Non staccando gli occhi dalla foto, il cuore di Kurēn sussultò empatico. Da quando aveva avuto Michiru era diventata di un’apprensione folle e pensare allo spavento che quei due genitori sicuramente avevano avuto per una figlia prematura, la resero inquieta nel chiedere al marito come stesse ora la piccola.

“Benone. Jànos scrive che nonostante sia appena uscita dall'ospedale mangia come un bue e dorme sempre e quando non lo fa, guarda il modo con occhi curiosi e già è sufficientemente prepotente da metter sotto tutta la famiglia, Johanna in testa.” Rise accarezzando la figlia lasciando che si adagiasse comodamente sul suo forte bicipite.

“Meno male. Da questa foto sembra così piccola.”

Raggiungendola sul tatami, lui tornò a ridere lasciando che Michiru gli afferrasse le orecchie, forse nel tentativo di strappargliele.

“Buona tu, piccola peste! Non sai proprio trattare con gli uomini eh?! - Staccandosela da dosso per tenerla sospesa a mezz’aria, guardò Kurēn convinto del fatto suo. - Non farti forviare dal fagotto che Jànos tiene tra le braccia, perché è lui ad essere enorme.”

“Spero non ricomincerai con le tue solite storie su zuffe colossali innescate e vinte contro i ragazzi dei distretti confinanti con il vostro.”

Bonaria guardò la figlia poggiare i piedini sul tappeto e partire con idee di fuga ben chiare nella testa. Un breve scatto, uno schianto contro uno dei pannelli dello shoji decorato con fiori di loto che chiudeva la loro stanza, ed un consequenziale rimbalzo all’indietro. Niente pianti, strepiti o capricci, solo uno sguardo blu cobalto contrariato e la faticosa riconquista del rimettersi in piedi.

“Non c’è che dire; nostra figlia ha carattere.”

“Già. Potrebbe aver preso da entrambi. - Una velata punta d’orgoglio nipponico nel constatare quanto a quella bambina non appartenessero le lagne. - Vuoi tornare a Budapest per il battesimo?”

“Si, tanto più che Jànos mi ha chiesto di fare da padrino. Scada è all’est per lavoro e credo abbia bisogno di un supporto morale così accerchiato da donne.”

“Avrebbe gradito un maschio?”

“Lo sai che per noi uomini è importante, ma tirando le somme quello che conta veramente è che Haruka cresca sana e forte. Tutto il resto passa in secondo piano, Kurēn.” Rivolgendo un’occhiata a Michiru, aggrottò la fronte vedendola provare a sgusciare via tra un pannello e l’altro.

"Assolutamente. Haruka..., perciò l'hanno chiamata come avevi suggerito se fossero stati benedetti con un fiocco rosa."

Già. Anche se non era ungherese, ad Alexander era sembrato un bel nome per una bambina. "Sarebbe dovuta nascere in primavera, ed uno dei significati di Haruka e' proprio fiore di primavera. Alla famiglia Tenoh e' piaciuto molto." Disse senza nascondere la sua soddisfazione.

“Parlando invece del nostro piccolo intralcio; hai notato quanto Michiru adori la spiaggia? Secondo te è normale alla sua età? Ha appena compiuto un anno e l'immensità dell’oceano dovrebbe spaventarla, soprattutto in questa stagione.”

“Ma si che è normale, amore. Ma oggi le onde sono troppo alte e perciò… - Gattonando fino alla figlia, Kurēn la prese per le ascelle - … tu rimarrai qui mia piccola gru, a sentire tuo padre raccontare di quando aveva ancora una folta chioma castana e faceva il teppista per le strade di Pest.” L’ultima frase sussurrata all’orecchio divertito della bambina.

“Hei, ho ancora una chioma fluente.” Passandosi una mano tra i capelli li sentì meno folti di un tempo.

“Va bene, come desidera il mio signore.” E scoppiando a ridere entrambi, tornarono a guardare la foto di Jànos che stringeva con orgoglio la sua Haruka al petto.

 

 

Buda – Distretto II, Palazzo Kaioh

 

Seduta sul letto nella penombra di quella stanza non sua, Haruka si toccò il costano incurvandosi in avanti.

Cazzo che male, pensò provando ad emettere un profondo respiro. Non poteva non ammettere quanto quegli agenti fossero stati bravi nel conciarla così. Gliene avevano date con l’intento di provocarle più dolore possibile nella speranza che il suo fisico reggesse all’urto delle percosse. E lei aveva retto. Era forte Haruka Tenoh, alta, robusta, ed anche se i mesi di prigione l’avevano ammorbidita un po’, non si poteva certo dire che non fosse una giovane donna in perfetta salute. Questo almeno fino a qualche giorno prima.

La sua muscolatura l’aveva salvata, anche se la faccia che il dottor Börcs metteva su ogni qual volta terminava di medicarla, le faceva pensare che forse l’impegno di quei bastardi le sarebbe valso la perdita dell’occhio sinistro.

Digrignando i denti la ragazza provò a mettersi in piedi raddrizzando lentamente il busto. Le faceva male ogni cosa. Parti del corpo che non aveva mai considerato, come la testa, il costato, le giunture delle ginocchia.

“Brutti figli di puttana! Almeno non mi hanno messo le mani addosso!” Ringhiò voltandosi verso il comodino dove il suo coltello era stato dimenticato tra una brocca d’acqua, una scatola di analgesici ed una lampada. Provando a chinarsi per prenderlo si bloccò colpita da una violenta stilettata al busto. Chinando la testa strinse a mezz’aria la mano in un pugno tremante di rassegnazione. Quanto avrebbe voluto urlare!

“Perché?!” Disse pianissimo schiacciata da un’angoscia che sembrava non volerla più abbandonare. Non sapeva Haruka, quante dissidenti erano sparite nei meandri oscuri della sede della polizia segreta e quanto potesse essere stata fortunata. Era tornata libera, era viva e presto avrebbe riacquistato le forze.

Eppure si sentiva a pezzi, sia fisicamente che emotivamente. Dal suo arrivo in casa Kaioh era passata quasi una settimana e in questo lasso di tempo era venuta a sapere che Johanna si era salvata ed ora stava trascorrendo la degenza nell’ospedale militare di re Mattia. Aveva una gran voglia di vederla, ma era momentaneamente sotto inchiesta, guardata a vista da un paio di poliziotti e chissà quanto tempo sarebbe passato prima di poterla riabbracciare. In più c’erano Scada e Mirka, che per non essere coinvolti più di quanto non lo fossero già stati, avevano ricevuto dalla bionda l’ordine tassativo di non venirla a trovare o di chiamarla al telefono.

Così facendo però, Haruka aveva come tagliato i ponti con la sua vecchia vita ed ora si sentiva persa, senza una famiglia. Ma avrebbe potuto sorvolare su tutto con la sua solita determinazione se non si fosse aggiunto alla lista l’ultimo duro, infame, inaspettato, inaccettabile, devastante calcio sui denti; la parentela che Alexander Kaioh aveva con la sua Michiru. La generosità, o senso di colpa, dimostratole dall'uomo nel salvarle la vita la imbestialiva e disorientava.

