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Autore: heartbreakerz    19/11/2018    0 recensioni
[ Nao/Natsuya | Idol!verse AU ]
Natsuya Kirishima, un attore emergente, odia i giornalisti e le interviste. Ma a volte bisogna scendere a compromessi.
Dal testo: “«Beh, Nao…» cominciò, assaggiando per la prima volta quel nome estraneo sulla lingua. «Ormai siamo qui. Posso offrirti qualcosa?»
«Qualche risposta alle mie domande, magari? Ma se chiedo troppo,» ed eccolo di nuovo, quel sorriso tentatore, «non rifiuterei un caffè freddo.»
Natsuya lasciò perdere la prima parte della frase. «Un caffè a quest’ora?» domandò invece, piegando la voce in una domanda per nascondere l’insorgere di una risata. «Non ce n’è certo bisogno. Ci penso io a intrattenerti per la serata.»
«Davvero? Sei così gentile!» esclamò Nao. E Natsuya era pronto. Ce l’aveva lì, la sua risposta: il commento giusto, quello con cui avrebbe invitato Nao fuori da quel locale, giù per qualche viale poco trafficato, con un’unica intenzione in mente. E, davvero, gli sarebbe bastato un attimo – un secondo per farsi appena più avanti, per abbassare la voce, per farsi sentire solo da lui. Ma Nao lo bloccò prima. Allungò la mano verso la birra di Natsuya, la afferrò e disse: «Quindi? Quando inizia la tua magia?».”
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kirishima Natsuya, Nao Serizawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Idol!verse AU'
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DISCLAIMER: I personaggi qui presenti non mi appartengono, mia è solo l’idea di fondo e la rappresentazione. Questa storia è stata scritta senza scopo di lucro.

Inoltre, la storia partecipa al contest “Sometimes, all we need is an alternative universe” indetto da Giandra sul forum di Writer’s Wing.

Questa fic è nata anche grazie alle mie chiacchiere con la mia ziella Chara che deve sbrigarsi a scrivermi una fic su Mikhail e Ryuuji.

Buona lettura!


Intervista, in via ipotetica

 

Natsuya si rigirò sullo sgabello, dando le spalle al barista. Si appoggiò con un gomito al bancone del bar e inclinò il capo all’indietro, sospirando, per lasciarsi colpire dall’aria fresca del condizionatore. In quella terrificante serata estiva, neanche il suo drink – una birra alla spina appena versata, con la schiuma ancora gonfia – riusciva a dargli un po’ di pace. Il caldo era asfissiante: se lo sentiva in gola, che gli bloccava il respiro, e la birra non aiutava a soffocare quell’orribile sensazione. La peggiorava, anzi. Natsuya sentiva le guance arrossate per il caldo, il sudore scivolargli lungo le tempie, e l’unica cosa a cui riusciva a pensare era lo scroscio ritmico di una bella doccia fredda. Doccia che non gli sarebbe stata concessa, a quanto pareva; non prima di aver concluso quella maledetta intervista.

La richiesta era arrivata improvvisa, quel pomeriggio, dopo la fine di una registrazione radiofonica. Natsuya, pronto per tornare a casa e rilassarsi nel silenzio della sua casa, era stato fermato di peso, costretto a rispondere a una chiamata, e infine convinto – con mezzi a suo dire fin troppo subdoli – ad accettare una dannata intervista per qualche magazine famoso. Sarebbe durata poco, gli avevano detto. Il Free!zine, dopotutto, non aveva tempo da perdere. Ma gli avrebbe donato visibilità, quindi anche un breve siparietto di qualche riga sarebbe andato bene.

Non che a Natsuya interessasse la visibilità, no – questo lo sapevano tutti. A Natsuya non interessava la fama, non gli interessavano i fan, non gli interessavano gli applausi. Natsuya voleva solo recitare. E guadagnare qualche soldo, forse, per concedersi una bella vacanza all’estero. Ma tutto lì, nient’altro. Non voleva una vita d’interviste, di servizi fotografici, di paparazzi – voleva solo recitare. Peccato che ciò non gli fosse concesso, proprio come quel pomeriggio non gli era stata concessa la sua doccia rilassante.

