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Autore: The Custodian ofthe Doors    21/11/2018    5 recensioni
[ AU!Police| Seguito di Una pista che scotta| II| Detective!Alec| PoliceOfficer!Simon| SemiCriminal!Magnus| AlecSimonMagnus!squad]
Alexander Lightwood è un Tenente della Omicidi di New York City a capo di una squadra a dir poco particolare e se un tempo era famoso per la sua pazienza e la sua calma imperturbabile, oltre che per la sua sfortuna, ora lo è anche per aver risolto il grande Caso Circle a trent'anni dalla sua archiviazione.
Ma i problemi non sono finiti e non arrivano mai da soli.
Dopo il ritrovamento del quaderno del Circolo di Asmodeus vecchi mostri sacri della criminalità risorgono dalle loro ceneri, attirati dalla consapevolezza che il proprio nome risulti su quelle pagine assieme a tutti i loro segreti più grandi.
New York apre il sipario e mette in scena, per l'ultima volta, l'ennesimo atto di uno spettacolo che in troppi temevano di rivedere, in cui troppi saranno costretti a recitare di nuovo o per la prima volta.
I demoni stanno tornando, crimine e giustizia saranno ancora costretti a combattere assieme questa battaglia che nasconde più di quanto non possano credere.
La chiamata è stata fatta e nessuno potrà ignorarla.
Che gli piaccia o meno.
Genere: Azione, Commedia, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Simon Lewis, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo X

La mossa dei Bianchi.
 




Marzo era freddo a New York, non c'era da stupirsi che le finestre della stanza fossero opache, congelate nella brina che vi si era posata sopra durante la notte.
Se non fosse stato una persona precisa e non avesse cercato un parcheggio coperto per la sua cara Mustang probabilmente sarebbe dovuto scendere un ora prima per scongelarla, per lo meno per togliergli tutto il ghiaccio dai vetri e per lasciare il motore in caldo per un po', aveva appena ricominciato ad usarla – più di due mesi ad onor del vero ma ancora gli pesava tanto il tempo passato a far da passeggero- non aveva la minima intenzione di romperla subito.
Quando gettò i piedi oltre il brodo del letto però, tutti i pensieri dedicati alla sua macchina scomparvero a favore di una realizzazione sorprendente: Church non era né sul letto con lui né nelle sue ciabatte. Dov'era? Lo aspettava sempre la mattina.
Si alzò stranito da quella mancanza, avvertendo nell'aria già qualcosa che non andava. Cosa si sarebbe dovuto aspettare, poi? Quel lunedì avrebbe cominciato a lavorare sul Caso Congiunto, poteva iniziare tutto bene? Poteva andare tutto come da programma? Assolutamente no o lui non sarebbe stato Alexander Gideon Lightwood.
Infilò le ciabatte e cercò una felpa da infilarsi al volo, doveva andare a riprendere la sua vestaglia a casa dei suoi o non ne sarebbe uscito da quella storia di brividi mattutini.
Si arruffò i capelli infilandosi la sua amata felpa blu alla velocità della luce, un senso d'inquietudine lo stava animando e si domandò se fosse assurdo esser preoccupati così per un gatto, se stesse impazzendo o se il suo sesto senso fosse diventato paranoico.
Arrivò in camera da pranzo e tutti i suoi timori si placarono per un momento: Church era seduto davanti alla porta di casa, la coda avvolta attorno alle zampe. Voltò la testolina verso di lui, mosse poco le orecchie ma non miagolò, quasi non volesse farsi sentire. Neanche Alec disse nulla, alzò solo un sopracciglio e indicò l'uscio, ricevendo in risposta un muovere di coda tipico di quando il felino era inquieto o pronto ad attaccare.
Con un riflesso involontario Alec si portò una mano alla cinta, quasi si aspettasse di trovarvi una pistola. Tornò sui suoi passi, rientrando in camera e prendendo la pistola, la sua bella Beretta, infilata nel cassetto e tornando con passo felpato alla porta.
Spostò delicatamente Church, allontanandolo da lì anche se il gatto sembrava piuttosto agguerrito e intenzionata a presiedere il forte cono lui. L'unica cosa che gli mancava era che, in caso di pericolo, Church fosse a tiro per un qualunque attacco, malgrado ciò apprezzò la forza di volontà dal felino e gli regalò una carezza sulla testa.

<< Tranquillo, ci penso io.>> soffiò con un fil di voce.
Si avvicinò poi alla porta e osservò dallo spioncino il piano apparentemente vuoto.
Non c'era nessuno, né lì né sulle scale, ma Alec avvertiva la presenza di qualcuno: chi diamine poteva esserci? Si stava nascondendo? E perché dovevano sempre capitare tutte a lui?
Si poggiò con le spalle alla porta e scivolò a terra, pensando seriamente di abbassarsi a cercare di veder qualcosa da sotto l'uscio, malgrado fosse più che consapevole che non si vedesse nulla.
Stava prendendo in considerazione anche l'idea di spalancare la porta e controllare palesemente se ci fosse qualcuno, tanto alla fine dei conti aveva una pistola in mano, poteva difendersi, quando sentì un rumore, come di- vetro? Vetro e liquido che ci sciacquava dentro? Come una bottiglia?
 

Bottiglia? Alle sei di mattina?

 

Chi cavolo era il deficiente che si attaccava ad una bottiglia a quell'ora? Quel palazzo era pieno di vecchie coppie o famiglie, lui ed un altro paio di persone erano gli unici a viver soli, conosceva la gente del condominio e nessuno aveva mai alzato il gomito in quel modo, anzi, nessuno aveva mai alzato il gomito, era anche per quello che aveva scelto proprio quell'appartamento. E poi, ma davvero, l'unica volta che qualcuno voleva ubriacarsi lo faceva al suo piano? Davanti al suo appartamento? Chi diavolo, lucido o anche ubriaco, decide di darsi all'alcolismo e di farlo proprio davanti alla porta dell'unico poliziotto dell'edificio?
A meno che non fosse un suo condomino, magari era un suo amico, o uno dei suoi fratelli.
Che Jace avesse di nuovo litigato con Clary? No, sarebbe andato a picchiare un sacco da box, non a bere e soprattutto non avrebbe aspettato lì fuori, avrebbe bussato svegliando tutti. Izzy avrebbe fatto la stessa cosa e Max non si muoveva mai da dov'era quando si ubriacava.
I ragazzi invece, come i suoi fratelli, non si sarebbero fatti scrupoli a chiamarlo, glielo aveva fatto promettere lui stesso di esser informato ogni volta che stavano male e poi gli sarebbero già arrivate telefonate e messaggi da mezzo mondo.
L'unica possibilità rimasta era-

Si alzò di scatto, afferrò la maniglia e tolse i blocchi con la mano con cui ancora reggeva la pistola. Spalancò la porta e abbassò lo sguardo verso il pavimento, poi alla sua destra ed il respiro gli si bloccò in gola quando i suoi sospetti si rivelarono corretti.
Ma dopotutto: poteva mai sbagliare lui quando si parlava di sfiga?
La risposta era ovviamente, no.
Si voltò verso la figura seduta a terra, la bottiglia di vodka in mano, una scatola bianca al fianco e lo sguardo perso. Non aveva una bella cera e sicuramente non doveva esser lì da poco.
Che cosa era successo?
Espirò pesantemente senza essersi reso conto di aver trattenuto il respiro sino a quel momento, poi esalò con voce bassa:

 

<< Magnus, che hai combinato?>>

 

 

 

 

Aveva continuato a studiare l'uomo seduto davanti alla porta di casa sua in attesa che quello gli rispondesse.
Magnus pareva quasi non averlo sentito ed Alec stava per ripetergli la domanda quando un verso flebile scivolò fuori dalle labbra secche dell'altro.
Il giovane aggrottò le sopracciglia. << Come?>> chiese avvicinandosi e piegandosi sulle ginocchia per arrivare alla sua altezza.
L'altro rise amaramente.<< Una cazzata, Alexander, ecco cosa ho combinato. Non ho capito un cazzo. Anzi, pare che questa sia la cosa che mi riesce meglio: non capire mai un cazzo di quello che la gente dice e delle situazioni in cui mi ritrovo.>>
Alec sospirò pesantemente e allungò la mano per tirargli indietro il ciuffo che gli si era afflosciato triste sulla fronte.
<< Stai bene? Fisicamente intendo.>> domandò scrutandolo con attenzione.
Magnus si strinse nelle spalle. << Sono stato peggio.>>
<< Riesci a stare in piedi?>>
<< Penso di sì, ma al momento vorrei solo rimanere qui ad autocommiserarmi in santa pace.>> sbuffò rannicchiandosi su sé stesso.
Alexander lo guardò con fare scettico. << No, non vuoi farlo.>>
<< Certo che voglio, non cominciare a fare il saccente pure tu, ne ho abbastanza di gente che mi dice come mi devo comportare, cosa devo fare, cosa voglio e cosa capisco o meno.>>
<< Io invece credo proprio il contrario, che tu non voglia autocommiserarti ma ragionare lucidamente, magari anche con un aiuto.>> replicò con voce pacata come sempre.
Magnus lo guardò male. << E cosa te lo fa pensare, di grazia?>> lo sfidò con una nota acida.
<< Il fatto che sei qui da me e non a casa tua, dove saresti potuto rimanere solo a bere quanto ti pare e piangerti addosso senza che nessuno di potesse vedere.>> ripose lui logico e scontato.
Certo, era ovvio che Alexander l'avesse capito ed era anche ovvio che lo avesse accettato prima di quanto non l'avrebbe fatto Magnus.
Farsi aiutare… Magnus lo voleva davvero?
L'uomo avvertì qualcosa di rigido toccargli la spalla e poi il braccio solido e caldo di Alec passargli attorno al torace e tirarlo su di peso.

<< Su, andiamo.>> gli disse l'altro.
Per un momento Magnus pensò di ributtarsi di peso a terra, solo per sottolineare il fatto che non voleva il suo aiuto, che in verità si era sbagliato, cocciuto come sempre in tutto. Poi si ricordò che era stato lui ad andare da Alec, non il ragazzo a disturbarlo a casa sua, l'esatto contrario in effetti, e come stoccata finale si rese conto che il braccio con cui lo stava reggendo non solo era quello destro ma che reggeva anche una pistola in mano.
Si sentì in colpa da un lato, stavano per affrontare un'operazione particolare, che avrebbe potuto comportare chissà quante ritorsioni, Alec doveva aver avvertito in qualche modo - con i suoi sensi da ragno forse, Simon avrebbe avuto un buon paragone fumettistico da fare- la sua presenza e non vedendo nessuno da dentro era stato costretto ad aprire la porta e affrontare chiunque vi fosse.
Grugnì, non doveva farsi prendere dai sensi di colpa anche per quello.
Si mise più dritto che poté e voltò la testa verso il pavimento.
<< La scatola.>> disse solo e l'altro annuì.
<< L'ho vista, ora la prendo, prima è meglio che ti metta seduto. Stai solo attento a non far cadere la bottiglia, c'è Church in giro, non vorrei che si facesse male.>>
Magnus annuì e sospirò, lasciando che il detective lo conducesse sino al vecchio divano di pelle coperto di pile e lo aiutasse a sedercisi.
Si assicurò che stesse bene, Magnus vide l'occhiata valutativa che gli lanciò, così come vide quella che lanciò al gatto ed il suddetto felino camminare ad agio sino a loro e salire con un balzo elegante sul tavolinetto.
Alec fece marcia indietro ed andò a recuperare la scatola, mentre Church lo fissava con quei penetranti occhi blu, come quelli del suo padrone, dritti su di lui.

Magnus sorrise mesto. << Mi stai facendo da guardia?>>
L'occhiataccia che il gatto gli rifilò gli parve troppo simile a quelle del padrone.
<< Chi dei due ha ripreso dall'altro?>> domandò sempre al felino.
<< Church da me, temo.>> Alec rispose per il suo gatto, chiudendosi la porta alle spalle e posando il pacco sul tavolinetto affianco a lui. Dove fosse finita la pistola, quando l'avesse posata o dove l'avesse messa, Magnus non lo sapeva e neanche gli interessava, anzi, era felice che quell'affare non fosse in giro.
<< Sono pasticcini.>> disse estemporaneo l'uomo.
Alec annuì. << Lo so, riconosco l'incarto. È la mia pasticceria preferita.>>
<< Questo lo so anche io.>>
<< Grazie del pensiero, allora.>>
Il silenzio li avvolse con pesantezza eppure Magnus si sentiva stranamente tranquillo e a proprio agio su quel divano, così chiuse gli occhi e si rilassò.
Si accorse di aver ancora la bottiglia stretta in mano solo quando Alec gliela sfilò con delicatezza e la poggiò sul tavolo.
<< Stia bene? Vuoi un bicchier d'acqua e un'aspirina?>> la sua voce pacata era come un balsamo per la testa confusa di Magnus. Avrebbe voluto chiedergli di continuare a parlare, ma in quei giorni aveva ascoltato troppe persone e adesso toccava a lui dir la sua.
<< Ho rincontrato Camille.>> iniziò ignorando del tutto la domanda dell'altro. Temeva che se non avesse iniziato a parlare non avrebbe mai più trovato il coraggio di farlo. Era un “ora o mai più”, si disse. << È arrivata a New York per affari, non ci sarebbe venuta mai di sua spontanea volontà. Sta succedendo un casino, Alexander, non puoi neanche immaginarlo.>>
Alec lo osservò sedendosi sul divano affianco a lui ma non parlò, malgrado avrebbe voluto dirgli che forse un'idea ce l'aveva eccome.
<< Non so se te lo ricordi, è la mia ex. È stata la relazione più importante che io abbia mai avuto, anche se ce ne sono un paio che concorrono, certo… ma lei è stata speciale perché… perché era come me.>> l'altro sospirò ed aprì gli occhi solo per cercare la bottiglia. Il suo sguardo però non individuò il collo trasparente cinto da un nastro blu, ma un altro tipo di blu, più profondo e al contempo limpido: gli occhi di Alexander lo avevano calamitato come una falena con il fuoco.

 

Come una torcia nel buio della notte.