Da quando erano evase il faro rimastole era la sua dea, ma dopo aver saputo del suo legame con il banchiere, colpevolmente non riusciva più a guardarla negli occhi. Se da una parte voleva la sua compagnia come aria da respirare, dall’altra la respingeva con grugniti e mutismo, non potendo non notare quanto somigliasse al padre, quanto nel modo che aveva di guardarla, di sorriderle, fosse la sua fotocopia sputata. E questo la faceva impazzire. Ora che l’oggetto della sua vendetta era così a portata di mano, lo era anche la consapevolezza che facendo soffrire lui avrebbe inesorabilmente fatto soffrire lei.

Come faccio. Come cazzo faccio!

Tornando a sedersi sul letto si arpionò la coscia con la destra aspettando che il giramento di testa passasse. Ricordava la faccia di Kaioh quando era entrato per la prima volta nella sua stanza. Il viso contrito, la postura rigida. Non appena riuscita a metterlo a fuoco con l’unico occhio buono rimastole, aveva capito subito che lui sapeva, sapeva chi fosse suo padre e grazie al Kés ed al tatuaggio sul suo braccio, sapeva anche a cosa una semplice ragazza di ventuno anni si era votata.

So perfettamente chi siete Haruka ed è proprio per questo che siete qui ora.” Le aveva detto lasciandola atterrita.

Facendo alcuni passi nella stanza, si era fermato ad un pugno di centimetro dal letto, spostando lo sguardo da lei alla mano che la figlia continuava a tenere sulla sua. L’amore che Michiru nutriva non poteva passare inosservato e Haruka aveva compreso come quell’improvvisa rivelazione nei confronti del loro legame lo avesse preso alla sprovvista scioccandolo .

Io sono Alexander Kaioh, ma credo che questo lo abbiate già compreso da voi, come credo che abbiate tante cose da chiedermi. Non appena vi sarete rimessa affronteremo quello che dobbiamo. Fino ad allora… consideratevi al sicuro.” E voltando le spalle ad entrambe, era sparito dietro la porta.

Papà!” Aveva chiamato Michiru alzandosi di scatto e la bionda si era sentita morire.

“Papà! - Ghignò stirando leggermente le labbra. - Certo che il destino ne ha di fantasia. Papà! L’uomo che devo ammazzare è quello che ti ha generata e tu mi odierai amore mio. Ed io non avrò più ragione di esistere.”

Al solo pensiero avvertì gli occhi pizzicare. Mai, non avrebbe mai voluto o potuto fare del male a Michiru, ma così sarebbe venuta meno al patto con se stessa. “Sono con le spalle al muro. Non ho via d’uscita.”

La porta vibrò per un paio di colpi facendola sobbalzare. Era più tesa di una corda di violino.

“Ruka, sei sveglia? Posso entrare?”

No amore mio, no. Non ce la faccio ad affrontarti ora, pensò mentre l’anta si apriva lentamente.

“Ruka?” Un fagotto sotto la trapunta e Michiru sorrise soddisfatta.

Facendo finta di dormire, l’altra strinse i denti al dolore acutizzato dal movimento brusco compiuto per quell’inganno. Sentì l'avvicinarsi di passi lievi sul tappeto, le sue dita sfiorarle la frangia, le sue labbra posarsi piano sulla parte di fronte non avvolta dalle bende e fu così difficile.

“Mio amore riposa. Ci vediamo domani.” Ed uscì mentre Haruka chiamava a raccolta tutti i demoni dell’inferno.

Percorrendo l’ampio corridoio che l’avrebbe portata in camera sua, Michiru sentì la voce bassa del padre chiamarla dalle scale. Voltandosi lo vide fare l’ultimo gradino e guardarla in modo strano.

“Cosa c’è?” Chiese un tantino offesa, perché erano giorni e per l’esattezza da quando si era presentato ad Haruka, che non lo si vedeva più in giro, neanche durante i pasti.

“Hai un attimo? Dovrei parlarti.”

Arrivatole davanti se la guardò colpevole sapendo di aver mancato. Era semplicemente scappato non riuscendo a razionalizzare di avere capito, ed in un modo tento rocambolesco, che la sua bambina si fosse innamorata di una donna. E quale donna.

“Sono giorni che ho un attimo, papà.” Acida fece per voltarsi ed entrare in camera.

Bloccandole una spalla lui insistette con uno dei suoi classici sorrisi di riconciliazione e lei, che mai voleva affrontare le giornate con il cuore arrabbiato, accettò facendogli strada.

“Allora mi spiegheresti perché fino ad ora ti sei rifiutato di guardarmi anche solo di sfuggita?” Richiudendosi la porta alle spalle notò quelle del genitore tendersi un poco.

“Hai sempre avuto un intuito fuori dal comune cara.”

“In questo caso ci vuole poco, papà.”

“Ti prego di non chiuderti così. - Rimanendo al centro della stanza, iniziò a strofinarsi la fronte arpionandosi la vita con l’altra mano. - Io proprio non riesco a spiegarmi come diavolo sia potuto succedere. Come puoi esserti innamorata di…” E tacque guardandola finalmente negli occhi.

“Di una donna?”

“Di una donna!”

Allargando leggermente le braccia, Michiru tirò su le spalle stirando le labbra. “Non l’avevo certo preventivato.”

“Ascoltami bene; in una prigione credo sia facile cadere preda di queste pulsioni, ma fuori, nella vita reale non…”

“Conoscevo Haruka già da prima papà!”

Lui si bloccò corrugando la fronte. “Da prima?”

“Il ritrovarci nella casa della luce è stata solo una coincidenza.”

“O… Allora era proprio destino. E pensare che sareste potute crescere insieme, andare nella stessa scuola o frequentare le stesse amicizie.”

Questa volta fu lei a solcare la fronte con una profonda ruga. “Non capisco.”

“Se fossimo tornati in patria prima della guerra… Ma non è questo il punto. - Sospirando cercò di farle capire le preoccupazioni di un padre. - Vedi Michiru, l’amore tra donne è visto dalla società ancora come una macchia, una cosa sbagliata e…”

“Non m’interessa cosa potrebbe pensare la società di me e delle mie scelte. Tu! M’interessa cosa TU possa pensare di tua figlia.”

“Michiru…”

"Allora?! Non sei un bigotto, ma non ti ho mai neanche sentito dire apertamente qualcosa di positivo al riguardo. Forse sarebbe il caso che ti schierassi.”

“Non parlarmi con questo tono ragazzina.” Tuonò ritrovandosi davanti un muro di granito invece che la solita figlia disposta al dialogo.

Provando a farsi capire iniziò a camminare avanti e indietro vedendola incrociare freddamente le braccia al petto montando così bile ancora di più. “Ma cosa credi che per un padre sia facile tutto questo?! Saperti tra le braccia di una donna… Dannazione Michiru, quando sarai madre lo capirai! Capirai cosa si prova ad avere paura nel prevedere che il mondo schiaccerà con i suoi pregiudizi la creatura che hai generato e per la quale nutri tante speranze. Capirai cosa si prova a non poterla difendere.”

“Non credo di avere occhi tanto potenti per guardare così lontano nel tempo. Perciò te lo ripeto, per me è il tuo giudizio che conta! Non voglio che tu sia deluso della mia scelta, ma se così dovesse essere… - Inalando ossigeno proseguì più lentamente. - ... non potrei farci nulla. Mi dispiace.”