E ora eccolo lì, senza la sua doccia e senza il suo relax, ad aspettare un intervistatore che non voleva saperne di arrivare. Natsuya avrebbe potuto fare un commento sul suo mancato professionalismo – dopotutto, chi si sarebbe mai azzardato a far aspettare un attore emergente, anche se poco riconoscibile, in un luogo tanto pubblico come quel bar? – ma quel pensiero era troppo ipocrita persino per lui.

Sospirò. Poi si pulì la mano sudata sui pantaloni e ruotò il polso per dare un’occhiata all’orologio. Le sette e cinquantatré. Che orario pessimo. Il bar aveva aperto da poco ma all’interno il locale era ancora semi-vuoto. I clienti erano perlopiù giovani, notò Natsuya, tutti in coppie o piccoli gruppi, distratti da discorsi che spaziavano dalla scelta del menù al nuovo film uscito al cinema. Nulla d’interessante – nulla che lo riguardasse.

Così prese un altro sorso di birra, continuando a guardarsi attorno.

Alla sua destra c’era una coppia: un ragazzo e una ragazza, con le mani intrecciate davanti a loro, sul tavolo. Si guardavano come se volessero dirsi qualcosa ma le parole non fossero necessarie. Alla loro sinistra, ecco un trio di ragazzi agitati. Avevano i telefoni tra le mani e di tanto in tanto se li scambiavano con brevi gomitate e qualche «Guarda un po’ qua!» pronunciato con un tono così alto da disturbare i tavoli vicini. Gli altri clienti continuavano a lanciare loro occhiate intimidatorie; qualcuno rideva dei loro discorsi. L’unico che pareva indisturbato era il ragazzo che sedeva in solitudine vicino alla grande finestra. Aveva un gomito appoggiato sul tavolo, una mano piegata a sostenergli la guancia, e gli occhi, coperti da un paio d’occhiali alla moda, puntati verso l’esterno del locale. Sedeva così immobile che, non fosse stato per il lento movimento delle sue spalle, per i brevi battiti di ciglia, Natsuya l’avrebbe confuso per un manichino.

Incuriosito dalla sua immobilità – e non di certo dalla sua elegante bellezza –, Natsuya raccolse la sua birra e si avvicinò di qualche passo alle sue spalle. Lo sguardo del ragazzo era puntato verso la strada, lì dove era possibile intravedere chi entrava o usciva dal locale.

«Ehi» disse allora Natsuya, senza quasi pensarci. «Aspetti qualcuno?»

Il ragazzo sobbalzò appena. Una ciocca di capelli grigio cenere gli scivolò via da dietro l’orecchio mentre il ragazzo sollevava lo sguardo sul viso di Natsuya. Ci mise un attimo a soppesare la situazione, a decidere cosa dire o cosa fare, e solo poi, dopo un momento di silenzio, Natsuya lo vide aprirsi in un sorriso delicato. «Potremmo dire così, sì» rispose il ragazzo, asettico. Sembrava del tutto intenzionato a non far capire a cosa stesse pensando. «E tu?»

Natsuya si strinse nelle spalle. «Sì, ma nulla d’importante» disse, e senza essere invitato si accomodò di fronte allo sconosciuto. «Spero non ti dispiaccia aspettare un attimo con me.»

«Non che tu mi stia dando molta scelta» rispose l’altro. La sua voce fluiva lenta, delicata come il suo sorriso, e proprio come il suo sorriso non si lasciava dietro nessuna emozione. Era gentile, ma di quella gentilezza che si riserva per gli estranei, alle persone che si vogliono tenere a distanza. Era un tono del tutto stonato con la strana curiosità che si leggeva nei suoi occhi olivastri.

In silenzio, i due rimasero a fissarsi. Natsuya prese un lungo sorso di birra; l’altro inclinò il capo, lentamente. Alcune ciocche di capelli seguirono il movimento, mentre altre, arricciate dal sudore, restarono adagiate contro quella distesa nivea che era la sua pelle. Lo sguardo di Natsuya cadde proprio lì, sul suo collo: era lungo e snello, completamente limpido, tranne per un paio di nei e qualche goccia di sudore che continuava a scivolare verso il basso, giù per le sue clavicole, e poi sotto la camicia bianca.

Natsuya si schiarì la voce. «Allora,» cominciò per distrarsi, «posso chiederti come ti chiami?»

«Puoi chiamarmi Nao» rispose il ragazzo. «Posso chiamarti anch’io per nome, Kirishima-san?».

