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Autore: Maiko_chan    18/11/2018    4 recensioni
[Estratto]
Tsukishima, ancora trasognato, pensò che splendido fosse Yamaguchi, non il servizio. Si bloccò a metà passo, sorpreso da se stesso, perchè mai avrebbe pensato di arrivare ad attribuire al suo amico d'infanzia l'aggettivo attraente. Vide Yamaguchi girarsi e raggiungerlo all'uscita del ginnasio, rivolgendogli un gran sorriso che Kei si limitò a ricambiare incurvando appena le labbra. Aspettò di sentirgli pronunciare quel nomignolo che ormai lo accompagnava da tutta una vita, lo stomaco attrorcigliato in una dolce stretta.
«Tsukki!»

{TsukiYama}
Quarta classificata al ‘Contest… fastidioso’ indetto da Emanuela.Emy79
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kei Tsukishima, Tadashi Yamaguchi, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Never let me go.

 

 

 





 

Kei non sapeva esattamente da quanto tempo i suoi sentimenti verso Yamaguchi avessero iniziato a cambiare; la prima volta che lo realizzò fu alla fine del secondo anno di liceo e lui si trovava in palestra ad allenarsi insieme alla squadra, come facevano tutti i giorni. Lo osservò mentre teneva lo sguardo fisso sul pallone, per concentrarsi meglio, e trattenne il fiato quando lo vide lanciarlo verso l'alto e prendere la rincorsa per saltare. Quando si librò in aria, a Tsukishima sembrò che fossero passate intere ore – non pochi secondi – prima che atterrasse sul parquet della palestra. La sua figura snella e muscolosa si fissò a fuoco nella sua memoria, nei minimi particolari; poteva ricordare come i capelli, più lunghi e raccolti in uno stretto codino, si muovessero disordinati attorno al suo viso; come il sudore gli imperlasse la pelle spruzzata di lentiggini; come la maglietta si sollevò per scoprirgli gli addominali e come le sue cosce fossero un fascio di muscoli in tensione.

La palla si diresse verso Nishinoya che non poté far nulla per fermarne la caduta e si complimentò poi a gran voce per lo splendido servizio. Tsukishima, ancora trasognato, pensò che lo splendido fosse Yamaguchi, non il servizio. Si bloccò a metà passo, sorpreso da se stesso, perché mai avrebbe pensato di arrivare ad attribuire al suo amico d'infanzia l'aggettivo attraente. Vide Yamaguchi girarsi e raggiungerlo all'uscita del ginnasio, rivolgendogli un gran sorriso che Kei si limitò a ricambiare incurvando appena le labbra. Aspettò di sentirgli pronunciare quel nomignolo che ormai lo accompagnava da tutta una vita, lo stomaco attorcigliato in una dolce stretta.

 

«Tsukki!»

Yamaguchi aveva otto anni quando iniziò a chiamarlo in quel modo e ancora riusciva a sporcarsi le guance con il gelato; Kei non capiva se quel soprannome gli piacesse oppure se lo trovasse semplicemente ridicolo. Scrutò con malcelato interesse quel ragazzino piccolo e fragile che aveva iniziato a seguirlo dappertutto con inaspettata determinazione.

Se glielo avessero chiesto, probabilmente Tsukishima avrebbe risposto che non era poi così male averlo sempre vicino.

Nessuno glielo chiedeva mai, però.

Yamaguchi lo raggiunse correndo e gli regalò uno di quei enormi sorrisi che in poco tempo Kei aveva già iniziato ad associare solo a lui. Tsukishima si sentì scottare le guance, ma gli bastò poco per riprendersi.

«Sei in ritardo, Yamaguchi.»

Il bambino lo guardò con un po' di timore, con l'espressione che Tsukishima aveva ormai imparato ad associare alla paura. Per un attimo, non gli piacque essere così alto.

«Scusa, Tsukki...»

Un'altra cosa che Kei sapeva, oltre al fatto che gli piacessero un sacco i dinosauri e la torta di fragole e che odiasse l'estate, era che non sopportava di vedere Yamaguchi triste.

«Dopo la partita di mio fratello andiamo a mangiare le patatine nel locale dove siamo andati l'altra volta?»

Yamaguchi lo guardò con occhi brillanti e Kei – sebbene la sua voce avesse pronunciato quelle parole con la solita intonazione monocorde – decise che andava bene anche così.

In quel momento non poteva saperlo, ma non sarebbero andati a mangiare dopo la partita.

 

 

Andare a casa insieme era una abitudine che andava avanti sin delle elementari. Tsukishima non si era mai soffermato su quando per lui fossero rilassanti quelle poche centinaia di metri che percorreva con Yamaguchi, il quale continuava a parlare finché non arrivavano allo svincolo dove dovevano salutarsi.

«Tsukki, scusami tanto! Oggi non posso proprio tornare a casa con te!»

Tsukishima fletté un sopracciglio, sorpreso: da quanto ne sapeva ormai Shimada dava lezioni a Yamaguchi solo il Lunedì e quel giorno era Mercoledì. Terminò di abbottonare la camicia con calma e poi si allungò per prendere la giacca della divisa. Guardò in faccia Yamaguchi solo quando finì di vestirsi.

«Devi allenarti con Shimada-san anche oggi? Credevo che ormai lo vedessi solo il Lunedì» gli chiese, sistemandosi la cartella su una spalla.

Yamaguchi arrossì un poco e Kei poté sentire una gelida sensazione di fastidio salire a incatenargli il cuore.

«No, uhm, hai ragione infatti non mi vedo con Shimada-san oggi» rispose il ragazzo, recuperando la sua borsa. «Ho... ho promesso a un'amica di aiutarla con i compiti che ci hanno assegnato per domani.»

«Oh.» Per la prima volta dopo un sacco di tempo, Tsukishima non sapeva cosa dire. Sviò lo sguardo dall'amico, fingendo di aver sentito il cellulare vibrare. «D'accordo, ci vediamo domani allora.»

«Sì, a domani Tsukki...»

Tsukishima si avviò verso la porta e poggiò la mano sulla maniglia che non abbassò, colpito da un'improvvisa titubanza. Quando parlò, sperò che la voce uscisse atona come sempre.

«Per caso...» vide Yamaguchi girarsi di scatto verso di lui ed incatenare le proprie iridi con le sue e, oh, cos'era quell'inaspettato bagliore che lesse nei suoi occhi? «Devi vederti con Hayashi-san?»

