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Autore: StormyPhoenix    20/11/2018    4 recensioni
Los Angeles, primi anni del nuovo secolo. Quasi per caso si incrociano le strade di una ragazza sola e in fuga dal suo passato spiacevole e di una delle band più famose del posto; un sentimento combattuto che diventa prepotente salderà il legame.
(Prima storia sui SOAD, so che è un po' cliché ma vabbè.)
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ciao a tutti!
Rieccomi ad aggiornare con un bel capitolo lungo, che dapprima era pure troppo breve e poi, complice un'ondata di ispirazione, si è allungato ben oltre le previsioni! Speravo di riuscire ad aggiornare quasi due settimane fa, precisamente l'8 novembre, per onorare la ricorrenza del terzo "compleanno" di questa storia, ma per varie ragioni non sono riuscita >.< parte di queste ragioni resterà valida per l'attesa del prossimo aggiornamento, dato che il prossimo mese sarà tempo di esami per me e il tempo da dedicare alla scrittura si ridurrà significativamente, purtroppo :(
Ringrazio tutti i recensori e i lettori per l'affetto e per la pazienza, spero siate contenti di aver dovuto attendere meno dell'altra volta (:'D) e che vi piaccia questo aggiornamento :3
Buona lettura! <3





 

Il cielo su Nürburg è inaspettatamente grigio, velato ma senza minaccia apparente di pioggia, e l’aria è fresca ma non troppo; tutta la zona antistante il palco del Rock am Ring è affollata di gente, chi in t-shirt e chi in felpa, ma tutti ugualmente elettrizzati nell’attesa, in sintonia con la premura e la trepidazione che dominano la turba che ingombra il backstage, composta parimenti da tecnici e artisti. Molti di questi ultimi sono tedeschi, perlopiù sconosciuti, e nonostante alcuni cenni di saluto preferiscono tenersi in disparte, parlottando nella loro lingua e risultando dunque indecifrabili. 
Entrati nella fase di preparazione mentale pre-concerto, i ragazzi sono sparpagliati qua e là e ognuno cerca di domare la propria ansia da prestazione a modo suo ed è per questo che Shavo talora saltella sul posto, mentre Serj riscalda la voce, John ripassa le sue parti e Daron fissa il vuoto, quasi immobile, fumando meccanicamente una stecca di erba, forse già la seconda della mattinata. La sua apparente trance è interrotta da Sako, che gli si avvicina e gli bisbiglia qualcosa all’orecchio: a quel punto il chitarrista risponde annuendo, poi salta in piedi e improvvisamente inizia a trasudare euforia da tutti i pori. 
«Ciao ragazzi!» dal nulla spunta Ozzy Osbourne, fasciato come al solito nei suoi abiti scuri e armato dei suoi immancabili occhiali scuri e rotondi. «Pare che a breve tocchi a voi, miei cari colleghi di festival, quindi sono passato ad augurarvi buona fortuna.» 
«Grazie mille, amico» ringrazia Serj a titolo collettivo, con un sorriso. «Ci si becca più tardi, nel caso.» 
«Certamente» risponde l’altro, sorridendo e guardando ognuna delle persone davanti a sé, me inclusa per qualche ragione, poi se ne va. 
«Cinque minuti e tocca a voi» avvisa il tecnico della batteria. 
«Bene» commento, rivolta più che altro a me stessa, osservando i ragazzi nei loro rituali pre-concerto collettivi, e quando si dirigono verso il palco batto un pugno di incoraggiamento con ognuno di loro, salvo poi ricevere da parte del chitarrista anche un bacio sulla fronte che per qualche istante mi trasforma le rotule in gelatina. 
Finalmente il concerto inizia e, a parte un piccolo “intoppo” con un cameraman che resta insistentemente davanti al chitarrista e si sposta solo dopo averlo infastidito alquanto durante l’esecuzione di “Drugs” come intermezzo, ingrana subito, entrando nel vivo già dopo pochi brani. Verso la fine del bridge di “Deer dance” vedo Daron salire su uno degli amplificatori, abbandonare la chitarra da parte e prendere lo slancio, per poi fare un tuffo sulla folla e continuare ad agitarsi come un tarantolato mentre il pubblico lo sorregge e, com’è ovvio che sia, ne approfitta per toccare con mano uno dei propri idoli; dapprima uno degli uomini della security si mette le mani in testa, incerto e agitato, poi con l’aiuto di altri suoi colleghi recupera il chitarrista scatenato dalle mani del pubblico e lo deposita sul palco, dove uno dei tecnici prontamente gli restituisce chitarra e plettro. Nel mentre John già ha iniziato la sua parte che apre il brano successivo, “DDevil”, e anche alla fine di questo Daron compie un’altra bravata, una corsa scomposta che finisce con la sua caduta sul palco, quasi a ridosso del suo strumento e a rischio di danno, seguita da esibizioni del proprio didietro nei momenti in cui il testo della canzone successiva ne contiene menzione.  
Con “Psycho” si giunge al cuore dell’intera esibizione, quello che tutti sanno essere l’apice della trasformazione in bestia da palco del chitarrista della band; la maglietta del suddetto musicista fa come al solito un volo parabolico in direzione del mio punto di sosta verso il retro e la reazione è sempre quella della prima volta, non posso farci nulla. Nel momento clou del brano in cui è lui il re, Daron sventola la sua chitarra in direzione del pubblico, regala sorrisi a caso, si avvicina a Serj che è in piedi a suonare una tastiera, sulle ginocchia, e prolungano insieme l’assolo finale; ad un cenno del cantante, si rialza per la piroetta finale e a malapena si ferma per un secondo prima di ripartire, super carico, con “Chop Suey!”, un’altra delle mie canzoni preferite. Un’altra chicca viene regalata sempre da lui prima degli ultimi ritornelli, con un improvviso sfogo verso il cielo a suon di occhiatacce, finte grida e dito medio e tutta una serie di movimenti scomposti e scoordinati, prima di sorprendere i fans del Rock am Ring così come quelli del Rock im Park con un inatteso arrangiamento di “La isla bonita” e poi incitarli all’inizio di “Bounce”. 
In qualche modo l’energia sul palco si abbassa un po’ di livello nella seconda parte della scaletta, probabilmente un attimo di stanchezza pienamente comprensibile, ma la ripresa comincia con “Science”, con un’improvvisazione vocale di Daron da brividi durante il bridge a sostituzione dell’originario cantante che ha collaborato alcune volte coi ragazzi per l’album, tale Artogiunto il momento di “Toxicity”, l’aria è elettrica e l’intesa tra band e audience è alle stelle. 
Dopo altri due brani e la solita chiusura con “Sugar” arriva dunque la fine di un concerto veramente fenomenale per i ragazzi; li vedo ringraziare il pubblico con un profondo inchino e qualche parola prima di avviarsi verso il backstage, visibilmente stanchi ma sorridenti. Sako e alcuni colleghi tecnici si avvicinano per prendere i loro auricolari e il resto dell’attrezzatura sulla loro persona, altri passano gli asciugamani e io mi aggrego a questi ultimi, porgendone uno al chitarrista sfatto e fradicio come uscito da un bagno. 
«Ugh» è l’unico suono che emette, affondando la testa nel telo e procedendo a strofinare energicamente per assorbire più umidità possibile. «Dunque?» riemerge alla luce con un sospiro, la faccia parzialmente nascosta dalla sua zazzera scomposta. 
«Fantastico» replico, con un sorriso da un orecchio all’altro, prima di avvicinarmi e spostargli una ciocca di capelli dietro un orecchio, e lui risponde con un piccolo e affettuoso bacio prima di riprendere ad asciugarsi. 
Appena i ragazzi si sono risistemati un po’ avviene una fuga generale verso l’area catering per acchiappare qualunque cosa commestibile vi si trovi. Serj e compagni ritrovano OzzyMaynard e Zakk, nella scaletta del giorno anche loro, poi si imbattono in altri colleghi che salutano cordialmente: Sako torna a farmi da cicerone musicale, sapendo che potrei conoscere le band ma non i loro membri, e mi indica Dave Williams, vocalist dei Drowning Pool, gruppo inserito nella scena nu metal e nella cerchia dell’Ozzfest Sonny Sandoval, cantante di un gruppo originario della California di nome P.O.D., diventato famoso negli ultimi anni. Annuisco per ogni menzione, collegando qualche brano ai rispettivi artisti, ma come l’altra volta preferisco rimanere in disparte a mangiare, con la compagnia del tecnico della batteria; di tanto in tanto Daron si guarda intorno alla mia ricerca, ogni volta che i nostri sguardi si incontrano gli sorrido e lui ricambia, talvolta schioccandomi un bacio a distanza. 
«Stanca, Gray?» chiede Sako, notando il mio sguardo spesso rivolto ad altro che lui non riesce a scorgere. 
«NahKaraian. Nemmeno un po’.» 

-Georgia- 
Davvero curioso come talvolta, nel giro di pochi minuti, si manifesti tutta l’instabilità delle emozioni e delle sensazioni. Fino a pochi minuti fa ero super eccitata al pensiero di prendere un drink in uno dei locali più famosi della città degli angeli, il Whisky a Go Go, soprattutto per la possibilità di incontro con qualche vip... ma poco dopo aver varcato la soglia insieme a Dan, un misterioso e cupo presentimento si è fatto strada in me e ha iniziato ad inquinare il mio stato d’animo positivo. Nonostante questo mantengo un sorriso sulle labbra, intenzionata a godermi il più possibile quella serata; per puro caso trovo un tavolo libero e lo occupo, in attesa che il mio amico torni dopo aver ordinato per entrambi. 
«Allora, com’è andato il trasloco?» chiede, sedutosi, allungandomi il mio mojito e prendendosi il suo gin tonic. 
«Direi bene, ovvio stress a parte» commento, prendendo subito un primo, lungo sorso. «Però sono contenta di abitare più vicina a Los Angeles, sono stufa di stare in un posto lontano che non mi piace più, almeno ora posso vedere te e Nikki più spesso.» 
«Lei sa già che ti sei trasferita?» fa lui, curioso. 
«Non ancora, voglio farle questa sorpresa quando torna dal tour con i ragazzi, tra meno di un mese» rispondo, allegra «un po’ come fosse un regalo di compleanno, sebbene in ritardo.» 
«Capisco... mi sembra una buonissima idea, dai, sicuramente ne sarà felice.» 
Mi guardo intorno con grande curiosità, sorseggiando il mio cocktail con estrema calma e compostezza: il locale è abbastanza pieno, non a livelli caotici per fortuna, e quando scorgo un paio di visi celebri qua e là un fremito di infantile eccitazione mi corre lungo la schiena. Vuotato il mio bicchiere, mi appoggio allo schienale della sedia con un sospiro, godendo degli strascichi al gusto di menta rimasti sulla lingua, Dan mi fissa e ricambia il sorriso che gli rivolgo. 
Il brutto presentimento è ancora lì in un angolo della mente, accucciato come un gatto... ed è in quel momento che questo, con un balzo, si risveglia. 
Dalla porta del bar è entrato un gruppetto di persone, ma la mia attenzione si sceglie un soggetto: una ragazza, suppergiù mia coetanea, fasciata in una maglia a rete trasparente sotto la quale ha indossato un reggiseno nero e in una minigonna strizzata addosso, con aggiunta di calze a rete, Converse e trucco piuttosto carico che spunta sul viso pallido contornato da capelli scuri. Ad accompagnarla c’è un ragazzo biondiccio, forse più grande di lei di qualche anno, in jeans classici, maglietta nera e sneakers... il suo viso, caratterizzato dalle guance rotonde per il diffuso sovrappeso e da un paio di occhi quasi porcini, è inspiegabilmente familiare. 
Il mio cervello si attiva immediatamente e procede a velocità inaudita a sfogliare ricordi su ricordi, probabilmente esasperato nella sua attività dall’alcol, e si ferma solo quando nella mia mente ricompare la visuale di una vecchia foto di Polaroid, allegata a una lettera che Nikki mi spedì diversi anni fa, in cui lei era ritratta con quello stesso ragazzo, intento a cingerle le spalle con un braccio sorridendo appena. 
Mi si gela il sangue, non prima di essere affluito copiosamente al viso per imporporarlo. 
Jake RowleyIl ragazzo che, con il pretesto dell’amore, ha usato e maltrattato Nikki per diverso tempo, prima di darle il colpo di grazia consumando ai suoi danni una violenza sessuale per la quale è rimasto impunito... so tutto, Nikki me lo ha raccontato in passato, e la rabbia impotente che ho provato allora occasionalmente torna a farsi sentire. 
E, a giudicare dagli atteggiamenti, la ragazza al suo fianco dev’essere la nuova fidanzata di questo individuo... oh beh, adesso se l’è trovata proprio come piace a lui, certamente ne sarà felice. 
Ma, a parte tutto questo, mi inquieta il fatto che lui si trovi qui. Cosa ci fa a Los Angeles? 
Un altro flash mentale, ricordo di uno stralcio una e-mail mandatami da Nikki agli inizi di maggio, in cui mi raccontava di aver trovato un biglietto nella cassetta della posta dei ragazzi, indirizzato a lei, firmato solo con “J.”, contenente un messaggio minaccioso. “Non so se sia uno scherzo o cosa, ma ho paura” diceva la mia amica, concludendo questa parte del racconto. Poteva riferirsi soltanto a lui, nelle nostre conversazioni lo abbiamo sempre citato con l’iniziale del suo nome, e non conosco nessun altro con la stessa iniziale che possa avercela tanto con lei. 
Temo si sia messo sulle tracce della sua ex, per qualche ragione che mi sfugge e che voglio scoprire al più presto. 
«Georgia, tutto okay?» domanda Dan, con un filo di preoccupazione, mentre mi affretto a distogliere lo sguardo da quella coppia. 
«Sì, tutto okay... perdonami, ho intravisto una persona che non mi piace.» 
«Se vuoi possiamo andare via...» 
«Ma no, tranquillo! Figurati se per un pirla qualsiasi mi lascio rovinare una bella serata in un famoso bar di Los Angeles.» 
Nel corso della serata ci raggiunge un altro paio di amiche, per cui la situazione si movimenta, sebbene temporaneamente; nel bel mezzo di una conversazione, però, scoppia un improvviso clamore nella zona dell’ingresso che attrae la nostra attenzione in una certa misura, per cui mi alzo e vado a controllare personalmente cosa diamine sta accadendo. La scena che mi si para davanti è un poco surreale: Jake, visibilmente alticcio, sta blaterando – o forse, più correttamente, starnazzando – una serie di invettive del tutto casuali contro un uomo sulla trentina, alto, robusto, dalla pelle ambrata, con capelli non molto corti e una barba abbastanza lunga e dalla foggia certo strana parimenti scuri, forse di origine mediorientale, accompagnato da due amici che condividono con lui alcune di queste caratteristiche, che lo guardano alquanto infastiditi. Vicino a lui, la ragazza ride in maniera fastidiosa, torcendosi una ciocca di capelli; tutti stanno a guardare, qualcuno ride per l’assurdità della scena, ma nessuno interviene per ora. Un moto di rabbia mi investe ed è ciò che mi spinge ad avvicinarmi, mentre penso al da farsi. 
«Amico, ma qual è il tuo problema?» domanda uno sconosciuto lì vicino, con una birra in mano. 
«Mi fanno ridere questi stranieri che vengono nel nostro paese e non hanno nemmeno voglia di imparare a non sembrare dei terroristi» proferisce Jake, con una presunta serietà nel suo discorso... sta delirando. 
«Per me ti stai facendo solo seghe mentali» ribatte il tipo di prima, scrollando le spalle. «Anche gli ebrei e gli Amish portano barbe lunghe o con aspetto non usuale, ma non mi pare che siano tutti terroristi. Generalizzare è da idioti.» 
«Concordo» trovo alla fine il coraggio di dire, avvicinandomi per fare fronte comune con chi si sta ponendo in difesa di quegli uomini. 
«Beh, prestare ascolto alle parole di un beone e di una scema a caso invece è molto sensato» continua Jake, sprezzante, poi sputa per terra. 
A quel punto, uno del trio sotto attacco scatta in avanti come per acchiappare il bullo della situazione ed è solo in quel momento che finalmente si interviene anche fisicamente, facendo in modo da separarli per non far degenerare la situazione, cosa che riesce a malapena perché quel deficiente subito pare dar di matto, urlando e quasi scalciando; alcuni buttafuori ci raggiungono e, preso il ragazzo dalle braccia, lo allontanano di malo modo, intimandogli di sparire. In tutto questo, la sua fidanzatina ha smesso di ghignare e ora si tiene vicina a lui, improvvisamente premurosa e tenera, e si allontana con il fidanzato sottobraccio, guardandoci tutti in cagnesco.
«Tutto bene?» mi accosto alle persone prese di mira fino a poco fa, preoccupata. 
«Sì, grazie» risponde quello che ho notato per primo. «Ti ringrazio per aver preso parte alla mia difesa, anche se è stato rischioso per te, non avresti dovuto.» 
«E invece dovevo, non mi riesce di stare a guardare mentre qualcuno subisce un’ingiustizia bella e buona.» 
«Ah, ti vedo giovane e piena di ideali, ragazza» sorride infine l’uomo, prima di porgere la sua mano. «Mi chiamo Sevag, grazie ancora per quello che hai fatto.» 
«Piacere di conoscerti, Sevag, io sono Georgia» replico, stringendogli la mano con energia. «Suppongo che quel deficiente ti avesse preso di mira perché sei di origini straniere, è così?» 
«Esatto. Sono di origini armene, vivo qui negli Stati Uniti ormai da anni.» 
«Oh!» esclamo, meravigliata, poi una pazza ipotesi spunta nella mia testolina. «Allora posso azzardare l’ipotesi per cui conosci i System Of A Down, visto che condividono le tue origini?!» 
«Ci hai azzeccato in pieno!» commenta lui, facendomi un occhiolino, poi abbassa il tono della voce. «Si dà il caso che li conosca personalmente... di solito non lo dico quasi a nessuno, non mi va di sbandierarlo, ma sono il fratello del cantante.» 
La conferma della mia tesi mi spiazza, per cui avvampo e mi si mozza il respiro. Mio Dio, ma com’è piccolo il mondo! «Allora sono doppiamente onorata di fare la tua conoscenza!» 
«Suvvia» si schermisce Sevag «sono un ragazzo qualunque. Posso chiederti, invece, se conoscessi quel ragazzo? Qualcosa nella tua voce, prima, me lo suggeriva.» 
«Purtroppo sì» sbuffo, alzando gli occhi al cielo. «Si tratta dell’ex della mia migliore amica... inutile che perda tempo ad esprimere cosa penso di lui, penso si sia già capito 
«Meglio perderlo che trovarlo, un fenomeno del genere» aggiunge lui, storcendo la bocca. «Spero che la tua amica stia bene ora.» 
«Oh, sta benone... per un puro caso, la mia amica è nello staff tecnico della band di tuo fratello.» 
«Aspetta...» fa Sevag, lisciandosi la barba con fare pensieroso. «Serj mi ha parlato un poco di lei! A giudicare da quel che ho sentito, è una persona niente male.» 
«Sono contenta di sentire questo» sorrido, contenta, poi però torno subito seria. «A questo punto... posso chiederti una cosa?» 
«Certamente, vorrei sdebitarmi per il tuo supporto.» 
«So che potrà sembrare folle, strano, che magari non ti interesserà, ma penso di avere bisogno del tuo aiuto. Ora non ho abbastanza tempo né privacy per raccontarti tutto per filo e per segno, ma è una cosa che riguarda, in parte, anche la band di tuo fratello.» 
«Se è così, allora sappi che ci sto. Ti lascio il mio numero di telefono» dice, gli porgo il cellulare e lui digita il suo numero rapidamente sulla tastiera «così possiamo discuterne prossimamente 
«Va bene, grazie mille Sevag» lo saluto, allontanandomi per raggiungere di nuovo Dan e le altre, ancora un poco sconvolta dai recenti fatti.

  
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