Natsuya lo squadrò per un lungo istante. «Natsuya andrà bene.»

«Sicuro?» chiese Nao, ricambiando lo sguardo. «Natsuya-san, non sembri convinto.»

Per un attimo, Natsuya avvertì una fitta d’allarme allo stomaco. Era la stessa sensazione che avvertiva durante un incontro di lavoro per qualche grossa agenzia, di quelle pronte a sbranarlo con la parlantina rapida di qualche avvocato. Era la tipica sensazione dell’essere caduto in una trappola così ben tessuta che si sarebbe svelata solo tardi, dopo la sua ormai avvenuta disfatta.

Disfatta che, annunciata dal sorriso enigmatico di Nao, pareva essere dietro l’angolo.

Natsuya cercò di tastare il terreno. «Non mi capita spesso di chiacchierare con un fan» disse, sorrise, e la trappola scattò.

«Non ho mai detto di essere un tuo fan.»

Merda.

«Ah» mormorò Natsuya. Lanciò un’occhiata al proprio orologio, alla ventiquattrore poggiata ai piedi di Nao, e tanto gli bastò per fare due più due. «Quindi sei tu il giornalista del Free!, huh?»

«Beccato» disse Nao, ridendo.

Per qualche motivo, Natsuya si sentì seccato. «Ti presenti sempre di nascosto ai tuoi ospiti?»

«E tu flirti sempre con il primo sconosciuto solitario?»

Touché.

«Accetterò di rispondere solo dietro consenso del mio manager.»

«Tu non hai un manager» lo corresse Nao.

«È vero.» Sospirò. Gli pareva di non aver più via di scampo. «Li odio, i manager.»

«Cosa ti hanno fatto?» chiese Nao, allungandosi all’avanti, poggiandosi con i gomiti sul tavolo. Nemmeno quel breve movimento tirò su il morale a Natsuya. No, si convinse, non si sarebbe lasciato distrarre dai bottoni aperti della sua camicia. Per quanto, dannazione, quello sì che sarebbe stato un discorso divertente.

«E cosa te lo dico a fare?» rispose, brusco. «Così hai qualcosa da spiattellare sul tuo giornale?»

«Ma non sto prendendo appunti» si difese l’altro.

«Magari stai registrando la conversazione.»

«In questa confusione?» chiese Nao, e sollevò un sopracciglio, prima di lanciarsi un’occhiata attorno. «Anche volendo non si sentirebbe nulla.»

«Beh, chissà che tecnologie usate, di questi tempi.»

Nao fece un verso molto simile all’esasperazione. «Non vorrai perquisirmi, spero.»

«No» rispose Natsuya di getto.

No?

Ci ripensò subito. «Cioè, ora mi hai dato una bell’idea. Posso?»

E, merda, Nao arrossì. Sembrava più che altro un rossore momentaneo, quel tipo d’imbarazzo che sorge quando ricevi una risposta che non ti aspetti ma che, tutto sommato, non ti dispiace. Eppure i suoi occhi rimasero fermi – e, se le luci abbassate non gli giocavano brutti scherzi, Natsuya fu quasi convinto di vederlo sorridere. E non di un sorriso semplice, no – era uno di quei sorrisi d’intesa, come se si stesse lasciando convincere. Come se stesse per accettare.

Da pazzi, pensò. E poi, perché Natsuya era un uomo capace di cogliere l’attimo, eccolo farsi avanti: «Beh, Nao…» cominciò, assaggiando per la prima volta quel nome estraneo sulla lingua. «Ormai siamo qui. Posso offrirti qualcosa?»

«Qualche risposta alle mie domande, magari? Ma se chiedo troppo,» ed eccolo di nuovo, quel sorriso tentatore, «non rifiuterei un caffè freddo.»

Natsuya lasciò perdere la prima parte della frase. «Un caffè a quest’ora?» domandò invece, piegando la voce in una domanda per nascondere l’insorgere di una risata. «Non ce n’è certo bisogno. Ci penso io a intrattenerti per la serata.»

