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Autore: lady igraine    22/11/2018    0 recensioni
Demian ha quasi sedici anni, è armato della tragicità di un adolescente e dell’esperienza di vita di un uomo fin troppo intraprendente. La sua esistenza è in costante bilico tra un morboso amore per la propria famiglia, afflitta dal dramma della malattia terminale della madre, ed un mondo più oscuro, di amici poco raccomandabili che gli permettono di sfogare i sentimenti più ombrosi e repressi della sua anima. È in questa fase che lo incontra Arianna, infantile, irrequieta e altrettanto problematica ragazza, dotata di un instancabile sorriso che cela più malinconie e segreti che gioie. Sono tre, i mesi decisivi, quelli che, nel bene e nel male, lasceranno un segno indelebile nelle loro vite.
***
La coscienza era una bestia oscura che divorava da dentro, lasciando sempre l’impressione di facciata che tutto andasse bene.
"Le persone, da fuori, sembrano indistruttibili, perfette come bambole di plastica che non si possono rompere. È il dentro che è una fregatura, un agglomerato di marciume infilato a forza tra gli organi, da qualche parte"
La sua coscienza era terribile più di tutto, le toglieva molte cose, una ad una, con la noncuranza con cui un bambino strappa i petali ad una margherita
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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À Demian

Capitolo quindicesimo

Nessuno è fatto per stare solo


Fu il rumore di una vibrazione amplificata dalla superficie di legno a svegliarla.

Nello stordimento di un risveglio imprevisto, ancora avviluppata dalla stanchezza e da un sogno abbastanza allucinante, non riuscì ad identificare immediatamente l’origine del suono. Non aveva sveglie in camera sua, sua madre le concedeva di dormire quanto desiderava. Poco lucidamente, pensò che potesse essere stato Daniele, in uno dei suoi dispetti costanti, e borbottò tra sé e sé maledizioni al fratello maggiore mentre allungava il braccio verso il comodino e lo tastava goffamente, senza togliere la faccia dal cuscino.

Con le dita s’imbatté nel cellulare sotto carica.

 

Cavolo, questo aggeggio infernale. Non riesco mai a ricordarmi di averne uno

 

L’aveva usato per la prima volta solo il giorno prima, per sentire Demian, ma il concetto stesso di quell’oggetto la faceva sentire priva della sua indipendenza e la infastidiva. Lo afferrò prima che il baccano svegliasse Giorgi, con cui condivideva la stanza. Ancora offuscata dal sonno, ma con un vago sorriso, si mise a sedere e accettò la chiamata in arrivo considerando che l’unica persona, oltre alla sua famiglia, a possedere quel numero, fosse appunto proprio Demian.

«Pronto?» biascicò insieme ad uno sbadiglio.

«Ciao, scusami per il disturbo. Tu sei per caso Annie?»

Fu come ricevere una secchiata d’acqua gelida in faccia. Fece scattare l’interruttore della luce, ignorando bellamente il fratellino, e balzò sul letto, in piedi «Tu non sei Demian!» constatò, scioccata. Poi si portò una mano alla bocca, come a trattenere il tono di voce, per quanto ormai fosse tardi. Le sfuggì un sospiro di sollievo nello scoprire che Giorgi non si trovava nel suo letto. Nonostante l’età, ancora gli capitava di sgattaiolare nel cuore della notte nel lettone dei loro genitori.

«No, direi di no. Ma tu sei lei, giusto?»

La voce non era quella di Demian, però poteva distinguere una leggera traccia di accento francese, una delicatezza morbida nell’accarezzare alcune consonanti, non marcata come quella di Demi ma altrettanto tenacemente aggrappata alla pronuncia.

«Sono Arianna» chiarì, senza celare la propria insofferenza. Si contenne dal domandare con tutta l’ostilità possibile come avesse recuperato il suo numero quello sconosciuto, perché per quanto ovvio, non voleva proprio credere che Dem lo avesse dato a qualcuno. Se per un momento era stata pervasa dalla gioia estatica al pensiero di star ricevendo una chiamata proprio da lui, ora la delusione l’aveva inacidita.

 

Ci potrei tenere un corso, sui cambi d’umore repentini

 

«Scusami se ti chiamo a quest’ora» attaccò imbarazzata la voce all’altro capo, fermandosi quasi subito, probabilmente alla ricerca delle parole giuste che non la spingessero a sbattergli il cellulare in faccia. Decise di non mostrare compassione per lui, nonostante avesse percepito il suo disagio, e sbuffò «Perché, che ore sarebbero?»

«Le cinque e mezza del mattino, più o meno»

La saliva le andò di traverso e quasi ci si strozzò. Tra un colpo di tosse e le lacrime agli occhi strillò ancora «Cosa? E tu chi saresti?»

Si guardò intorno alla ricerca di un orologio che confermasse quell’assurdità, salvo poi ricordarsi che aveva costretto tutta la famiglia a bandire qualunque forma di segnatempo in quella casa. In un momento di crisi, aveva deciso che il ticchettio del tempo che scorreva la innervosiva ai limiti dell’isteria, ora ovviamente se ne pentiva. Saltò giù dal letto e si precipitò verso la finestra.

«Sono Julian, il cugino di Demian» borbottò.

Arianna scostò le tende, aprì la finestra e cacciò fuori la testa. L’aria corroborante della notte le frustò le guance, era così fresca che le parve di respirare una profonda boccata di ghiaccio.

«Non ho molto tempo per spiegarti, ma potresti venire con me?»

«Ché?» esclamò ancora a voce eccessivamente alta. S’irrigidì e rimase l’attimo successivo in silenzio, per controllare di non aver svegliato nessuno.

 

Fortunatamente Daniele è un trattore e qui tutti sono abituati alla Seconda Guerra Mondiale, che se atterrasse un elicottero in giardino probabilmente nessuno se ne accorgerebbe.

