Crossover
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Autore: Registe    20/11/2018    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 23 - Zexion (III)





Larxen e Marluxia





“Cielo, Marly, non ne posso più! Mi sto annoiando!”
“Calmati, Larxen. Le grandi vittorie non si ottengono in una sola giornata” fu la risposta. Secca, concisa, ma con quel tono accondiscendente che mise subito la ragazza in miglior disposizione d’animo. “Finché il n. IV non metterà a punto un sonnifero in grado di addormentare il licantropo dobbiamo solo avere pazienza”.
Lo stomaco di Zexion si strinse come in una morsa, ma serrò le labbra e rimase al suo posto.
L’odore del n. XI era qualcosa di orribile.
Il profumo di rosa, persino quello non gli era mai piaciuto; sin dal momento in cui il principe si era unito all’Organizzazione aveva trovato quell’aroma dolciastro fastidioso, come un manto di fiori pronto a coprire un terreno sporco. Quando lo aveva fronteggiato, subito dopo il massacro dei suoi antichi avversari, aveva sentito le rose sbocciare in maniera ordinata e forte, le radici intrise di vendetta.
In quel momento, invece …
“Ma che noia, il sonnifero! Già il piano del veleno era triste di suo, ma addormentarli senza nemmeno tagliare loro la gola … Marly, non era nei piani! E non è divertente. Mi avevi promesso almeno una carneficina!”
Lo avvertì di nuovo.
Strisciante, curioso.
Il Castello era lì, vivo come non lo era mai stato. E sembrava avvolgersi intorno alla mente del n. XI come un roseto selvatico. Si strinse ancora più nell’ombra del suo rifugio, trattenendosi dal rimettere tutto. Rimase immobile, premuto contro l’angolo della parete adiacente alla cella, un punto invisibile dietro la statua benedicente di chissà quale avo del Superiore. Un solo movimento, un piccolo scintillio dei pendenti della tunica e l’occhio della n. XII lo avrebbe scoperto, ma non aveva altre possibilità.
Doveva sapere.
Aveva promesso, ma nella sua testa il mosaico stentava a prendere una forma.
Larxen si alzò in piedi, di fronte alle sbarre, e si stiracchiò. Parlava ad alta voce, sicura che nessuno sarebbe passato lì sotto nemmeno per errore “E poi non ti riconosco più, Marly! Che quel vecchio cagasotto di Vexen abbia scelto il sonnifero … potrei anche accettarlo, tanto a quello le palle si sono ammuffite centinaia di anni fa. E che Axel lo abbia appoggiato … figurati, quel roscio fa tanto il duro ma è solo un povero vigliacco che se la fa sotto appena il n. VII abbaia. Ma tu?”
Con un movimento di anche si avvicinò alla cella, incrociando le braccia a mostrare disappunto “Perché hai accettato la proposta di quel vecchio senza nemmeno protestare? Che c’è, qualche giorno in cella e ti sei già rammollito?”
“Come sempre dovresti guardare un po’ più in profondità, mia cara. E soprattutto alle migliaia di possibilità che ci si apriranno davanti” rispose. “Per questa parte del piano Vexen è indispensabile. Che si tratti di un veleno o di un sonnifero, la realizzazione passa per le sue mani. Sai meglio di me che affrontare il resto dell’Organizzazione in uno scontro diretto sia una follia, quindi per ora dovremo rispettare qualsiasi condizione posta dal n. IV”.
L’odore di Larxen … era particolare, e pericoloso. Gli ricordava le albicocche, quei frutti che ogni tanto Demyx portava dalla Terra I. Era un odore mutevole, incostante, diverso da quelli a cui era sempre stato abituato. Era come un muro bianco chiazzato di emozioni, dove una sopravanzava l’altra con incredibile facilità.
Il Castello le danzava intorno, ma non sembrava sedotto dalla sua mente.
Nonostante fosse nell’ombra non ebbe bisogno di sporgersi per immaginare il sorriso della ragazza quando rispose al n. XI “ …per ora …"  
“Infatti. Per ora”.
Da dietro il suo nascondiglio, Zexion si stupì non aver emesso nemmeno un suono.