«Davvero? Sei così gentile!» esclamò Nao. E Natsuya era pronto. Ce l’aveva lì, la sua risposta: il commento giusto, quello con cui avrebbe invitato Nao fuori da quel locale, giù per qualche viale poco trafficato, con un’unica intenzione in mente. E, davvero, gli sarebbe bastato un attimo – un secondo per farsi appena più avanti, per abbassare la voce, per farsi sentire solo da lui. Ma Nao lo bloccò prima. Allungò la mano verso la birra di Natsuya, la afferrò e disse: «Quindi? Quando inizia la tua magia?».

Per poco Natsuya non si strozzò con la sua saliva, ma Nao parve non farci caso. No, non ci fece proprio caso. E perché avrebbe dovuto? Era troppo impegnato a socchiudere gli occhi e a rovesciare il capo all’indietro, mentre le sue labbra si posavano sul bicchiere, lì dove poco prima c’erano state le labbra di Natsuya, per prendere un lungo, lento sorso di birra.

Peccato che non fosse un attore, pensò Natsuya. O un host. Con quei suoi gesti semplici ma calcolati, con i suoi commenti così spiccatamente taglienti, Nao ci avrebbe messo poco a crearsi un piccolo seguito di fan fidati – fan che avrebbero persino pagato per sentirsi parlare in quel modo, con quel tono, anche in privato. Natsuya ne era sicuro, perché anche lui sarebbe stato tra essi.

«Ouch» disse con qualche umiliante secondo di ritardo. Poi si portò una mano al petto con fare beffardo, come se quel commento non l’avesse infastidito. Come se il suo orgoglio non avesse appena ricevuto il colpo più duro della sua carriera. «I giornalisti di questi tempi sono così poco professionali…»

«Si potrebbe dire lo stesso degli attori intervistati» rispose Nao, per poi prendere un altro sorso da un bicchiere che non gli apparteneva.

Dannata lingua biforcuta. «Io sono sempre molto professionale.»

«Ed è per questo» – e Natsuya sapeva già che quella frase non gli sarebbe piaciuta – «che ci stai provando con un povero lavoratore che tenta solo di guadagnarsi il suo stipendio?»

Come non detto.

«Beh,» mormorò Natsuya, «a mia discolpa non mi stai rifiutando.»

«Non sto neanche accettando.»

«Okay. Ma, in via puramente teorica, potresti accettare.»

«È vero» disse Nao, dopo un attimo di silenzio. «Potrei.»

«E se tu—sempre in via ipotetica, s’intende—se tu accettassi,» cominciò Natsuya, «io potrei, ad esempio, rispondere alle tue domande.»

Nao lo fissò per qualche lungo istante. Poi, lentamente, come a dargli il tempo di riconsiderare con attenzione le sue parole, chiese: «È una minaccia?».

«È una proposta» lo corresse Natsuya.

«Io non ci guadagno molto, però» disse l’altro.

«Ci guadagni la mia intervista.»

«Che, in un modo o nell’altro, otterrò comunque.» Natsuya sentì il bisogno di urlare. E l’avrebbe fatto, se solo Nao non si fosse sporto all’avanti, poggiando il bicchiere vuoto sul tavolo, per poi spingerlo verso il centro, a metà tra se stesso e Natsuya. Per un attimo, le loro dita si sfiorarono. Poi Nao ritirò la mano, come se nulla fosse successo, e sollevando il mento disse: «Vorrei proporre un piccolo cambio».

Natsuya nascose la delusione dalla sua voce. «Sono tutt’orecchi.»

«Tu rispondi alle mie domande» mormorò Nao, «e io ti do un premio.»

Il cuore di Natsuya s’inceppò di colpo, e poi riprese a battere, più rapido, febbricitante. «Un premio di che tipo?»

«Questa è una sorpresa» lo freddò Nao. «Tu puoi solo decidere se accettare o meno.»

«No, no» disse Natsuya, scuotendo il capo. «Non accetto mai un contratto senza leggere tutte le clausole.»

Allora Nao si strinse nelle spalle. «Peccato» disse. Poi si abbassò per raccogliere la sua borsa, se la gettò in spalla e si alzò dal tavolo.

Rapido, Natsuya lo afferrò per il braccio. «Dove vai?» chiese, un accenno di panico nella voce.

«A casa. Non voglio sprecare oltre il tuo tempo» disse l’altro. Il suo tono si era svuotato d’interesse e divertimento ed era tornato indecifrabile come pochi minuti prima. «Farò in modo di spostare l’intervista al—»

«Okay» lo interruppe Natsuya. «Accetto.»