 

«E perché dovrei venire con te?»

Julian sospirò abbastanza rumorosamente da farsi sentire «Sembra che Demian si sia messo di nuovo nei guai. Io non riesco più a farlo ragionare, ma forse tu…»

 

Demian

Nei guai

 

Qualsiasi forma di pensiero razionale si disperse rapidamente ed Arianna neanche aveva riflettuto e già aveva passato a quello sconosciuto il proprio indirizzo. Poteva essere benissimo un serial killer per quanto potesse riguardarla, ma anche solo un margine di dubbio le pareva sufficiente a fidarsi.

Demian era il tipo di ragazzo perfettamente in grado di mettersi nei guai. Non lo conosceva così bene, eppure ci avrebbe messo una mano sul fuoco senza esitare. Quell’impressione nasceva dai racconti di Jenevieve, che quando parlava di suo figlio si corrucciava e increspava la fronte pallida in un accenno di preoccupazione più che sufficiente: quella donna viveva sull’altra riva del fiume da sempre, era tagliata fuori dalla banalità umana, eppure, nonostante quella sua visione leggera dell’Essere, per Demian non riusciva a trattenere l’ansia. Ad Arianna questo bastava a rendere evidente la propensione alla problematicità del ragazzo. A questo si univa la sua personale sensazione, che Demi s’impegnasse a non essere troppo se stesso in sua presenza, come per preservarla da qualcosa di sgradevole.

Una fetta piuttosto ingombrante di lei voleva solo avere l’occasione di guardare oltre quel Velo di Maya e, forse, Julian l’avrebbe squarciato e le avrebbe mostrato tutto ciò che c’era da vedere. Forse avrebbe placato la sua morbosa curiosità per quello strano individuo.

 

Un perfetto, stupido ragazzo che pensa di essere in grado di nascondere le sue malefatte a sua madre

 

Si chiedeva sempre da dove venisse tutto quell’amore, quell’orgoglio assoluto che illuminava Jenevieve anche mentre le raccontava i danni che lui pensava di nasconderle, e c’era così tanta tenerezza, così tanta indulgenza per quel ragazzino, che lei stessa non aveva potuto non restare affascinata dal ritratto che quella donna aveva dipinto per lei.

Il ragazzo di cui parlava Jenevieve era un disastro ambulante, per cui però non si poteva non provare un affetto quasi istantaneo. Come lo si abbandonava un soggetto simile?

Recuperò un felpone di Daniele ed un paio di jeans smangiati, con i buchi sulle ginocchia che ormai si erano trasformati in crateri, senza mai smettere nel mentre di maledirsi.

 

Dovresti farti una buona dose di affari tuoi, piuttosto che andargli dietro, tanto lo sai benissimo che stai facendo un immenso errore, non sei una presenza sana, guardarti. Ha già i suoi problemi senza che ti aggiungi tu

 

La coscienza era una bestia oscura che divorava da dentro, lasciando sempre l’impressione di facciata che tutto andasse bene.

 

Le persone, da fuori, sembrano indistruttibili, perfette come bambole di plastica che non si possono rompere. È il dentro che è una fregatura, un agglomerato di marciume infilato a forza tra gli organi, da qualche parte

 

La sua coscienza era terribile più di tutto, le toglieva molte cose, una ad una, con la noncuranza con cui un bambino strappa i petali ad una margherita. Così lei stessa si privava della propria corolla e poi pativa nuda e sola il freddo dell’inverno.

Raccolse frettolosamente i capelli in una coda alta ed arruffata e sedette sul bordo del letto, in attesa. Il silenzio prima dell’alba era assoluto ed inquietante. Se si concentrava, le sembrava quasi di sentire il ronzio della corrente elettrica che passava attraverso i muri.

 

Lo so che sbaglio, ma stavolta non mi va proprio di fare la cosa giusta.

Per una volta, solo questa, lo giuro, però questa volta no. Anche se lui è fragile…

 

La verità era banale: un’anima sensibile come quella di Demian era troppo attraente, per lei che aveva sempre ceduto al fascino della bellezza più autentica e primitiva. C’era qualcosa di primordiale in lui, nei suoi istinti suicidi, qualcosa d’intrigante. E che non potesse guarirlo le importava poco, non pretendeva nemmeno di arrogarsi una simile responsabilità.

Guardarlo da vicino però era un sottile piacere che non voleva negarsi.

 

Non posso guarirlo… ma non posso nemmeno rinunciare a provaci

 

L’attesa però la innervosiva. Ebbe il tempo di scivolare in bagno, attraversando il corridoio della zona notte con una furtività poco sensata dopo tutti gli urli che aveva cacciato, riuscì a sciacquarsi e a tornare nella propria stanza senza ricevere notizia di Julian. Così raccattò il primo paio di scarpe che le riuscì di trovare, un paio di Adidas completamente sfondate, e aspettò in sala.

Appollaiata sul divano, nel buio di una casa addormentata, si sentiva inquieta. Quando finalmente arrivò lo squillo di Julian sentì un peso togliersi dallo stomaco, uno stato di ansia dovuto anche a sua madre e a quel muoversi furtiva in casa propria. Varcò la soglia di casa in punta di piedi, con le scarpe in mano per ridurre i suoni al minimo, e nel mentre cercò di approssimare quanto tempo ci sarebbe voluto alla sua famiglia per accorgersi della sua assenza.

 

Probabilmente un paio d’ore, non di più. Se solo la mamma fosse meno mattiniera!

 

Suo padre non era rientrato, ma anche l’avesse fatto probabilmente non avrebbe avuto la lucidità per rendersi conto o meno della sua presenza, a volte quelle sue mancanze diventavano benedizioni.