“Michiru…” Fece per avvicinarsi, ma lei glielo impedì alzando tra loro una mano.

“Papà, ti ricordi il sogno che facesti una notte di qualche tempo fa? Un Turul entrava nella mia vita incatenando la sua con la mia? Ebbene, è Haruka il mio falco, è lei che mi ama. Non chiedermi di scegliere tra voi.”

“Non lo farei mai, amore.”

“E allora cerca di capirmi.”

”Ma capire cosa?! - Sbottò improvvisamente lui. - Lo hai visto da te cosa quelle bestie hanno fatto al suo corpo! Se non fossero stati degli omofobi, l’avrebbero anche violentata. In questo paese la diversità è vista come una colpa da punire, non da capire e io non voglio che mia figlia debba sopportare tutto questo solo per un ...”

”Cosa?! Smarrimento? Confusione? Curiosità? No, non hai capito niente se è questo ciò che pensi. Io amo Haruka e sono pienamente conscia di quello che provo e che ho scoperto di essere.”

O Jànos… che casino, si disse l’uomo tornando a massacrarsi la fronte. “Non nutro riserve solo perché Haruka è una donna.”

”Allora spiegami.” Incalzò facendo un passo quasi rabbioso verso il genitore.

”Ascoltami Michiru... non ti ho mai voluto insegnare parti crude della tradizione ungherese e perciò non puoi sapere cosa rappresenti il tatuaggio che ha inciso sul braccio.”

“Lo so perfettamente!” Lo bloccò rimanendo impassibile.

“Te lo ha spiegato lei? - Ad un lieve cenno con il capo proseguì. - Bene… ma dubito che tu conosca anche l’identità del soggetto al quale sarebbe destinata la sua vendetta, giusto?”

“Giusto.”

Un tantino più sollevato Alexander proseguì. “Posso chiederti che idea ti sei fatta di questa cosa?”

Alzando le sopracciglia Michiru gli rispose con l’ovvia verità delle cose; accettava la scelta dell’altra anche se la reputava totalmente folle. “Ho imparato a conoscerla e so di cosa è capace se adirata. - Un pensiero a tutti i pugni che Haruka aveva dato a Mery. - Ma arrivare ad uccidere a sangue freddo... No papà, non è nel suo carattere!”

“Potresti scommetterci?”

“Penso di si, anche se non si arriva mai a conoscere fino in fondo una persona.”

Passandosi una mano tra i capelli insolitamente disordinati, lui cercò con lo sguardo la foto di Kurēn che sapeva essere sul comodino accanto al letto della figlia. Come a volerne prendere forza la fissò per tanto non accorgendosi che Michiru gli si era avvicinata.

“Cosa c’è papà?! Cosa vorresti dirmi?”

Continuando a guardare l’immagine cercò le parole adatte. Era più che mai convinto che l’inchiostro del tatuaggio di Tenoh fosse per lui, che la lama del Kés che quella benedetta ragazza aveva portato in casa sua gli fosse destinata. I suoi occhi astiosi non lasciavano troppi dubbi. Conosceva la famiglia della moglie di Jànos; quando ancora erano in contatto, spesso l’amico si era lamentato del comportamento che il nagyapa aveva con le nipoti, del fascino che le tradizioni avevano sulla piccola Haruka e di quanto questo preoccupasse i suoi genitori.

Se la mia intuizione è giusta, vorrebbe dire che ti sei innamorata della donna che ha giurato di uccidermi. Un pensiero talmente potente da innescargli la solita emicrania.

“Spero tanto che tu abbia ragione cara.”

“Stai tranquillo, Haruka non è cattiva.”

“Qui non si tratta di cattiveria, ma di onore…”

“Sei deluso? - Soffiò abbassando di colpo gli occhi. - Prima ti ritrovi ad avere una figlia dissidente e poi…”

“Non potrei mai esserlo tesoro mio, anzi, sono fiero che il tuo sangue magiaro abbia preso il sopravvento sulla componente razionale di tua madre e tu sia diventata un’oppositrice del Regime, ma per il resto… Concedimi del tempo per accettare la cosa. Puoi?”

Alzandole il mento stirò un sorriso sghembo. “E già..., l’avevo detto che un falco sarebbe presto giunto a rubarti il cuore.”

Si concesse, quando dal corridoio un vociare li distolse. Guardando all’unisono la porta, riconobbero i toni della cuoca e della bionda.

“Spostatevi ho detto! Questa non è una prigione!”

“No signorina! Il dottor Börcs è stato chiaro; non dovete lasciare il letto!”

Bloccando la fine della discesa con la destra serrata al corrimano e l’altra distesa verso il muro, quella specie di Panzer tedesco armato di testardaggine non l’avrebbe lasciata passare tanto facilmente. Inchiodata a pochi gradini dalla fine della scala, la bionda le piazzò la mano buona sulla spalla minacciandola con gli occhi.

“E’ inutile che mi guardiate così signorina. Le ferite si riapriranno se continuerete ad essere tanto infantile!”

Tirando indietro il busto, Haruka se la guardò stupita per esplodere subito dopo. “Non ho tempo per questi giochetti signora! Voglio andare a casa mia! Spostatevi!”

“No!” Sovrastò alzando di più la voce.

“Che diavolo sta succedendo qui?!”

“Signore…”

A quel timbro maschile Tenoh serrò la mascella staccando la mano destra dal corpo della donna e trasformandola a pugno se la schiacciò contro il tronco diventando una statua di sale.

“Ruka…” Aggirando il padre, Michiru scese velocemente raggiungendola mentre la cuoca spiegava loro le intenzioni di quella stupida ragazzina.

“Vuole andare a casa…”

“Perché?!” Chiese l’altra non capendo.

“Io ho cercato di spiegarle che sarebbe troppo pericoloso, ma non sente ragioni!”

“Va bene. Grazie, potete andare. Risolveremo la questione.” Tagliò corto lui iniziando a discendere.

Abbassando leggermente il capo la donna ubbidì e dopo aver riservato alla bionda un’occhiataccia truce, si dileguò borbottando in dialetto stretto.

“Haruka si può sapere che ti prende?”

“Michiru devo andare via! Ti prego… lasciami.” Lamentò quasi fosse una supplica.

Allontanarsi da lei e da suo padre era l’unica cosa che l'era venuta in mente per cercare di non ferirla. Rinunciare al suo amore, rinunciare al suo onore, lasciando la lama tatuata sul suo avambraccio snudata per vivere il resto dei suoi giorni nell’onta di non essere stata in grado di assolvere al suo compito.

“Se è per Johanna, ne uscirà pulita vedrai…”

“Non è per questo!” Quasi urlò conficcando ancor di più il collo nelle spalle.

“E allora cos…”

“Michiru basta così! - Fissando entrambe, Alexander passò oltre per dirigersi verso il suo studio. - Haruka venite. E’ arrivato il momento di risolvere la questione. Ce la fate?” Stuzzicò leggermente maligno sfidandola apertamente su un piano per lei importantissimo, ovvero quello fisico.

“Certo…” Gli rispose emettendo una specie di grugnito.