Nao corrucciò appena le sopracciglia. «Accetti?»

«Accetto la tua proposta.»

«Davvero?» chiese Nao, squadrandolo con attenzione dall’alto al basso. «Ti farai intervistare?» Parlava dubbioso, come se si aspettasse che Natsuya si tirasse di nuovo indietro e rifiutasse un’altra volta quella maledetta intervista.

E voleva farlo, Natsuya. Ma il suo odio per le interviste era appena stato soppiantato da una nuova sfida. Natsuya non aveva nemmeno più bisogno di un premio, di una ricompensa – no, ora aveva solo bisogno di spogliare la voce di Nao della sua apatia, di scavare sotto alla sua segretezza, di svelare il segreto del suo sorriso. Ancora meglio: della sua risata. Voleva—no, doveva vedere cosa si nascondesse sotto quella patina criptica; ne valeva della sua curiosità, ma ancor di più del suo orgoglio. E se per indagare su Nao Natsuya avesse dovuto accettare quella piccola, seppur fastidiosa, clausola – l’intervista – allora gliene avrebbe concesse altre due, tre, mille persino, e avrebbe sfruttato ogni singolo istante per rigirare la situazione a suo favore.

Così, con una nuova, ritrovata convinzione, Natsuya si alzò in piedi e fece un cenno col capo. Tanto sembrò bastare, perché Nao accennò a un sorriso e disse: «Seguimi, allora», prima di dirigersi fuori dal locale.

Natsuya lo seguì a qualche passo di distanza. Si lasciò guidare lontano dal locale, giù per una piccola piazza, lontano dai negozi sempre aperti, per arrivare in una zona più nascosta, buia e silenziosa. Per un attimo, quella sensazione di pericolo tornò a vibrare sotto la pelle di Natsuya, e nella sua mente cominciò a lampeggiare l’avviso trappola, trappola, sei caduto in una trappola.

Poi Nao lasciò cadere la borsa a terra, afferrò Natsuya per la maglia e se lo tirò addosso. Natsuya perse l’equilibrio, inciampò sui suoi passi e si ritrovò con la schiena al muro, il corpo di Nao schiacciato sul petto e le sue labbra sulle proprie. Senza dargli tempo di respirare, Nao si spinse più a fondo – e come si spinse più a fondo: s’insinuò con le dita tra i capelli di Natsuya, giù per la sua nuca e il suo collo, per poi aggrapparsi al lembo di pelle sensibile tra le sue scapole. Si lasciò dietro un graffio che sarebbe scomparso a breve e attirò Natsuya ancora più vicino, adagiandosi contro di lui con il petto, col bacino, infilandosi con una gamba tra le sue e impedendo a Natsuya qualsiasi via di scampo. E allora, solo allora, schiudendo le labbra in un sospiro, mormorò qualcosa pericolosamente simile a un «Finalmente».

Finalmente?

L’aveva fatto aspettare? Quanto a lungo? Per tutta la serata? La sola idea gli faceva ruggire il sangue delle vene. Voleva—no, doveva ricevere una risposta a quelle domande, ma Nao sembrava di tutt’altra idea. Lui vibrava d’energia. Sospirava debolmente contro il collo di Natsuya, lasciandosi dietro baci umidi sulla pelle sudata, e con le unghie creava sentieri rosei contro la sua schiena. Era evidente che si stesse trattenendo – per non lasciare segni, per non perdere la testa lì, in mezzo alla strada. Eppure il suo respiro era sempre meno controllato e il suo corpo sempre più bollente.

Quando Natsuya gli spinse indietro il capo, Nao schiuse le labbra in un invito, e Natsuya vi affogò dentro, bocca contro bocca. Così la rigidità di Nao si sciolse nel bacio. La sua indifferenza sparì, i suoi gesti divennero febbrili – si aggrappò alle spalle di Natsuya, le lasciò andare, gli tirò i capelli e gli graffiò la nuca. Natsuya si staccò per ansimare, ma non volle fermarsi. Cercò di toccare Nao ovunque – dietro al collo, giù per la sua schiena, tra le sue scapole, fino al suo sedere – ma Nao gli bloccò le mani, guadagnandosi un’occhiataccia.