 A volte.

Scavalcò il cancellino e raggiunse l’unica macchina con i fari accesi lungo il vialetto, quasi in appostamento, saltellando come un pollo con una sola zampa mentre s’infilava le scarpe. Aprì la portiera e s’infilò nella macchina con tutta la furtività di cui era capace, solo per calarsi meglio nel ruolo di pessima spia di un film adolescenziale di dubbio gusto. Le sfuggì un sorriso: sciocchezze come fuggire di casa con uno sconosciuto, non le aveva mai fatte, ed anche se il motivo era tendenzialmente serio ed importante, la situazione la divertiva davvero troppo. Dovette rimproverarsi mentalmente per non far trasparire quella vena d’infantilismo. Ovviamente non ci riuscì, guardò il ragazzo alla guida e sfoderò involontariamente il suo sorriso più allegro.

«Buon giorno!»

Quello che doveva essere Julian, un ragazzo dal viso fine ed i capelli biondi, arruffati come fosse appena rotolato fuori dal letto, la fissava con gli occhi pesanti di borse violacee quasi sgranati per la sorpresa «Wow» si lasciò sfuggire in un borbottio, arricciando le labbra sottili «Tu saresti Annie?»

Gonfiò una guancia con disappunto «Arianna» specificò.

Non c’era una ragione precisa, però non era abituata a quel nomignolo che poco centrava con il suo nome. Detto da Demian aveva quasi senso, inspiegabilmente, ma sulle labbra di chiunque altro stonava terribilmente.

Julian accennò un sorriso saccente «Beh, “wow” comunque. Niente male davvero»

Quell’aria da padrone della situazione che mirava a metterla in imbarazzo la irritò. Inclinò il capo, sbatacchiò gli occhioni e gli sorrise maliziosa, nell’imitazione grottesca di una bambolina «Vuoi una foto, o ti basta la radiografia che mi hai appena fatto?»

Jules ingrandì il sorriso, da strafottente a pienamente divertito «Mi accontento di poter usare di nuovo il tuo numero, ma chérie»

Quella reazione scarsa la indispettì «Lascia perdere, non c’è trippa per pesci»

«Hai per caso dei pesci rossi carnivori geneticamente modificati?» la prese in giro. Era la linea provocatoria e strafottente di quella bocca ad innervosirla, non era come Demian. Non s’innervosiva, non si imbarazzava, restava tremendamente sicuro di sé.

Incrociò le braccia al petto, stizzita «Perché?»

«Ah, non saprei. Da che mondo e mondo la trippa se la mangiano i gatti. Ma ehi, sei amica di mio cugino, non mi meraviglierebbe se il tuo caso fosse un’eccezione!»

Il sangue le affluì alle guance con la stessa intensità di una colata lavica «Se avessi dei pesci rossi carnivori, te li sguinzaglierei contro!»

Julian allontanò il ciuffo biondo che gli ricadeva sul viso e assunse l’espressione caricaturale di qualcuno che voleva sembrare affascinante ma sembrava un vero imbranato «Questo non è un no» ammiccò con un occhiolino che la fece rabbrividire e sorridere insieme. Si contenne per non dargli la soddisfazione di sapere che in realtà lo trovava molto divertente, perché quella faccia tosta opposta a suo cugino, quel ghignetto sicuro e strafottente che gridava “cadrai ai miei piedi, lo sappiamo entrambi. È inutile che opponi resistenza”, si meritavano di schiantarsi contro un muro a cento all’ora. Girò la manovella del finestrino e Jules si accigliò.

Non gli disse nulla, ma aprì platealmente il cellulare, tolse la Sim e gliela mostrò con altrettanta arroganza.

«Che stai facendo?»

Con un movimento repentino, fece il gesto di gettarla fuori dal finestrino e, altrettanto velocemente, abitudine di anni di allenamento, nascose la sim tra il dito medio e l’indice. Il trucco della monetina, così lo chiamava Daniele.

Al ragazzo cascò la mandibola, Arianna si voltò soddisfatta verso di lui, senza cancellare il sorriso «Adesso puoi usarlo, se vuoi» dichiarò con una scrollata noncurante delle spalle.

Julian richiuse la bocca con uno schiocco secco, ma gli occhi, quegli occhi verdi attraversati da venature dorate, restavano dilatati in uno stupore attonito.

«Ahi» borbottò, portandosi la mano al cuore con fare teatrale.

 

si è ripreso in fretta

 

 

neanche a pensarlo, il ragazzo abbozzò subito il ghigno da predatore mancato che già Arianna aveva intuito fosse parte integrante del suo essere quanto quel taglio di capelli alla Zack Efron.

«Io te lo dico, questo netto rifiuto mi ha ferito profondamente. Sappi che hai fatto a pezzi il delicato cuore di un fanciullo sognatore in modo a dir poco barbino»

L’aria ironica e giocosa la fece, al fine, cedere, ed Arianna si ritrovò a ridere «Hai mangiato un dizionario prima di venire qui?»

«Sono solo un brillante e galante uomo d’altri tempi» la corresse lui, senza smettere di guardarla. Era uno stupido, ma sembrava genuino, quell’idiozia era più reale della facciata da predatore con cui l’aveva accolta. Arianna si sporse verso di lui, tese la mano quasi a sfiorargli il viso e notò appena la schiena di Julian pietrificarsi e perdere baldanza, come se davvero si stesse aspettando un qualche suo gesto inconsulto. Però la fissava negli occhi ed una consapevolezza strana le balenò all’improvviso

 

Non pensa che io possa fare qualcosa, è lui che vorrebbe fare qualcosa

 

Ma almeno, nonostante l’intensità sfacciata con cui la studiava, non accennava a muoversi. Così decise d’ignorare la tensione che proveniva dal corpo del ragazzo, gli passò la mano dietro l’orecchio e finse di estrarne la sim del cellulare, sfoggiando poi il suo sorriso più vittorioso e soddisfatto.