«Sì...» Era un sorriso strano quello che vedeva sulle labbra di Yamaguchi o era solo una sua impressione? «Sì, mi vedo con lei» concluse, con più decisione.

Tsukishima annuì lentamente e uscì dallo spogliatoio.

Il tragitto verso casa gli parve più lungo e faticoso del solito e non appena varcò la soglia della sua stanza si buttò a peso morto sul letto. “È colpa degli allenamenti” pensò, togliendosi gli occhiali “sono sempre più impegnativi...”

Prese il modellino di stegosauro che aveva sul comodino e iniziò a passarci sopra le dita, cercando di rilassarsi. Sentiva una bizzarra rigidità nei muscoli e suppose di non aver svolto al meglio lo stretching finale. Socchiuse gli occhi, sbuffando piano.

Non era assolutamente colpa di Yamaguchi e di quella smorfiosa di Hayashi-san se si sentiva così a terra, proprio no.

No”, si disse, “non me ne importa nulla se quella ragazzina ci prova con lui”. Ripassò con le falangi le piastre appuntite che si susseguivano sulla schiena del modellino, “Yamaguchi è così stupido che non si accorge neanche che lei ci sta provando con lui da mesi ormai”, corrugò la fronte e lasciò che le sue labbra si piegassero in una smorfia di disgusto. Chiuse gli occhi per qualche secondo, ma come in un flash vide i due che si baciavano appassionatamente, accarezzandosi. Scattò a sedere sul letto, l'espressione talmente arcigna da spaventare anche il più coraggioso dei suoi conoscenti. Si spogliò con gesti veloci e si diresse verso il bagno, pronto per la doccia.

No, non gliene importava proprio un bel niente.

 

*  *  *

 

I corridoi scolastici erano rumorosi nonostante la musica che proveniva dalle sue cuffie. Era una cacofonia di suoni diversi e divergenti, ma Tsukishima non ne era infastidito; perlomeno poteva evitare di captare conversazioni di cui non aveva nessuna voglia di sentire il contenuto. Quell'anno i suoi voti erano ulteriormente migliorati e quindi l'avevano spostato nella terza classe, mentre Yamaguchi era rimasto nella quarta. In quel momento si stava dirigendo verso l'aula dell'amico, perché era la più vicina all'uscita in prossimità della palestra e di comune accordo avevano deciso di ritrovarsi davanti alla rampa di scale vicina alla classe di Yamaguchi.

Si tolse le cuffie e svoltò l'angolo, pronto a sentire la voce di Yamaguchi chiamarlo come ogni volta. Quello che udì invece furono delle risate femminili. Le orecchie gli fischiavano mentre si avvicinava a Yamaguchi e ad Hayashi-san, la quale continuava a toccare il braccio di Yamaguchi come se fosse la cosa più naturale del mondo. Tsukishima capì, non appena notò il modo con cui Yamaguchi cercasse di staccarla da lui con una certa delicatezza, che non gradisse poi così tanto la compagnia della compagna di classe. Le labbra si piegarono in un sorrisetto derisorio che non cercò neanche di trattenere, tutto in direzione di quella ragazza patetica.

«Yamaguchi.» Il suo migliore amico alzò la testa di scatto, incrociando i suoi occhi e liberandosi con un movimento fluido della presa di Hayashi-san per poterlo raggiungere «Dobbiamo andare.»

«Ti stavo aspettando, Tsukki!» la voce di Yamaguchi era più squillante del solito, ma Tsukishima l'accolse come un balsamo inaspettato. Rafforzò la presa sul manico della sua borsa quando vide Yamaguchi girarsi e salutare con un cenno la ragazza patetica, che continuava a rigirasi una ciocca di capelli fra le dita e a sbattere voluttuosamente le ciglia.

Scesero in silenzio la prima rampa di scale e Tsukishima notò che la pelle di Yamaguchi era molto più pallida del solito. “Si sente male?” pensò, allungando una mano per prendergli il polso e stava per chiamarlo quando-

«Yamaguchi-kun?» la voce cinguettante di Hayashi-san arrivò alle sue orecchie come uno stridio fastidioso, qualcosa che non voleva sentire mai più «Pensa a quello che ti ho detto!» terminò la ragazza, scoppiando in una risata acuta e civettuola, allontanandosi e muovendo i fianchi in una maniera che a Tsukishima risultò assolutamente innaturale.

Avrebbe chiesto spiegazioni se la gola non gli si fosse seccata all'improvviso, lasciandolo con le parole incastrate fra i polmoni e il costato.

Yamaguchi aveva le orecchie talmente rosse che Kei pensò che assomigliassero a delle fragole.

 

*  *  *

 

L'allenamento durò quello che a Tsukishima sembrò un'eternità. Le gambe gli dolevano a causa dello sforzo a cui le aveva sottoposte: saltare per murare gli attacchi sempre più efficaci dello strambo duo si era rivelato estremamente difficile, distratto com'era a rimuginare su orecchie che sembravano fragole e lentiggini pallide. Bevve con avidità dalla sua borraccia d'acqua, lasciando che il liquido fresco gli recasse un po' di sollievo. Andò a sedersi in prossimità dell'uscita, appoggiando la nuca alla parete della palestra e respirando con forza.

Quello che non si aspettava era di vedere la figura truce di Kageyama stagliarsi davanti a lui.

«Ohi.»

Tsukishima rivolse uno sguardo derisorio all'alzatore, che dal canto suo aveva un'espressione che avrebbe fatto scappare il più volenteroso degli insegnanti. Si guardarono in cagnesco per qualche minuto e Kei quasi faticò a celare la sua sorpresa quando Kageyama sbuffò all'improvviso e si sedette accanto a lui. Quella giornata continuava a rivelarsi sempre più strana.

«Hai fatto schifo oggi» proruppe Kageyama, lo sguardo fisso davanti a sé.

«Il Re tiranno si preoccupa forse per i suoi sudditi?» chiese, rendendo il tono della sua voce il più derisivo possibile. Non gli piaceva affatto dove stava andando a parare quella conversazione.

Kageyama berciò un insulto, fulminandolo con gli occhi. Da lontano vide Hinata osservare la scena e guardare Kageyama, gesticolando incoraggiamenti.

Quanto erano irritanti quei due idioti.