«Natsuya-san» disse Nao, lentamente. La sua voce era un comando ansante e senza fiato. Un comando, pensò Natsuya, che se solo fosse stato ripetuto l’avrebbe fatto cadere in ginocchio, proprio lì, in quel vicolo buio. «Rispondi alle mie domande, per favore.»

Natsuya gli sfiorò il viso in una carezza. Con il pollice gli pulì l’angolo della bocca da un filo di saliva. «E poi?» chiese.

«E poi continueremo» lo rassicurò Nao. «A casa mia.»

«Sei così affamato?»

Lo sguardo di Nao urlava senti un po’ chi parla. «Hai iniziato tu» disse invece, riuscendo quasi a farlo sentire in colpa.

Parola chiave: quasi.

«Ma tu non hai rifiutato» esclamò Natsuya, e, vittorioso, non diede a Nao il tempo di rispondere. Invece ribaltò la loro posizione, afferrò le mani di Nao tra le proprie e lo spinse contro il muro, bloccandolo di peso con il proprio corpo. Lui incurvò la schiena, contrario, e si ribellò fino a liberare le proprie mani, per poi aggrapparsi ai polsi di Natsuya. Li guidò in basso, sui suoi fianchi, sopra la camicia stropicciata, e con un sospiro, contro la sua bocca, comandò a Natsuya di stringerlo più forte. Natsuya lo fece: affondò le dita nella sua vita e si stupì di sentire sotto i polpastrelli la curva marcata dei suoi addominali. Fu costretto a staccare le mani per strappare la camicia di Nao da sotto i suoi pantaloni, sollevarla, e poter finalmente dare un’occhiata al suo corpo.

Nel buio del vicolo, sotto la luce scarsa dei lampioni, Natsuya vedeva solo ombre scure proiettate contro la vaga forma dei suoi fianchi. Ma gli bastò una carezza perché Nao si sciogliesse in un lungo tremore.

«Wow» disse Natsuya, senza fiato.

Nao non sembrava altrettanto soddisfatto. «Allora le voci sul tuo conto sono vere.»

«Perché? Cosa dicono?»

«Che non arrivi mai al sodo, Natsuya-san.»

«Ouch.» Colpo basso. O almeno – lo sarebbe stato, se quella frase non fosse stata avvolta da un altro significato. Perché, ecco, Natsuya non era un attore così famoso; non abbastanza da sentir parlare di sé in giro, non abbastanza da crearsi piccoli gossip sul suo conto. Gli unici che sapevano certe cose su di lui – gli unici che parlavano di lui – erano i pochi e fidati fan che lo seguivano, assiduamente, tra un flop e l’altro, aspettando che arrivasse il suo primo successo. «Ma tu come fai a saperlo?» chiese allora, senza darsi il permesso di festeggiare, non prima di sentire la sua risposta. «Hai detto che non sei un mio fan.»

Nao avrebbe potuto dire molte cose. «È il mio lavoro», magari, o qualcosa di simile ad un «Sono cose che si sanno, Natsuya-san», pronunciato con un’alzata di spalle e un tono incurante. Invece, quasi in imbarazzo, Nao abbassò lo sguardo e disse: «Ho mentito».

Solo quello.

Ha mentito.

Natsuya sbatté le palpebre una, due volte, incredulo. «Davvero? Sei un fan?» domandò, piano, mentre il «finalmente» ansimato di poco prima tornava a trillargli nelle orecchie. «Da quanto?»

«Dobbiamo parlarne ora?»

Natsuya abbassò lo sguardo sui loro corpi incastrati e fu costretto a fare marcia indietro. «Più tardi?» chiese allora.

«Dopo l’intervista» confermò Nao.

«E un ultimo bacio?»

Questa volta, Nao scoppiò a ridere. Rovesciò la testa all’indietro e l’appoggiò sul muro alle sue spalle; gli occhiali, appannati per i baci, gli scivolarono sul ponte del naso. Scosso dalle risate, con i vestiti scomposti e i capelli spettinati, Nao sembrava pronto per essere preso proprio lì, contro al muro, in un vicolo buio, in una tarda serata estiva. E se avessero continuato così – tra battute, carezze e risate – il loro “ultimo bacio” sarebbe arrivato all’alba, dopo una notte insonne, senza nessuna risposta e nessuna intervista.

Ma in fin dei conti, pensò Natsuya, l’idea non sembrava tanto male.

   
 
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