«Egocentrico, pensi davvero che rinuncerei al mio numero per te?»

Le pupille di Jules seguirono rapite la sua mano e l’oggetto che ora mostrava con tanta ovvietà.

«Ti diletti di trucchi di magia, ma chérie?»

Non avrebbe mai confessato che dopo aver letto il libro di Harry Potter aveva sognato Hogwarts, magia, gufi e lettere che non erano ovviamente arrivate. Né avrebbe mai rivelato che quello stupido trucchetto che tanto lo aveva preso in contropiede in realtà era solo uno dei molti che suo padre faceva quando era bambina e in ospedale si annoiava troppo.

Anche lei era stata entusiasta ed estatica a suo tempo, prima d’imparare, ma ora quei ricordi avevano un retrogusto un po’ più amaro.

«A volte» chiarì con un sorriso.

Il ragazzo ridacchiò «Sei una strega arruffata, inizio a capire come lo hai incastrato, quell’ingenuo di mio cugino», commentò soltanto, scuotendo piano la testa, come indulgente. Arianna guardò il suo profilo mentre si ricomponeva alla guida, e pensò che fosse un ragazzo particolare. Considerando Demi e Jenevieve, giunse alla conclusione che tutti, in quella famiglia, dovessero essere un poco fuori dalle righe, ma almeno Julian era più incline al gioco di quanto non lo fosse Demian con la sua espressione truce e corrucciata e quell’atmosfera da “ce l’ho con il mondo”.

 

Ecco, credo che lo ribattezzerò “Demian-ce-l’ho-con-il-mondo-Lemaire”

 

Paradossalmente, nonostante la sua giovialità, la sicurezza di Julian restava irritante, i tipi come lui avevano su di lei la stessa attrattiva di una giornata al mare per un vampiro. Distolse lo sguardo, in imbarazzo, e lo incitò «Muoviti, i miei si svegliano presto. Quindi portami nel posto dove mi devi portare, a recuperare quell’irrecuperabile idiota di tuo cugino!»

La macchina si accese con un rombo leggero, poco rassicurante, e Julian annuì, ora più grave «Come desideri tresòr, ma potresti non apprezzare quello che vedrai»

 

 

 

In caserma, ecco dove l’aveva portata Julian.

Dai carabinieri.

 

Che posto romantico come primo appuntamento. Ok, che non mi aspettavo una suite dell’Hilton, ma qui abbiamo toccato proprio i massimi storici della tristezza.

 

Cercò di prenderla sul ridere, almeno tra sé e sé, ma dovette ammettere di essere rimasta piuttosto turbata e mentre seguiva Julian come un pulcino dietro la chioccia, non poteva non chiedersi quale motivo l’avesse spinta ad essere lì. Il biondino aveva confabulato con un carabiniere dall’aria stropicciata e stanca e questo gli aveva lasciato una leggera pacca di conforto sconsolato sulla spalla prima di invitarli entrambi a seguirlo.

Il ragazzo la guardò con un sorrisino compassato, un misto di esasperazione e scocciatura, un atteggiamento strano per qualcuno che stesse andando a tirare fuori dai guai il cugino quindicenne, minorenne.

Si accomodarono sulle seggiole davanti ad una scrivania e il carabiniere di turno offrì loro un caffè, che Julian accettò. Lei non se la sentiva, era troppo frastornata, si rendeva conto di non riuscire a smettere di frugare l’ambiente circostante con puro sgomento dipinto in volto.

«Chiamo Antonio e torno e subito» chiarì l’uomo in divisa, prima di sparire dietro ad una porta. Arianna si sforzò di riportare gli occhi sul suo accompagnatore, ticchettò le dita con studiata nevrosi sulle braccia conserte, in un crescendo di rabbia e indignazione.

«Non dovresti dirmi qualcosa? Spiegarmi almeno la situazione?»

Julian sorseggiò un poco il caffè della macchinetta, poi sospirò «Demian sarà in una delle camere di sicurezza, sarà una cosa veloce»

«Una cosa veloce» mormorò a stento, quasi fosse un pappagallo. La nonchalance di quel ragazzo stava mettendo i suoi nervi a dura prova. Ebbe l’impulso di prendere a sberle qualcuno fino a gonfiargli la faccia, e non sapeva se quella collera fosse rivolta a Julian o a Demian. Il miracolo restava, in qualche modo si stava trattenendo.

 

Per ora, almeno.

 

Non leggere preoccupazione in quegli occhi verdi screziati d’oro, ma solo una rassegnazione dimessa che sapeva di resa, le lasciava in bocca un retrogusto amaro, un sapore inspiegato di sconfitta.

«Lo hanno arrestato?»

Jules abbozzò un sorriso stentato «Tecnicamente sarebbe in stato di fermo» la corresse, ma poi lesse la scintilla omicida che la animò perché si ricompose subito in un’espressione seria.

«Ci porteranno presto da lui, non preoccuparti»

«Demi è minorenne» osservò con circospezione, cercando di decifrare quella calma eccessiva e disagiante «Solo il suo tutore può tirarlo fuori di qui, anche se è fermo e non arresto»

Julian non riuscì a reprimere l’ennesimo sorriso, eccessivamente divertito, come si stesse prendendo gioco di lei.

«Questo è vero, ma in realtà non è propriamente in fermo. Il suo nome non comparirà su nessun documento ufficiale, diciamo così. Un favore di un amico di famiglia, più o meno. Diciamo che Antonio si cava qualche occhio per lui per non farlo mettere nei guai»

Arianna sentì le spalle cedere sotto un improvviso peso che non le riuscì di identificare. Priva di forze, si rassegnò ad accasciarsi sulla sedia e tornò a guardare davanti a sé.