Provava un gran dolore, ma per tutti i Santi sarebbe riuscita a tenergli testa. Così non degnando di un solo cenno un’attonita Michiru, la bionda lo seguì lentamente, tenendosi il fianco destro con la mano, zoppicando un poco, ma cercando comunque di mantenere una postura ritta ed orgogliosa, come una combattente malconcia prima dell’ultimo scontro. Socchiudendo gli occhi l’altra la guardò entrare nello studio per incrociare poi le iridi del padre che stava attendendo sulla porta.

“Vieni anche tu cara. Alla luce di quello che vi lega la questione riguarda anche te.”

“No! - Intervenne Tenoh inchiodandosi. - Michi non ce la voglio.”

“Michi viene e come!” Stoccò l’altra arrivando di gran carriera. Se pensava di lasciarla fuori come un cane si sbagliava di grosso.

Vedendola entrare scura in volto, Haruka ghignò storcendo le labbra. Di che magnifica creatura si era andata ad innamorare. “Fai come vuoi, ma la questione non sarà piacevole.”

“Questo l’ho capito anche da sola Tenoh!” E fermandosi al centro della stanza attese che il padre chiudesse la porta fissando la bionda e consigliandole di mettersi quantomeno seduta. Si vedeva lontano un miglio che stava male.

Non ubbidendo, il giovane Turul si concesse come appoggio solo la spalliera in legno del divano.

“Testarda.” Graffiò Michiru sempre più nervosa.

“Vostra sorella Johanna vi ha detto di essere stata qui?” Iniziò lui senza troppi giri di parole.

Haruka non gli rispose che con uno sguardo torvo e Alexander proseguì andando verso la scrivania per estrarne da un cassetto una serie di fogli che la bionda riconobbe quasi immediatamente.

“Quella è la copia della polizza che aveva mio padre! Perché ce l’avete voi? Chi ve l’ha data?!”

“Vostra sorella, il venerdì della tormenta, quando è venuta da me per cercare di capire.”

“C’è poco da capire signor Kaioh!” A ripensarci bene, la sera del ballo Johanna aveva accennato a qualcosa, ma poi aveva desistito. Disorientata dalla notizia, Haruka cercò di mantenersi calma.

“Ce n’è invece, visto che mi si accusa del fallimento della C.A.P. e del consequenziale arresto da parte della Tributaria di vostro padre Jànos.”

“E della sua morte.” Rimarcò e al solo ricordo la calma l’abbandonò immediatamente.

Porgendole i fogli l’uomo aggiunse di fare molta attenzione alla terza pagina.

“Qui c’è anche la mia copia. Troverete interessante sapere che vostra sorella ed io abbiamo scoperto un'incongruenza nella firma mia e di vostro padre. Haruka, sono entrambe false.”

Interessante?! La ragazza prese i fogli staccando la mano con cui si stava sorreggendo e dopo un rapido sguardo, li gettò sulla seduta del divano guardandolo intensamente. Da vicino. Da molto vicino.

Potrei trapassarvi da parte a parte e neanche ve ne rendereste conto!

“Cosa dovrebbero rappresentarmi queste copie? Che siete stato anche voi vittima di un raggiro? Che un vostro collaboratore ha frodato mio padre tirando in ballo il vostro nome?”

“Più o meno.”

“Più o meno un cazzo! La Kaioh Bank è cosa vostra! Siete voi il padrone della baracca e come tale è vostra la responsabilità di tutto quello che vi accade al suo interno!”

“Papà… - Michiru, che intanto si era avvicinata al divano per prendere le due copie della polizza, dopo una rapida scorsa lo guardò incredula. - Chi può aver agito in maniera tanto deplorevole.”

“Nagiry. E’ stato quel piccolo verme. Troppo il denaro che ruotava intorno al nuovo porte sul Danubio per non tuffarcisi dentro alla prima occasione.”

“E l’occasione è stata la perdita della partita d’acciaio che la C.A.P. ha avuto durante quel maledetto temporale.” Sottolineò piano la bionda tornando a stringersi il fianco.

“Papà come puoi non aver seguito di persona un affare tanto importante?” Inquisì la figlia dimenticando i fogli dattilografati tra le dita. Non era una cosa da Alexander, professionista meticoloso ed accorto, soprattutto quando in ballo c’erano tanti interessi.

Fu proprio a questa domanda che l’uomo cedette abbandonando il freddo distacco che l’aveva contraddistinto fino a quel momento ammettendo quello che in sostanza aveva confessato solo a Börcs.

“Vedendo accettate sulla polizza clausole da strozzinaggio, ho imperdonabilmente pensato che Jànos avesse fatto una mossa azzardata. E’ sempre stato un uomo intelligente, ma anche sfrontato, mai timoroso di provare a mettersi in gioco. Ho creduto che avesse fatto il passo più lungo della gamba. Per lui, per la C.A.P., per tutti i sogni che aveva sempre avuto nel veder prolificare una fabbrica florida.”

“Non vi azzardate a chiamare mio padre per nome o a parlare di lui come se fosse un vecchio compagno di bevute! Nessuno ve ne da il diritto signor Kaioh! Non eravate amici. Non lo conoscevate nemmeno!”

Disegnando una smorfia grottesca sul viso, lui si staccò per un attimo da quello sguardo che tanto gli stava ricordando l’amico, per andare nuovamente alla scrivania. Aprendo un altro cassetto, vi frugò al suo interno tirando fuori una fotografia. Osservandola stirò impercettibilmente le labbra sottili. Quanto tempo era passato. “Ventuno anni. Sono trascorsi ben ventuno anni! - Tornandole davanti le porse l’immagine che la ragazza sbirciò con assoluta indifferenza. - Ed hai la stessa determinazione di quando ti sei conquistata il diritto di stare in questo mondo nonostante allora fossi nata troppo presto.”

Muovendo l’immagine un paio di volte, Alexander la invitò ad osservarla meglio e proprio mentre il sentirsi dare un troppo familiare del tu stava montando nella ragazza ancora più rabbia, lei riconobbe senza appello il trentenne Jànos Tenoh. Barba folta, occhi brillanti, pelle liscia e capelli anche troppo folti, insomma, un giovane uomo ben lontano dal padre che ricordava, ma lo stesso inconfondibile sorriso, che poi altro non era che uno dei bellissimi retaggi fisici che aveva trasmesso ad entrambe le figlie. Era lui, il suo apa, accanto ad un altro uomo, meno poderoso nella stazza, ma aitante e robusto quanto il genitore. Nelle braccia dello sconosciuto un neonato che la bionda non riconobbe.

“Cosa sta a significare questa fotografia?!”

“Non lo immagini?” Disse piano attirandosi contro tutto l’astio del mondo.

“No! E non datemi del tu!”

“Ne avrei tutto il diritto visto che sono il… vostro padrino.”

Dopo un momento di ovvio silenzio, la bionda scoppiò in una fragorosa risata quasi subito interrotta da una fitta al costato. Digrignando i denti scansò la mano dell’uomo con un gesto secco. Non sopportava di averlo tanto vicino e se ancora non aveva estratto il coltello che aveva in tasca, era solo perché aveva a pochi centimetri Michiru. L’odore buono della sua pelle riusciva ancora a darle un freno.

“Non prendetemi per i fondelli!”

“Leggete allora.” E rigirò il cartoncino seppiato.

Una calligrafia curata, leggermente aguzza come lo stile del tempo. Una frase. Una data.