<< Sai, è figlia d'arte come me. Non è americana, è francese in tutto e per tutto, arrivò qui per “imparare il mestiere”, ma la verità era che si voleva solo divertire. >> Riprese a parlare con voce lontana, cercando di ricordare ma di non farsi sopraffare da quelle stesse immagini, dai suoni e le emozioni provenienti da una vita ormai passata, da un prima enorme e così concreto da sembrare indefinito. << Ho vissuto sotto una campana di vetro per tanto tempo, Alexander, e non ho mai pensato che esistesse al mondo qualcuno nella mai stessa condizione finché non ho incontrato lei e ho capito che le sue, di condizioni, erano anche peggiori.
Non era solo sotto una campana di vetro, la sua era di cristallo e attorno al cristallo c'erano delle sbarre d'oro. Ed è bellissimo l'oro ma quelle erano pur sempre sbarre e dopo le sbarre c'erano le guardie che la proteggevano. L'unica figlia femmina di un impero molto simile a quello di mio padre ma totalmente diverso e forse… no, non è peggiore, sono brutti entrambi sotto diversi punti di vista. Ma lei… lei era bellissima… la donna più bella che io abbia mai visto, aveva una voce magnifica, il modo in cui pronunciava il mio nome. Inizialmente lo faceva alla latina, mi chiamava Magnus con la gn e io ridevo e le dicevo che non si pronunciava così e lei invece mi diceva che doveva per forse essere così perché in latino quello era il titolo dei “Grandi”. Mi faceva l'esempio di Alessandro Magno, non è divertente? >> rise senza gioia, il volto piegato da una nota di dolore ancora presente, palpabile, una ferita che si era rimarginata con fatica e che ora qualcuno aveva riparto con chirurgica precisione.
<< Siamo stati assieme per anni, anni Alec, mi pare di esserci stato per tutta la vita. Sino al 2007.
Poi tutto è crollato. Non so se te lo ricordi, eri adolescente all'epoca, ma ci furono una serie di sparatorie, di guerre di strada, New York non è mai stata così pericolosa e… successe di tutto, alla fine dell'anno mio padre e molti altri se ne andarono da qui. Alcuni oltre oceano altri no, ma lontani dalla città, tutti. Con loro Camille.
Papà mi aveva affidato tutto il suo lavoro, mi aveva detto “ti aiuteranno gli altri, ora sei tu il boss!” e io c'ho anche creduto, e ho creduto anche che fosse quello il problema, il motivo per cui Camille se ne era andata e invece no… ho sempre pensato che la colpa fosse tutta sua e invece è anche mia, che non ho capito un cazzo.>>
Finì amaramente di parlare ma non staccò mai neanche per un secondo gli occhi da quelli di Alec.
Ad essere onesti a quell'epoca Alec era in Accademia e le faide tra le bande, tra nemici che si contendevano lo stesso business, se le ricordava anche fin troppo bene. Quante volte aveva dovuto fare la posta davanti alle celle o alle sale interrogatorio piene di criminali mal messi o appena medicati? Ma quello non era certo il momento di dirglielo, quindi annuì.
<< Cosa non hai capito?>> chiese cauto.
Magnus sbuffò. << Pensavo che se ne fosse andata perché non voleva essere nel mirino di tutti quelli che avrebbero ambito al posto di mio padre e quindi attaccato me. Invece mi ha lasciato perché sono figlio di mio padre. Sono successe delle cose… la storia è troppo lunga da spiegare ora e… non avevo capito nulla, non sapevo nulla, nessuno me lo ha detto ma- il sunto è che mio padre fece una cosa che portò ad una grave perdita per il Clan. Camille mi accusa di questo, me e papà.>>

Alec aggrottò le sopracciglia: il Clan? Che diamine era il Clan? Non si stava mica riferendo a-
Il ragazzo sentì un brivido freddo colargli lungo la schiena ma rimase impassibile nella sua smorfia interrogativa, sperando che Magnus gli spiegasse da sé cos'era questo Clan di cui parlava.
Ma quando l'altro non aprì bocca fu lui a domandarglielo direttamente.
<< Il “Clan”, Magnus? Di cosa stai parlando? Di un'associazione a delinquere?>>
L'uomo rise di gusto, Alec lo osservò con attenzione, cercando di non perdersi neanche una mossa, di captare subito qualunque segno di cedimento, di qualunque tipo.
<< Una specie.>> continuò lui ridendo. << Sì, potremmo chiamala “associazione a delinquere” ma è molto più di classe. Diciamo che è… l'unione di molte persone facoltose che si aiutano a vicenda nei loro affari. Sì, mettiamola così, che sembra quasi legale come cosa.>>
<< Riunirsi in gruppi e associazioni non è illegale, ma presumo che lo sia ciò che fanno.>>
<< Ugh, sì direi che spesso lo è ma non sempre. Certo deplorevole la maggior parte delle volte. >> mugugnò Magnus. Tirò via le scarpe e poi si rannicchiò sul divano in cerca di una posizione comoda. << Mi hai fatto aspettare tantissimo, sappilo, ho il culo piatto ora ed è tutta colpa tua.>> lo accusò con una delle sue occhiate migliori.
Alec alzò un sopracciglio senza farsi impressionare. << Avresti potuto suonare il campanello, bussare, chiamarmi al telefono. Senza contare che il tuo sedere non può risentirne per così poco.>>
<< Ehi! Dovrebbe essere bene dell'umanità il mio culo, non so se hai visto com'è!>> rimbeccò ancora riprendendo un po' di quella verve che aveva perso prima.
<< Certo che l'ho visto.>> sbuffò invece Alec ma se ne pentì immediatamente.
Magnus lo guardò senza muoversi, sorridendo in modo tirato, cercando di non far vedere il suo disagio e soprattutto di ignorare il rossore che si era andato ad espandere sulle guance dell'altro.
Alec sospirò. << Scusa. Stavi dicendo su questo Clan?>> chiese gentile ma Magnus non ci cascò.
<< Non scusarti, a dirla tutta l'idea era di venire qui per parlare proprio di questo.>> Ammise cercando di schiarirsi un po' le idee, dopotutto neanche aveva bevuto troppo quella notte.
<< Mh, intendi l'elefante nella stanza?>> chiese il detective, Magnus quasi sorrise quando avvertì quella nota insicura ed imbarazzata nella sua voce, a quanto pare non era l'unico a non voler affrontare il discorso.
<< Direi che l'elefante è anche rosa, con un tutù e balla la samba.>>
<< Perché per forza rosa?>> fu l'unica cosa che replicò l'altro e a quel punto Magnus scoppiò davvero a ridere, di tutto cuore, sinceramente.
<< “Perché per forza rosa”? È davvero questo tutto quello che riesci a dire?>> lo sfidò con le lacrime agli occhi ad un piacevole fastidio alle guance.
<< Già. >> la sua flebile risposta lo costrinse alla serietà.
Davanti a lui Alexander teneva la testa leggermente abbassata, i capelli scuri e lunghi ormai gli ricadevano sul volto, gli sfioravano la macella e lambivano il muscolo teso tra collo e spalle. Teneva la schiena incurvata, come se un peso enorme gli gravasse addosso ma non avesse la minima intenzione di lasciarlo cadere, di farsi schiacciare.
C'era stanchezza, imbarazzo e resa in lui, ma c'era anche il fuoco dei guerrieri, quello di chi non ha intenzione di soccombere e che lotterà sino alla fine, un connubio così deliziosamente contraddittorio da poter germogliare e sopravvivere solo in quel paradosso vivente che era Alexander.
Lo guardò deglutire un paio di volte, cercando le parole giuste, le mani poggiate immobili tra le sue gambe, l'ombra dei capelli a tirargli una tenda sugli occhi.
<< Partiamo a ritroso?>> propose il giovane con voce bassa ma ferma.
Magnus annuì.
<< Inizio io?>> chiese ancora e l'altro si domandò se non gli stesse concedendo un po' troppo visto ciò che aveva fatto. Eppure non riuscì a non annuire di nuovo, senza sapere se lo faceva per sentire al più preso ciò che aveva da dirgli o per codardia, per rimandare le sue scuse al più tardi possibile.
L'orgoglio era un involto amaro di spine graffianti da ingoiare senza alcun aiuto.
Ma come era solito fare da una vita, Alexander gli aveva porto una mano ed un aiuto che malgrado tutto Magnus non avrebbe mai ammesso ad alta voce di volere, di necessitare.
<< Mi spiace se ti ho dato l'impressione di non volerti nella squadra, non ti stavo cacciando.>> disse subito il detective mettendo le cose in chiaro.
Quella sola frase però aveva avuto il potere di far esplodere un'eruzione cutanea su ogni cellula epiteliale del corpo dell'altro, che mandando giù quel groppo pungente chiuse gli occhi ed alzò una mano per bloccarlo.
Era un uomo dopotutto, grande, grosso e vaccinato, doveva prendersi le sue responsabilità, specie nei confronti di qualcuno a cui teneva.
<< Quella è stata colpa mia. Ero arrabbiato per ciò che mi aveva detto Simon e ho riversato il tutto su di te, ti ho aggredito e tu sei stato anche fin troppo calmo e gentile, fossi stato al tuo posto mi sarei appiccicato al muro da solo.>> grugnì infastidito.
Alec parve sorpreso da quell'ammissione ed il timido sorriso storto che gli inclinò le labbra fu la conferma che aveva detto la cosa giusta.
<< Conoscendoti, se lo avessi fatto, avresti tirato fuori qualche battutina delle tue.>>
Un altro ramo d'ulivo porto sopra la linea della trincea che li divideva.
Magnus sorrise. << Oh, no, in quel momento ero abbastanza incazzato per rigirarmi e cercare di appendere te da qualche parte.>>
<< Sono più alto e più forte.>> gli ricordò. << Ma rimane il fatto che il motivo per cui eri arrabbiato, la litigata con Simon, fosse indirettamente colpa mia.>> tornò immediatamente serio e Magnus sospirò perché non poteva dargli torno ma non voleva neanche arrivare subito al dunque, a ricordare quell'attimo in cui aveva visto un'ombra passare sugli occhi del compagno. La verità era che Magnus era stanco di parlare, di ricordare, specie in quel momento, quando era stato costretto a tornare indietro nel tempo e a rivivere qualcosa che sperava di aver dimenticato.
Non potevano neanche rimanere sospesi così per sempre però e nessuno gli avrebbe impedito di far valere le sue motivazioni.

<< Ti ha dato fastidio?>> chiese allora guardandolo in faccia.
Alec si strinse nelle spalle. << Sei libero di fare tutto ciò che vuoi, sei adulto e capace di far le tue scelte.>>
<< Magnifiche parole Alexander, ora rispondi alla mia domanda.>> lo incalzò.
<< Te l'ho detto. Non c'è niente che mi debba dar fastidio.>>
<< Ma lo ha fatto?>>
<< Non ce ne sarebbe stato motivo.>>
<< Non mi interessa ciò che sarebbe dovuto essere. Ti ha dato fastidio?>> Magnus si sporse verso di lui, abbassando la testa per poter scorgere il suo sguardo… sfuggente.
 

E Alexander non aveva mai evitato il suo sguardo, neanche nei momenti più imbarazzanti.
Magnifico, gli aveva dato fastidio eccome.

 

Magnus sospirò. << Lo ha fatto.>> sentenziò sicuro.
<< Non ho alcun diritto di esser infastidito.>> sussurrò invece l'altro.
<< Lo avresti avuto se solo non avessi fatto finta di nulla per mesi.>> incrociò le braccia al petto e si rimise dritto, scrutandolo con sguardo critico, come quello di un genitore che sgrida il figlio.
A quel punto Alec alzò il capo e lo guardò a sua volta, gli occhi induriti da cosa di preciso Magnus non avrebbe saputo dirlo, ma erano decisamente battaglieri.

Finalmente.

<< Non ho fatto finta di nulla.>> iniziò serio. << Forse non ti sei ben reso conto della situazione in cui ci troviamo.>>
<< Ah no! Non venirmi a dire anche tu che non capisco e che- >>
<< Sono il tuo superiore Magnus, se scoprissero che ci fosse qualcosa tra noi saremmo passibili di richiamo e tu potresti essere riassegnato.>>
<< Non nasconderti dietro al lavoro, dimmi che altro c'è perché sono sicuro che c'è qualcosa che non mi dici e se non lo fai io non posso capire.>>
Alexander rimase immobile, non il più minimo movimento, Magnus credette persino che avesse smesso di respirare.
Invece Alec pensava, ragionava su ciò che l'altro gli aveva appena chiesto, su tutto quello che gli avevano detto i suoi amici, suo fratello, il dottor Lawson e pure suo padre.
Poteva dir qualcosa, poteva parlare? Poteva mostrare una parte di sé a quell'uomo davanti a lui?
Non lo sapeva, non con certezza. Aveva imparato a conoscerlo e sapeva quanto ci si potesse affidare a Magnus e su cosa, eppure quella sensazione, quel disagio latente che lo accompagnava dall'infanzia e che lo portava a star sempre a qualche metro di distanza da tutti, non voleva saperne di andarsene.
Ma non poteva neanche tacere, si era ripromesso anni addietro che non avrebbe più tenuto la bocca chiusa né per paura né per far felici gli altri.
La verità era come la legge: era dura ma era la verità.

<< Non ti conosco.>> appena l'ebbe detto si rese conto di quanto potesse essere ambigua ed alzò la mano per interrompere eventuali proteste. << Ti ho conosciuto in un ambito particolare, ho imparato a convivere con te, a vivere, ad esserti amico e preoccuparmi per te. Sei parte dei miei amici, della mia cerchia se vogliamo chiamarla così, non sei da meno degli altri e spero che questo tu lo comprenda; non si può parlare di qualcosa di più, questo è ovvio, ma… ci sono cose del mio passato che non conosci, che molti non conoscono e che non posso ancora spiegare a nessuno e tu invece sei un ficcanaso di prima categoria. Con questo non voglio dire che ti impicceresti degli affari miei e mi costringeresti a confessare, ma semplicemente che potrai aspettarti da me completa sincerità su praticamente tutto ma mai tutto assieme, mai nell'immediato. Per di più, tu conosci solo Alexander il detective, non conosci me e per come sono davvero potrei tranquillamente non essere il tuo tipo di persona.>>
Prese un respiro profondo, gli pareva di non essersi spiegato per niente, di aver detto solo una marea di parole senza senso e per lui le parole valevano tantissimo.
<< Il mio carattere, i miei modi di fare, sono completamente diversi dai tuoi. Non mi butto in acqua senza aver controllato di non poter affogare, che non ci siano squali. È una metafora terribile ma è la verità. Nella mia vita privata non sono come sul lavoro, ho- ho faticato per trovare la forza e la sicurezza che ho come agente, alle volte ancora non la ho come persona temo, sono uno di quelli che preferiscono il buio alle luci della ribalta, in ogni senso, anche quando sono nel privato, quando devono aprirsi con un amico. L'ho sempre fatto e sempre lo farò. >> la sua voce s'affievolì e per la prima volta Magnus lo guardò con occhi del tutto diversi.
Davanti a lui ora c'era un ragazzo di ventisei anni, timido, taciturno e scostante, che preferiva star in silenzio e defilarsi, nascondersi anche da chi avrebbe potuto volergli bene – da chi già gliene voleva- perché non era sicuro, perché nel suo armadio c'erano scheletri che non aveva ancora la forza di tirar fuori, tra le cui bianche membra ancora pulsava un vecchio cuore malato.
Davanti a lui c'era un Atlante che reggeva il peso della volta celeste da solo, non perché qualcuno non gli avesse mai proposto d'aiutarlo, ma perché lui non voleva che altri soffrissero la sua stessa stasi, lo stesso fardello.
Come aveva fatto a non rendersi conto che Alexander non stava evitando lui ma sé stesso?
Si ritrovò a sorridere mestamente, Simon aveva ragione, Catarina ne aveva e anche Raphael.