 

Sembra così assurdo, cosa intende esattamente con “guai”? Qual è la vera definizione di guai?

 

Nella sua concezione, guaio era mangiare i biscotti di nascosto prima di cena, o sgattaiolare fuori casa alle cinque di mattino. Sospettava che i guai a cui si riferiva Julian fossero un po’ più grandi e complessi. Prese fiato e tornò alla carica

«Perché non c’è un adulto qui? Non dovrebbe occuparsene qualcun altro? Qualcuno di un po’ più…»

Responsabile?

Competente?

All’altezza?

 

Qualcuno in grado di fermarlo, che gli desse la sonora strigliata che si meritava e lo riportasse sulla via del ragionevole. Perché saperlo lì, sapere che quell’episodio non era a se stante, era routine, trasformava tutto in una devastante sconfitta, una battaglia di Waterloo senza speranze, come se Demian fosse già etichettato come un caso umano e fosse troppo tardi per rimediare e l’unica soluzione fosse tamponare un’anfora che faceva acqua da tutte le parti.

Per lei era inaccettabile, Arianna non era mai stata brava a perdere, la resistenza all’ovvio era il suo mantra, non avrebbe sventolato bandiera bianca nemmeno se davanti a lei si opponeva imperterrito uno scontroso che per se stesso sapeva provare solo disprezzo.

Un infervoramento improvviso la travolse e la rimestò, tanto che stare ferma gli sembrò impossibile e si agitò sulla sedia.

Julian nel mentre si stava massaggiando la fronte, sembrava stesse cercando di raccattare parole per dare un senso a qualcosa che effettivamente non ne aveva troppo.

«Ci sono meccanismi complicati, a volte» mormorò stancamente, poi però sorrise ancora e Arianna, d’un tratto, in Julian rivide un poco se stessa e quella leggerezza autoimposta a volte, per sopportare cose di difficile sopportazione.

«La tutrice di Demian è mia zia ed è impossibilitata al momento. Ci sono cose che mia mamma non sa e che mia zia non vuole che sappia. Mi ha chiesto questo favore, di fare le sue veci. Mia mamma è in gamba, ma ha i nervi fragili, la zia non pensava potesse gestire tutto questo…» la voce stemperò in un sospiro «Forse non posso nemmeno io» valutò amaramente, storcendo la bocca.

Il carabiniere di prima riapparve sulla soglia e fece cenno a Julian di seguirlo. Il ragazzo abbassò un poco le spalle, appesantito, e le sorrise di nuovo, una smorfia malinconica che non raggiungeva gli occhi «Mi portano da lui, aspetta qui»

Arianna si ritrovò ad annuire, quasi distrattamente. Quando rimase sola però, la curiosità ebbe il sopravvento. Si avvicinò alla porticina che dava sul corridoio, ci si affacciò ed inseguì con lo sguardo la figura dell’agente e di Jules che parlottavano tra loro. Ebbe solo un attimo d’indecisione, poi gli trotterellò dietro, perché era tutto troppo assurdo e per crederci voleva vedere con i suoi occhi. Fu il suono di una risata a cementificarla al suolo e impedirle di avvicinarsi oltre. Poco oltre Jules e l’agente, un uomo di guardia stava porgendo qualcosa tra le sbarre della camera di sicurezza. Una mano pallida che conosceva bene comparve nel suo campo visivo, afferrò quella che doveva essere una foto e cacciò un fischio.

«Cazzo se è cresciuta! È passato davvero così tanto dall’ultima volta che l’ho vista?» commentò il detenuto, che si rivelò ovviamente essere Demian.

Sebbene lo sapesse e in realtà fosse scontato, ne rimase davvero sconcertata. Quell’incosciente stringeva tra le mani la foto con un sorrisino strano che non gli aveva mai visto, velato di un’appiccicosa mestizia.

Era troppo lontana perché la notasse, a meno che non avesse voltato il capo nella sua direzione, ma da lì Arianna vedeva la sua figura di tre quarti, i capelli sparpagliati, quasi completamente caduti sul suo volto, come stanchi nonostante il gel ancora cercasse di far presa.

Il carabiniere scrollò le spalle «Figurati, Chiara ormai è una piccola signorina e si annoia a venire al lavoro con il suo papà. Lucia era l’unica che mi desse soddisfazione, ed ora se la prendo in braccio si mette a piangere!» sollevò gli occhi al soffitto con disperazione «Un giorno, marmocchio, mi dirai come hai traviato la mia bambina»

Demian sfoderò un ghigno spavaldo e provocatorio, che metteva in mostra il suo canino sinistro leggermente storto. Quasi sembrava una fiera, un animale impossibile da domare, una persona completamente differente da quella che lei aveva conosciuto.

 

Allora avevo ragione, ti impegni davvero a non lasciarmi sola con te

 

«Sono giovane e bello, direi che sono motivi più che sufficienti» rispose con presunzione e poi aggiunse, non senza una certa petulanza, come se quella frase l’avesse ripetuta almeno diecimila volte «Comunque la mia bestiolina resta la più bella di tutte»

Era così scioccata che per la prima volta nella sua vita si ritrovò a corto di parole. Rimase a bocca schiusa a guardarlo là, in piedi, tranquillo e sereno come non l’aveva mai visto, mentre parlava amabilmente con il suo secondino. Aveva i jeans strappati, la maglietta nera a mezze maniche era macchiata e lasciava in bella vista un brutto taglio sul braccio. Persino il viso non era esente da numerose escoriazioni, eppure sorrideva ed era a dir poco luminoso, entusiasta, mentre frugava nel portafoglio alla ricerca di una foto, quasi sicuramente di Sarah.