A mio fratello Alex. - Lesse sommessamente prima di avvertire nella testa un’esplosione d’adrenalina. - Jànos…”

“Budapest, 25 Marzo 1929. - Aggiunse lui. - Il giorno del vostro battesimo. Certo riconoscerete la calligrafia di vostro padre. E questa non è certo un falso.”

Uno scritto pragmatico, proprio come si usa fra uomini, senza i fronzoli del cuore femminile, ma ricco di un significato profondo che Haruka non voleva e poteva accettare.

Michiru riconobbe nello scatto il padre, perché aveva tante foto di lui e Kurēn giovani, ma non disse nulla. Il fremito muscolare dell’altra l’impressionò a tal punto da provare un contatto sfiorandole il braccio sinistro. Contatto che la bionda respinse immediatamente.

“Questo non prova nulla?! - Inchiodando lo sguardo al tappeto persiano che sentiva soffice sotto le suole degli stivaletti, raccolse fiato ed energia. - Volete farmi credere che conoscevate mio padre?”

“Tanto bene d’avere avuto l’onore di tenervi a battesimo. Tanto da suggerire per la sua secondogenita un nome giapponese. Tanto da potervi dire quanto fosse bravo nella pesca e per questo si vantasse fino all'esagerazione. Di quanto fosse dotato per la tecnologia, ma odiasse lo studio a tal punto da interrompere la scuola al terzo anno superiore. Quanto amasse i dolci e la carne speziata e ancor di più la birra scura accompagnata da una tavolata di gente alleg…”

“Basta! Fate silenzio! Come vi permettete?! Dovreste sciacquarvi la bocca prima di parlare di lui!” E lo strido di quel Turul ferito riempì la sospensione temporale creatasi nella stanza.

“Haruka…” Intervenne Michiru non sapendo cosa fare, ma avendo una gran brutta sensazione.

“Non ho mai sentito mio padre parlare di voi. Mai!” O forse si?!

Da ragazzo nella pesca ero piuttosto bravino. Ero solito farlo con un mio buon amico, ma non qui. Fuori città. Ho passato interi pomeriggi con lui seduto sulla riva a gettar esche ai pesci e le risate, ricordò come una frustata. Parole dette davanti alle acque quiete del loro Danubio, una mattina di fine estate, prima che tutta quella disgraziata storia avesse inizio.

“Lo immagino. Da quel giorno del ventinove tornai in patria quattro, forse cinque volte. Gli impegni, l’attività, lo scoppio della guerra. Io vivevo in Giappone dove avevo moglie e figlia, lui qui, a cercare di costruire un futuro per se e la sua famiglia. Poi la morte di vostra madre. Rimanemmo in contatto per un po’, ma avevamo scelto strade diverse… Così è la vita. Quando tornai in Ungheria qualcosa tra noi si era incrinato. Il conflitto, la perdita. Il fronte russo lo aveva cambiato, così come la morte della mia Kurēn aveva cambiato me. Non eravamo più i ragazzi venuti su insieme tra le strade di Pest. Ma per me, Jànos era e sarà sempre un fratello.”

“Un fratello?! - Toccandosi la fronte Haruka la sentì imperlata di sudore gelato. - Un fratello si tradisce così? Ditemi signor Kaioh, si lascia annaspare ed andare affondo di fronte alla corruzione della propria attività?

“No, certo che no! Se avessi anche solo immaginato che Andras Nagiry fosse un’opportunista simile non… “ S’interruppe, perché in realtà aveva spesso visto negli atteggiamenti di quel collaboratore tanto presente e zelante, sprazzi camaleontici anche troppo marcati.

Michiru l’aveva avvertito più volte di stare attento a quell’uomo, di non investirlo di responsabilità che gli avrebbero permesso di acquisire più potere del dovuto. Confidenze con clienti di una certa importanza, ingenti movimenti di capitale, che lo avevano reso pian piano autosufficiente, scaltro e capace di sostituirlo alla bisogna. Gli impegni finanziari, soprattutto con l’ingresso del nuovo Regine negli affari di Stato, si erano fatti sempre più pressanti e Kaioh si era per forza di cose ritrovato a dover delegare. Era per questo che aveva spinto la figlia a lasciare le arti umanistiche per scegliere la facoltà di Economia. Aveva bisogno di qualcuno su cui poter contare incondizionatamente. Una persona fidata. Fidata come una figlia.

Nel vedere quella faccia improvvisamente illuminata, la bionda ebbe quasi un moto di rivalsa, come se il far comprendere a quell’uomo l’enorme mancanza che aveva dimostrato verso il padre, potesse in qualche modo ripagarla.

“Se veramente per voi Jànos Tenoh era un amico, un fratello come dite, dovevate seguire VOI la sua pratica e non lasciarla nelle mani di chissà quale passacarte!”

“Lo so. - Disse lui piano per poi alzare improvvisamente il tono. - E’ da quando ho scoperto questa frode che non faccio che pensarci!”

“O poverino.”

“Haruka per favore, cerca di capire.” Michiru s’intromise nuovamente, non potendo neanche immaginare che quella fosse solo la punta dell’iceberg.

“E così ti sei schierata.” Sussurrò l’altra non riuscendo a guardarla negli occhi.

“No Ruka.”

“Mi sembra tutto il contrario.”

Tra le due scese il silenzio, gelido, anomalo, nel quale quei due cuori innamorati, persi l’uno nell’altro praticamente da subito, non erano mai stati tanto distanti. Accorgendosene la bionda le voltò la schiena per dirigersi verso l’uscita. A Michiru ci volle qualche secondo prima di avere la forza per scattarle dietro e fermarla per l’avambraccio destro.

“Dove vuoi andare!?”

“L’ho già detto; via da questa casa!”

Opponendosi con tutto il corpo, l'altra le si parò davanti. “Non sei in condizione di muoverti.”

E la bionda se la rise. “Sono molto più forte di quel che pensi… Kaioh.” Aggiunse riferito più all’uomo che alla ragazza.

“Allora vengo con te!”

“No, devo stare da sola.”

“Chi ti curerà? Chi ti starà accanto? Sono io che dici di amare e sono io che voglio fare tutto questo.”

Sentendosi stringere la giacca, Haruka deglutì a vuoto afferrandole i polsi. Lo fece lentamente, soprattutto con la mano sinistra, steccata del medio e dell’indice. “No.”

“Mi stai lasciando?” Sussurò aspettandosi, anzi, pretendendo una risposta che non le arrivò.

Scansandola bruscamente da un lato, Haruka andò per afferrare l’ottone della maniglia quando Alexander la bloccò.

“Siete una vigliacca egoista! Perché non avete il coraggio di dirle la verità che quel tatuaggio cela? - La guardò pietrificarsi, respirare affondo per poi voltare leggermente il tronco verso di lui. - Tanto soffrirà ugualmente, sia che si compia o meno la vostra vendetta, signorina Tenoh.”

“State giocando con il fuoco, signore. Se fossi in voi chiuderei quella cazzo di bocca prima di ritrovarvi a pentirvene amaramente.”

“Cosa c’entra il tatuaggio papà?”

“Chiedilo a lei cara, chiedile a chi dovrebbe essere destinata la lama del Kés che ti abbiamo trovato nella tasca del cappotto.”

