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Autore: maybeitsadream    19/11/2018    0 recensioni
1944, Barcellona.
Ognuno ricorda, ognuno sa cos'ha sepolto sotto la cenere. Liam ha seppellito suo fratello, Zayn la sua personalità.
Importante: i familiari dei protagonisti, a eccezione della mamma di Liam, avranno nomi diversi da quelli reali.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Liam Payne, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando arrivai in Spagna, la guerra civile era cominciata da circa un anno ormai.

Il mio desiderio era, in realtà, partire come volontario immediatamente: il mio spirito antifascista scalciava per difendere la Repubblica; eppure fui costretto a desistere. Per far contenta mia madre, che aveva già perso un fratello e il marito in guerra, diciannove anni prima, e non aveva alcuna voglia di piangere anche sulla mia tomba. 

In quell'anno, nel tentativo di tenere occupata la mente per non pensare alla repellente sensazione che mi suscitava il generale Francisco Franco y Bahamonde, mi accostai alla poesia, apprendendo - molto in fretta, a dire il vero - di non essere adatto alla musicalità delle parole in rima. I miei componimenti apparivano ai miei occhi e alle mie orecchie come prose staccate in punti casuali: ero, per l'appunto, uomo di prosa. Tuttavia non scrissi un romanzo, perché inevitabilmente le pagine finivano per riempirsi di insulti nei confronti di un regime che opprimeva le ideologie di mezza Europa. E quello, per mia madre, sarebbe stato un oltraggio. Non era una donna cattiva: era solo ignorante, come la maggior parte della popolazione. 

Accettò di avere un figlio "anarchico" - vocabolo che aveva sentito alla radio - nel silenzio della rassegnazione, consapevole che non avrebbe potuto far nulla per cambiare le mie idee. Ero un antifascista, e non avrei mai, mai e poi mai, anteposto la fedeltà a un dittatore alla mia libertà.

Ogni mio tentativo di non pensare a ciò che stava succedendo in Spagna, comunque, sfumò nel momento in cui ascoltai alla radio la notizia del bombardamento sulla città basca di Guernica. Comunicai a mia madre la scelta che sarei partito da lì a breve, e lei non protestò, probabilmente giunta al punto estremo della sua rassegnazione: mi abbracciò soltanto, piangendo lacrime salate sulla mia spalla. 

Mi arruolai nelle Brigate Internazionali un mese e mezzo dopo, sbarcai a Barcellona il 27 Giugno del 1937.

Ciò che vidi non sarei in grado di raccontarlo. Conservo da allora ogni immagine nei luoghi più nascosti della mia anima: nessuno dovrebbe assistere alla distruzione.

Furono anni di silenzi assordanti, interrotti solo dal boato delle bombe che esplodevano fuori e dentro le città maggiori. Ricordo ancora i bombardamenti su Barcellona, le notti del 16, 17 e 18 Marzo del 1938. La gente lasciava le proprie abitazioni per ripararsi nelle gallerie del metrò, nel tentativo di evadere dalla furia dell'aviazione italiana. 

Insieme ai miei compagni salvai diversi bambini, ma ci sentimmo male quando, cessati i bombardamenti, raccogliemmo per strada piccoli cadaveri straziati. Constatai in quella circostanza che l'umanità aveva fallito.

Il conflitto terminò nell'Aprile dell'anno successivo, quando il Generalissimo proclamò la sua vittoria, lasciandomi sconfitto ma non sorpreso. Nonostante la mia fiducia nei valori della democrazia, sapevo fin dall'inizio che l'esito non sarebbe stato favorevole alla nostra parte: se da un lato Hitler e Mussolini non avevano esitato un solo istante a fornire aiuti, la Sinistra, dall'altro, non aveva ricevuto lo stesso trattamento da Francia e Inghilterra; le Brigate Internazionali, aiutate dalla popolazione civile e addirittura dai movimenti autonomisti della Catalogna e delle regioni basche, non bastarono a fronteggiare l'avanzata di Franco; la Sinistra era corrosa da conflitti intestini e non c'era niente, assolutamente niente, che lasciasse sperare, anche solo per un momento, di vincere contro la dittatura.

Il regime si instaurò immediatamente dopo, il caudillo salì al potere e alla Spagna intera non restò che arrendersi e accettare le vendette franchiste. 

Io rimasi lì, a Barcellona, a vivere evocando i sorrisi dei bambini che ero riuscito a salvare. Non volli tornare a Londra: avevo capito che lo scontro civile spagnolo altro non era stato che una prova generale di ciò che si sarebbe scatenato di lì a poco, e non nutrivo affatto l'intenzione di assistere ad altra distruzione. Avrei potuto andar via dall'Europa, certo, e magari rifugiarmi nel nuovo mondo, la terra delle grandi speranze, ma non volli.

Fui in carcere per qualche tempo, vissi in strada come un mendicante, odiai me stesso e i miei anni da prigioniero; trovai rifugio nella casa di un uomo facoltoso a cui avevo fatto pietà, imparai da lui a scrivere in spagnolo e in catalano e diventai il suo autista personale. Grazie a lui potei permettermi una stanza in una pensione non molto distante dalla sua abitazione, e, incoraggiato da quella tranquillità che mi consentiva di respirare, tornai a scrivere. 

Arrivai ai miei ventisei anni sentendomene addosso il doppio: gli ultimi anni non erano stati i più belli della mia ancora breve permanenza sulla terra, eppure sentivo di essere diventato un uomo. Ciononostante, non conobbi altra forma d'amore da quella che mi legava a mia madre. All'epoca ci scambiavamo delle lettere - lei se le faceva scrivere - e ricordo che mi pregò in più di un'occasione di far ritorno in Italia, per starle accanto durante il secondo conflitto mondiale. Mi opposi sempre, e ciò mi costò caro: non rividi mai più la donna che mi aveva messo al mondo.