<< Va bene.>> disse attirando la sua attenzione e facendolo accigliare.
<< Va bene?>> chiese quello di rimando, stupito.
<< Va bene, sì. Forse l'avranno detto anche a te fino allo sfinimento, ma mi spiace ammettere che avevano ragione, dovevamo solo parlare. È il mio turno ora, vero?>> sorrise improvvisamente animato. << Allora per cominciare scusa per l'uscita dello “sbirro” e tutte quelle cose lì. Adoro lavorare con te e Sonny, anche se mi fanno schifo le melme ed i corpi morti. Ero solo incazzato e quando mi arrabbio- >>
<< Straparli e lo fai solo per ferire gli altri? Sì, lo so.>>
Magnus rise. << Sai Fiorellino, pare che tu mi conosca tanto bene ma che io non conosca te.>>
Anche se non lo fece, ad Alec scappò quasi un sorriso alla menzione di quell'improponibile nomignolo. << Semplicemente tu sei come ti mostri ed io mi mostro come vorrei essere.>> disse calmo.
L'altro lo fissò per un attimo in silenzio, gli occhi verdi come quelli dei gatti e altrettanto attenti, luminosi e scintillanti. Magnus non poté far altro che sorridere ancora ed annuire.
<< Allora pare proprio che non ci resti null'altro da fare che conoscerci, davvero. Sarei curioso di vedere com'è Alec. >>
Il moro sbuffò una risata. << Non credo sia come te lo aspetti, ma sì, forse ci conviene.>> convenne.
<< Per il resto… >> fece l'asiatico lasciando la frase in sospeso. << Come dovrei comportarmi sul lavoro? Insomma, devo essere algido e con una scopa nel culo come la Herondale?>>
Questa volta Alec rise apertamente e come sempre quando accadeva, e quando era merito suo, Magnus se ne compiacque forse un po' troppo.
<< Non fraintendermi tesoro, non che non mi piacerebbe…la scopa intendo... >>
<< Dio, Magnus, non dire queste cose sulla Signora!>>
<< Perché? Ti indigna?>>
<< Mi fa venire la nausea il sol pensiero.>>
<< Tu non pensarci allora!>>
<< Me lo hai appena detto tu!>>
Si fissarono e poi scoppiarono a ridere assieme, come non facevano da Gennaio.
Alec scosse la testa per riprendersi e poi prese un bel respiro.
<< Non devi comportarti in modo rigido, sii te stesso ma non troppo irriverente per favore, stiamo sempre lavorando.>>
<< Quindi niente battute a sfondo sessuale davanti ad indiziati e testimoni?>>
<< Neanche sulle vittime, non si parla male dei morti.>>
<< E se sono stronzi bastardi assassini o stupratori?>>
<< Loro sì.>> convenne annuendo. << Ma ricordati di co- >>
<< Comportarmi bene, si daddy.>>
Alec lo fulminò con lo sguardo. << Non ti azzardare a chiamarmi così.>>
Magnus sfoderò il suo miglior sorriso seducente. << E in privato posso?>>
Le guance del giovane si colorarono di rosso, Magnus rimase a godersi quella sfumatura tirata su tela bianca finché un tarlo nella sua testa non gli sussurrò che malgrado stessero di nuovo ridendo come un tempo, a conti fatti, non avevano risolto nulla.
<< Quindi?>> chiese deciso a chiarire la questione una volta per tutte.
<< Quindi cosa? Non mi ci puoi chiamare e basta, è ridicolo.>>
<< Non quello, Alexander. Voglio davvero conoscerti, voglio davvero vedere oltre il detective e oltre il fratello maggiore, oltre il figlio perfetto e l'amico protettivo. Voglio vedere te.>>
Alec batté le palpebre senza sapere cosa dire. Chiuse un attimo gli occhi e se li massaggiò con delicatezza, poi sospirò: cosa voleva lui?
 

<< Sei felice Xander?>>
<< Perché me lo chiedi?>>
<< Perché ti conosco.>>

 

Glielo avevano chiesto tutti, dal primo all'ultimo. Gli avevano chiesto come si sentisse, cosa provasse, cosa volesse fare, perché non si decidesse a darsi un'opportunità. Perché non lo faceva?

 

<< Allora? Sei felice sì o no?>>
<< Io… >>
<< Sai qual è il primo passo per essere felici?>>
<< Volerlo?>>

 

Deglutì a disagio, non si rese conto di star sfregando il polsino della felpa, non si rese conto neanche dello sguardo carico d'aspettativa di Magnus.
Voleva davvero ricominciare tutto da capo? Ricordava fin troppo bene come fosse finita l'ultima volta, quella prima e quella prima ancora.
Ricordava fin troppo bene e… faceva ancora fin troppo male.
Ma se c'era una cosa che ricordava ancor meglio del dolore era una domanda, timida, innocente, sussurrata come un segreto, come la confessione di un peccato ad un uomo di fede fatta nel silenzio e nel fuoco di una terra che aveva visto troppo e ancora troppo avrebbe dovuto vedere. Si mischiava a ricordi sfocati di una vita passata, di un tempo in cui era lui ma ancora non lo era, prima ancora di diventare una crisalide, quando ancora era null'altro che un bruco.
Quale fosse la risposta giusta, forse, lo sapeva già, forse l'aveva sempre saputo.

<< Quindi… è una situazione delicata, che va affrontata con attenzione viste le molteplici implicazioni che potrebbe portare, tutti i problemi… >> aveva la bocca completamente asciutta e più si ripeteva in mente ciò che voleva dire più si rendeva conto di che grandissima puttanata fosse.
<< I problemi ci saranno sempre, Alec, ma c'è anche una soluzione, no? Di solito sei tanto bravo a trovarle.>> sorrise tirato Magnus.
L'altro annuì piano. << Temo che la soluzione sia solo una.>> disse in fine prendendo fiato e coraggio assieme.
L'uomo lo guardò improvvisamente apprensivo, l'aspettativa di prima macchiata da una delusione latente che già si faceva largo in lui.
Lo sapeva, Magnus lo sapeva, come poteva sperare che andasse diversamente? Era sempre stato terribilmente sfortunato sul fronte sentimentale, pareva non esser fatto per storie serie, destinato a bruciare tutto in una sola volta e mai lentamente come una candela.
Avrebbe affrontato la cosa da persona adulta però, da uomo.
<< Quale sarebbe?>> chiese drizzando la schiena e adocchiano la bottiglia di Vodka lasciata sul tavolo. Decisamente non aveva bevuto abbastanza, si sarebbe dovuto scolare tutta la distilleria illegale di Quinn, ecco cosa. Il coma etilico voleva, non doveva ricordare neanche chi era, neanche come si chiamava e soprattutto doveva dimenticare la patetica figura che aveva fatto andando da lui, ubriaco ma non così tanto, prima a parlargli della sua ex e poi a parlare di loro.
Che poi, ad essere onesti, non ne avevano parlato chiaramente, nessuno dei due era riuscito a mettere da parte abbastanza orgoglio per dire “ehi, mi interessi, davvero, credo che tu mi piaccia decisamente a livello sentimentale e penso anche che visti i nostri trascorsi di baci rubati potremmo essere una di quelle coppie melense che si baciano di sfuggita quando credono che nessuno li veda mentre in realtà tutti sanno che stanno lì ad amoreggiare. Che dici, ci proviamo?”.
Okay, ennesima ammissione, Alexander una cosa del genere non l'avrebbe mai detta, ma restava il punto: c'avevano solo girato attorno malgrado il ragazzo si fosse spinto sino a dirgli – ancora come avevano già fatto praticamente tutti- che non si conoscevano davvero. E Magnus cominciava ad averne piene le palle di questa storia, poteva sempre conoscerlo, mica stava per partire per il Vietnam!
Va bene che lavoravano assieme, va bene che era timido e che non voleva dirgli tutto ciò che aveva passato, ci sarebbero arrivati pian piano, perché davvero, Magnus non ricordava quando fosse stata l'ultima volta che aveva incontrato qualcuno che lo capisse così a fondo e così bene e non dubitava che anche Alec, solo Alec, gli sarebbe piaciuto da impazzire. Aveva ammesso da sé che si comportava “come avrebbe voluto essere”: come poteva non piacergli qualcuno che nella vita cercavi di essere la migliore versione di sé? Era assurdo e stupido pensare il contrario, anche se poteva capire i dubbi e le incertezze di una persona timida, perché ormai l'aveva appurato che Alec lo fosse anche fino al midollo, ma bastava guardalo in faccia per capire che non poteva non piacergli ogni versione di lui.
Quanto gli sarebbero piaciute tali versioni era secondario, ma se solo gli avesse dato l'opportunità di farlo glielo avrebbe dimostrato, avrebbe anche potuto farlo uscire da quella specie di guscio che si portava costantemente addosso, ma l'altro preferiva accampare scuse e non chiudere quella dannata bocca e lasciarlo inveire contro cotanta stupidità, no, lui doveva continuare a parlare, ma non era uno da poche parole?
Ma poi, che stava dicendo?

<< Eh?>> chiese in modo brusco, forse troppo visto che il ragazzo fece una smorfia e si tirò indietro.
<< Scusa, se no- >>
<< No, non ho proprio capito che hai detto, non ti stavo ascoltando, ero perso in ragionamenti miei.>>
 

Magnifico Magnus, diglielo pure, così sì che gli dimostri quanto sei interessato a lui.
Vabbé, tanto ha già scelto per entrambi, no?

<< Ma in ogni caso sono sicuro che ciò che hai detto sia giusto, quindi va bene, come vuoi. >> disse in fretta agitando una mano in aria.
Non aveva ancora aperto i pasticcini, magari invece che un coma etilico poteva andare in overdose di zuccheri…
<< Ne sei sicuro?>> chiese titubante Alec.
<< Certo, sicurissimo.>> replicò senza guardarlo ma sporgendosi verso la scatola dei dolci.
Se solo avesse continuato a guardare Alec avrebbe visto la sua espressione smarrita lasciare il posto ad una scettica, quella classica da “mi stai prendendo in giro?”. Ma non lo fece ed il detective incrociò le braccia al petto e parlò con tono neutro e noncurante.
<< Perfetto allora, temevo ti avrebbe dato fastidio spostarti così lontano.>>
A quella frase Magnus lasciò perdere i pasticcini e si voltò di scatto verso di lui.
<< Cosa?>> chiese allarmato.
<< Sì, è lontano ma è la soluzione migliore.>>
<< No, aspetta, di che stai parlando?>>
Alec alzò di nuovo il sopracciglio. << Non hai detto che tanto sei d'accordo?>>
<< Mi stai facendo pagare il fatto che non ti ho ascoltato? Davvero Alexander? Ci abbassiamo a queste cose da mocciosi?>> lo schernì assottigliando lo sguardo.
Per tutta risposta Alec si strinse nelle spalle.
<< Cosa vuoi farci? La colpa è tua.>>
<< Mia?>>
<< Sì.>>
<< E perché? Sentiamo un po', che ho fatto sta volta?>> alzò la voce e anche le mani al cielo ma l'altro non si scompose.
<< Non sono io quello che stava ignorando l'altro mentre quello gli stava chiedendo un appuntamento.>>
<< Non è che non ti stavo ascoltando perché non mi interessasse, ero solo perso in pensieri miei, considerazioni. A te non capita mai?>>
<< Non in questi casi.>> sogghignò Alec.
<< Oh, ma certo, certo che no. Il perfetto Alexander non sbaglia mai.>>
<< Non ho detto questo.>> continuò il giovane sempre più divertito.
A Magnus invece stava solo salendo un nervosismo epocale. Prima Camille, poi lui, chi gli mancava? C'era altra gente in fila?
<< Ovviamente, ho di nuovo capito male io.>> ringhiò inacidito.
<< Secondo me non hai proprio capito, è diverso.>>
<< AH! Direttamente così? Non posso arrivare a seguire i tuoi sublimi ragionamenti?>>
<< Forse ragioni anche troppo in verità. Magnus, che ti ho detto?>> gli stavano quasi facendo male le guance per trattenere il sorriso che, prepotente, voleva uscire allo scoperto.
Ma Magnus era partito per la tangente, faceva sempre così, e quella volta ugualmente alle altre lo guardò male e gli rispose a tono: << Che non ho capito cosa sua grazia mi ha detto.>>
<< E prima cos'ho detto?>>
<< Che non credi di essere perfetto.>>
<< E prima ancora?>>
<< Alexander, 'sto gioco mi ha già rotto il cazzo.>> lo avvertì l'uomo.
<< E allora vedi di fare mente locale e di ricordare cosa ti ho detto e cosa hai palesemente ignorato due volte.>> disse in fine sorridendo apertamente.
Più che un sorriso era un ghigno soddisfatto e Magnus se ne rese conto.
<< Perché sorridi come una iena?>>
Alec rise e scosse la testa. << Che c'è? Non mi hai sentito neanche alla seconda e stai prendendo tempo?>> domandò allungandosi sul tavolo e aprendo finalmente l'incarto dei mignon. Ne prese a colpo sicuro uno nero ed arancio e se lo infilò in bocca con facilità.
Dopotutto cosa mai poteva essere un piccolo pasticcino a confronto con venti marshmallow stipati tutti assieme?
Distrattosi di nuovo per colpa di quel dolce e di quelle labbra che, malgrado stesse masticando, fossero comunque tese e ridenti, Magnus cercò di fare mente locale il più velocemente possibile, rifacendosi a ritroso quel botta e risposta sino ad arrivare al-

<< Che è colpa mia.>> disse lentamente mentre la sua mente processava una frase, una parola, in particolare. << Che tu non ignori la gente quando questa… ti sta...chiedendo un…appuntamento?>>
Con gli occhi sgranati si ritrovò a fissare quelli luminosi e vivi dell'altro, rilassati come se ciò che gli aveva appena detto non fosse il passo più lungo che avessero fatto da quel Natale.
<< Mi stai prendendo in giro?>> chiese comunque scioccato.
<< No, è la cosa più logica da fare, l'unica direi.>> disse con non-calanche Alec.
<< E la storia di andare lontano?>>
<< Abiti a Brooklin, il Nascosto è piuttosto lontano da lì, ti toccherà prendere la macchina o la metro.>> spiegò ancora tranquillo e sogghignante.
Somigliava a Jace in maniera spaventosa in quel momento, o forse era il biondo che somigliava a lui… che cosa inquietante…
<< Tu- >> cercò di parlare ma cosa volesse dirgli non lo sapeva neanche lui.
Alec in tutta risposta prese altri due pasticcini colorati e si infilò in bocca anche quelli. Una macchiolina verdastra gli si sfumò sulle labbra e Magnus la fissò senza vederla.
Gli aveva appena chiesto un appuntamento. Non “un caffè” o “un uscita”, aveva usato proprio quella parola: Appuntamento.

Cazzo.
 

Si riscosse solo quando il giovane mangiò altri dolci, per poi prenderne uno con la panna, intingerci il dito dentro ed allungarlo verso il gatto.
<< Tieni Church, è la tua preferita.>> gli disse gentile ed il felino sembrò essere della stessa opinione perché leccò via tutta la crema e poi gli si strusciò contro facendo le fusa.
Mentre i due “padroni di casa” continuavano a mangiare Magnus non riuscì a dire una sola parola.
Alec lo guardò con la coda dell'occhio, mordendosi la lingua per non ridere, ancora.
<< Non farmi ripetere qualcosa che ti dico sempre.>> fece richiamandolo al presente.
L'altro alzò un sopracciglio.<< Cosa?>>
Il bel volto da angelo di Alec si contrasse in un'espressione furba e per nulla rassicurante, Magnus avrebbe potuto paragonarla a molte altre che aveva visto ma solo quelle dello stesso giovane avrebbero potuto reggere il confronto.
Aveva sempre creduto che Alexander fosse il “bravo ragazzo” e che i suoi fratelli invece fossero “usciti male”, dannatissimi straviziati supponenti e vanitosi che non erano altro – non che lui fosse meglio, ma Magnus almeno lo ammetteva-, ma più passava il tempo più si convinceva che forse, invece, Jace ed Izzy, e con loro Max, avessero solo che ripreso dal fratello maggiore. Solo che Alec sapeva come mascherarlo e gli altri neanche ci provavano.
Il suo ghigno prometteva di tutto, avrebbe anche potuto regalargli punizioni e ferite, così come ogni buon angelo vendicatore fa, ma quella volta, la sua promessa, gli ricordò tutt'altro che dolore.

<< Che a quanto pare riesco a farti star zitto in modi che non avrei mai immaginato.>>

Magnus lo guardò a bocca aperta, sentendo solo di sfuggita la sua voce pacata avvertirlo che sarebbe andato a lavarsi e poi sarebbero andati dritti in ufficio.
Lo seguì con lo sguardo senza preoccuparsi di fingere di non star fissando quella schiena mastodontica e quel magnifico sedere fin troppo coperto dal pigiama, ma non riuscì a proferir parola.