Posando le dita sul dorso della mano dell’altra, Michiru la sentì fremere ed ebbe come una folgorazione dolorosa. Cosa le aveva confessato Haruka mentre stretta fra le sue braccia dopo aver fatto l’amore, si era esposta confessandole il più torbido dei segreti? Un uomo facoltoso. Un uomo che aveva tradito.

“Ruka… l’uomo che devi uccidere per vendicare l’onore di tuo padre non sarà forse … il mio!?”

 

 

Una lama, un’ amore, un dolore.

 

Era sempre stata brava nel controbattere. Dote naturale o innata faccia tosta che fosse, fin da ragazzina aveva opposto strenuamente ai momenti difficili, la sua gran curiosità, una bellezza fuori dal comune ed una goliardia viscerale, riuscendo a cavarsela sempre in ogni situazione. Dalle domande delle maestre su lezioni mai imparate, alle pretese di una madre disperata per il suo cronico disordine, dalle sfuriate di una Setsuna Meioh stanca di vedere ignorata la sua autorità casalinga, ai primi approcci maschili magistralmente evitati con scuse a caso, financo all’interrogatorio fiume che la Polizia Tributaria le aveva riservato convinta di chissà quale ruolo da basista. Ma questa volta, immersa nel blu acceso d’orrore che gli occhi di Michiru le stavano puntando contro, il giovane falco di Pest si trovò completamente impreparata, disarmata a tal punto che per una frazione di secondo sentì scemare tutto l’odio che stava provando.

“Rispondimi Haruka… E’ mio padre che vuoi uccidere?” Incalzò serrandole la mano incurante della steccatura.

“Rispondimi!”

“Si…” Mormorò appena, costringendo l’altra a rifarle la domanda e questa volta urlò, come un cane rabbioso, con un’esasperazione che sentiva di non poter più controllare.

“Si, è lui! Sei contenta adesso?! E' lui!"

L’ennesimo colpo di coda di una vicenda che se pur aggrovigliata come tralci di vite dalle visioni distorte che ognuno dei protagonisti aveva, non lasciava più dubbi. Scuotendo la testa Michiru guardò il padre avanzare ed ebbe paura. Frapponendosi tra il fascio di muscoli che era ora il corpo della bionda e l’andatura sicura di Alexander, cercò una conciliazione nella quale neanche lei credeva veramente.

“Tenoh... non vi muoverete da questa stanza fino a quando questa storia non sarà finita. Spostati cara, credo che la signorina qui presente abbia qualcosa per me.” Sfidò quasi sogghignando nel sentire il suono di una lama a scatto uscire snudata dal suo manico.

Allungando il braccio armato oltre la spalla destra di Michiru, Haruka accettò il confronto. Se quell’uomo credeva di giocare d’azzardo con lei come era solito fare nelle stanze dell’alta finanza, allora si sbagliava di grosso e presente o meno la figlia, se avesse continuato a non volerla lasciare andare allora avrebbe reagito di conseguenza.

“Signore, io amo questa ragazza ed è solo per lei che siete ancora in questo mondo, ma per tutti i Santi di Budapest non comportatevi da imbecille! Statevene buono e nessuno si farà del male.” Poi soffiando all’orecchio dell’altra le chiese di aprirle la porta.

“Se l’amate veramente… - ed un poco gli costò il sottolinearlo - … allora vi invito a cercare insieme una soluzione a tutto questo.”

Le labbra di Tenoh si stirarono all’insù. “Soluzione? Io non so come siate abituati voi di Buda, ma da noi non c’è soluzione ad un giuramento di morte se non…”

“Portarlo a compimento o vivere tutta la vita con l’onta di non essere riuscita a tenerne fede. Lo so Haruka, dimenticate che anche io sono di Pest.”

“Bene e allora lasciatemi andare altrimenti oltre al vostro collaboratore dovrò pensare anche a voi!”

E fu tutto molto più chiaro. Le mire di Haruka si erano spostate da Kaioh al viscido verme che aveva frodato Jànos. Ma se momentaneamente o in via definitiva, questo neanche la ragazza lo sapeva.

“Non con le vostre ferite ancora aperte.” Rispose determinatissimo lanciando un’occhiata eloquente al pavimento.

Seguendo lo sguardo del padre, Michiru notò solo in quel momento alcune macchie di sangue per terra, proprio accanto ai piedi della bionda. “Ruka, stai sanguinando.”

Distorcendo nuovamente le labbra in quello che ormai era una grottesca parodia di un sorriso, Haruka sembrò non curarsene. Sentiva un rivolo caldo serpeggiarle lungo la coscia destra. Un solletico fastidioso. Tenendo con il braccio armato il banchiere sempre a debita distanza, provò allora ad aprirsi la porta da sola.

“Non vedo quale sia il problema.” Disse attirandosi contro la compagna.

“Lo vedo io! Il dottore ti aveva detto di stare ferma! La salute non è un gioco e tu non hai alcun diritto di rovinartela…”

“Michi piantala! Allora cercherò di essere più chiara… Non voglio più stare qui, non voglio più averti intorno, non voglio più vedere la tua faccia, ne pronunciare il cognome che hai preso da quest’uomo!”

Facendo un leggero passo indietro, l’altra la guardò sconvolta. Tenoh non aveva urlato o dato di matto, ma quella frase ebbe lo stesso potere di lacerarle le orecchie.

Tornado ad avanzare verso le due, Alexander si vide puntata nuovamente la lama contro. “A quanto pare voi Kaioh siete un po’ duri di comprendonio. Vi ho già detto di stare fermo. tutti e due. Alexander...non crediate che l’aver scoperto il fautore materiale della truffa ai danni della C.A.P. vi scagioni!”

Accanto alla bionda, con ancora un fastidiosissimo fischio nel cervello a ricordarle lo scoppio d’adrenalina che la frase vomitatale contro le aveva provocato, Michiru tentò una seconda mediazione, perché questa era la sua natura e perché mai avrebbe lasciato qualcosa d’intentato per salvare la situazione.

“Papà,.. - disse con un filo di voce di una potenza disarmante - …spero che tu abbia preso già dei provvedimenti. Quello che ha fatto il signor Andras non può essere lasciato impunito.”

“Sei furba Kaioh. Il cercare di spostare la discussione da tuo padre a questo Nagiry, non li salverà. Perciò è perfettamente inutile tutto questo impegno.”

Non raccogliendo quel delirio omicida, la ragazza continuò a fissare il viso del padre fino a quando avvallando un lento movimento della testa, Alexander le disse di no.

“Ormai non posso più nulla, mi dispiace.” Bisognoso di bere, andò verso il mappamondo porta liquori di castagno che faceva bella mostra di se accanto ad un’altrettanto ben tornita libreria, prendendo una bottiglia di brandy.

“Cosa significa!? Le prove sono nelle nostre mani. Non c’è bisogno di scannarsi come maiali quando la legge può aiutarci ad avere giustizia!”

Certo e quella di fargliela pagare per vie legali era stata la prima cosa che Alexander aveva provato a fare subito dopo aver parlato con Johanna.

“Nagiry è diventato molto influente ed in questi ultimi mesi. È riuscito a farsi degli amici molto importanti e ad entrare nel giro di chi conta in questo paese. Di controparte, è stata la nostra famiglia a veder scemare il potere ed il rispetto che era riuscita ad ottenere in anni di duri compromessi.”