Tutto il Castello si mosse, vorticando intorno alle parole del principe. Gli sembrava impossibile che nessuno, lì dentro, fosse in grado di percepire un movimento simile, una traccia della magia, un qualcosa che permettesse di percepire il luogo stesso in cui vivevano da anni muoversi, svegliarsi, bloccato dai Sigilli ma avido di qualcosa che albergava nel cuore del n. XI e sporcava quello di tutti coloro che lo circondavano. Era un vortice di un odore forte, violento, che si insinuò nel suo corpo facendogli stridere la spina dorsale. Si resse alla statua per non cadere.
Era un flusso, e lui vi era dentro.
Era un flusso che nessuno poteva vedere, e rimanevano immobili mentre la marea li travolgeva.
“L’idea di addormentarli potrebbe avere i suoi vantaggi, mia cara. Senza dubbio li priveremo dei poteri, giusto?” mormorò “Non trovi che sarebbe più divertente aspettare qualche giorno e poi … finire il lavoro con tutta calma? Il nostro benamato n. IV si chiuderà nel suo laboratorio e non si accorgerà di nulla”.
Se avesse potuto, Zexion avrebbe pianto.
Quando suo zio era rientrato nel laboratorio, dicendo che Marluxia aveva accettato la proposta, aveva percepito che qualcosa non stesse andando nel verso giusto; non un odore particolare, ma anche a diversi piani di distanza il profumo dolciastro del n. XI seguiva un flusso difficile da leggere.
Era sceso lì sotto per avere conferme, e conferme erano arrivate. L’intero Castello gli parve permeare il seminterrato, quasi in ascolto delle parole del prigioniero.
E, se ne accorse dopo qualche istante, era d’accordo con il piano del n. XI.
Incapace di percepire ancora quella presenza un istante di più, scosse la mano ed aprì un portale di teletrasporto.
Vi era una sola cosa da fare.
 
 


La pendola alla sua destra batteva il tempo in maniera leggermente irregolare. Il suo proprietario l’aveva sempre trovata affascinante proprio per questa sua piccola imperfezione, ed ogni volta che Zexion era entrato in quello studio aveva trovato quel suono scoordinato piuttosto irritante.
Gli oggetti non avevano emozioni, ed i loro odori erano sempre gli stessi; la cassa della pendola, ad esempio, era di un mogano scuro dal profumo labile, quasi evanescente. Tra le tante tracce che impregnavano quella stanza non spiccava certo per intensità ma, unito al battito irregolare, sembrava uno spettatore in attesa di proferire qualcosa, un suggeritore improvvisato a cui il ragazzo si ritrovò più volte a gettare lo sguardo.
Fosse stato anche l’unico modo per non incrociare le iridi con l’uomo che aveva di fronte.
“Quello che mi stai dicendo è grave, ragazzo mio”.
“Altrimenti non sarei qui”.
A più di tre piani di distanza il profumo di suo zio era in movimento, attivo ma tranquillo. L’odore della promessa che si erano scambiati gli era rimasta appiccicata persino nei vestiti, come a ricordargli per la millesima volta cosa stava mettendo in gioco.
Cosa poteva realmente perdere.
“Mi avevi avvisato che il Castello stesse reagendo alle sensazioni del n. XI, ma non credevo che l’odio di mio figlio potesse spingersi fino a questo punto. Posso comprendere il disagio per questa situazione, ma addirittura …”
Zexion fissò la pendola, sperando che la sua flebile presenza potesse anche solo attenuare il dolore in arrivo.
Inutilmente.
La sofferenza del Superiore fu subito sua, e lo prese al centro del petto come se volesse afferrargli la trachea e stringerla fino a farlo soffocare. Un secondo odore, forte come un colpo tra le vertebre, lo attraversò insieme a tutta la rabbia del n. II. Xigbar, in piedi davanti alla porta, esplose in una bestemmia e fu sul punto di dire qualcosa, ma un gesto del loro capo fermò il suo slancio oratorio.
“Zexion, hai corso un grave rischio. Quei due traditori conoscono alla perfezione il tuo dono, se hanno osato tramare una cosa del genere pur sapendo di ciò che sei capace …”
“Lo sanno benissimo, Superiore. Ma non è me che tengono con le mani legate”.
Silenzio.