Stava guardando qualcosa di profondamente sbagliato, e allora perché sembrava quasi un quadretto familiare, per la quotidianità, l’intimità che trasmetteva?

Deglutì a fatica, si sentiva di troppo ed era arrabbiata, perché non era normale, non aveva senso.

 

C’è qualcosa di profondamente sbagliato, maledizione! Possibile che nessuno se ne accorga? Non lo vedono quanto tutto questo sia… malato?

 

Lo osservò, osservò quell’espressione sdilinquita mentre contemplava il suo piccolo tesoro e lo sventolava come il più ingenuo dei bambini, e capì il problema: erano tutti troppo coinvolti. Forse, lo era anche lei, perché tutta la rabbia che l’attraversava perdeva già vigore e veniva rimpiazzata da una tenerezza quasi struggente per lui.

 

Arianna Selene Alessi, riprenditi! Come diavolo fai a provare tenerezza per un tizio palesemente conciato in modo tale che è evidente sia reduce da una rissa? Per Dio, almeno tu mantieni un minimo di equilibrio, che qui tutto è al degenero anche senza di te!

 

Brillava talmente, quando parlava di Sarah, quando la pensava, che davvero, nonostante tutto fosse assurdo e insensato, Demian riusciva a dargli un senso. Lo dava per tutti i presenti, riusciva ad essere una cosa ed il suo opposto ed in qualche modo questo veniva accettato comunque, al di là del sano e del giusto.

«Ah, era anche ora. No, tranquillo Jules, fa’ pure con comodo. Tanto io qui mi stavo divertendo parecchio, non vedi? Posso parlare con tanta bella gente!» borbottò Demian con malcelata ironia «Ah, senza rancori, Anto» rettificò guardando l’agente con una scrollata incurante della testa. Il carabiniere si accigliò «Non pensi mai che averti tra i piedi sia un disturbo anche per noi, moccioso?»

Julian si avvicinò sbuffando «Questa volta sono stato seriamente tentato di abbandonarti qui, quindi ringrazia la nostra infinita bontà d’animo. Qualche giorno dentro ti farebbe solo che bene!»

 

Questa volta

Quanto era inaccettabile che Julian parlasse di quelle numerose volte come fossero marachelle senza importanza?

 

“Più volte” quante volte sottintende?

 

Lo sconcerto era più forte di qualunque collera, non ci riusciva proprio.

 

È veramente uno scemo, uno scemo oltre ogni limite. Così scemo che quando sorride in quel modo, come se fosse felice, viene spontaneo sorridergli di rimando. Tutto ciò che sembra sbagliato va al diavolo, ecco cosa c’è di tanto grottesco in tutto questo.

Non c’è nulla di giusto nella vita di Demian, ma se è lui si può perdonargli tutto, solo per poter ricevere in cambio quell’espressione di immotivata, piena felicità.

 

Quell’espressione che nasceva e moriva con Sarah.

 

Per Sarah

 

«Certo, lasciami pure qui. Così non ci sarà bisogno di mettermi dentro la prossima volta che deciderò di pestare qualcuno» ribatté ancora Dem, con quell’assurdo atteggiamento menefreghista. Sembrava reale, eppure non era vero, Arianna ne era sicura, la maschera non era quella che le aveva mostrato, per quanto lui stesso ci credesse. No, la maschera era quella farsa, quel fingere che nulla potesse toccarlo quando in realtà ogni cosa lo feriva e lasciava segni indelebili sulla sua anima fragile; restava a terra, abbandonato e sanguinante, ed era solamente troppo orgoglioso per ammettere di essere debole.

«Antonio, che ha combinato stavolta?»

«Ha assistito ad una rissa violenta fuori da un locale. Erano in parecchi, non so come lui e i suoi compari ne siano usciti interi, ma uno degli altri è stato ferito piuttosto gravemente con una bottiglia rotta» con un sospiro esasperato aggiunse «Quel gruppo di ragazzi con cui giri ci va piuttosto pesante, Demian. Veramente, è il caso che smetti di frequentarli o ti rovineranno. E non potranno coprirti per sempre»

«Metti in dubbio ch’io fossi un’anima candida nel posto sbagliato al momento sbagliatissimo?» domandò ironico, mani nelle tasche dei jeans e spalle leggermente sollevate, con un sorriso attaccabrighe di chi non esiterebbe nemmeno un secondo a litigare anche solo per uno sguardo sbagliato. Era un Demian assolutamente inedito per lei, un perfetto sconosciuto che non aveva mai incrociato, che le aveva ben nascosto.

 

Quell’insicurezza non può essere una menzogna. Julian non mi avrebbe chiesto di essere qui, se tutto fosse una bugia. Deve esistere, deve esserci per forza.

 

«Non lo metterei in dubbio se non capitasse tanto spesso di trovarti qui. Sempre casualmente. Io non so perché ti coprano ogni volta, e mi sta bene che lo facciano, onestamente. Rende più facile la mia parte. Sei un bravo ragazzo Dami, con loro non hai nulla da spartire e lo sai anche tu. Anche la macchina l’avete rubata voi, vero?»

Demian sollevò l’angolo della bocca nell’ennesima smorfia di sfida «Ho il diritto di restare in silenzio, giusto? Sono innocente fino a prova contraria. Tirami fuori»

L’agente, a cui Dem dava del “tu” con un’irriverenza e una confidenza sconvolgente, sospirò e aprì la camera di sicurezza, da cui il ragazzo uscì con la felpa in spalle e una sigaretta ancora spenta tra le labbra. Quando si voltò e finalmente la vide, perse in un colpo tutta la sua baldanza. Arianna, altrettanto immobile, vide i muscoli delle sue braccia tendersi, irrigidirsi, e un lampo indefinito attraversare i suoi occhi chiari, vetro opaco su un cielo grigio. Forse era senso di colpa, Arianna lo trovava giusto, che si sentisse in colpa. Perché così, con quel modo di essere, si rendeva irraggiungibile in maniera intollerabile.