A quel punto si sarebbe aspettato che il Re si alzasse, ma lui continuava a rimanere seduto al suo fianco e Kei stava per andarsene perché non aveva niente da spiegare a lui, fra tutti, finché-

«Hai litigato con Yamaguchi?»

Tsukishima si immobilizzò, preso alla sprovvista.

«Cosa te lo fa pensare, Re?» sputò fuori, aggiustandosi gli occhiali e rimettendosi a sedere.

Kageyama lo guardò come se fosse stupido.

«Yamaguchi non ha azzeccato neanche un servizio e tu hai fatto pena...» fece una pausa, asciugandosi il sudore che gli imperlava la fronte «praticamente in tutto» finì, scandendo le parole.

A Tsukishima passarono per la mente almeno una decina di risposte, una più pungente dell'altra, ma d'un tratto si sentì talmente stanco che riuscì a controbattere solo con un grugnito.

«Hinata mi ha costretto a venire a parlarti, mentre lui è andato da Yamaguchi.» Kageyama si alzò in piedi, spolverandosi i pantaloncini «Almeno non ripercuotete la vostra lite nel gioco.»

«Non abbiamo litigato.»

Kageyama lo guardò come se fosse un cretino per la seconda volta e Tsukishima iniziò a sentire la voglia di fare qualche commento sarcastico con un'intensità che sorprese anche se stesso.

«Chiarite i vostri problemi, allora» e lo lasciò lì, per raggiungere Hinata. Da lontano, riuscì comunque a notare come le orecchie di Kageyama si fossero infuocate.

Le sue, però, non gli sembravano proprio delle fragole.


 

Tsukishima comprese che Yamaguchi non aveva nessuna fiducia in se stesso quando arrivarono in prima media e si ritrovarono nella stessa classe. Kei superava tutti di almeno cinque centimetri abbondanti e le ragazze avevano iniziato a lasciargli lettere d'amore nell'armadietto. Tutte le volte che ne trovava una, avvertiva una bizzarra sensazione tra l'arroganza e l'irritazione.

Yamaguchi non ne riceveva mai nessuna.

Si accorse che c'era qualcosa che non andava quando trovò quello che ormai era diventato il suo migliore amico nel bagno degli uomini a guardarsi allo specchio come se fosse la cosa più brutta che avesse mai visto – e fu qualcosa che lo spaventò a morte.

Tsukishima non aveva nessuna idea di come affrontare l'argomento, né di come fargli capire che quello che gli passava per la testa fossero tutte delle sciocchezze.

Andarono a mangiare insieme le patatine che a Yamaguchi piacevano tanto, ma neanche quello sembrò sortire un gran effetto e Tsukishima si accorse con orrore di non sapere granché su ciò che piaceva a Yamaguchi o su cosa lo facesse stare bene.

Chiuse il rubinetto del lavandino del bagno e si asciugò le mani con i fazzoletti che aveva portato con sé. Pulì gli occhiali con calma e rimuginando su quei pensieri tornò in classe, trovando una scena che gli gelò il sangue.

Yamaguchi era a terra, con impronte di scarpe su tutta l'uniforme, raggomitolato in posizione fetale. Kei lo raccolse e lo portò correndo in infermeria, il cuore che rimbombava furioso nelle sue orecchie. Quella notte Kei dormì nello stesso futon di Yamaguchi, stringendolo mentre piangeva e ripetendogli che non c'era nulla di sbagliato in lui.

Yamaguchi non tornò a scuola se non dopo una settimana.

Nel frattempo, Kei era riuscito a convincere i coordinatori della classe a spostarli entrambi in un'altra sezione, aiutato da entrambi i loro genitori.

Yamaguchi riprese a sorridere dopo qualche settimana dall'accaduto.

Tsukishima capì che tutto sarebbe andato per il meglio quando l'anno seguente Yamaguchi gli disse che, in fondo, le lentiggini non erano poi così male – dopo aver mangiato una porzione extralarge di patatine.


 

Tornano a casa insieme dopo gli allenamenti e Yamaguchi riempì di chiacchiere tutto il tragitto, sebbene Tsukishima notasse la tensione che gli irrigidiva le spalle. Giocherellò distratto con il filo delle cuffie, arrotolandolo tra le dita; non era bravo a fare conversazione – sapeva essere pungente e sardonico, ma cercava sempre di controllarsi con Yamaguchi. Non sentiva spesso il bisogno di parlare quando era con lui, perché gli piaceva ascoltare il modo con cui il ragazzo modulava la sua voce mentre gli raccontava la sua giornata.

Quel giorno invece, avvertì mille parole salirgli alle labbra – spezzati pensieri senza alcun senso – e si sforzò per trattenerle; aveva mille interrogativi in testa e tutti erano rivolti a Yamaguchi.

Sempre, a Yamaguchi.

«Tsukki... cosa pensi di Hayashi-san?»

Quello era l'ultimo argomento di cui voleva parlare: anche solo pensare alla ragazza in questione gli faceva venire un fastidioso mal di testa. Si girò e fulminò con gli occhi l'amico, inarcando un sopracciglio.

«Non ricordo neanche la sua faccia.» Bugia, la ricordava benissimo mentre si appiccicava a Yamaguchi in sogno.

«Ma dai, Tsukki! La mia compagna di classe, quella che era con me davanti alle scale oggi...»

«Sì, ho capito, Yamaguchi, ma questo non significa che abbia fatto caso al suo volto» sbuffò, incupendosi. Vide con la coda dell'occhio Yamaguchi che torturava l'orlo della divisa e gli si bloccò il fiato in gola.

«Se non ti dispiace...» guardò il pomo d'Adamo di Yamaguchi alzarsi e abbassarsi, risalì il profilo della mascella e andò a soffermarsi sul suo profilo.

Fu per la seconda volta che Tsukishima pensò che Yamaguchi fosse bello.

«... potremmo fare un'uscita di gruppo, io, te e lei.»

Gli occhi di Yamaguchi erano splendenti e riflettevano il tramonto, ma quando gli disse che andava bene purché gli comprasse una porzione di torta alle fragole, il ragazzo si girò e Tsukishima non vide come i suoi occhi persero la luminosità che li aveva caratterizzati qualche secondo prima.

Tsukishima non si accorse di nulla neanche quando si separarono al solito svincolo e tornò a casa, dove sua madre lo accolse con l'euforia che la caratterizzava. Quasi si dimenticò di aver dato il consenso ad un'uscita di gruppo quando sul suo cellulare apparì un messaggio proveniente da un cellulare sconosciuto.

 

Tsukishima-kun, sono molto felice che tu abbia dato il tuo consenso! l'appuntamento è fissato per questo sabato, alle 10:00, davanti al konbini nikuya! :)

Ci vediamo lì, Tsukishima-kun :D

 

Spense il cellulare con un grugnito infastidito e non rispose. L'ultimo pensiero che lo colpì, prima di addormentarsi profondamente, fu “perché non è stato Yamaguchi a scrivermi?”

 

*  *  *

 

La settimana passò rapidamente, fra lezioni, allenamenti e un'amichevole con la Dateko e Tsukishima arrivò al weekend pensando a come fosse possibile che avesse accettato di partecipare a quell'uscita, lui, che era un maestro a non fare ciò che non voleva. Schioccò la lingua, infastidito, mentre spegneva la sveglia sul comò e si stropicciò gli occhi, assonnato. Si vestì con calma, indossando degli abiti casual che fossero abbastanza comodi. Scese a fare colazione e, mentre sorbiva il tè, accese il cellulare, aspettando che iniziassero ad arrivargli le notifiche arretrate.

Quando infine sbloccò lo schermo del cellulare la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava si fece ancora più grande. Aveva ben quattro messaggi non letti e nessuno da parte di Yamaguchi.

Lo stesso Yamaguchi che non mancava mai di inviargli una buonanotte o un buongiorno, anche quando era malato o quando avevano avuto una discussione.

Sarebbe andato a quella maledetta uscita a tre, ma solo per prendere Yamaguchi e trascinarlo da qualche parte per capire cosa stava succedendo. Con questi pensieri un mente si incamminò di buon passo verso il luogo dell'appuntamento.

Il konbini aveva il solito aspetto trasandato di sempre e Tsukishima osservò con poco interesse i cartelli pieni di promozioni attaccati alle vetrate del negozio. Guardò brevemente l'orologio per accertarsi dell'orario, notando che ormai mancavano solo pochi minuti alle dieci. Di solito Yamaguchi si assicurava sempre di arrivare almeno quindici minuti prima a ogni impegno che prendeva e questo pensiero lo preoccupò ancora di più. C'era qualcosa di strano in tutta quella faccenda e lui non riusciva a capire cosa stesse succedendo; si lasciò sfuggire un sospiro frustrato, optando per appoggiarsi al palo della luce dietro di sé.

Guardò nuovamente l'orologio. Erano ormai passati altri dieci minuti e di Yamaguchi nessuna traccia. Kei tirò fuori il suo cellulare dalla tasca, le sopracciglia corrugate, e mandò un messaggio veloce a Yamaguchi. Aspettò qualche altro secondo prima di metterlo via, mordendosi piano le labbra, incerto. Decise di aspettare ancora qualche minuto e se Yamaguchi non fosse ancora arrivato allora sarebbe andato a cercarlo a casa sua, al diavolo quella smorfiosa di-

«Tsukishima-kun!»

Kei dovette reprimere un sussulto e le sue labbra formarono una linea dura senza il suo consenso. Si girò verso la fonte di quella voce stridula, trovandosi faccia a faccia con Hayashi. “Ugh” pensò, infilandosi le mani in tasca “Si è pure messa in tiro”. Hayashi indossava un vestitino verde, si era truccata pesantemente il volto e aveva acconciato i capelli. Se Tsukishima non avesse trovato di per sé anche solo la sua minima presenza irritante, avrebbe ammesso che lei fosse una ragazza molto graziosa. Le indirizzò un lieve movimento del capo per salutarla e riprese a fissare imperterrito la strada da dove sapeva Yamaguchi sarebbe arrivato.

Era forse successo qualcosa? Non era da Yamaguchi tardare così tanto. Fece per tirare fuori di nuovo il cellulare quando delle dita delicate si avvolsero sul suo polso. Colto di sorpresa, si girò di scatto verso la ragazza, la quale lo stava osservando con le labbra dischiuse languidamente, sbattendo piano le ciglia.

«Tsukishima-kun, dove vorresti andare adesso?» chiese Hayashi, avvicinandosi ancora di più a lui. «Potremmo andare a fare una passeggiata al parco-»

Hayashi si interruppe precipitosamente e Tsukishima si chiese vagamente che tipo di espressione dovesse distorcergli il viso per poterla ridurre al silenzio senza neanche aprir bocca. Con uno scatto deciso del polso si liberò della sua stretta e si protese verso di lei, le labbra stirate in un sorrisetto poco amichevole.

«Dov'è Yamaguchi?» riuscì a tirare fuori, scandendo le parole lentamente.

Hayashi lo guardò confusamente, inarcando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto, chiaramente a disagio.

«A casa sua, immagino?» rispose lei, arricciandosi una ciocca di capelli fra e dita e sorridendo civettuosamemente «Non sai quanto tempo ci ha messo per decidersi a lasciarci in pace e farci uscire insieme da soli! Non lo capisco proprio quel ragazzo sai? Non è strano che ti sia sempre così appiccicato, Tsukishima-kun?» Hayashi gli appoggiò una mano sul braccio, iniziando ad accarezzarlo con lentezza «So che siete amici d'infanzia, ma tu sei così figo, Tsukishima-kun, mentre Yamaguchi è talmente-»

«Cosa cazzo hai appena detto?» sibilò Kei, lasciandosi sfuggire un ringhio dal profondo della gola. «E toglimi le mani di dosso!»

«Ma Tsukishima-kun!» ribatté lei, continuando testardamente ad aggrapparsi al suo braccio «Sono appena arrivata e dobbiamo iniziare il nostro appuntamento!»

Tsukishima digrignò i denti e deglutì tutte le orribili parole che gli salirono alle labbra, prendendo un respiro profondo per calmarsi i nervi. Con gesti misurati tirò fuori dalla tasca il suo cellulare, aprendo la conversazione con Yamaguchi già pronto a inviare nuovi messaggi per richiedere spiegazioni. Le due spunte blu sul suo precedente messaggio però attirarono il suo sguardo come una calamita e con rabbia inattesa premette sul messaggio per guardare da quando tempo Yamaguchi avesse visualizzato senza rispondere.

Dieci minuti.

Kei espirò dal naso, sentendosi nauseato quando il profumo smielato di Hayashi gli pervase le narici. Non era qui dove doveva rimanere. Non era lei con cui Kei voleva passare il pomeriggio. Kei ambiva, bramava – con un desiderio così profondo da scuoterlo – la presenza rassicurante di Yamaguchi al suo fianco, i suoi sorrisetti stupidi, il buon odore di bucato dei suoi vestiti e i modo in cui i suoi occhi brillavano per qualcosa che Kei non era mai riuscito a decifrare. Si accorse che Hayashi ancora gli stringeva il braccio, aggrappandovisi quasi disperatamente, ma lui lo strattonò fuori dalla sua presa senza tante cerimonie, allontanandosi di qualche passo per non essere di nuovo a portata di quelli che, ormai, gli sembravano dei veri e propri artigli.

«Ora stammi bene a sentire» iniziò Tsukishima con voce monocorde «non ho nessun interesse in questo appuntamento», sputò fuori con disgusto «mi sono presentato solo perché credevo che anche Yamaguchi sarebbe venuto. Non ho nessun sentimento nei tuoi confronti, di alcun tipo, e se sentirò di nuovo qualcosa di male sul conto di Yamaguchi passare dalle tue labbra...» assottigliò gli occhi, abbassando il tono della voce fino a un sussurro «non risponderò delle mie azioni.» concluse, girandosi e incamminandosi con buona lena verso l'abitazione di Yamaguchi, senza soffermarsi ad ascoltare le indignate parole d'astio che Hayashi gli stava gridando dietro.

Riprese il cellulare in mano, inviando un altro messaggio, e, quando questo pochi minuti dopo non diede altro esito che essere visualizzato senza risposta, schiacciò rabbiosamente il tasto per chiamare Yamaguchi. Pochi squilli più tardi la segreteria telefonica fece emettere a Kei qualcosa non dissimile a un ruggito di sdegno. Accelerò il passo, l'intero suo corpo tremante a causa della collera mal trattenuta, entrambe le mani chiuse in due pugni serrati. Il modo in cui le unghie gli mordevano la pelle del palmo, ormai non più tanto sensibile dopo i tanti allenamenti a cui le sottoponeva, gli fece rendere conto di quanta forza vi stesse accumulando e si costrinse ad aprirle con movimenti convulsi.

Dopo minuti sembrati interminabili, finalmente scorse le familiari mura della casa di Yamaguchi e accorse alla porta, obbligandosi a suonare il campanello con calma per non disturbare la madre del suo amico d'infanzia che era quasi certamente a casa. Infatti, pochi istanti dopo, fu proprio il volto a lui caro della mamma di Yamaguchi ad accoglierlo, con il suo solito sorriso benevolente e sereno. A vederla un velo di calma si depositò sulle sue spalle, sciogliendo un po' della tensione che aveva reso rigide le sue spalle.

«Kei-kun, che piacere vederti!» lo accolse calorosamente la donna, guardandolo con occhi che avevano la stessa sfumatura di marrone di quelli di Yamaguchi.

Tsukishima annuì rispettosamente e non sprecando alto tempo chiese: «Signora, Yamaguchi è su nella sua stanza?» celando maldestramente l'impazienza che fuoriusciva dal suo tono di voce.

Il cuore tuttavia gli si strinse in una dolorosa morsa quando vide le sopracciglia della donna aggrottarsi, un espressione di confusione che le si andava formando sul volto.

«Ma come, Kei-kun, Tadashi si è dimenticato di dirtelo?» gli ripose, la voce che scandiva le parole con una delicatezza che a Kei risultò subito un modo per alleggerire il colpo che stava per subire. «Pensavo che ti dicesse sempre tutto... mi dispiace molto, ma Tadashi è andato ad un escursione qui nei paraggi con alcuni vostri compagni di squadra. Qualcosa a proposito di lucciole e stelle cadenti, se non ricordo male» continuò lei, ponderando le parole con cura «sul monte Kurosawa. Non saranno di ritorno prima di stasera tardi.»

«Oh,» rispose Kei e nella confusione di pensieri dentro la sua testa non riuscì a capire perché gli occhi gli bruciassero così tanto «la ringrazio, signora. Dica a Tadashi...» deglutì con forza, la gola secca e le labbra quasi ridotte all'insensibilità mentre pronunciava il nome di Yamaguchi a voce alta «gli dica che sono venuto a cercarlo.» finì, sbattendo le palpebra un paio di volte, come a voler spazzare via quanto in quel momento si sentisse patetico.

«Ma certo mio caro,» affermò la mamma di Yamaguchi, accarezzandogli il braccio per confortarlo. «Perché non entri? Potremmo prendere un tè insieme e potresti farmi compagnia mentre finisco di ricucire uno strappo sull'uniforme di Tadashi.»

Ma Kei stava già scuotendo la testa a metà discorso, declinando con tatto l'invito e congedandosi. Gli occhi della donna lo seguirono finché non svoltò l'angolo e solo allora lei si lasciò sfuggire un sospiro frustrato, chiudendo la porta, e mormorando frasi su ragazzi che non riuscivano a comunicare nonostante si conoscessero da tutti quegli anni.

 

*  *  *

 

Fissare la crepa che attraversava il soffitto di camera sua non dovrebbe risultare così interessante, rifletté Kei, accarezzando con cura il piccolo giocattolo a forma di stegosauro che Yamaguchi gli aveva regalato quando ancora frequentavano le medie. Dopo tutto quel tempo la colorazione sul dorso dell'animale si era un po' scolorita a causa delle carezze che Kei gli aveva elargito in tutto quel tempo; era uno dei suoi possedimenti più cari, uno dei più amati. Gli aveva fatto compagnia in notti dove non riusciva a prendere sonno, tormentato dai suoi stessi pensieri, e a Kei non interessava soffermarsi a pensare a ciò che avrebbero detto i suoi conoscenti se avessero saputo che ancora sentiva conforto nell'accarezzare un giocattolo per bambini. Come tante delle cose che succedevano intorno a lui, non se ne interessava abbastanza da turbarlo.

Distolse infine lo sguardo, non prima però di aver seguito la fessura fino al suo inizio, e si rigirò sul materasso, raggomitolandosi un po' su se stesso. Diede un altro sguardo al cellulare e con un sospiro lieve, rassegnato, si sporse per prenderlo. Lo sbloccò velocemente e, nonostante se lo aspettasse, un'ondata di fastidio e preoccupazione lo attraversò quando vide che Yamaguchi ancora non aveva riposto malgrado avesse già visualizzati i messaggi. Scorse la loro conversazione, concentrandosi anche su ciò che si erano scambiati pochi giorni prima, sorridendo di tanto in tanto a qualche battuta stupida che si erano scritti. Chiuse gli occhi, cercando di far smettere l'inaspettato bruciore che si accumulava sui loro bordi, testardamente risoluto a non far in modo che tutta quella situazione lo spezzasse più di quanto non avesse già fatto. L'idea che Yamaguchi lo avesse mandato ad un appuntamento al buio già lo faceva sentire malissimo e Kei non desiderava aggiungere altra miseria al suo stato d'animo attuale.

Prese le sue cuffie e le collegò al cellulare, appoggiandolo accanto a lui e chiudendo gli occhi, cercando di rilassarsi. Le note dei suoi artisti preferiti lo cullarono in uno stato di dormiveglia, stanco a causa di tutti gli alti e bassi che quella giornata gli aveva inflitto, fin quando la suoneria del suo telefono non lo svegliò di soprassalto. Infastidito, recuperò il cellulare con un movimento brusco e si congelò sul posto quando vide chi era che lo stava chiamando.

Yamaguchi, pensò e la rabbia che prima aveva dimenticato tornò ad infiammargli le vene. Ponderò per alcuni istanti se rispondere o meno – infliggere gli stessi patimenti che aveva subito lui – ma alla fine decise di accettare la chiamata, aggrappandosi alla furia che lo faceva essere meno consapevole di quanto in realtà stesse soffrendo.

«Pronto.» disse, modulando la voce in modo che risultasse più fredda possibile. Sentì Yamaguchi espirare instabilmente e con la mente lo immaginò nell'atto di raccogliere le forze. Così coraggioso, Yamaguchi, anche quando sapeva che tutte le probabilità era contro di lui.

«Tsukki,» rispose lui, con voce ferma, ma Kei lo conosceva abbastanza bene da riconoscervi un lieve tremore «so che sei arrabbiato con me.» Kei rimase in silenzio e aspettò ancora, finché «So che...» riprese Yamaguchi e Kei sapeva che stava torturando l'orlo della sua giacca anche senza bisogno di vederlo «So che non avrei dovuto organizzare quell'appuntamento senza farti sapere come stavano davvero le cose. Non avrei mai acconsentito a qualcosa del genere se avessi saputo che questa sarebbe stata la tua reazione ma credevo che... che ne saresti stato felice.»

Cosa-”, pensò in silenzio Tsukishima, stupefatto, “cosa sta-”

«Vedi Tsukki, Hayashi è la prima ragazza a cui ti sei vagamente interessato quindi pensavo che darti una mano sarebbe stato... gentile da parte mia» “Gentile da parte sua? Vagamente interessato?” ripeté nella sua mente Kei, “Ma cosa cazzo-” «Tsukki, io-» sentì Yamaguchi deglutire dall'altra parte della linea, prima di prendere un grosso respiro e continuare «Io volevo solo, solo aiutarti, davvero. Non credevo che te la saresti presa così, pensavo di farti un favore, non volevo che tu venissi trascinato nei miei pettegolezzi scolastici, non- non.» si fermò lui, prima di esalare un respiro tremolante «So che non sei in quel modo, come me, quindi volevo solo- so che io non posso essere per te- che non posso-»

«Yamaguchi,» lo interruppe con successo Kei, la voce più tagliente di quanto avesse voluto «ma di cosa stai parlando? Quali pettegolezzi? E da quando io sarei interessato a Hayashi?»

Le domande sembrarono ridurre al silenzio l'altro ragazzo per qualche secondo finché non arrivò un flebile «Ma, Tsukki, tu uhm, tu mi avrai chiesto almeno una decina di volte cose su Hayashi-san solo in queste due ultime settimane.»

Ah, merda” «Io» si passò la lingua sulle labbra, divenute secche in pochi secondi «Io non chiedevo di lei perché mi piace, ma perché tu hai passato più tempo con Hayashi dopo scuola che con me. In queste ultime settimane.» precisò Kei, passandosi nervosamente una mano fra i capelli quando Yamaguchi non disse nulla «E di quali voci parli? Yamaguchi? Di quali pettegolezzi stai parlando?» finì, alzando un poco il tono della voce, lasciando che tutta la frustrazione che si era accumulata nelle sue ossa si riverberasse nelle sue parole.

Kei aspettò qualche secondo, e quando Yamaguchi non replicò tirò un sbuffò con rabbia «Yamaguchi, mi vuoi dire sì o no di cosa-»

«Del fatto che sono omosessuale, Tsukki.»

«-perché non capisco cosa tu mi stia nascondendo- che tu che cosa?» strozzò fuori Kei, mentre la stanza davanti ai suoi occhi prese a vorticare pericolosamente. Non c'era modo che Yamaguchi davvero... che lui fosse... che Kei potesse...

«Sono gay, Tsukki» ripeté con calma Yamaguchi, ridendo senza gioia al telefono. «È apparsa una mia vecchia foto della scorsa estate, dove stavo baciando un ragazzo. Non è nulla di cui preoccuparsi, Tsukki, non è successo nulla di grave solo qualche battuta stupida in classe. E non è come se avessi il ragazzo adesso, quindi non c'è nulla da temere Tsukki.»

«Ma Yamaguchi... perché non...» “Perché non me ne hai parlato? Perché non sei venuto da me?”

«Non sapevo come dirtelo, Tsukki» rispose piano Yamaguchi e a Kei gli si strinse il cuore quando lo udì tirare su il naso «Non... non lo sanno neanche i miei genitori.»

Kei rimase in silenzio, ponderando tutte le nuove informazioni che aveva. In una piccola, nascosta parte della sua testa, vorticavano impazziti pensieri e desideri che Kei si era imposto di non guardare e analizzare troppo intensamente. Ma ora... ora forse... Tadashi...

«Dove sei ora?»

Yamaguchi rise piano, tirando nuovamente su col naso.

«Di fronte a casa tua.»

Tsukishima scattò in piedi, attraversando la stanza in due grandi falcate e spalancando la finestra: lì sotto, proprio come aveva detto, si trovava Yamaguchi, il quale lo salutò scuotendo la mano non occupata con il cellulare.

«Aspetta là,» si affrettò a dire Kei, prima di interrompere la chiamata e precipitarsi ad aprire la porta. Yamaguchi era lì, con i capelli arruffati e due borse sotto gli occhi arrossati, la mani che irrequiete strofinavano l'orlo della felpa che indossava.

«Ciao, Tsukki» lo accolse, accennando un sorriso.

«Ciao» espirò Kei, continuando a fissarlo. “Oh”, pensò, “oh”.

E Yamaguchi, coraggioso, impavido Yamaguchi, alzò il volto e lo guardò dritto negli occhi, determinato in un modo che Kei era privilegiato di vedere solo nel corso di qualche partita difficile, in qualche impresa impossibile, quando tutto era contro di loro e Yamaguchi si accendeva come una stella.

«Tsukki-»

Yamaguchi non distolse lo sguardo neanche quando Kei alzò una mano verso il suo volto, sopprimendo un tremito che lo scosse da testa a piedi, e rimase fermo come ad aspettare un impatto. Sgranò gli occhi quando Kei, invece, gli prese il volto fra le mani con delicatezza.

«So che non sei in quel modo, come me, quindi volevo solo- so che io non posso essere per te- che non posso-»

Kei lasciò che il suo pollice accarezzasse la pelle liscia della guancia di Yamaguchi, mentre osservava con rapace avidità i piccoli dettagli del suo volto: osservò il modo in cui le sue ciglia sbattevano veloci, gli occhi sgranati quasi all'inverosimile, il lieve rossore che gli macchiava le guance adornate di lentiggini, finché il suo sguardo non si posò sulle sue labbra, morbide e lucenti, che Yamaguchi stava mordicchiando – una piccola abitudine che aveva quando era ansioso o nervoso – facendosi sì che a Kei mancasse il fiato. Si rese vagamente conto che Yamaguchi tirò un sospiro traballante quando lui si passò la lingua sulle labbra, rese aride dallo spettacolo che aveva di fronte. “Oh”, si disse, “lui per me, anche lui, per me...”

«Tsukki- Io- cosa-» balbettò Tadashi, le mani che esitanti andarono a chiudersi sui suoi polsi.

«Sta zitto, Yamaguchi.»

Kei lo baciò piano, dandogli il tempo di scostarsi e respingerlo, ma Yamaguchi, anche se dapprima si irrigidì, poi si rilassò completamente nella sua stretta. Le palpebre gli si abbassarono fino a chiudersi, esalando un sospiro scioccato. Kei lasciò che le loro labbra si sfiorassero un'altra volta, dolce e andando ancora a tentoni, perché non voleva spezzare quel fragile equilibrio di sospiri che si era creato fra di loro. Fu Yamaguchi che lo baciò fermamente, avvolgendogli le braccia al collo e lasciando che Kei lo prendesse per i fianchi per far in modo che i loro corpi si toccassero da testa a piedi. Si baciarono per quanto a Kei sembrarono ore, staccandosi solo per prendere brevi boccate d'aria, ributtandosi subito in quei dolci movimenti fatti di labbra e carezze. Si allontanarono alla fine per riprendere fiato e Kei strinse la sua presa, non volendo lasciarlo andare. Yamaguchi rise piano, gioioso, sorridendogli nel modo dolce che riservava solo a lui, inspirando l'uno il respiro dell'altro. Kei lo baciò ancora, solo perché poteva.

«Andiamo a parlare in camera tua?» chiese piano Tadashi, baciandogli con tenerezza la guancia.

Kei lo prese per mano, nascondendo il sorriso che gli aveva trasformato il volto in una esultante maschera di felicità, incoraggiando Tadashi ad accelerare il passo.

Oh”, pensò, quando Yamaguchi lo guardò con le orecchie rosse come fragole, “oh è questo che si prova ad essere innamorati”.

 

*  *  *

 

I giorni passarono in un turbine di risate, gote rosse dall’imbarazzo e baci rubati di tanto in tanto in qualche angolo buio nella loro scuola o dentro la sicurezza delle loro camere. Dopo quasi un mese Tsukishima era ancora estatico dalla gioia. Il solo pensiero che adesso poteva tenere Yamaguchi nelle sue braccia, baciarlo e coccolarlo quando voleva faceva scaturire quasi sempre un sorriso alle sue labbra, ma che Kei si guardava bene di nascondere quando non erano soli.

Fu nuovamente dopo un allenamento particolarmente faticoso che Tsukishima si accorse di osservare con troppo desiderio l'amico d'infanzia in pubblico – “il suo ragazzo”, pensò, ancora frastornato dalla felicità – quando dovette forzarsi a distogliere lo sguardo quando si cambiavano negli spogliatoi. Yamaguchi era diventato muscoloso dopo tutti quegli anni di allenamento frenetico e le linee definite dei suoi addominali attraevano lo sguardo di Kei irresistibilmente. “La sua pelle sembra così liscia”, pensò, cercando di non farsi notare troppo nel corso del suo attento scrutinio, “morbida e soda...”, si disse, scivolando con lo sguardo sino ai glutei coperti ancora dai pantaloncini della squadra. Le mani gli prudevano dalla voglia di accarezzarlo ma cercò di ricomporsi, piegando meticolosamente la sua uniforme nella sacca da pallavolo. “Presto”, si riprometté, mettendosi la borsa sulle spalle e sedendosi in una delle panche mentre aspettava silenziosamente che Yamaguchi finisse. Dallo sguardo che il suo ragazzo gli mandò, era chiaro che non era passata inosservata la sua attenta ispezione. Kei lasciò che le sue labbra si curvassero in un lieve sorriso, abbassando la testa sul cellulare e mettendosi le cuffie sopra le orecchie.

Kageyama e Hinata stavano battibeccando allegramente a pochi passi da lui, mentre i ragazzi del primo anno ridevano per una battuta, e Kei si lasciò cullare dalla musica, chiudendo gli occhi e appoggiando la schiena agli armadietti. Qualche minuto dopo il leggero tocco della mano di Yamaguchi lo fece uscire dal suo breve riposo e con un cenno del capo gli indicò che erano pronti ad andare. Salutarono la loro squadra: Kei non mancò di notare l'espressione leggermente sospettosa di Hinata, quella confusa di Kageyama, il piccolo ghigno che attraversò le labbra di Noya e l'occhiolino di Tanaka, ma decise semplicemente di sbuffare e appoggiare una mano sulla schiena di Yamaguchi per esortarlo ad uscire.

Non parlarono molto nel tragitto fino alle loro case e, se questo una volta avrebbe fatto preoccupare Kei, adesso non era più così; aveva imparato che Yamaguchi preferiva non parlare troppo dopo scuola, ma prediligeva lasciare semplicemente che Kei lo tenesse per mano quando camminavano insieme fino a una delle loro abitazioni. Solo allora, molto frequentemente seduto nel suo grembo, Tadashi si sarebbe lanciato nel fervido racconto della sua giornata, lasciando che Kei lo baciasse di tanto in tanto e lo accarezzasse quando qualcosa lo aveva turbato in modo particolare. Altri giorni invece rimanevano sdraiati nel letto, baciandosi per minuti interi, senza fiato e con l'inizio di quella che poteva diventare molto velocemente un'erezione, portando all'imbarazzo che ne conseguiva quando uno di loro due doveva scusarsi per andare al bagno. Oggi, tuttavia, una quieta tensione aleggiava fra di loro, pervasa di aspettative e tinteggiata da un pizzico di paura.

Quando arrivarono davanti alla porta di casa Tsukishima, Kei strinse leggermente la presa sulla mano di Yamaguchi prima di lasciarla andare per cercare di pescare le chiavi dalla borsa. Ci mise qualche secondo in più ad aprire, i movimenti imprecisi a causa della morsa che stringeva le sue membra, turbinosi i sentimenti che ne erano la causa. Prese un bel respiro per calmare i suoi nervi e si fece da parte per far entrare Yamaguchi, il quale gli offrì un sorriso incerto ma pieno d’affetto.

«Andiamo?» chiese, girandosi e distendendo una mano verso Yamaguchi. Lui lo guardò con un’insolita luce nelle iridi ma la accettò senza timori. Così coraggioso, Yamaguchi…

Salirono le scale mano nella mano, sorridendosi con cauta eccitazione. Il click che produsse la porta della camera di Kei dietro di loro aveva una nota di finalità. Si guardarono per quelli che probabilmente furono pochi secondi, ma che sembrarono un'eternità per loro. Sei sicuro? Dicevano gli occhi di Kei, insicuri come mai Tadashi li aveva visti. Sempre, gli rispose lui prendendogli il volto fra le mani per baciarlo piano.

Con mani titubanti si spogliarono piano, i baci sempre più languidi e bagnati, accarezzandosi dove le loro mani riuscivano a raggiungere. Fecero l'amore in silenzio, con frasi sussurrate all'orecchio, gemiti di piacere fra di loro. Dopo, quando la passione li rese stanchi e assonati, si sdraiarono insieme nel letto, accoccolandosi sotto le coperte. Kei lo baciò ancora e Tadashi sorrise sulle sue labbra. Ti amo, mormoravano le carezze di Kei sulla sua schiena nuda, ti amo dicevano i piccoli baci che sembrava non riuscire a smettere di dare.

«Ti amo» disse Tadashi, quando Kei gli confessò che le sue lentiggini per lui erano come delle costellazioni. «Non lasciarmi mai andare.»

«Mai» rispose Kei, permettendo che il respiro di Tadashi lo cullasse fino al sonno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'aria era torbida in quell'afosa giornata d'Agosto e le cicale frinivano liete fra le fronde degli alberi; le formiche erano invece indaffarate a spostare tutto ciò che potesse essere commestibile alle loro tane, muovendosi frenetiche. Non un filo di vento scuoteva le foglie e, sdraiato sull'erba e protetto dal sole ardente dalla grande chioma di un albero, un giovane uomo riposava. Un velo di sudore gli imperlava la fronte e le sopracciglia bionde, nonostante l'ombra del maestoso albero lo riparasse fino al busto; la calura estiva rendeva le sue mani appiccicose e la gola non domandava altro se non un po' di refrigerio. Gli occhiali gli scivolavano di tanto in tanto verso il basso, fino alla punta del naso, benché li riposizionasse sempre al loro posto. Si lasciò scappare un sospiro seccato: fra tutte le stagioni l'estate era quella che sopportava meno. La perenne sensazione di sudore lo irritava e vani erano i numerosi tentativi di rinfrescarsi – i gelati, le docce fredde e il condizionatore non sembravano produrre altro effetto se non quello di procurargli un fastidioso mal di gola.

Si sistemò meglio, collocando la testa fra due radici piuttosto sporgenti, ma che in questo caso gli consentivano di appoggiare comodamente la nuca. Socchiuse le palpebre, lasciando che i suoi occhi scrutassero i rami del maestoso albero; il verde delle foglie era abbacinante e, grazie all'intervento dei raggi solari, Kei si perse a seguire con lo sguardo i giochi di luce che si susseguivano gioiosi fra le fronde. Quella era una delle poche cose che gradiva dell'estate. Lo spettacolo che gli si mostrava era sempre diverso, mai uguale, e Kei lo apprezzava proprio per la sua irripetibilità. Ogni attimo era differente dagli altri e lui si incantava spesso a guardare le frasche, anche mentre camminava.

«Kei!»

Tadashi lo raggiunse correndo e Kei non protestò quando il suo fidanzato lo abbracciò con vigore, sudato e appiccicoso. Sì, pensò, stringendolo al petto con forza, l'estate non era certo la sua stagione preferita, ma questo non lo avrebbe dissuaso a mostrare al suo ragazzo quanto lo amasse.

Dopotutto, stavano per sposarsi.

























 



 

 



 



 

Dopo quasi un anno torno a pubblicare qualcosa su questo profilo. Come passa il tempo!
Questa storia è rimasta per un sacco di tempo nel mio pc - infatti non so neanche se ho fatto un gran bel lavoro a rimetterla in sesto xD - ma sono molto grata al contest che mi ha dato la carica per concluderla e postarla. Spero che possa piacervi e che il mio primo esperimento sul fandom Haikyuu non sia andato così male come temo. Se mi state leggendo vi ringrazio di essere arrivati fino in fondo a questa tirata di fanfic <3

Alla prossima!

 

WARNING: è possibile (ma non certo) che questa storia venga pubblicata dalla sottoscritta anche su WattpadWriter's wing e AO3.

 




Chiunque voglia lasciare un segno del suo passaggio è ben accetto! <3

 

 

aiko 舞妓 

 

 

 

 

 



 

 

   
 
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