Immediato, freddo. Persino i rintocchi della pendola attesero qualche istante.
Avrebbe avuto solo una possibilità.
“Le ho parlato di un veleno, n. I. O un sonnifero, questo ancora non lo hanno deciso. Non pensano di certo di sconfiggere tutti noi in uno scontro diretto -disse, sentendo la presenza degli altri due danzargli intorno come falene vicino ad una candela- Senza i suoi poteri il n. XI non è in grado di creare nulla del genere. Dove immagina che cercheranno di procurarselo?”
“Larxen potrebbe andare a prenderlo in un qualsiasi altro mondo?” suggerì Xigbar.
“No, figlio mio. Troppo complesso. La nostra n. XII potrebbe prendere qualcosa di sbagliato, non è il tipo di missione per lei…”
Zexion deglutì.
Doveva arrivare al proprio obiettivo, e non poteva sbagliare nemmeno un passo.
Non quando si parlava del Superiore. “O almeno … non quando vi è qualcuno a portata di mano in grado di farlo per loro. Con la massima precisione”.
Sarebbe stato sciocco negare al resto dell’Organizzazione l’adesione di suo zio al complotto. Vi aveva pensato almeno mille volte prima di bussare ai quartieri privati del Superiore, alla ricerca di una via d’uscita che gli permettesse di tirare fuori di lì l’uomo che amava più di qualsiasi altra cosa al mondo. La persona a cui aveva promesso un silenzio inammissibile.
Xemnas avrebbe impiegato una manciata di minuti a comprendere che Marluxia e Larxen non avevano le possibilità di realizzare un simile piano da soli. E, anche se fosse stato un perfetto idiota, quei due maledetti avrebbero senza dubbio fatto il nome di suo zio al minimo segnale di pericolo.
Poteva fare solo una mossa.
“Superiore, lei sa benissimo che mio zio non farebbe mai una cosa simile. Insomma, non è un mistero che non sopporti Marluxia, specie dopo quello che ha commesso, e con Larxen … chiunque potrebbe confermare che i loro rapporti non sono mai stati molto idillici. Non ha mai ucciso nessuno, nemmeno prima di entrare nell’Organizzazione. Non collaborerebbe con loro di sua spontanea volontà, a meno che …”
Si fermò, alla ricerca del proprio coraggio.
Alla ricerca di un modo di rendere silenzioso il cuore che gli stava martellando nel petto, premendo fino alla base della gola.
“… a meno che non debba proteggere l’unica persona che gli stia a cuore” mormorò, stavolta quasi in un sussurro. Per la prima volta nella sua vita fu grato di non poter percepire il proprio odore. E quello della menzogna che gli stava serpeggiando tra i denti “Larxen, su ordine di Marluxia, ha minacciato mio zio. Credevano che non fossi lì, ma ho ascoltato tutta la loro conversazione. Gli ha detto che la sua collaborazione al complotto sarà l’unico modo possibile per evitarmi incidenti durante le missioni. O nel Castello. O in qualsiasi altra situazione”.
Persino il familiare odore di legno vecchio della pendola sembrava sparito da quella stanza.
Zexion riprese a parlare, sempre più spaventato dal silenzio dello studio e dal rumore infernale del proprio cuore fin dentro lo stomaco. “Posso solo dirle, Superiore, che in effetti la presenza della n. XII è diventata più pungente e viva intorno alla mia persona. So che potrei aprire un portale e rischiare di trovarmela all’uscita, ma ho ritenuto opportuno correre il rischio e venire qui. Sospetto che mio zio stia cercando di prendere tempo, ma lei lo conosce meglio di me, n. I … e sa bene che farà qualsiasi cosa per evitarmi anche solo un pericolo”.
Le lacrime scesero senza volerlo.
Non erano parte della bugia, né di qualsivoglia piano per convincere il Superiore. Forse stavano semplicemente aspettando il momento di uscire.
“Non voglio che diventi un assassino. Per nessuno motivo al mondo”.
Suo zio gli aveva chiesto diverse volte che odore avessero le bugie. La cosa lo aveva sempre affascinato, almeno a modo suo, e la questione dei profumi lo rendeva sempre pieno di curiosità. Era stato con un po’ di mestizia che Zexion gli aveva risposto che no, il punto non era che le menzogne avessero un aroma particolare: era l’odore di chi le pronunciava che si modificava, perché tutta l’adrenalina in corpo si soffermava sul modificare la voce, lo sguardo, il modo di intrecciare le mani. I migliori bugiardi erano stranamente quelli più facili da riconoscere, perché le strategie che mettevano in atto per convincere la loro platea erano tentativi fin troppo evidenti alla sua percezione.
Era sempre stato affascinato da quante poche volte il n. IV avesse avuto bisogno di ricorrere a bugie o frasi di circostanza dentro l’Organizzazione; sapeva che la sincerità era un lusso che solo alcune persone potevano permettersi, e suo zio poteva esprimere disapprovazione e giudizi senza mai celare nulla di sé.
Zexion avrebbe voluto essere come lui.
Ed il non poter percepire se stesso lo fece sentire ancora più distante e sporco.
Il Superiore … era il ritratto del dolore.
“Non fartene una colpa, figlio mio. Le decisioni dei padri non dovrebbero ricadere sui figli” sospirò “So quanto le mie decisioni siano dure e difficili da accettare. Scomode, per la maggior parte di voi. Ma quello che vi è fuori dalle porte del Castello non è un mondo di cui potremmo mai pensare di fare parte. I demoni … gli uomini … tutto il potere di questo luogo, ivi compresi i suoi segreti, sono stati sigillati per una giusta causa. Non posso permettere che nessuno, specie i miei figli, vi metta impunemente le mani mettendo a rischio la vita di tutti. E non parlo della mia …”
“Mio zio è innocente, glielo ho detto! Ha solo paura per la mia vita!”
“Il n. IV ti adora, Zexion. E sì, darebbe la sua vita per la tua senza pensarci un istante. Per questo, almeno per questo, non potrei lodarlo di più …”
Ogni arto del ragazzo iniziò a dolere. Dove il flusso di pensieri del Castello sembrava ormai concentrato solo nei livelli inferiori, le sensazioni di Xemnas e Xigbar avevano ormai riempito l’aria, rendendogli difficile persino respirare. Odio? Dolore?
Non riusciva più a definirli. Non c’era un confine. Era entrato in quella stanza preparandosi ad affrontare tutto ciò che ne sarebbe successo, ma non era semplice. Non poteva descriverlo. Si concentrò sul suo unico obiettivo, la salvezza di suo zio, e strinse le mani sui braccioli della sedia fino ad essere sicuro che il morbido rivestimento gli fosse entrato anche sotto le unghie.
Quando si riprese, il Superiore era proprio davanti a lui, e non accennava a voler nascondere le lacrime.
“Zexion, ti ringrazio di essere venuto da me. So quanto ti stia costando tutto ciò. E sappi che sono orgoglioso di Vexen, perché nonostante i suoi dubbi ti ha cresciuto come io non avrei mai saputo fare. E adesso … adesso lo rivedo in te più che mai. Rivedo la sua determinazione, il suo modo di affezionarsi agli altri, la sua incredibile testa dura …”
Gli mise una mano sulla spalla.
Sicura, gentile, come faceva sempre con tutti loro quando si sentivano smarriti. Come lo aveva sempre fatto con Demyx quando esplodeva in lacrime perché aveva di nuovo bruciato la cena, o quando aveva supportato Saïx, quella sera di due anni prima.
Quel gesto paterno un po’ forzato, ma che –a discapito di quanto borbottasse suo zio- gli aveva sempre conferito una strana forma di sicurezza, quell’atteggiamento fermo a cui tutti loro sapevano di potersi aggrappare in caso di bisogno.
Nella sua semplicità, gliene fu grato.
Si accorse del problema solo qualche istante più tardi, nel momento in cui sollevò la testa e fece un passo indietro per congedarsi.
La mano rimase ancora sulla sua spalla, con una fermezza che aveva una labile sfumatura di forza. Il dolore del Superiore era un uragano in piena, ma tra quei fluttui Zexion riconobbe una consapevolezza che era rimasta sopita tra le onde, nascosta in quei pensieri che lo avevano sopraffatto. “… ed il fatto che sia assolutamente incapace di mentire come si deve”.
Alle sue spalle sentì Xigbar aprire un portale.
  
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