Fu solo un lungo, sospeso istante, poi fu assalito dalla collera più cieca. Si scagliò contro Julian con una rapidità sorprendente, lo spinse contro il muro con il gomito puntato alla gola e gridò di cattiveria «Che cazzo ci fa lei qui?»

Arianna sussultò, le mani le tremarono per la paura. Tutta quella rabbia repressa, quell’incredibile odio, erano così eccessivi da non avere alcun senso, le davano il panico. Per un momento le mancò il respiro e si ritrovò ad annaspare, un terribile senso di déjà-vu le attanagliò la gola. Adesso lo vedeva davvero attraverso gli occhi di una sconosciuta, e l’insofferenza che le stava mordendo l’anima l’avrebbe messa solo nei guai. Li avrebbe messi entrambi nei guai e Demian nemmeno lo immaginava. Eppure Arianna si maledisse, perché sebbene sapesse che lui era anche questo, anche se Jenevieve molte volte le aveva lasciato intuire come Demian fosse, nonostante tutto aveva perso ogni sicurezza e ogni sua sinapsi l’aveva abbandonata al terrore. Julian boccheggiò e si agitò goffamente, per sciogliere quella presa, ma fu solo Antonio che riuscì a strappare Demian via dal cugino, lo agguantò bruscamente e riuscì a bloccargli le braccia. Jules si piegò su se stesso e tossì violentemente.  Con il dorso della mano si pulì il mento e riuscì a biascicare «Ti vergogni di te?»

Gli occhi di Demian si assottigliarono di rancore incontrollato, tentò nuovamente di raggiungerlo con uno strattone, ma la presa di Antonio fu più forte e tutto ciò che ne conseguì fu solo un mezzo latrato di frustrazione «Sei un bastardo! Come l’hai trovata, fottuto traditore? Se l’hai toccata, non me ne fraga un cazzo se hai il mio stesso sangue, ti ammazzo di botte lo stesso!» sbraitò, le vene del collo e della fronte pulsavano come impazzite e così i suoi occhi sembravano spiritati, con le sclere arrossate di capillari dilatati.

«Demian, non costringermi a rimetterti dentro! Datti una calmata immediatamente!» tuonò il carabiniere mentre con fatica lottava per trattenerlo. Demian scalciava come un animale impazzito, sembrava folle, irragionevole.

 

No, tutto questo non è accettabile, è troppo oltre

 

Arianna strinse i pugni, prese un respiro più profondo ed una calma risoluta prese il posto della paura totalizzante che l’aveva bloccata. Per lo sbigottimento dei presenti, avanzò dritta vera di lui, si fermò ad un passo da quel volto livido di collera, lo fissò dritto negli occhi.

Lo schiaffo, con il suo schiocco improvviso, fece calare un silenzio irreale, carico di tensione repressa. Demian smise di agitarsi, la guardò a sua volta e gli occhi gli si sgranarono nello stupore più genuino.

«Datti una calmata» sibilò gelida.

La mano di Julian si serrò attorno al suo braccio, Arianna sentì la pressione delle dita che cercavano di allontanarla, come se il ragazzo temesse che Demian potesse commettere uno sproposito e farle del male. Il solo pensiero la offese, scrollò l’arto e si liberò di quella stretta senza mai distogliere la sua attenzione dal viso di Demi, che a sua volta la ricambiava. Quello che stava facendo non era differente dall’ammansire un animale, ne percepiva la sfida, e proprio per questo si rifiutava di fare un passo indietro, perché era nel giusto e Demian doveva capirlo, doveva arrivarci.

Alla fine di quella battaglia silenziosa fu Demian infatti a chinare la testa, d’un tratto mansueto, e Arianna seppe di aver vinto. Non ne trasse però alcuna soddisfazione.

«Lo lasci andare» disse al carabiniere, e suonò quasi come un ordine, ma era solo l’amarezza a renderla troppo dura. Antonio esitò, quando però si rese conto che Dem era diventato completamente inoffensivo, lo liberò, non senza riluttanza. Arianna lo capiva, nulla avrebbe potuto impedirgli di avere un’altra reazione completamente fuori da ogni schema logico che non fosse istinto animale, questa giustificazione non bastava a renderla più tollerante verso quell’uomo che in teoria lo conosceva, ma in pratica aveva capito di lui poco o nulla.

«Mi scusi se mi sono intromessa. Se non le dispiace, sarebbe meglio per noi andare» accennò un sorriso più tranquillo e gli porse la mano «È stato un vero piacere, mi scusi per il disagio»

Antonio, preso in contropiede, fissò la sua manina sospesa nel vuoto qualche secondo di troppo prima di decidersi a stringerla, vittima di un palese sconcerto che aveva attraversato anche i volti degli altri presenti.

«È stato un piacere anche per me, signorina» bofonchiò tra l’imbarazzo e la perplessità. Demian, con il capo chinato dalla vergogna, recuperò la felpa da terra, si passò una mano tra i capelli in un gesto di nervosismo ed infine borbottò «Salutami Lizzie, e ringraziala da parte mia per i biscotti. E di’ a Chiara che mi dispiace di essermi perso il suo saggio. Se mi inviterete ancora, al prossimo ci sarò di sicuro»

Antonio aprì la bocca, la richiuse e il segno della barba sfatta lo fece apparire stranamente smunto. Di nuovo, Demian sembrava così stanco, così delicato, che infierire sarebbe parso una crudeltà, anche se meritata. Alla fine il carabiniere si limitò ad arricciare le labbra «Lo sai che ti inviteremo. Chiara ti vuole bene, Lucia ti adora ed Elisabetta chiede del suo figlioccio un giorno sì e l’altro pure» accennò un sorriso pietoso, una forma di affetto prostrato «Ci vediamo presto. Possibilmente non qui, la prossima volta»

 

 

I primi barbagli di luce rosata accarezzarono le palazzine grigie di cemento e le cime scheletriche dei radi alberi che adombravano i marciapiedi d’estate. Era un’alba particolarmente suggestiva, sfumava dal rosa ad un tiepido indaco con la delicatezza di un acquerello e delineava le ombre allungate delle loro figure sulla strada deserta di quella mattina umida.