Ingoiò tutto d’un fiato Alexander, come a voler spegnere un’arsura che gli stava divorando la gola ed il liquido pastoso andò giù, scivolandogli nella trachea fino a bruciargli le viscere. “Già dal tuo arresto avevo notato che la famiglia Kaioh non vantava più con il Regime gli stessi privilegi che aveva prima, ma con la vostra fuga…”

“Non avevi detto di aver pagato profumatamente chi di dovere perché la mia evasione fosse dimenticata!”

“Alcune proprietà ci erano già state confiscate subito dopo il tuo arresto, preventivamente, avevano detto, fino a quando la tua posizione in merito al Generale Aino non fosse stata chiarita, ma il denaro in mio possesso è comunque bastato per insabbiare momentaneamente la cosa.” Sempre voltato di schiena, si versò un secondo bicchiere che però dimenticò stretto nel palmo della mano.

“ Papà, se Nagiry si è fatto degli amici diventando così un intoccabile, allora paga anche loro! - Sbottò triviale. - Tutti gli uomini hanno un prezzo e per te non dovrebbe essere un problema contattarli e convincerli a schierarsi con la verità. Se non hai più la liquidità necessaria non importa, basteranno le garanzie economiche della nostra banca!”

”Una volta forse, anzi sicuramente.” Disse tornando finalmente a guardarla.

Abbandonando il bicchiere sulla cesellatura degli intarsi di quel bel pezzo d’artigianato inglese, sospirò a quanto stava per dire. “Michiru, le cose sono cambiate. Con molta probabilità ci rimangono solo questa casa e i gioielli nella cassaforte e con altrettanta probabilità dovremmo lasciare il paese. Senza un’adeguata protezione economica, la nostra famiglia non è più al sicuro qui.”

“Cosa?”

“Non credere, ma certe volte il denaro non è la cosa più bramata.” E la figlia iniziò a comprendere.

Voltandosi verso Haruka, che ormai esausta si era appoggiata spalle alla porta per cercare di resistere meglio al dolore al costato, continuò al posto del padre. “Uno scambio. O papà… ti sei spinto fino a questo punto.”

Non avendoli seguiti più di tanto, impegnata com’era nel cercare di pensare a quale sarebbe stata la mossa successiva da fare, la bionda se li guardò entrambi con una leggera vena d’apatia sul viso.

“Sentite voi due, non m’interessa su quale piano la stiate mettendo. Finanza, banche, soldi…, io non ho tempo di star qui a sentirvi blaterare. - Richiudendo la lama nel manico sentì di non avere più una sola stilla d’energia. - Signore, l’ho capito che avete pagato anche per me, non sono stupida, ma non aspettatevi ringraziamenti o applausi per il vostro intervento e non voglio che pensiate che il debito che avete con la mia famiglia possa essere stato estinto da quattro mazzette messe in croce. Perciò sentite il mio programma; vi restituirò fino all’ultimo fiorino, perché non si dica che per cavarsi dagli impicci, la figlia di Jànos Tenoh si sia piegata ad un uomo ipocrita ed opportunista come voi!”

Nuovamente con la mano sulla maniglia e l’urlo di Michiru riempì lo studio.

“Haruka!”

“Ti sento, non c’è bisogno che mi penetri la testa così.”

“A mi senti! - E con tutta la forza nervosa che possedeva la voltò di peso. - Non ti permetto di dare a mio padre dell’opportunista, come non ti permetto di continuare a tenere piazzata sulla faccia quell’espressione da superiore. Ma chi ti credi di essere?! Scendi dal piedistallo e prova anche solo per una frazione di secondo a non essere tanto indolente. Mio padre avrà anche sbagliato con il tuo e Dio gli è testimone… , ma ha fatto per te più di quanto un genitore non potrebbe fare!”

“Michiru stai esagerando."

“Ti ha salvato dalla casa della giustizia…”

“E ho detto che lo risarcirò di ogni soldo speso per acquietarsi la coscienza!” Controbatté esasperata.

“Ma proprio non ci arrivi vero? E’ della Kaioh Bank che stiamo parlando!”

“Cosa stai cercando d’insinuare?”

“Che mio padre, l’uomo che tanto odi e che vorresti uccidere, l’uomo che ritieni l’artefice di tutto il male del mondo, il mostro che adesso ti sta davanti e che è pronto a prendersi ogni tipo di responsabilità verso di te e la tua famiglia per una vigliaccata che ha commesso un’altra persona, ha barattato l’attività che ha tirato su in anni di lavoro per la tua vita!”

“Precisa richiesta del Regime.” Sentenziò lui tornando al bicchiere di brandy dimenticato sulla ghiera lignea del mappamondo.

“State mentendo! La vita di una semplice operaia di Pest non vale così tanto!”

“Vale per chi è disposto a scambiarla con qualcosa e se questo qualcosa rappresenta un bene che in questa città è bramato da anni. - Voltandosi verso le due, Alexander mosse leggermente il bicchiere verso l’alto come a mimare un brindisi. - Il gioco è fatto.”

Scuotendo la testa Haruka si staccò a forza dall’anta. “Non… non vi credo. Non credo ad una sola parola!” Ma era così stanca che la sua voce sembrò un pigolo invece che un ruggito.

Vedendo il mondo iniziare a girare cercò con un braccio Michiru arpionandosi il fianco con l’altro.

“Ruka!”

Alexander scattò e la bionda si sentì tra le braccia di quell’uomo per la seconda volta nel giro di qualche giorno.

 

 

Il dottor Börcs era allibito, o forse sarebbe stato meglio dire esasperato. Una volta finito di esaminare il costato di Haruka e ricucita la lacerazione che si era riaperta sulla coscia, era uscito dalla stanza scattoso come un piccolo cane di razza, pronto ad azzannare ogni cosa.

“Ma che diavolo vi è saltato in testa?! Alexander, credevo di essere stato chiaro nel dirti di stare attento a quella ragazzina, no?! Passi lei, bizzosa come il padre, ma tu!”

“Hisla… le cose ci sono sfuggite di mano. Ho dovuto dirle di Jànos e non l’ha presa troppo bene. Come sta ora?”

Avvicinandosi tanto da riuscire a parlargli ad un orecchio, l’amico non sembrò sentire ragioni. “Ascoltami bene, Haruka ha rischiato che una costola fratturata si spostasse lacerando il polmone, perciò scusami se per ora delle tue motivazioni non me ne faccio assolutamente niente!”

Portandosi una mano alla fronte l’altro sbuffò desolato. Non era certo facile provare a fermare quella testarda. “Ma starà bene, vero?”

“E’ di tempra forte, ma ha la febbre alta. In ogni caso aspetteremo. Se sta ferma e si lascia curare a dovere, tra un paio di settimane potrà alzarsi dal letto.”

“E viaggiare?”

“Viaggiare?!”

“Si Hisla, viaggiare! In quanto tempo potrebbe essere in grado di sostenere un percorso abbastanza lungo?”

“Non… non saprei Alex. Dipende da lei. Ma che intenzioni hai?!”

“Intenzioni tante, bisognerà vedere se quel demone biondo sarà d’accordo.” Disse lui mentre il viso di Michiru faceva capolino da dietro la porta.

“Scusatemi... Papà, puoi venire un attimo?”

“Si, arrivo cara. - Poi stringendo con energia la spalla dell’amico, gli indicò la camera degli ospiti che ormai l’altro conosceva perfettamente. - Puoi rimanere per la notte o sei di turno in ospedale?”

“Sono stato sostituito, tranquillo.” Masticò giù amaro, ormai rassegnato al fatto che ogni trillo telefonico nel cuore della notte fosse casa Kaioh con la sua valanga di problemi.

Una pacca sulla spalla prima di tornare nella stanza ed Alexander lo lasciò strusciare stancamente i piedi sul marmo del corridoio.

“Cosa c’è? Si è svegliata?”

“No. Sta delirando.” Ancora dietro l’anta, Michiru lo lasciò passare per poi chiuderla silenziosamente.

Haruka era distesa sul materasso, bloccata allo sterno con una fasciatura, la testa adagiata su di un paio di cuscini, le braccia sulla trapunta abbandonate lungo i fianchi, la mano destra serrata alla stoffa, il viso imperlato di sudore, così come il collo e la parte superiore del petto.

Tra un respiro e l’altro, il lamento sottile di una frase. “Papa', dove sei?”

“Il dottore non vuole darle nulla, ma è dura vederla così.” Disse lei guardando il padre girare intorno al letto per sedersi sul bordo.

“Lo so amore, fa tenerezza vederla stare tanto male, ma Hisla sa quel che fa.”

“Speriamo.” Poco convinta, Michiru riprese il panno nel catino d'acqua gelida posto sul comodino ed una volta strizzatalo tornò a passarlo sul viso e sul collo di Haruka inginocchiandosi poi accanto a lei.

“Michiru… dobbiamo lasciare il paese.” Se ne uscì lui abbassando la voce.

Lo aveva detto anche durante il confronto con Tenoh e lei lo aveva registrato, non prestandogli però alcun’attenzione. Non le interessava, non avrebbe accettato un trasferimento neanche se fosse stato il padre ad ordinarglielo o le motivazioni fossero state l’improvvisa mancanza di denaro e il rischio di un nuovo arresto.

“Se pensi che mi spaventi lavorare solo perché sono nata e cresciuta nell’agiatezza papà…”

“Non sto riferendomi ad una condizione economica, ma politica. Dopo il tuo coinvolgimento con Ferenc Aino non sei più al sicuro a Budapest.”

Certo, prima con il denaro della sua famiglia Michiru avrebbe potuto stare tranquilla, ma ora era diventata improvvisamente una ragazza come tante. Sacrificabile.

“Posso immaginarlo e sono d’accordo con te, ma senza di lei io non vado da nessuna parte.” Continuando lentamente a passare il panno umido sulla pelle chiara della bionda, lo guardò un istante stirando le labbra dolcemente.

“Ma lei ha detto chiaro e tondo di non volerti più vedere. Sei una Kaioh.” Sottolineando il concetto prese una sedia per poi crollarvi sopra.

Accentuando il sorriso la ragazza socchiuse gli occhi sorniona. Tanto facevano gli uomini per cercare di comprendere l’emisfero sconfinato del cielo femminile, che poi si ritrovavano sempre allo stesso punto di partenza.

“Vedi papà, posso accettare tutto di lei; che abbia un caratteraccio, che sia impulsiva, molto fumantina ed estremamente protettiva, ma non e' mai riuscita a mentirmi se messa alle strette. Certo, non posso negarti che quelle parole li per li mi abbiano ferita, ma mentre le pronunciava con le labbra non lo faceva con il cuore, anzi, il suo sguardo mal celava la paura che io potessi prenderla sul serio. - Sospirando si accovacciò sul tappeto con le mani nelle mani. - Mi ama e su questo potrei scommetterci l’anima.”

“Come puoi dirlo, la conosci appena.”

“Non hai provato la stessa cosa con la mamma? Non mi hai sempre detto che vi bastò un solo sguardo per perdervi per sempre? Eppure al mondo non avrebbero potuto esserci due esseri tanto dissonanti; culture diverse, religioni diverse, famiglie dal retaggio diverso. Tu, un povero studentello ungherese venuto dall'Est Europa, mentre lei, unica erede di una secolare famiglia di Hakodate.”

“A tuo nonno prese un colpo quanto Kurēn mi presentò agli anziani.”

“Visto? Tu sapevi che fosse quella giusta, così come lo sapeva lei e dopo l’iniziale shock della famiglia Kōtei, andò tutto bene, no?”

Respirando pianissimo, Alexandersi sporse sfiorandole la guancia con un dito. “Non credo sia la stessa cosa amore.”

“Perché siamo due donne, lo so!”

“No, non è per questo, non solo. Perdonami Michiru, ma come ti ho già detto mi serve tempo per accettare questa cosa. Ora però mi preoccupa questo. - Indicando il tatuaggio sul braccio di Haruka puntò i gomiti alle cosce incurvando la schiena. - Ti avverto cara, qualunque cosa scelga per me questa ragazza, io non mi opporrò. Che trovi nel suo cuore la forza di un perdono o il coraggio di un omicidio, la lascerò fare e vorrei che tu facessi altrettanto.”

“Non posso papà! Pensare che potrebbe fare del male a te o a Nagiry è una cosa che mi atterrisce.”

“Lo so, ma non siamo la sua famiglia e non abbiamo alcun diritto d’intrometterci. Lo so io, lo sa Scada, lo sa persino Haruka. Confido nel fatto che Jànos la guiderà.” Concluse mentre la bionda tornava a parlare nel delirio chiamando disperatamente il suo apa.

“Dobbiamo abbassare la febbre.” Rianimata Michiru tornò ad immergere la pezzuola nella tinozza mentre Alexander si sporgeva verso Tenoh afferrandole la mano.

Apa… apa mio, dove sei?”

“Qui Haruka. Sono qui, stai tranquilla.”

Apa?!”

“Si tesoro. Cerca di dormire. Da ora in avanti andrà tutto bene vedrai.”

E a sentire la dolcezza del padre, a Michiru si allargò il cuore e vedendo il viso prima contrito di Haruka rilassarsi improvvisamente, sperò con tutta se stessa che quelle parole rappresentassero la più indiscussa delle verità.

 

 

 

NOTE: Non so come scusarmi per l’incredibile ritardo con il quale sono riuscita a partorire questo penultimo capitolo (il lavoro, cicciato dal nulla come un fungo velenoso). Nel prossimo ci sarà l’epilogo dove vedremo che fine hanno fatto i vari personaggi e si tireranno le somme di tutte le storie. Naturalmente cosa sceglierà di fare Haruka. Lascerà la strada della vendetta per una staccionata bianca, un cane ed un buon lavoro? Bè, Alexander il gesto lo ha fatto; cedere la Kaioh per la sua vita non è da tutti. Magari basterà, non saprei. Michiru partirà o rimarrà a Budapest con tutto quello che ne concerne? Minako e Usagi? Saranno riuscite a ritrovare il padre? Setsuna, Giovanna, Shiry e Rey? Ingabbiate? Makoto? Mamoru? Bè… gli altri li ho seccati perciò con le domande abbiamo finito qui.

Cercherò di scrivere il più possibile per non farvi aspettare troppo. Ciauuu e a presto!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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