Don Federico, l'uomo che mi aveva salvato dalla strada e che era a capo di una casa editrice, tentò diverse volte di presentarmi a giovani signorine di bell'aspetto; declinai sempre. Ero già arrivato alla piena consapevolezza di me stesso: sarei stato additato come un invertito per il resto della mia vita, ma me ne infischiavo. Don Federico lo capì al mio quinto rifiuto, senza farmene una colpa e senza farmi perdere il lavoro. Non gli interessavano le mie deviazioni, per lui ero solo Zayn.

Non provai mai più per nessuno il senso di ammirazione e gratitudine che mi aveva suscitato quel cinquantenne all'apparenza burbero e immensamente intelligente. Mi fece da padre, da maestro di vita, da migliore amico. Lo ricordo come uno degli uomini più importanti della mia intera esistenza.

Fu lui, nel 1944, quando avevo già compiuto ventisette anni, a farmi conoscere la tradizione di Sant Jordi. Il 23 Aprile di ogni anno, tutti i librai di Barcellona allestiscono le loro bancarelle lungo le ramblas, pronti ad assistere alle romanticherie della giornata: gli innamorati si scambiano libri e rose fra miliardi di parole che fluttuano libere.

Rimasi incantato di fronte a quello spettacolo. Non avevo mai visto niente del genere, e feci sfoggio della mia inesperienza offrendo in dono una rosa rossa a una ragazza che non avevo mai visto. Don Federico ridacchiò, spiegandomi che, dal momento che non avevo una fidanzata, non stavo rispettando la tradizione. Mi strinsi nelle spalle e mi apprestai a rispondere, ma una voce mi interruppe.

«Don Federico ha ragione: non ha rispettato la tradizione», disse.

Mi voltai a guardarlo, pronto a tirar fuori una risposta in mia difesa, ma rimasi in silenzio, abbagliato dalla bellezza del proprietario di quella voce. Aveva all'incirca la mia età e accarezzava con eleganza le copertine protette dalla sua presenza; i suoi occhi marroni mi scrutavano curiosi, come in cerca di qualche dettaglio importante, mentre i denti torturavano il labbro inferiore, grosso e leggermente arrossato. 

Ricordo di aver pensato che non avevo mai visto niente di più bello. Pensai di associarlo a un'opera d'arte, per rendere più concreta la sua bellezza, ma fu tutto inutile: neppure Bernini - perché, sì, prediligevo la scultura alla pittura - mi fu d'aiuto. Pensai al mio romanzo preferito e mi resi conto che, per la prima volta, qualcuno mi faceva tremare più di quelle pagine.
Forse, mi dissi, sto conoscendo un'altra forma d'amore.

«Buongiorno Liam. Hai qualche libro per me e il mio amico?»

«Venga, venga, cerchi tra tutti quelli esposti. E, quando ha un po' di tempo, passi dalla libreria: il signor Martínez vorrebbe chiederle qualcosa a proposito di un romanzo.»

«Passerò in settimana, ma ora lascia che cerchi qualcosa da leggere.»

Assistevo allo scambio di battute in religioso silenzio, ancora sconvolto dall'ondata di bellezza umana che mi aveva travolto. Non credevo possibile innamorarmi a prima vista di uno sconosciuto che si era rivolto a me in maniera piuttosto saccente. 

Mi schiarii la voce per ricordare a me stesso che sulla rambla, insieme a don Federico e al libraio, c'ero anch'io.

«Avvicinati, Zayn, consigliami qualcosa.»

Obbedii. Mi sentivo a disagio davanti a quegli occhi indagatori. Scelsi Grandi speranze di Dickens, non perché credessi che don Federico non l'avesse ancora letto, ma perché mi aveva particolarmente colpito la sua copertina: le decorazioni in oro mi ricordarono i capelli del giovane libraio. In quell'istante, mi sentii un cretino.

«Lei non compra niente?», domandò rivolgendosi a me. «Dovrebbe, per tentare di rimediare al fatto di non aver rispettato la tradizione.»

Mi spazientii. Era bello, sì, ma stava aggredendo la mia personalità, che era come sul punto di liberarsi di un po' di cenere che la teneva sottomano dagli anni della guerra. 

«Senta», cominciai. «Ho soltanto fatto un gesto gentile. È per caso un reato regalare una rosa a una ragazza?»

«No, ma a Sant Jordi si rispetta la tradizione: gli uomini regalano rose alle loro amate, e le donne regalano libri ai loro fidanzati.»

«Ma non mi pare di aver ucciso qualcuno.»

«Ma la tradi-»

«Voleva che la dessi a lei la rosa?», lo interruppi. Don Federico ridacchiò alle mie spalle, mentre il ragazzo, Liam, si ammutolì e arrossì nello stesso momento. Lo trovai ancora più bello.

Il silenzio ci avvolse per qualche secondo, e io ne approfittai per osservarlo meglio. Il suo viso era contratto in un'espressione di stupore.

Ebbi la certezza che fosse come me, probabilmente fu la sua reazione a darmela: non si sarebbe comportato in quel modo se non fosse stato omosessuale anche lui. 

Mi allontanai poco dopo, sforzandomi di ricordare se il mio cuore avesse tremato di eccitazione, anni prima, quando avevo deciso di arruolarmi nelle Brigate Internazionali.

Sì, fu la risposta. Ma non come tremò quella mattina.

   
 
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