Arianna osservò la luna, grande come un’unghia e altrettanto perlacea, quasi fusa allo sfondo, e pensò che quel cielo doveva essere così vivace per via di chissà quale schifezza chimica che stavano anche respirando. Era uno dei tipici commenti di suo fratello, quello, il suo lato catastrofico e pessimista lo portava sempre a cercare una spiegazione cospiratoria anche di fronte ad un evento naturale dalla bellezza sconcertante. Richiamare Daniele in quel frangente era d’aiuto a sopportare la tensione che crepitava tra loro come elettricità statica.

Più che tra loro tre, tra i due ragazzi, che Arianna aveva brillantemente pensato di dividere. Ora che si era piazzata tra i due e camminava con quell’angoscia addosso più sfibrante di un parassita, si stava pentendo: era decisa a scongiurare una qualsiasi, ipotetica nuova crisi, fosse stata essa verbale o fisica, eppure la soluzione più sensata forse era permettergli di risolvere la questione nel modo più barbaro, idiota e “virile” che ritenessero opportuno.

Cacciò una discreta occhiata in tralice a Demian e non riuscì a trattenere un sospiro.

 

Come lo prendo?

È praticamente matematico, se sbaglio mossa questo qui si trincera dietro alla sua piccola torre d’avorio e basta, fine dei giochi

 

Ogni mossa sembrava sbagliata in quel contesto, e lei non poteva permettersi di sbagliare. Una simile insistenza sembrava quasi un tentato suicidio, questa era l’unica replica sorda che emergeva da qualche anfratto del suo essere, l’eco di un istinto di sopravvivenza ormai quasi del tutto soppresso.

 

Non che ad una come me, nella situazione in cui sono, l’istinto di sopravvivenza serva ancora a qualcosa

 

 

«Lo so che è stato un colpo basso. Ma io le ho tentate tutte, Dami»

Fu Julian a spezzare quel silenzio di insulti non detti ma lanciati da occhiate omicide. Istintivamente, Demian smise la sua marcia verso il parcheggio ed Arianna lo imitò quasi in sincrono. Lo guardò sfilarsi la sigaretta dalle labbra e inarcarle in una linea maligna e derisoria.

«Fanculo» sputò, insieme ad una nuvola di fumo.

Il volto di Julian si contrasse come un pezzo di carta appallottolato malamente «Avevi detto che non avresti più fatto stronzate e nemmeno sette ore dopo mi chiama Antonio! Sinceramente speravo che vederla ti desse una cazzo di sberla alla coscienza! Che cosa avrei dovuto fare?»

«I fottuti cazzi tuoi!»

La voce di Demian si alzò di nuovo pericolosamente, lasciando trasparire tutto il rancore e la rabbia gestita ma non domata. Arianna in qualche modo si era già abituata, una volta scoperchiato il vaso di Pandora le era stato fin troppo chiaro il contenuto. Persino, rispetto alla crisi mistica avuta in caserma, ora sembrava un felice hippy che lanciava margherite proclamando “Love&Peace”.

 

Che poi, Demi con una corona di fiori in testa, degli occhiali alla John Lennon e dei pantaloni a zampa di elefante stile Beatles dopo il viaggio in India, come starebbe?

 

Immaginarlo ancheggiante e pacifista riuscì a distrarla il sufficiente per farla ridacchiare tra sé e sé ed ignorarli almeno per altri cinque nanosecondi. La sua risata trattenuta male spinse i due cugini a fermare il loro battibecco solo per guardarla storta.

 

Il signore sia lodato, almeno non sveglieranno il quartiere!

 

Con un pessimo tempismo, pure il cellulare iniziò a vibrare. Arianna decise di ignorare i due idioti ancora concentrati su di lei e piuttosto contemplò il display con indecisione: il nome di sua madre non le era mai parso più minaccioso e da evitare.

 

Ovviamente si è svegliata, le sarà venuto un mezzo attacco alle coronarie quando si è accorta che non ero nella mia stanza

 

Si rosicchiò il labbro inferiore, cercando di darsi una spinta di coraggio che non trovava.

 

Devo aver dato fondo alle mie scorte personali, diciamo che per oggi basta così con le prove di resistenza!

 

Riattaccò senza tante cerimonie e prima che quell’aggeggio infernale potesse tradirla di nuovo, spense direttamente il cellulare. Sapeva che, tornata a casa, i suoi l’avrebbero probabilmente scuoiata viva, se non sua madre di certo suo fratello, ma era un problema secondario a cui avrebbe pensato dopo, aveva una gatta da pelare ben più problematica, mezza francese e molto più rissosa di quanto non avesse messo in conto in un primo momento. La parte più razionale di lei sapeva che prima di lanciarsi di testa nei problemi altrui avrebbe almeno dovuto provare a considerare i propri, sua madre sarebbe stata in agonia per lei, non voleva ferirla né farla preoccupare.

 

D’altro canto sono anni ormai che funziona così anche se m’impegno perché non succeda. Che per una volta sia davvero colpa mia, se proprio non si può evitare. Per loro non posso fare nulla, ma forse per questo scemo… per lui c’è tempo.

E se non ci fosse, ce lo inventeremo. