Videogiochi > Castlevania
Ricorda la storia  |      
Autore: Denebula    19/11/2018    0 recensioni
"Perciò a loro, ai miei ricordi, dedico un'ultima preghiera..."
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Quando tornai al castello la candida e delicata luce della virginea luna illuminava con tocco leggero l'imponente edificio, le campagne circostanti ed il mio spirito tormentato; magari la speranza era ancora viva, le ombre ancora nascoste dietro i vetri delle alte finestre raffinatamente decorate si erano date alla fuga dopo aver notato la mia presenza. Della mia cara e sontuosa dimora dell'allegra infanzia non rimaneva altro che un freddo vuoto, tenuto in vita da un involucro di stabili e pesanti blocchi di pietra scura. Tale vuoto riecheggiava nel mio cuore, rodendone inesorabilmente e con straziante lentezza la sensibile fibra.
Spostai con una mano guantata le grandi grate arrugginite del cancello che fischiarono di dolore e lasciarono cadere a terra la polvere rossiccia; mossi i primi timidi passi in quel giardino dominato dalle erbacce selvatiche, una volta rigoglioso di fiori multicolori e tenuti con amorevole cura. Ricordai le tiepide notti estive nelle quali il tempo trascorreva piacevolmente nel grande giardino, contemplando le lontane stelle con mia madre, donna meravigliosa, e mio padre non ancora accecato dall'ira e dalla brama di potere persino più potente della sua naturale sete di sangue. La giovane umana, dolce come solo un angelo poteva essere, intrecciava per me innumerevoli coroncine di fiori da indossare con tenerezza mentre il mio genitore, Principe delle Tenebre, si godeva la frescura della sera e lo spettacolo di madre e figlio che giocavano insieme.
Spine grosse e minacciose come spuntoni di roccia ora si aggrovigliavano in una matassa caotica e senza forma; le malvagie piante inglobavano e soffocavano anche la più innocente germoglio.
Il vento non portava neanche più con sè il canto degli uccellini che un tempo visitavano i nostri rigogliosi esterni e persino la placida serenata dei grilli sembrava essere stata brutalmente divorata dal silenzio che ora strisciava ovunque e bramava famelico di poter abbracciare anche me e trattenermi eternamente nelle sue grinfie.
Il calpestio dell'erba e legnetti sotto i miei stivali riuscì a scacciare via quella demoniaca presenza senza volto dai miei pensieri e dall'ambiente circostante e riuscii finalmente ad avanzare senza più timori verso il possente e pesante portone che aprii con non poco sforzo visti anche gli infissi non oleati. Il fascio di luce lunare illuminò debolmente almeno i primi metri del sontuoso ingresso e pensai successivamente io stesso a riaccendere i numerosi candelabri decorati con mille ragnatele che ora emanarono una tenue e avvolgente luce calda e aranciata; la polvere accumulatosi per secoli aveva reso irriconoscibili i volti o gli ambienti che i quadri alle pareti racchiudevano in vecchie cornici dorare e per un attimo giurai di averli sentiti quasi soffoccare per via di quello spesso strato di sporcizia.
Il castello ospitava molti ambienti ma tenevo solo ad alcuni di essi, pochi, e principalmente mi attivavano per via dell'odore di alloro e dolci ricordi che emanavano gli antichi mobili in legno scuro, per questo senza neanche soffermarmi nel riflettere raggiunsi la biblioteca.
Questa era paragonata per le dimensioni ad un edificio completamente a parte, forse era e sarà stata sempre la più grande del paese. Spazi vuoti per libri negli scaffali non ce ne erano quasi più visto che la biblioteca forniva ogni genere di conoscenza: dalle enciclopedie ai romanzi d'avventura; dagli spartiti musicali a raccolte di vecchie leggende di tutto il globo, da grandi tomi dedicati alla lettura e comprensione del cielo a quelli sacri.
Vagando tra le mensole ed i tavolini per la lettura sfiorai con le dita le pagine di un piccolo libricino di fiabe e ninne nanne che spesso avevo visto nella mia infanzia tra le mani di mia madre quando non era chiusa nel laboratorio ed aveva il tempo di augurarmi la buonanotte con una bella storia.
I piedi mi condussero da soli verso le mie stanze e la mia camera che trovai particolarmente calda e pulita come ad invogliarmi a stendermi sul morbido letto e riposare tra le lenzuola fresche e profumate di sapone. Avrei davvero voluto, inutile nascondere tale istinto, ma dovetti dirle addio a quelle pareti che per la prima volta mi rivedevano dopo tanto tempo e che mai erano state così tremendamente accoglienti con me.
Il sospiro che subito si rese condensa quando uscì dalle mie labbra esprimette tutta la voglia che avevo di restare dentro la mia casa nella quale il tempo si era fermato ma questo, al contrario, scorreva veloce ed inesorabile e le mie orecchie percepirono il ticchettio inesistente di un cupo orologio, suono disturbante e che mi metteva alle strette: tempo, semplicemente, non ce n'era, non ero tornato nel castello ed avevo compiuto un lungo e stancante viaggio per pura malinconia, avevo il compito di svolgere al più presto il mio incarico del quale mi ero preso le responsabilità.
I bassi tacchi degli stivali affiancavano lo scandire dei secondi, la loro ritmicità ipnotica accompagnava il lento requiem dei miei affetti. Le sublimi note dell'organo a canne rieccheggiavano come nuvoloni di tempesta sull'alto soffitto della cappella di famiglia: un piccolo gioiello che da sempre aveva tratto a sè l'invidia di tutti i nobili del paese con le sue rare e pregiate vetrate. Le gocce di pioggia di qualche giorno fa avevano donato le lacrime a quegli angeli e quei santi che guardavano ora sofferenti e pieni di compassione la bara appena di fronte al semplice ma sontuoso altare marmoreo: l'ora era giunta ed io non mi sentivo nel giusto, il suo risveglio e la sua successiva ed inevitabile sconfitta non mi avrebbero fatto sentire importante ma, piuttosto, un criminale.
Erano soprattutto queste le responsabilità che non riuscivo ad accettare ma che con forse troppa superficialità prendevo sulle mie spalle e ciò mi faceva sanguinare il cuore: sarà un mostro, sarà pieno di odio ma è e sarà sempre mio padre, un padre che io ho visto più umano di qualunque altro uomo con questi miei occhi spenti.
Il momento è giunto, non si può tornare indietro: tutto ciò che sono stato, sono e sarò mi cadrà rovinosamente addosso per una giusta causa e ripartirò da zero ancora una volta. Non resta ormai più nulla di certo; sto per dire addio al mio vissuto perciò a loro, ai miei ricordi, dedico un'ultima preghiera: che possano restare allegri e immutati nella loro purezza e protetti in mani più meritevoli di preservarli come il tesoro più prezioso che lascio su questa terra.
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Castlevania / Vai alla pagina dell'autore: Denebula