Dopotutto, non era anche Eros un angelo?

 

 

 

 

 









Il ragazzino si rigirò sul letto, dando le spalle alla sponda libera e voltando la faccia verso il muro. Afferrò il suo cuscino e se lo tirò via da sotto la testa, abbracciandolo e sprofondandoci contro il naso.
Non poteva essere, non poteva essere anche questo, non a lui, perché tutte a lui?
Stringendo i denti e serrando gli occhi con forza, si nascose meglio rannicchiandosi il più possibile.

<< Perché non posso essere felice anche io?>>

Forse, sarebbe bastato volerlo e smettere di aver paura. Forse non sarebbe mai servito a niente.


 








 

 


 

 

Avevano messo in chiaro parecchie cose, nel tragitto da casa di Alec al dipartimento.
Primo: avrebbero lasciato le loro questioni personali fuori dal luogo di lavoro.
C'era stato bisogno di precisare che “luogo di lavoro” era ogni posto in cui andavano finché erano in servizio. Ergo, non si poteva discutere, immusonirsi come i bambini o litigare per cose loro se stavano svolgendo un'indagine.
Magnus gli aveva detto di sì, che poteva farlo, mica era stupido, ma Alec ne dubitava.
Sia del fatto che potesse riuscirci, sia che non fosse stupido, ma se lo tenne per sé e non disse nulla.

 

Secondo: sarebbero ripartiti da zero. Questo significava non rinfacciarsi cose fatte in passato e-

 

<< No, Mags, non potrai tirare in ballo né la casa sicura né Natale. Ho detto di no, non cominciare. Taci e ascolta. >>
<< Ma che taci! Non trovo assolutamente giusto dimenticare cos- >>
<< Mi dicesti che non era “nulla”, che non si poteva parlare di sentimenti, che non dovevo farmi strane idee perché era solo un modo per passare il tempo e sfogare la tensione. Sei stato tu a non volerne parlare subito in quel momento perché ti imbarazzava. Ora lo fai valere come nulla.>>
<< E se non fossi d'accordo?>>
<< Non sei d'accordo?>>
<< No.>>
<< E allora ti attacchi al cazzo.>>
<< ALXANDER!>>

 

<< … in senso figurato o concreto? Perché per il concreto- >>
<< Stai-zitto.>>

 

- non calcolare le azioni che avrebbero potuto spingerli vicini ­- << Ti ho detto di no! Smettila.>>, << Non lo trovo giusto!>>- e ricominciare a comportarsi come prima che sparassero a Magnus. Quei giorni erano la linea di confine entro cui poteva rimanere. Il loro rapporto sarebbe ripartito da lì, quando erano amici senza benefici o implicazioni.


Terzo: nulla di serio o di impegnato, avrebbero preso le cose alla lontana e alla leggera. Dovevano conoscersi e non avrebbero concretizzato nulla ­- cosa che per altro portava al punto quattro- perciò se ad uno di loro so fosse presentata una buona occasione avrebbero potuto coglierla, non avevano vincoli di nessun tipo se non quelli di correttezza e decenza. Ed educazione.

<< Sono una persona educatissima.>>
<< Sono sicuro che se lo ripeterai abbastanza volte alla fine ci crederai anche tu.>>
<< Alexander, sei una persona estremamente cattiva tu invece, te l'ho mai detto?>>
<< No, non lo hai fatto. Ma guarda il lato positivo, hai già scoperto qualcosa di nuovo.>>
<< Che sei un sadico bastardo l'avevo capito anche quando mi hai attac- >>
<< Nessun riferimento postumo!>>
<< E comunque sono educato.>>
<< Trovo sorprendente che tu stia insistendo su questo e non sul fatto che non sei “decente”.>>
<< Ma io non sono decente, devo ricordarti come ti ho s- >>
<< NESSUN RI-FE-RI-ME-NTO!>>

Quarto: niente contatto fisico troppo intimo, quindi niente baci, amoreggiamenti veri e niente sesso.

 

<< Orale o completo?>>
<< Entrambi.>>
<< Ma non è giusto!>>
<< Sono le regole.>>
<< Le stai facendo solo tu!>>
<< Perché sono io la persona adulta, matura e responsabile tra i due.>>
<< Che sei bello che maturo lo so anche io… >>
<< Sto per darti un pungo.>>
<< AH! Sapevo già anche che eri violento a letto! BONDAGE! AHIO! Mi hai picchiato davvero!>>

 

La regola era ferrea e ineludibile e si collegava alla terza che permetteva ai due di vivere tranquillamente anche altre relazioni se queste gli fossero andate a genio.
No, non era una roba da ragazzini, da Sleepover Club con le regole per non essere buttati fuori dal gruppo. Non era neanche una cosa stupida, visto il soggetto implicato. Ovviamente si parlava di Magnus, certo, non di Alec. Sì, non se la sarebbe presa a male se si fosse sbattuto la prima che gli capitava davanti e no, neanche se si fosse sbattuto il primo che capitava, o se si fosse fatto sbattere lui stesso… no? I ragazzi se li poteva fare ma loro non potevano farsi lui? Perché cavolo gli stava dicendo queste cose? Erano affari suoi cosa voleva o meno fare con le sue conquiste e-

<< Andiamo Fiorellino, dopo aver conosciuto la tua arma da cecchino chi regge il confronto?>>
<< Questo. È per questo che abbiamo stabilito delle regole, per le tue infelici uscite. Regola numero due.>> rimbeccò Alec guardandolo male.
Magnus alzò gli occhi al cielo, fissando il tettuccio scuro dell'auto. << Niente riferimenti a ciò che è stato. >>
<< Regola numero uno?>>
<< Niente battute a sfondo privato se siamo in servizio.>> rispose lui laconico.
<< E quando siamo in servizio?>>
<< Dalle sette di mattina alle otto di sera. Che poi, parliamone, abbiamo dei turni di merda. Chi cazzo sta dieci ore a lavorare?>> domandò rigirandosi sul sedile e guardando accigliato l'altro.
<< Chi ha la lunga, Magnus. Le persone comuni quindi.>> Alec non spostò lo sguardo dalla strada ma alzò un sopracciglio per rendere meglio l'idea.
<< Hugh, dovrò farlo anche io?>>
<< Vuoi lavorare con me?>> chiese di rimando il moro.
Magnus a quella domanda sogghignò. << Con te? Non con te e Simon?>>
<< La squadra è mia, quindi devi principalmente lavorare con me.>>
L'altro fece una smorfia. << Non mi piace quando rispondi in modo pronto e maturo alle mie battute e allusioni, facendole diventare quasi domande serie.>>
Fu il turno di Alec di sogghignare. << Dopotutto sono io quello maturo, no?>>
Si strinse nelle spalle ed entrò nel parcheggio dello stabile, andando a fermarsi nei posti dedicati ai detective della sezione Omicidi.
Magnus non rispose, si limito a fargli il verso in silenzio e a slacciarsi la cinta, passandosi una mano tra i capelli per sistemarli un poco ed avere un aspetto decente. Non che lui fosse mai meno di magnifico, ma aver vicino un Tenente pettinato di tutto punto, con la sua divisa da Man in Black e soprattutto senza una mezza bottiglia di vodka in corpo, lo faceva sentire leggermente scombinato.
Sentì a mala pena il ragazzo dirgli di sbrigarsi, che erano in ritardo, e si controllò i denti per assicurarsi che fossero quanto meno puliti. Il suo alito puzzava comunque d'alcol, ma i pasticcini avevano mitigato di tanto la cosa, gli sarebbe bastato un tazzone di caffè ed un pacchetto intero di gomme da masticare.
Uscì finalmente dalla macchina sotto lo sguardo di rimprovero di Alec e gli fece la linguaccia giusto per dimostrargli che non era lui l'unica persona matura della squadra.
Vedere l'altro scuotere la testa e alzare gli occhi al cielo, intimandogli solo di comportarsi come si deve e non fare cavolate subito, gli lasciò in petto una sensazione di tepore, come quando dopo tanto tempo si torna a casa, alla propria vita e alle proprie abitudini.
Aveva passato a mala pena un mese a lavorare davvero con lui e poi cinque giorni senza sentirlo né vederlo, lui, il dipartimento, il parcheggio classista solo per i poliziotti e quella marea di divise blu che lo circondavano, eppure gli era mancato tutto terribilmente.
Se era vero che quello non era il suo mondo, che era e sarebbe sempre rimasto un demone in terra, Magnus aveva appena scoperto cosa rappresentava, cosa incarnasse, lui stesso su quel mondo.
Fissando Alec entrare con disinvoltura oltre le porte a vetri, l'uomo si disse che lui non poteva esser altro se non il demone della nostalgia e del rimpianto. Ma se il rimpianto era una cosa terribile, la nostalgia, si era reso conto, non era sempre così terribile, alle volte era solo la prova dell'affetto che si provava verso luoghi e persone, verso oggetti e vite vissute per circa trenta giorni festivi esclusi.
Sì, si disse entrando dietro al collega, la nostalgia poteva esser bella, specie quando finalmente la si appagava tornando lì dove meglio si viveva.




 







Stava per succedere qualcosa di terribile, ormai ne aveva la certezza.
Le cose erano iniziate bene per poi precipitare in una manciata di minuti. Poco era il tempo che serviva affinché tutto capitolasse senza posa, affinché la mano impietosa di un dio tiranno distruggesse ciò che l'equilibrio e la natura avevano costruito con tanto impegno.
Se avesse dovuto giudicare quella giornata solo dalla mattina avrebbe detto che fosse un buon giorno per lavorare, per far finalmente quello per cui era andato sino a lì, ma il sole bugiardo l'aveva ingannato ed ora poteva solo che assistere alla disfatta di tutto.
Aveva mandato da lui il suo araldo accecante e glielo aveva mosso contro, fingendo inizialmente che fosse lì per porgerli un segno di pace, per fargli abbassare la guardia com'era successo in realtà. Era stato sciocco, non aveva colto i segni, ed ora non gli rimaneva che soccombere sotto il peso della sua stupidità.

 






 

Simon si rispinse gli occhiali sul naso e sorrise un po' tirato al giovane vicino a lui.
In piedi, immobile, con lo sguardo torbido come i boschi bagnati, fisso e alienato dall'ascensore in cui si trovavano, Jonathan scrutava la lucida lastra senza vederla davvero.
Era diventato più magro quell'anno, Simon ricordava ancora la preoccupazione di Clary nel vederlo mangiare sempre meno, anzi, nel non vederlo mangiare per niente.
Anche se era un amorale figlio di puttana, Valentine era stato per Jonathan un padre come non era mai stato per Clary, che invece era stata cresciuta egregiamente da Luke.
Vero anche che Mr Morgenstern non aveva mai fatto mancare nulla al figlio più grande, non lo aveva mai trattato male, sino alla fine almeno, e non aveva fatto nulla per lederlo in nessun modo. Magari non avrebbe vinto il premio “padre dell'anno”, ma aveva svolto il suo ruolo, in modo un po' freddo, quasi più come un mentore con il proprio allievo, ma rimaneva il punto.
Che Jonathan avesse cominciato ad essere silenzioso, più cupo del solito, apatico e decisamente più irritabile del normale il che era tutto dire visto quanto fosse normalmente uno stronzo iracondo venuto dritto dall'inferno Dantesco- ignorando la gente e rispondendo a monosillabi, era comprensibile quindi.
Simon poteva capirlo, non fino in fondo forse, perché anche se aveva perso suo padre non aveva avuto il tempo – per fortuna o sfortuna, l'ironia dettava la risposta- di conoscerlo a fondo e di potersi affezionare a lui anche come persona e non solo come il suo papà. Rimaneva il fatto che Simon non era per niente stupito dal radicale cambiamento avvenuto nel ragazzo e a differenza della sua amica e di sua madre, sapeva che a Jonathan serviva solo il suo tempo per elaborare il tutto: poteva essere ancora un giorno o sarebbero potuti essere i prossimi dieci anni, ma alla fine ce l'avrebbe fatta.
Quello che lo turbava, in tutto ciò, era il modo in cui fissasse malissimo le porte dell'ascensore.
Era uno sguardo fisso e un po' perso, questo sì, tipo lo sguardo di qualcuno di arrabbiato con qualcun altro che intanto fissa una terza persona e sa che quella non ha colpe e infatti neanche la sta veramente guardando ma comunque la fissa malissimo e forse Alec aveva ragione doveva imparare a respirare anche mentalmente quando parlava perché gli stava mancando il fiato per quel dannato monologo interiore a flusso di Joice!
Simon lasciò andare l'aria che aveva trattenuto fino a quel momento e si mosse inquieto sul posto.

<< Ma sei così ansioso tutti i giorni della tua vita, o è un'esclusiva per quando sei solo con me?>>
La voce del giovane era annoiata e tagliente al contempo e Simon si domandò come fosse possibile.
Non riuscì ad impedirsi di sussultare, girandosi verso di lui e sorridendogli tirato.
<< Non sei tu- non solo per lo meno, ho solo una brutta sensazione su oggi, tutto qui, eh eh… >>
Jonathan si voltò verso di lui. << Perché hai una brutta sensazione?>>
<< Oh, nulla di che… >>
<< Non fare il poppante, non puoi dire una cosa e poi rimangiartela.>> il biondo assottigliò lo sguardo, facendo un passo avanti per fronteggiarlo.
A Simon risultò naturale alzare le mani in segno di resa, grato allo scampanellio che subito dopo lo informò di essere giunto al suo piano.
<< Non è niente, davvero. Capita la mattina che ti alzi con il piede sbagliato, no?>> disse retorico uscendo sul corridoio. Deglutì a disagio quando si rese conto che l'altro l'aveva seguito.
<< Non me la racconti bene, nerd, quando fai quella faccia stai nascondendo qualcosa.>>
<< Non è vero, cosa dici... >>
<< Sì che è vero, ti conosco da quando sei nato, non provare a fregarmi.>> Jonathan non lo mollò di un passo, fermandosi davanti alla sua scrivania con le braccia incrociate.
Simon provò a sorridergli, incerto e traballante, cominciando a mettere a posto cose già in ordine e ad allineare fogli e cartelle stipate nel porta documenti di plastica.
<< Vero, sì, però non è che hai poi passato così tanto tempo con me, magari ti sbagli no?>>
<< Lewis, sei stato in casa mia da quando sei venuto al mondo sino a quando non ho cambiato casa, ti venivo a prendere all'asilo assieme a Clary. Non-provare-a-fregarmi.>>
<< Giuro che non lo sto facendo, ma non saprei spiegartelo.>>
<< Balle. Sputa il rospo.>> lo freddò in fine.
Il ragazzo lasciò cadere le spalle sconfitto. << Okay, ma non mi picchiare.>> chiese poggiando le mani sullo schienale della sedia e mettendola tra lui ed il biondo, come fosse una difesa.
<< Dipende dalla grandezza della cazzata che stai per sparare, non assicuro nulla.>>
L'altro sospirò. << Sei gentile oggi.>>
Jonathan annuì e rimase in attesa, le braccia incrociate ed il fianco appoggiato al bordo della scrivania di Alec.
<< Forza, che aspetti?>> disse scocciato.
<< L'ho fatto.>>
<< Cosa?>>
<< Te l'ho detto.>>
<< Non è vero.>>
<< Ma sì, che sei gentile oggi.>>
Il giovane lo guardò male. << Io sono sempre gentile.>> asserì secco. Poi tacque.
Simon alzò un sopracciglio. << Ma se non ci credi neanche tu, perché lo dici?>>
<< Gentile forse no, ma sono educato.>>
<< Di solito sei intrattabile e mi prendi costantemente in giro.>>
<< Tu te le cerchi, è questo il problema. Servi le battute su un piatto d'argento. Non è colpa mia se sei stupido.>>
<< Ecco, vedi! Di solito sei così!>>
<< Non è vero!>>
<< Sì che lo è!>>
<< Vaffanculo allora! Se non ti va bene la prossima volta ti faccio venire a piedi e non mi preoccupo più se ti vedo con quella cazzo di faccia costipata!>>
Jonathan ringhiò contro l'altro guardandolo male, uno sguardo che divenne solo più furente quando Simon, con faccia stupita ed un mezzo sorriso incredulo sul volto, gli chiese a bassa voce:
<< Ti sei preoccupato per me? Davvero?>>

Probabilmente Jonathan avrebbe preso il primo oggetto che gli fosse capitato, disgraziatamente la pistola che portava alla cinta, e glil'avrebbe lanciata in pieno volto se solo in quel momento le porte dell'ascensore non si fossero aperte lasciando entrare nel piano un vociare concitato di due persone che, ormai da parecchi giorni, non si rivolgevano più la parola.
 

<< Ti dico che è una puttanata.>>
<< Linguaggio.>>
<< Oh, scusa Cap! Non lo farò più.>> fece una ironica, << Ma tu devi smetterla di prendermi a schiaffi.>>
<< Tu te li chiami, se fai il cretino devo riportarti all'ordine.>>
<< Non ho fatto il cretino, è la vecchia maledetta che non ha senso dell'umorismo.>>
<< Questo! Questo è uno di quei comportamenti che non puoi avere sul posto di lavoro! E non chiamare la Signora in quel modo!>>
<< Ma tu, hai sentito quello che mi ha detto?>>
<< Ero vicino a te mi risulta.>>
<< Mi ha dato della rivista di moda anni '90! Faceva prima a dirmi che le faceva schifo al cazzo come sono vestito, almeno non mi avrebbe paragonato ad uno dei periodi più neri della moda mondiale!>>
<< Almeno non ti ha detto “inizi del 2000”… >>
<< Beh questo è vero ma- O mio Dio, Alexander… TU SEI CONSAPEVOLE CHE QUEL PERIODO E' STATO PEGGIO DEGLI ANNI '90! Oh, tesoro! Sono così fiero di te!>>
<< REGOLA NUMERO UNO!>>

Simon e Jonathan guardarono accigliati l'inizio del corridoio, così come molti altri poliziotti lì presenti, battendo le palpebre quando videro Alec e Magnus arrivare assieme, il primo con la sua solita aria torva e seriosa ed il secondo quasi commosso ma palesemente irritato dall'ultima frase.

<< “Regola numero uno”? Di che diamine stanno parlando?>> chiese Morgenstern rivolto al collega.
Simon scosse la testa allibito. << Non ne ho la più pallida idea… però sono venuti a lavoro assieme, avranno fatto pace!>> concluse emozionato, battendo le mani e precipitandosi verso gli altri due.
<< Avete fatto pace?!>> disse ad alta voce.
<< Sì Lewis, ci siamo stretti il mignolino e abbiamo siglato la nostra pinkypromise. >> fece Alec con voce monocorde, guardando male il ragazzo.
Alzò poi lo sguardo e si ritrovò a fissare gli occhi verdi di Jonathan, puntati dritti su di lui.
Si guardarono senza dirsi nulla, capendosi alla perfezione e scambiandosi solo un cenno con la testa.

<< Sì, sì, diciamo che abbiamo fatto pace. Anche se sarebbe più corretto dire che ci siamo comportati da persone mature abbiamo deciso di mettere da parte i nostri problemi per il bene della squadra, della tua emotività, della mia pelle, del cuore del capo Blackthorn e della salute mentale di Alexander. Lo stress di questa situazione mi avrebbe fatto venire le rughe premature.>> si lagnò Magnus con una smorfia, per poi far l'occhiolino a Simon e battergli una mano sulla spalla.
<< Quindi è andata bene alla fine.>> fece quello sollevato.
<< No, è una merda, in effetti. Ma su più fronti devo dire, non solo su questo. Ho rivisto la mia ex.>> gli disse con leggerezza.
Simon sgranò gli occhi. << La stronza?>>
<< Ti ringrazio per averla chiamata così e non “puttana”. Mi ha rimproverato, dice che faccio girare strane voci su di lei ma anche se è una bestia di Satana non è una prostituta. Devo dargliene atto.>>
<< Mh… è andata peggio di quanto non credessi. Vuoi parlarne?>>
<< Oh, no. Ne ho già parlato con Alexander, in un certo senso. Poi abbiamo svagato ma mi sono liberato un po' all'inizio. Sai come funziona parlare con me, iniziamo a discutere dei miei anni ribelli e finiamo ad elencare i migliori tendaggi per un vero gazebo in stile indiano.>> si strinse nelle spalle con non-calanche, ma Simon ormai lo conosceva e sapeva che per quanto potesse fingere, Magnus era rimasto turbato dall'incontro con la malefica ex e che quello che aveva detto ad Alec non era abbastanza per farlo sfogare. Certo non metteva in dubbio che l'uomo ad un certo punto avesse svagato in modo imbarazzante. Non metteva neanche in dubbio che fosse stato una merda visto che odorava vagamente di alcol ed un po' di pasticcini.
<< Sei passato a prendergli i dolci? Diamine, allora ti volevi scusare per bene!>>
<< Io faccio sempre tutto per bene, Sonny. Quindi, ora poserò il cappotto e poi andrò a bere un caffè come si deve, fatto bene, con la mia magnifica nuova macchina del caf- >>
La voce gli morì in gola quando si rese conto di chi c'era nella stanza con loro, vicino alla loro postazione.
Jonathan non lo stava neanche guardando, teneva lo sguardo su Alec, i due erano impegnati in un muto discorso da cui tutti gli altri erano tagliati fuori ed in un qualche modo Magnus ne fu turbato: sia perché di solito era con i loro amici più cari – lui e Simon, pure Jace di solito- che Alec aveva quel comportamento, sia perché vederlo dopo mesi e mesi che ogni tanto una testa bianca come il sale spuntava nei suoi ricordi, riversa a terra nel suo salotto, dove ora c'era il suo magnifico tappeto, lo fulminò sul posto.

<< Che ci fa lui qui?>> chiese serio rivolto a Simon.
Il giovane si strinse nelle spalle e scosse la testa. << Mi ha dato uno strappo, stavamo parlando quando siete arrivati.>>
<< E da quand'è che te e Morgenstern parlate?>> Magnus alzò un sopracciglio scettico e Simon storse il naso.
<< Per tua informazione succede da più di ventiquattr'anni a questa parte.>> borbottò lui, memore ancora delle parole del biondo. << Senza contare che la Omicidi ha sempre avuto il caffè migliore, anche prima che arrivassi tu. Il che è ridicolo visto che tecnicamente sono quelli della OCCB che devo fare gli appostamenti più lunghi ed estenuanti. O la Crimini Maggiori. E sono quelli della sezione Persone Scomparse che invece stanno in giro come trottole a tutte le ora e hanno bisogno di caffè per rimanere svegli. La Stradale ha la sua caffetteria di fiducia, cioè, ogni pattuglia ne ha una, quindi qui di caffè ne prendono poco perché se lo portano da fuori. Alla fine, qui alla Omicidi, la gente fa turni di lavoro anche normali, per dei poliziotti intendo, tanto la gente è già morta e la maggior parte dei colpevoli non cerca di fuggire oltre il confine. È Alec che- >>
<< Steven, cosa ti fa pensare che m'interessi qualcosa di quello che sai dicendo?>>
<< Tu puoi sviare il racconto drammatico del tuo incontro con la tua ex e io non posso parlare della qualità dei caffè del dipartimento? Davvero?
Noi nei laboratori avevano le merendine migliori e le bibite energetiche, comunque.>>
<< Concessa la prima e assolutamente irrilevante la seconda. Se è qui solo perché stava parlando con te, ora perché lui e Alexander si stanno fissando intensamente in quel modo?>> continuò guardingo.
Simon sorrise. << Che c'è? Sei geloso perché ora che ha fatto pace con te sta parlando con altri?>>
<< Non stanno parlando, si stanno fissando.>> precisò cocciuto.
<< Ovvero “stanno parlando” a modo loro. Luke dice che hai tempi dell'Accademia, quando dovevano fare qualcosa assieme, si fissavano male per cinque minuti e poi facevano le stesse identiche cose, come se si fossero messi d'accordo.>> raccontò il ragazzo tornando alla sua postazione e lasciandosi cadere sulla poltrona girevole.
Magnus alzò un sopracciglio. << Mi stai dicendo che erano amici?>>
<< Assolutamente no! Si odiavano profondamente ma a quanto pare sanno comunicare. Qualcosa di maschile e testosteronico che viene condotto tramite onde odio e disprezzo immane. Non andavano molto d'accordo già dai tempi del liceo in fondo, quindi in Accademia le cose peggiorarono solo. >> disse spaparanzandosi e portando le mani dietro alla testa.
L'uomo invece lo fissò sorpreso. << Andavano al liceo assieme?>>

<< Se è per questo siamo anche entrambi dotati d'udito.>>
Alec lanciò un'occhiataccia a Simon, che immediatamente si mise composto, e poi fece a Magnus cenno verso la sua scrivania. << Prendete le vostre cose, abbiamo una stanza assegnata, lavoreremo lì, ci servirà molto più spazio di questo.>> disse secco.
<< Torniamo nella saletta della settimana scorsa?>>
<< “Stanza assegnata” intende che sarà nostra fino a nuovo ordine e che possiamo farci tutto quello che ci pare?>>
<< Posso portare un paio di schermi?>>
<< Posso portare lì la macchina del caffè così non mi devo alzare?>>
<< Possiamo montare un paio di lampade? La luce lascia a desiderare.>>
<< Ma avremo anche la lavagna? Come nei film?>>

<< Dio, Lightwood… fanno sempre così?>> Jonathan guardò quasi disgustato gli altri due ed Alec si strinse nelle spalle.
<< Uno lo conosci da quando è nato e dell'altro saprai vita, morte e miracoli raccontati direttamente da Lucian. Mi hai davvero fatto questa domanda?>>
Morgenstern tirò le labbra in una linea piatta. << Mh, domanda inutile, sì… >>
<< Ma ci stai ignorando!>>
<< Congratulazioni Bane, sei più sveglio di quanto credessi.>> disse con il suo solito fare strafottente Jonathan.
Magnus lo guardò malissimo ma l'altro non si scompose, anzi, sorrise. << Oh, ti prego, ho passato quasi sei anni della mia vita a stretto contatto con Lightwood, pensi davvero di essere in grado di uccidere la gente con lo sguardo come fa lui?>> chiese divertito.
<< Non ha tutti i torti… >>
<< Sta zitto Severin!>>
<< Quando avete finito possiamo andare.>> s'intromise Alec.
<< E se non avessimo finito?>>
<< Alzi comunque il sedere e ti muovi.>> lo ghiacciò.
Magnus incrociò le braccia al petto e lanciò anche a lui un'occhiataccia. << Ti stai di nuovo comportando da stronzo.>> lo informò.
<< Dov'è la novità?>> chiese Morgenstern poggiando con tranquillità il braccio in testa a Simon.
Per tutta risposta Alec si limitò ad indicare il biondo con il dito, dandogli perfettamente ragione, poi prese dei documenti sul tavolo, gli diede uno sguardo per controllarli e fece cenno agli altri di seguirlo.
Magnus storse il naso, lamentandosi che doveva ancora prendere il caffè, mentre Simon cercava di togliersi di dosso Jonathan che invece gli camminò affianco con li gomito cocciutamente poggiato sul capo del più piccolo.
<< Dai, Jonathan, devo andare a lavorare, vuoi lasciarmi in pace?>>
<< Non mi pare che ora tu stia lavorando e non mi pare neanche di starti impedendo di seguire il tuo capo.>> sogghignò quello.
<< Sì, ma questo è un club privato, caro.>> fece Magnus afferrando Simon per la maglia e lanciandolo dentro alla stanza in cui era appena entrato Alec. << Quindi: buona giornata!>> gli fece un occhiolino e poi gli chiuse la porta in faccia.
O almeno ci provò.
Il piede di Jonathan si frappose tra l'anta e l'uscio, bloccando con prepotenza il gesto altrettanto violento di Magnus. Probabilmente il tonfo della porta si sarebbe sentito per tutto il piano.
L'uomo fece per protestare, guardando seriamente e anche vagamente in cagnesco l'altro che invece sorrideva tranquillo e senza un solo problema al mondo, anzi, stava… stava gongolando? Per cosa?
Magnus aprì bocca per dirgli di togliersi dai piedi, quando la voce di Alexander lo fece voltare.

<< Magnus, fai entrare Jonathan, dobbiamo lavorare.>>

Lui e Simon si erano già sistemati al grande tavolo centrare alla stanza. Alle spalle del tecnico le vetrate erano semi coperte delle tende grigio chiaro, la luce entrava delicata e filtrata sia dalla finestra opaca che dalle nubi che occupavano il cielo quel giorno, ma questo non impedì agli occhi di Alec di brillare sicuri e imperturbabili quando sia Simon che Magnus lo guardarono con fare scioccato ed ugualmente interrogativo.
Se l'uomo si fosse girato avrebbe potuto vedere anche come quella luce bassa e lattiginosa illuminasse in modo inquietante il sorriso soddisfatto di Morgenstern.
Senza aspettare la minima reazione dagli altri Jonathan spinse con leggerezza la porta e sgusciò dentro passando tra lo stipite di metallo e l'asiatico, ancora imbambolato lì vicino.
<< Che vuol dire?>> chiese senza capire.
<< Quello che ho detto. Dobbiamo lavorare. Ti ho accennato le generalità di questa indagine, stiamo indagando su uomini che, letteralmente, organizzano crimini. Il Caso è nostro perché abbiamo trovato il cadavere e perché abbiamo i giusti agganci per continuare ad indagare, ma non possiamo fare tutto da soli. Se dovessimo coinvolgere tutte le sezioni del Dipartimento saremo in troppi, ma non cambia il fatto che ci servano tutte le conoscenze possibili: Noi indaghiamo alla “luce del sole”, l'Antidroga con i suoi agenti sotto copertura, la SWAT pronta ad intervenire in ogni momento e la Crimine Organizzato con un agente di collegamento che si unirà alla squadra.>>
Il silenzio si fece spesso e pensante, acuito dall'incredulità dei presenti.
Jonathan avanzò nella stanza sino a fermarsi al fianco di Alec, alla sua destra come se fosse il suo più forte e fidato affiliato.
<< Salve, sono l'agente di collegamento. A quanto pare dovremo lavorare insieme per un bel po'. >>
Il ghignò che gli si aprì sul volto, Magnus lo sentiva perfettamente, reclamava a gran voce d'esser tolto a suon di sprangate sui denti.

Si preannunciava un Caso difficile oltre ogni limite e di certo non con una compagnia semplice.
Alec si domandò se la cosa più complicata sarebbe stata districare quell'intricata rete di criminali o far si che gli altri lavorassero tranquillamente senza uccidersi a vicenda.




Quella che era cominciata come una bella giornata, con tanti buoni propositi, che poi era lentamente scivolata nell'inquietudine, si dimostrò per quello che in realtà era: una grandissima apocalisse annunciata. E dire che lui le apocalissi, le invasioni aliene e lo scoppio di virus che trasformano la gente in zombie lì vedeva sempre a metri e metri di distanza… questa volta aveva ritardato troppo ma alla fine Simon aveva avuto perfettamente ragione.

Oddio, morirò.











Seduti tutti attorno al tavolo, Magnus e Simon da una parte e Jonathan – soddisfatto e ghignante- vicino ad Alec dall'altra, il Tenente aveva distribuito dei fascicoli e cominciato a spiegare la situazione.

<< La cosa è abbastanza chiare in linea teorica: esiste un gruppo di uomini, come un'associazione, che perpetra azioni più o meno legali e di dubbia moralità. Non sono sempre azioni criminose ma spesso deplorevoli, che hanno come obbiettivo denaro e potere.
Questa rete pare aver radici molto profonde, il Capo Manchester ha detto di aver sempre combattuto contro questo genere di persone e di avervi visto, in qualche modo non convenzionale, un disegno dietro. Non sono sempre le stesse persone, non si passa il testimone e non si eredita il posto, vedetela come una serie di agenzie che svolgono un lavoro particolare e che al momento del bisogno si riuniscono e si danno manforte le une con le altre. A chi spaccai serve di eliminare un concorrente? Chiama “l'agenzia” deputata agli omicidi e questa gli risolve il problema, concedetemi l'esempio.
Il problema di organizzazioni fatte così, ad isole separate, collegate solo da patti di non belligeranza e di aiuto reciproco, è che nel momento in cui se ne smantella una le altre non affiorano in superficie. Sono comparti stagni che chiudono i ponti e continuano per la propria strada.
Quando viene catturato il capo di una data “isola” i membri che sono sfuggiti all'arresto si riorganizzano e rimettono su una nuova agenzia, riprendendo le file di quella vecchia ma modificandola, correggendo le falle che l'hanno fatta cadere.
Tutto chiaro sino a qui?>>
I ragazzi lo ascoltavano con serietà, gli occhi fissi su di lui, senza perdersi neanche una parola di quello che diceva.
Alec guardò uno ad uno i suoi colleghi, fermandosi in fine su Magnus, inchiodandolo per assicurarsi che capisse cosa stava per dire, che lo capisse sino in fondo e avesse la possibilitàcome gli concesse con il primo caso- di dirgli subito tutto ciò che sapeva o fargli capire che glielo avrebbe detto in seguito, ma che l'avrebbe fatto.
Non gli avrebbe permesso il contrario.
 

<< Ma, Alec,>> chiese Simon accigliato. << Non avevano detto che fosse una sola agenzia che muoveva tutto?>>
Il moro spostò per un attimo lo sguardo sull'altro. << Così la teoria non fila. Se ci fosse un unico capo le metodologie in ogni azione sarebbero simili, anche se in modo infinitesimale. Ma così non è e quando cade un capo, magari legato allo spaccio, non crollano anche tutti gli altri. Senza contare che se ci fosse un solo superiore sarebbe una persona con troppo potere e sarebbe impossibile non averne mai sentito parlare. Magari sarebbe un imprenditore, un politico, un filantropo o chicchessia, ma lo conosceremo, avremmo dei sospetti. In più non credo che sarebbe così facile da uccidere, mentre noi sappiamo che questi “capi” cambiano perché finiscono dietro le sbarre.>>
Simon annuì concorde con quella spiegazione più che logica ed Alexander tornò a concentrarsi su Magnus che nel mentre aveva seguito lo scambio di battute come Jonathan.
<< A questo punto, come vi ho detto, la mia idea è che si tratti di più persone facoltose che si riuniscono in un'unica associazione. >> scandì bene le parole e non mosse lo sguardo da quello verde chiaro del collega.
Le pupille di Magnus si fecero improvvisamente più piccole e se la luce fosse stata un po' più forte probabilmente anche gli altri si sarebbero resi conto che era impallidito, ma solo Alec che vi stava facendo caso lo vide e non gli piacque perché significava solo una cosa:


Ho indovinato. Lo sa.


Cercò di comunicargli con lo sguardo che, malgrado lui non avrebbe detto niente davanti agli altri, poi ne avrebbero parlato in privato e continuò a spiegare il caso, le prove già in loro possesso, i vecchi arresti ed i collegamenti che si snodavano nel tempo, andando a ritroso, sollevando da dentro le scatole accatastate a terra, pile di fascicoli su fascicoli e dividendoli per crimine.
C'erano gli spacciatori, gli omicidi su commissioni, quelli per il territorio, le lotte di potere, gli attentati, le minacce ed i rapimenti, i furti di varie entità e l'elenco di quelle persone prese e torturate per farle parlare, tutto ciò che sapevano.
Magnus era rimasto impietrito, nella sua retina era ancora impresso a fuoco il blu accecante degli occhi seri e severi di Alexander, ma questo non gli impedì di notare una cartella corpulenta proveniente dalla OCCB su cui spiccava una data bene chiara, Giugno 2007 .
Fissò quell'ammasso di fogli senza vedere altro se non quella scritta frettolosa a penna nera, leggermente sbafata ed in una calligrafia che non conosceva – a differenza di Jonathan che la conosceva sin troppo bene- chiedendosi quanto sapesse effettivamente Alec e quanto invece gli avesse confermato lui con il suo comportamento e la sua espressione.
Perché lo sapeva che il detective si era reso conto che stesse sudando freddo, che fosse più in ansia che mai, che gli si fosse aperta una voragine nello stomaco e che aveva solo voglia di vomitare tutto.
Il sapore della vodka gli risalì prepotente alla bocca e Magnus si maledì di aver bevuto anche solo un goccio.
Ad esser onesti, si maledì per tante, troppe cose.
Ascoltò pietrificato il detective spiegare come si sarebbero divisi il lavoro, che per prima cosa avrebbero dovuto studiare per bene tutti quei documenti, fare una cernita tra ciò che reputavano collegato e cosa invece non lo era. Nomi ricorrenti, eventi ricorrenti, metodologie, luoghi, armi, tutto ciò che poteva puntare in una sola direzione andava appuntato sulla lavagna in un grafico temporale che avrebbe aiutato a chiarir loro le idee.
Lo vide prendere pacchie cartelle e passarle a Jonathan, sulla prima in cima spiccava la data del 1980. La seconda pila invece iniziava dal 1989 e Magnus deglutì, conscio che lì in mezzo vi fossero gli albori della sua vita criminale, oltre che ben dieci anni di cose da leggere e controllare. Per un momento sperò vivamente che quegli anni capitassero a lui, così come a Morgenstern erano capitati gli anni d'oro del padre, ma Alec mise la pila da parte e subito dopo ne prese un'altra su cui capeggiava un fascicolo del 1999, di fianco a quello uno su cui spiccava la scritta 2010.
La voglia di vomitare di Magnus stava salendo a poco a poco, assieme alla realizzazione che qualunque di quelle cartelle gli fossero arrivate in mano sarebbero state difficili da sopportare.
Poteva capitargli l'inizio del suo lavoro, quando era poco meno di un ragazzino, quando aveva scorto l'apice di quella rete che lui conosceva fin troppo bene: quella sarebbe stata la cosa più leggera. Ma potevano toccargli anche i primi anni 2000, dove in mezzo spiccava il maledettissimo 2007 e tutto quello che si era portato dietro. In fine vi erano i fascicoli dal 2010 in poi, quindi dentro vi avrebbe trovato anche gli atti della morte di Ragnor, sicuramente, e non sapeva se poteva riesaminare tutta quella roba e vedere le foto del cadavere, della casa a soqquadro, non sapeva se avrebbe sopportato il verbale di quella notte d'agosto.
Era un vicolo cieco: se gli fossero capitati i primi qualcuno avrebbe letto del 2007. Se gli fosse capitato quello allora altri avrebbero letto dei suoi primi passi nel mondo del crimine. Se in fine non gli fosse capitato nessuno avrebbe dovuto rivivere quei mesi infernali.
Forse avrebbe potuto chiedere quelli dati a Morgenstern, ma così lo stronzo avrebbe letto cose troppo delicate che lo riguardavano e per di più si sarebbe dovuto riscontrare con la morte del padre. Il padre di Simon non era morto verso il '96? Quando Simon aveva circa cinque anni?
Ovunque si girasse, comunque guardasse quella stupida assegnazione di tempi, c'era qualcosa che stonava e lo faceva in modo dannatamente stridente.
E a quanto pare Alexander doveva aver pensato esattamente la stessa cosa.

Sia mai che non capisce tutto al volo.

 

Alec fissava quelle tre pile di documenti chiedendosi per quale dannato motivo non potesse leggerle tutte da solo. C'avrebbe impiegato quattro giorni, va bene, una settimana, ma almeno non si sarebbe trovato in quella situazione.
Assegnare a Jonathan gli anni '80 gli era sembrato più logico e giusto nei suoi confronti: in questo modo avrebbe potuto vedere dove e come suo padre era cambiato, avrebbe potuto capirci molto di più – e sicuramente meglio- di quello che avrebbero potuto far loro. Perché era indubbio che Valentine avesse avuto le mani in pasta anche con quell'associazione fantasma che ora stavano inseguendo, se era davvero vasta e ben radicata come credeva doveva per forza essere così.
Non voleva assegnare a Simon gli anni '90 soprattutto perché non si faceva ancora massiccio uso di tecnologia, non come se ne sarebbe fatto negli anni 2000-2010, dove sicuramente lui avrebbe fatto più progressi degli altri più velocemente, ma se doveva essere sincero non voleva che né lui né Magnus vedessero cos'era successo a cavallo tra l'inizio e la prima decade del nuovo secolo.
La “zona buia” di Alec andava dal 2006 al 2012, ma certo non poteva mettersi a smistare così quelle cartelle, avrebbe dato troppo dell'occhio.
Guardò i suoi colleghi e ci pensò su seriamente, cosa fare? Lasciare che Magnus vedesse come era diventato Sergente? Come era tornato dal Medio Oriente? Perché era sicuro che in un qualche modo anche lui fosse in quei fascicoli, specie per la prima pallottola di Jace.
La seconda pila avrebbe implicato anche il Caso Fell e il Caso Circle e Alec non sapeva proprio come comportarsi.
Fissò quelle cartelle, quelle date scritte a penna sulla carta grezza e alla fine prese la sua decisione.
Per quanto si potesse fidare di Magnus non gli avrebbe fatto vedere quel lato di sé, non glielo avrebbe neanche fatto scorgere da lontano, fatto intuire tra i verbali di sparatorie e ordini di servizio.
Spinse verso l'uomo i fascicoli degli anni '90 con sicurezza. Magnus fece una smorfia ed Alec non ebbe bisogno di chiedergli perché, ne avrebbero parlato in seguito.
Prese poi la pila del 2000 e la passò a Simon, che probabilmente non si era reso conto del grandissimo atto di fiducia che Alexander aveva appena fatto nei suoi confronti: lì dentro avrebbe trovato i rapporti dei primi lavori dei ragazzi dell'accademia, persino i suoi, i primi arresti degli spacciatori e dei ladruncoli -quando la criminalità era esplosa aiutata dalla tecnologia- compresa la nota d'interesse che un colonnello della Marina aveva lasciato al suo superiore dopo averlo visto sparare.
Per sé tenne quei dannati anni che andavano dal 2010 a data odierna, lì avrebbe trovato un po' di quegli scheletri che si portava costantemente addosso e che la sera riponeva con cura nell'armadio.

A quanto pare, per dimostrare finalmente di essere degno del suo distintivo, Alexander avrebbe dovuto rivivere eventi che avrebbe preferito cancellare dalla memoria dell'umanità.






 

In piedi davanti alla macchinetta del caffè ancora lucida e fiammante, Magnus attendeva con pazienza che la bevanda arrivasse a giusta temperatura.
Se gli fosse stato possibile c'avrebbe messo dentro anche almeno due dita di rum, ma vista la nausea che gli era presa prima al sol ricordare eventi passati questa non era una buona idea.
Alla fine aveva avuto “fortuna”, per così dire, ma si era ugualmente maledetto quando si era reso conto che, con tutta probabilità, le sue azioni criminali non sarebbero rientrare in quei fascicoli, o che sarebbe bastato dire che lui non c'entrava niente per convincere i suoi amici - non era certo che valesse lo stesso anche per Jonathan- ad accantonare le cartelle che lo riguardavano.
Era ovvio che in alcune cose il nome dei Bane sarebbe uscito fuori, suo padre aveva lavorato con tutti, anche quando la gente lo credeva ormai fuori dal continente lui era ancora lì, a muovere le fila di un impero che gli sarebbe sempre stato fedele.
Quante volte gli aveva detto che gli avrebbe passato il testimone ma poi aveva ugualmente continuato a gestire tutto lui? Alle volte Magnus si domandava se, ad oggi, fosse diventato davvero lui il “capo” o se fosse ancora Asmodeus a detenere lo scettro e la corona, a sedere sul trono anche se lontano chilometri.
Forse era ancora così, sì, perché Magnus non aveva alcuna voglia di doversi occupare di tutto, quindi aveva trovato dei fedeli e fidati bracci destri – si poteva dire così? - e questi si erano rivelati esser nulla di meno degli ex fedelissimi di suo padre. Quindi era quello il punto? Magnus veniva visto ancora come un principe e non come il re in carica? Suo padre gli faceva ancora credere che fosse lui il boss mentre invece continuava a fare il suo lavoro?
Magnus non aveva mai avuto problemi troppo gravi con i suoi sottoposti, la cosa di cui si occupava maggiormente era l'importazione illegale di alcolici di ogni tipo, di ogni gradazioni. La sua specialità poi era del tutto diversa da quella di suo padre: mentre Asmodeus creava mondi, li modellava a suo piacimento e li popolava delle creature che più gli gradivano, Magnus era sempre stato un mago nel trovare, recuperare e procurare cose di ogni tipo. Che fossero oggetti di lusso, edifici, somme di denaro, che fossero partite di droga o riciclo di soldi sporchi. Magnus poteva trovare tutto, poteva avere tutto e così i suoi clienti. E riusciva in questo proprio perché aveva tanti amici sparsi in ogni ambiente, qualunque ambiente.
La cosa gli era sempre parsa magnifica sotto ogni punto di vista, per lo meno sino ad ora.
Il Clan.
Alexander stava cercando il Clan e con lui tutti i Figli della Notte.
Per sua grandissima sfortuna molti dei suoi amici facevano parte di quella famiglia oscura e potente.
Doveva preoccuparsi per il ragazzo? Per ciò in cui si sarebbe tirato dentro? Questa volta non doveva lottare contro poliziotti corrotti e potenti, non avrebbe avuto la giustizia dalla sua, l'opinione pubblica. Non sarebbe bastato difendere i suoi cari, non sarebbe bastato difendere sé stessi.
Tra quella gente c'era chi era capace di farti sparire, chi di farti comparire dove non eri mai stato. C'era chi ti poteva procurare soldi, divertimento, sballo, vita. Era un Élite di primo ordine, messa in piedi da uomini che avevano le spalle coperte dal denaro, dal potere, dalla politica e da altri come loro. Come poteva Alexander, da solo, combattere contro tutto questo?
Per un attimo gli venne voglia di tornare in sala e dirgli di lasciare perdere, di affidare il Caso a qualcun altro perché così si sarebbe solo firmato la sua condanna a morte, ma poi avrebbe dovuto spiegargli il perché di quella sua affermazione e allora cosa gli avrebbe detto?

Scusa Alec, è che conosco alla perfezione tutta la gente che vuoi scovare e sbattere in gabbia e posso dirti che molti di loro sono amici, se non parenti, se non loro stessi, di uomini pubblici di potere e di grande importanza, non potresti mai farli fuori legalmente, ti distruggerebbero in meno di un secondo.

Oh, sì, così era perfetto, Alexander docile e pauroso com'era avrebbe subito fatto dietro front e mollato.

Che situazione di merda.

 

<< Tutto bene?>>
La voce pacata e gentile che lo riscosse era proprio quella che non voleva sentire in quel momento.
Alec gli si avvicinò ad agio, prese una delle tante tazze blu del dipartimento e l'affiancò alla sua nera dal bordo giallo. Lo spostò con delicatezza, premendo semplicemente la mano sulla sua spalla e poi tolse la brocca del caffè dal supporto.
<< Pensavo volessi un caffè fatto per bene, non un caffè americano.>> gli disse senza guardarlo, concentrato a versare la bevanda nelle tazze.
Magnus storse il naso. << Dov'è finito il tuo spirito patriottico? Dovresti difendere a spada tratta i prodotti e le ricette americane.>>
<< Il caffè è americano, ma dell'altra America, così come lo è la sua preparazione. È solo una cosa che abbiamo rubato ad un paese che ha molta più storia pregressa di noi.>> rispose lui.
L'altro si accigliò. << Anche noi abbiamo la nostra storia.>> gli fece notare.
<< Dopo la “scoperta” però, non mi pare che a scuola ci insegnino cosa successe prima dell'arrivo dei coloni, come se tutto ciò che è degno di nota fosse partito da loro. Si studiano le vecchie civiltà, quelle nel vecchio mondo, ma neanche così bene, devi essere fortunato ed avere un buon insegnate, ne no niente. Siamo un po' egocentrici, non credi? Insegniamo ai nostri bambini solo le nostre lotte e non quelle dei popoli che ci hanno preceduto.>>
Ripose la caraffa al suo posto e zuccherò le bevande come se queste conversazioni fossero all'ordine del giorno.
<< Perché mi dici queste cose?>> chiese quindi Magnus.
<< Sei tu che hai parlato di patriottismo del caffè, ti ho solo detto la mia.>> gli porse la tazza e si poggiò poi al bancone, guardandolo da sopra il bordo di ceramica smaltata.
Quegli occhi blu erano inquisitori e fermi, eppure così gentili, come se stesse aspettando solo lui, gli stesse concedendo del tempo per dire qualcosa che, prima o poi, avrebbe per forza dovuto confessare.
Magnus non lo sapeva se glielo voleva dire, se voleva spiegare e Alexander lo sapeva bene.
<< Io conosco la storia passata, mia madre è cresciuta in una Riserva… >>
Alec annuì. << Mi avevi accennato al fatto che fosse Nativa.>>
Ci fu silenzio dopo quell'affermazione, tutti e due si concentrarono sul bere il loro caffè e non pensare ad altro, o per lo meno questo era quello che cercava di fare Magnus.
Se non avesse aperto bocca, si disse, non avrebbe fatto alcun danno.
Peccato che non potesse controllare anche quell'altra, di bocca.

<< Chi altro c'è dentro dei tuoi?>>

Quella domanda gli fece andare di traverso il caffè, la sua gola si contrasse ed il liquido si compattò come un corpo solido, facendogli esplodere un dolore lancinante nella faringe.
<< C- come?>> chiese gracchiando.
<< Il Clan.>> disse solo Alec. Sorseggiò ad agio la bevanda bollente e si leccò le labbra, senza cercare di nascondersi dietro al bordo della tazza. Lo fissò dritto negli occhi per vedere, per non perdersi neanche un segnale, perché non poteva perdersi nulla.
<< Alexander, non credo che- >> “questo sia il luogo esatto per parlarne? Ho paura che potrebbe entrare uno dei tuoi colleghi, Simon anche, o Dio non voglia quel bastardo di Morgenstern, e sentire ciò che ti dovrei dirti? Non posso dirtelo davvero?” qual'era la cosa giusta da dirgli?
<< La tua ex. >> continuò tranquillo il moro.
Magnus deglutì, glielo aveva detto quella mattina, si era fatto sfuggire quella dannata parola solo due ore prima.
<< Raphael.>>
A sentire il nome dell'amico sobbalzò, fissando con serietà e durezza quegli occhi blu, che gli restituirono uno sguardo altrettanto serio ma per nulla intimidito.
<< Lily anche presumo.>>
Quello invece lo lasciò senza parole: come poteva saperlo?
<< Ho dimenticato qualcuno? >> chiese più pro-forma che per altro.
Magnus posò la tazza sul piano e prese un respiro profondo. << Perché loro?>>
<< Forse volevi chiedermi “come lo sai?”.>> lo corresse.
L'uomo fece una smorfia infastidita. << Lo voglio sapere?>>
<< Mi è bastato pensare al loro lavoro, a quello delle loro famiglie. Per la tua ex me lo hai detto tu.>>
<< Lo so che te l'ho detto io. Solo non pensavo che fosse… inerente al caso.>>
<< Non lo sapevo neanche io, se la cosa può consolarti, non prima che tu lo dicessi.>> lo confortò con un piccolo sorriso storto.
Magnus sospirò ancora e chiuse gli occhi. << Se stiamo davvero dando la caccia a loro… >>
<< Non posso assicurarti che non verranno indiziati. Non posso prometterti che se i loro nomi spunteranno durante l'indagine non troverò il modo di scoprire di quali crimini si sono macchiati e di farli pagare per questo. So che sono tuoi amici Magnus, in un qualche modo lo sono diventati anche per me. Ma non posso evitare di fare il mio lavoro solo perché porta ad una conclusione che non mi piace.>>
Glielo disse così come faceva per ogni cosa importante: con voce ferma ma pacata, educato e al contempo schietto, diretto. Non lo avrebbe mai illuso dicendogli che tutti i suoi amici sarebbero stati al sicuro, non lo avrebbe mai fatto, lo sapevano entrambi. Alexander era un poliziotto, era l'angelo vendicatore ed inquisitore che tutto osservava e che poi concedeva il suo giudizio finale con sincera, ligia e lecita giustizia.
Magnus lo fissò di rimando e poi fece un singolo segno secco con la testa.
<< Questo lo so, non te lo chiederei mai. Ma sappi che qualora venissero indiziati farò di tutto per scagionarli, anche aggrappandomi al più piccolo dei fatti, alle incongruenze minuscole, ad un fascicolo lasciato per più di un'ora alla portata di tutti, al ragionevole dubbio. Farò di tutto per salvare i miei amici. >> disse sicuro, poi piegò le labbra in un accenno di sorriso. << Ma rispetto il tuo lavoro e questo “di tutto” che farò sarà sempre e solo legale. Se dovrò combatterti, se dovrò combattervi, te, Simon e il Dipartimento, lo farò sul vostro stesso campo, non sul mio. Ma lo farò.>>
Rimasero a guardarsi dritti negli occhi, nessuno dei due intenzionato ad abbassare lo sguardo, consci dell'importanza di quelle parole, di quelle affermazioni fatte da entrambi i fronti.
Poi Alexander si esibì in un altro dei suoi sorrisi storti e per un attimo Magnus si domandò cosa ci fosse da sorridere.
<< Sappi che sono un agente quasi maniacale nel controllo delle prove. Sono un osso duro sia sul campo che al banco dei testimoni.>> disse con una nota divertita nella voce.
Magnus sbuffò una risata nasale. << Oh, me lo ricordo. Facevi paura su una sedia a rotelle e con l'ossigeno, non voglio immaginare cosa tu possa fare al pieno della tua forma. Ma anche io sono un osso duro, so affrontare dei processi, so anche qualcosa di giurisprudenza.>> lo avvertì.
<< Sì, ma non credo che tra i due sia tu quello che secondo i piani famigliari doveva fare l'avvocato.>>
Magnus alzò un sopracciglio. << Dovevi fare l'avvocato?>>
<< Già. La storia di come ho detto a mia madre che non ne avevo la minima intenzione te la racconto un'altra volta magari.>> così dicendo si versò un'altra tazza di caffè e gli diede una pacca sulla spalla. << Su, torniamo a lavoro ora. >>
Si avviò verso la porta e vi si fermò ad aspettarlo.
Magnus non si mosse subito, riprendendosi anche lui del caffè e impegnandosi nel cercare dove diamine fosse il suo zucchero di canna, quando la voce dell'altro lo richiamò.
<< Magnus?>> disse piano.
L'uomo si produsse in un verso indistinto ed interrogativo, che serviva solo a spronare l'altro ad andare avanti.
<< Non mi sarei aspettato nient'altro da te, sappilo.>>
L'asiatico si bloccò che stava sulle punte dei piedi, una mano attaccata all'anta del mobile per cercare di scorgere se dietro all'ammasso di scatole del tea, del caffè e di biscotti dal dubbio contenuto energetico ci fosse il barattolo del suo dannatissimo zucchero di canna biologico.
Voltò la testa con lentezza, rimanendo in quella buffa posizione e scrutando l'espressione seria e sincera del collega.
Gli sorrise spontaneamente, perché sapeva che quelle parole significavano “fiducia”, significavano che il detective era venuto lì per parlare con lui lontano da orecchie indiscrete e per chiarire la sua posizione, ma che fosse anche sicuro che lui avrebbe rispettato il suo lavoro, la sua posizione, il suo dovere.

Il loro lavoro.
 

<< Ovvio che te lo aspettavi, dolcezza, mi conosci bene dopotutto, no?>> trillò allegro.
Alec per tutta risposta gli lanciò uno sguardo omicida, poi arricciò il naso che si portò dietro il labbro superiore in una smorfia schifata.
<< Non chiamarmi in quel modo.>>
<< Preferisci che torni a Fiorellino?>> lo provocò l'altro.
<< Preferisco invece che questa diventi la regola numero cinque.>> risposte Alec incrociando le braccia al petto, la tazza blu poggiata sull'avambraccio sinistro, stretta tra le dita lunghe e ruvide.
Fu il turno di Magnus di fare una smorfia schifata. << Che dici, vuoi scriverci un manuale con tutte le stupide regole che mi proporrai?>>
<< Non tentarmi.>> borbottò Alec dandogli le spalle. << E muoviti, dobbiamo esaminare delle cartelle.>>
<< Non può farlo Sonny con una ricerca incrociata?>>
<< Alcuni documenti non sono inseriti nel database e poi i computer non hanno il criterio giusto per una ricerca così specifica. Simon dovrebbe creare un programma da zero, basato su linee guida studiate a punto. Ci metteremo più tempo a selezionare solo queste che ha leggere tutti i fascicoli. Per di più, la mente umana è più incline a vedere collegamenti non logici.>>
<< Quindi cosa faremo?>> domandò affiancandolo. << Leggeremo tutta quella roba, ognuno di noi segnerà qualcosa sulla lavagna e poi? Che proponi? Metterci lì a ricontrollare singolarmente tutto e dare i numeri come al bingo per vedere quali Casi si collegano agli altri?>>
Alexander scosse la tessa e si infilò una mano in tasca, scostando il bordo della giacca nera e perfetta.
Magnus avrebbe dovuto chiedergli quale fosse la sua lavanderia prima o poi ma temeva che il detective gli avrebbe risposto che se li stirava da solo i vestiti.
<< Controlleremo tutti i Casi, li appunteremo e poi useremo un criterio di base per collegarli. A quel punto potremo usare i programmi di Simon.>>
<< Questo mi pare già più convincente. Dopo di ché?>> insistette lui.
<< Dopo di ché faremo la nostra prima mossa.>>











 

Il vecchio appartamento si trovava ad Harlem e forse non era il luogo migliore per una come lei, se ne era innamorata a prima vista e l'aveva fatto ben tredici anni prima.
Era un attico, grande e spazioso, con delle enormi finestre inclinate che seguivano la forma del tetto spiovente di un edificio degli anni venti. Era stato ristrutturato da capo a piedi e reso a prova di bomba. Letteralmente, le pareti avevano più sbarre di ferro di quante non ne avesse la Torre Eiffel.
Era il suo bunker soprelevato, la sua torre di Raperonzolo da cui nessuno avrebbe mai potuto portarla via. Non più ormai.
C'era stato un tempo in cui aveva sciolto la sua lunga chioma bionda per far salire colui che credeva avrebbe amato per tutta la vita. Camille non era mai stata una persona troppo romantica, non in modo fiabesco, sapeva che l'amore era grande ma non durava sempre per l'eternità, sino al giorno della tua morte e amen. Era conscia che un sentimento grande e potente come quello non potesse essere imbrigliato da un solo essere, che era mutevole e si espandeva verso ogni dove, scivolava via come acqua fresca, ardeva come fuoco e solo raramente rimaneva stabile come la terra.
Ma anche la terra viene scossa dai terremoti e dalle eruzioni, percossa dai tornado, frustata dagli tsunami. Anche ciò che pare fisso poi si muove.
Trovare il vero amore, quello che ti avrebbe messo la fede al dito ed una catena d'oro al cuore, era così raro e difficile che spesso la gente finiva per passare la sua vita assieme a qualcuno per cui nutriva un grandissimo affetto ma solo un normale amore.
Quando aveva conosciuto Magnus, quando lo aveva conosciuto davvero, aveva creduto di essere uno di quei privilegiati che, casualmente, era inciampato nella sua metà della mela.
Avevano passato anni magnifici, dettati da un ritmo incalzante e da un'affinità sorprendente che aveva trovato solo con un altro paio di persone, ma ora, a mente lucida, Camille aveva capito che anche lei era rimasta vittima del sortilegio che incantava tutti: il loro era stato un amore esplosivo e mutevole, duraturo ma non eterno e lentamente si era trasformato in affetto. Magari avrebbero potuto passare davvero la vita assieme, a ridere, a prendersi in giro, a far danni e a riparare in modo così perfetto da risultare sempre immacolati. Avrebbero potuto gestire un mondo sotterraneo ed oscuro, assieme, certo lei aveva molto più polso fermo e intuito negli affari di quanto non ne avesse Magnus, ma lui era così bravo a trattare, a scorgere i desideri degli altri... Erano una squadra perfetta e avrebbero continuato ad esserlo per sempre se solo lui non l'avesse tradita così miseramente.
In piedi davanti alla vetrata lucida Camille poteva veder nel suo riflesso lo sguardo sgomento di Magnus quando gli aveva spiegato tutto, quando aveva detto la verità, quando gli aveva puntato in faccia quello sgradevole faro carico di luce rancorosa e rabbiosa.
Il vedere degli alberi attorno a casa prese una sfumatura più chiara e poi dorata, le iridi di Magnus erano sempre state così belle che solo la natura avrebbe potuto eguagliarle, ma le fronde non avrebbero mai emanato lo stesso senso di stupore, non si sarebbero mai incrinate della stessa colpevolezza.
Aveva creduto, per anni, che quel momento l'avrebbe liberata, che quando si sarebbero trovati faccia a faccia e lei gli avrebbe finalmente detto tutto, il peso terribile, opprimente e pungente che le gravava sul petto, come la morsa di una Vergine di Norimberga, si sarebbe finalmente allentato.
Non credeva che il dolore sarebbe sparito, che la rabbia sarebbe scomparsa, ma almeno non gli avrebbe corrotto l'anima sino alla fine dei suoi giorni.
Sciocca. Forse era davvero una bambina viziata che credeva ancora fermamente di aver sempre ragione.
Strinse le mani attorno alle braccia, il pullover rosato era di morbida lana e le spesse maglie erano lisce sotto i suoi polpastrelli. Le unghie lucide tinte di un rosso cupo erano un contrasto perfetto, una macchia di sangue rappreso sulle sue mani.
Se solo la gente avrebbe potuto vederle davvero… le unghie di Camille erano dipinte di un bianco immacolato a confronto con la sua epidermide, ormai macchiata a vita del sangue che le si era insinuato tra i reticoli della pelle, assorbendone il colore come un tessuto dalla trama fitta sporcato per sempre d'inchiostro.
Era una di quelle cose che non lavavi via neanche con la candeggina e Camille poteva dirlo con cognizione di causa visto che al termine del suo primo lavoro avevano dovuto portarla in ospedale, tanto si era scorticata le mani cercando di togliere il sangue che ancora vi vedeva sopra.
Ricordava la presa gentile di due mani morbide e sicure, la sua voce cantilenare come una nenia che non c'era niente, non c'era più niente, che erano pulite, bianchissime, che il sangue che vedeva ora era il suo perché si era bruciata strati e strati di pelle sino ad arrivare alla carne viva.
Il sorriso rassicurante di Pierre era impresso a fuoco nella sua mente proprio come lo erano gli occhi carichi di sconcerto di Magnus. Proprio come lo erano quelli pieni di dolore di Raphael, come lo erano tante, troppe cose. Come le voci, le grida, come il cuore ancora caldo ma morto che aveva tirato fuori da quella scatola, grondante e sanguinolenta custodia del gioiello che scintillava ora a suo collo.
Con un moto di rabbia Camille strinse la prese sino a conficcarsi le unghie nella pelle: Asmodeus aveva avuto il coraggio di chiamarla, di farlo in quel modo, Lei, dopo tutto quello che le aveva fatto, quello che le aveva tolto.
Lo aveva detto a Magnus e forse, prima o poi, l'avrebbe confessato anche a Raphael: se avesse mai avuto l'occasione di trovarsi davanti al Principe, anche a costo della sua stessa vita, l'avrebbe ucciso senza pietà.
Ma forse, Raphael già lo sapeva e condivideva il suo stesso pensiero, seppur con minor ferocia.
 

Il suono prolungato del campanello la fece voltare vero l'ingresso. Sospirò pesantemente e si sistemò i vestiti, mandando indietro i capelli con un gesto automatico.
Sapeva chi avrebbe trovato dietro alla porta, lo aveva invitato lei, insistendo perché si vedessero a casa sua e non al Club. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era di vedere ancora la sua famiglia.
Quando aprì, dritto impeccabile sulla soglia, con una bottiglia di vino in mano, se ne stava un uomo dall'età indefinita, congelato nel tempo come una statua, come se avesse smesso di invecchiare.

Come un vampiro.

I capelli bianchi e lunghi legati in una coda morbida ed adagiati sulla spalla, il completo di un rosso Tiziano denso e le scarpe color testa di moro: Alexei De Quincey era davanti a lei in tutto il suo splendore e la fissava con un sorriso gentile in volto.
<< Buona sera, Camille.>> la salutò galante.
La ragazza gli sorrise di rimando, arricciando le labbra in quello stesso sorriso che tutti le dicevano essere ammaliante e che le riusciva naturale. << Buona sera a te, Alexei. Prego, entra pure.>>

 



<< Quindi questa è la situazione?>>
<< La chiamata è arrivata a tutti, Camille.>> annuì lui comodamente seduto sul sofà.
<< Chi sono questi “tutti”? Sono stata via per molto tempo, non so chi altro si è aggiunto.>>
<< Tutta la vecchia guardia. Tutti i miei, tutti i tuoi. Ci sono delle nuove entrate ovviamente. I Chen sono coinvolti, Raphael è l'unico dei Santiago chiamato, sai che sono un gruppo a sé e che non si sono mai voluti immischiare in quel senso con Asmodeus. Senza contare che sono abbastanza sicuro che Guadalupe sarebbe capace di uccidere Asmodeus con un coltello da burro se provasse a metter i pericolo i suoi ragazzi.>> disse con tranquillità l'uomo. << Quinn e il suo popolo, la chiamata è arrivata a lei e ad un paio di suoi sottoposti alti in grado, forse persino a Meliorn, ma non è nulla di certo, non vengono a confessarsi da me.>>
<< No, non lo fanno. Sono come una razza a parte loro, Quinn ha il suo giro ed il suo impero, non gli interessa il resto. Credevo che si fosse affrancata dal Principe però, che avesse ripagato il suo debito.>> ragionò Camille accavallando le gambe e cercando una posizione più comoda.
Alexei scosse la testa. << Nessuno paga mai fin in fondo il suo debito con Adam, non l'ho fatto io che gli sono sempre stato socio e non servitore, non lo hai fatto te a cui non ha mai davvero concesso nulla, pensi che possa farlo Quinn? Con ciò che ha alle spalle?>> chiese retorico.
Camille non poté che dargli ragione. << Come siamo messi allora?>>
<< Attualmente le chiamate sono tutte state fatte. I Figli della Notte sono riuniti, deve tornare Saint Cloud dal Brasile, ma è questione di giorni.>>
<< Sì, l'ho sentito, me lo ha detto papà.>> fece sovrappensiero.
L'uomo alzò un sopracciglio. << Non vi sentite più voi? Pensavo che appena avrebbe saputo della tua chiamata ti avrebbe contattato.>>
Camille fece una smorfia. << Io e zio non ci parliamo più come un tempo, lo sai.>>
<< Sì, lo so, e permettimi ancora una volta di dirti quanto mi dispiaccia.>>
Un sorriso tetro e senza gioia tese le belle labbra della bionda. << A chi non dispiace? Persino il colpevole se n'è pentito amaramente. Trovo ironico come l'unica persona che fosse unanimemente ben amata e apprezzata da tutti, quella che anche i rivali preferivano non toccare, sia poi stata la prima a lasciare questo mondo.>> convenne con asprezza.
Alexei rimase per un attimo in silenzio. << Gli porti ancora tanto rancore?>> All'occhiata interrogativa di lei continuò. << A Raphael.>>
Con gran sorpresa del suo ospite Camille scoppiò a ridere di gusto.
<< Oh, Alexei, non ho mai portato rancore a Raphael, come avrei potuto? Era l'unico che poteva capirmi, è stato l'unico che ha condiviso il mio dolore e la mia rabbia.>> poi la sua voce si affievolì. << Non potrei mai rinfacciargli nulla.>>
<< Lui ancora se ne colpevolizza.>>
<< Lo so, ma ora smettiamola di parlare di queste cose. Noi siamo riuniti, gli altri popoli?>> chiese riprendendo un tono fermo e serio.
Alexei annuì, far parlare lei o Santiago di quella macchia scura nel loro passato era praticamente impossibile, si augurava per il loro bene che almeno ne parlassero assieme.
Non era mia stato un tipo troppo sentimentale, ma c'era da dire che quei due li aveva visti crescere e diventare i forti ed indipendenti adulti che ora erano. Non aveva avuto figli, mai ne aveva desiderati, ma Raphael e Camille erano stati i bambini che più aveva apprezzato nella sua vita.
 

Ad essere onesti, ne aveva apprezzati tre un tempo.
 

Si sporse per prendere il bicchiere del vino e ne bevve un sorso ad agio, poi si rimise con la schiena poggiata ai cuscini.
<< Il popolo delle Fate è al competo. I Figli della Luna anche.>>
Camille fece una smorfia. << Anche loro? Dio, non li avete ammazzati in tutti questi anni?>>
<< No, lo sai che si riproducono come conigli.>>
<< Mh, gli altri?>>
<< Lilith deve arrivare.>> Alexei sganciò quella bomba così, senza batter ciglio, ma osservò con attenzione gli occhi azzurrissimi di Camille sgranarsi e la presa sul suo bicchiere farsi più serrata.
<< Cosa?>>
<< Credevi seriamente che Adam non avrebbe chiamato una delle sue amiche di più vecchia data? Credo sia stata la prima che ha chiamato e penso che l'abbia fatto lui stesso, di persona.>>
<< E Quinn lo sa e non ha battuto ciglio?>>
<< Lo sospetta, ma finché non se la ritroverà davanti non potrà averne la certezza. A me non ha chiesto niente e io non sono certo andato a darle conferme.>>
<< Mi pare giusto, quindi?>>> lo incalzò sempre più innervosita da quella storia. Mancava solo che quel mostro di Lilith tornasse a New York.
<< Siamo tutti pronti, in attesa che qualcuno spari il colpo di partenza. Edom House ha riaperto i battenti, non so chi di noi sarà il primo ad esser convocato, ma finché Asmodeus non torna in patria non potremo far nulla. Da quel che sappiamo, Timothy ha rimesso a lucido i suoi destrieri, sono giorno che quei dannatissimi corvi gironzolano per la città, penso stiano andando a ricordare a tutti che questo posto ha un Re e che sta per tornare.
Anche gli Insetti sono di nuovo in giro, non sono al nostro livello ma sono ugualmente un pericolo, non hanno la nostra stessa “condotta” e nemmeno le nostre stesse regole, purtroppo sono mine vaganti tanto quanto lo sono i cani sciolti.>>
<< Dobbiamo solo aspettare che arrivi il Principe e che ci dica cosa fare? Stai scherzando? Non abbiamo nessun indizio? Ci ha chiamati tutti, dopo anni ed anni, per cosa?>>
<< Probabilmente per mettere la parola fine a questa commedia e calare finalmente il sipario.>>
Il sussurro dell'uomo si spanse per l'aria neanche fosse un gas velenoso.
Camille lo guardò con occhi vitrei, sperando vivamente di aver capito male.
Prese un respiro profondo e si umettò le labbra, anche se sapeva di averle colorate, il sapore pastoso del suo rossetto non fu neanche lontanamente percepito dalle papille gustative, non arrivò al cervello che era tutto proteso verso una sola ed unica verità.
<< Vuole venderci tutti… vuole distruggere il suo impero per far sì che nessuno lo abbia più?>>
Alexei scosse la testa. << No, non è così, lo lascerà nelle mani del figlio quando sarà- >>
<< Lo diceva anche anni fa!>> saltò su alterata. << Diceva che ai suoi diciotto anni gli avrebbe lasciato tutto e invece non era così! L'ha detto quando aveva 23 anni, lo ha detto anche dopo! Ma non è mai così! Un re non ce la fa a lasciare il suo trono quando è perfettamente consapevole di poter ancora regnare! Alexei, questo non è uno spettacolo! Non c'è da abbassar il sipario! Sono le nostre vite, così ci sta mettendo in pericolo. Non chi ha chiamati qui con gentilezza, non l'ha fatto come una rimpatriata, non ha detto che aveva un lavoro per noi: ci ha presi uno ad uno, ha scavato nei nostri passati e ci ha mandato un messaggio, il più crudele e doloroso che avrebbe potuto mandarci per obbligarci a venire qui. Che cazzo ha in mente?>> La sua voce era salita di almeno due ottave, ma rimaneva minacciosa come il sibilo del vento che va intensificandosi inesorabilmente.
Aelxei non poteva dargli torto, non poteva cercare di calmarla o indorarle la pillola. Camille ormai era grande, gestiva i suoi affari a Parigi e anche oltre la Manica, poteva sapere la verità, quella stessa che per ora custodivano soltanto lui, Saint Cloud e altre cinque persone.
Dopotutto, il sette era il numero perfetto, ma l'otto era l'infinito.
<< Mancano ancora due persone alla chiamata.>> disse allora tirandosi a sedere e guardando la donna dritta negli occhi. Camille lo osservò con attenzione. << Ascoltami bene e ricorda che questo dovrà rimanere un segreto e non sto scherzando: difenderai questa notizia come se andasse della tua stessa vita, chiaro?>>
Lei annuì.
L'uomo prese un respiro profondo, lo sguardo serio e duro come poche volte Camille aveva potuto scorgerlo. << Asmodeus cominciò una partita anni fa, prima ancora che diventasse ciò che è ora, quando era un ragazzino, quando lo conoscevano solo con il nome di Adam e Bane non era altro che un cognome curioso. Non aveva sottoposti, io stesso non ero ancora arrivato in America. Trovò pane per i suoi denti, qualcuno che non abbassava la testa anche se riusciva a metterlo nelle situazioni peggiori, anche se riusciva a scatenargli contro le bande del quartiere. Hanno la stessa età ma paradossalmente l'altro ha vissuto una vita molto più dura e non credere che sia per ciò che gli faceva passare Adam. Sono diventati rivali con il passare degli anni e poi si sono divisi inesorabilmente. Adam è diventato ciò che conosci oggi mentre l'altro… non si sa molto di lui, non posso dirti molto di lui in effetti. Tieni solo a mente che se è stato in grado di reggere il peso della continua e serrata lotta contro il Principe dei Demoni non può essere niente di meno che una persona da non sottovalutare.
Si sono affrontati per tutta la vita ma pare che l'altro stia arrivando al capolinea. Adam non vuole distruggere il suo impero, non vuole farci morire tutti alla luce del Sole, sta raggruppando il suo esercito per poter ferrare l'attacco finale e vincere definitivamente quella partita iniziata che era solo un ragazzino. Sta chiudendo i suoi di conti, non i nostri, ma ciò non gli impedirà di sacrificarci tutti, uno per uno sull'altare della vittoria, non si farà scrupoli se ciò gli permetterà di battere definitivamente l'altro.>>
Camille lo guardò scioccata, battendo le palpebre nel tentativo di capire, di comprendere.
C'era qualcuno di così folle da esser rivale del Principe dei Demoni Asmodeus da quando erano piccoli?
Chi era questo pazzo? Perché non ne aveva mai sentito parlare? Come poteva essere tanto forte da tener testa a Bane? E soprattutto: questo significava che anche lui aveva il suo esercito?
<< Sta per arrivare anche altra gente? Non può aver collaboratori a New York City, non c'è nessuno di così pazzo qui da mettersi contro Asmodeus, la criminalità è votata tutta a lui, anche chi non è al suo servizio non gli è certo contro.>>
<< No, il suo esercito non è di qui, non è gente che conosci, ma questo ci porta ad un ultimo e focale punto di questa faccenda.>>
<< C'è qualcosa di peggio?>>
<< Solo di più importante.>> disse secco.
Camille attese che l'uomo continuasse e poi, al limite della sopportazione chiese temendo la risposta. << Ovvero?>>
<< Anche lui ha fatto la sua chiamata e in tutte le mosse che ha fatto in questi anni in cui questa partita a scacchi è andata avanti, è stato così abile da riuscir a far evolvere le sue pedine: ha trasformato un pedone in un cavaliere e poi in una torre, sino a farlo diventare un alfiere e ora una regina. È questo che dobbiamo preoccuparci, lo sia che le regine muovono quanto vogliono e in tutte le direzioni, non le si può fermare a meno che non le si uccida.>> terminò cupo.
La donna rimase pietrificata sul posto, il bicchiere ancora stretto in mano, non si era neanche resa conto di essersi tirata in avanti sino a sedersi sul bordo del divano.
Guardò Alexei con ansia e deglutì a fatica il groppo sabbioso che le si era fermato in gola.
Aveva ancora più paura di prima a porre quella domanda, ma non poteva certo evitarla per sempre.
<< Sai… sai di chi si tratta?>> chiese con voce flebile e a mala pena udibile, tremando al pensiero di una pedina così forte da esser diventata regina, qualcuno che solo la morte avrebbe potuto fermare e forse neanche quella.
Alexei scosse piano la testa. << Nessuna certezza ma un'ipotesi.>>
<< Dimmela allora, terrò gli occhi aperti su di lei.>>
L'uomo annuì.








 

Il rumore del bicchiere che si infrangeva a terra rimbombò come lo scoppio di una bomba, come l'esplosione di un proiettile in una calda ed afosa notte d'Agosto, quando neanche la Luna osava guardare la terra.
Il vino si riversò a terra, schizzando le scarpe beige della donna, puntinandole le gambe di gemme rosse come rubini che si sciolsero in rivoli di sangue, macchiando ancora una volta la sua pelle di un fluido denso e corposo che non sarebbe riuscita a lavar via troppo facilmente.
Il tappeto bianco tra i due divani si tinse di rosso.



 






 


 

 

<< Sono vestita di bianco, Cherie.>>

 

 















   
 
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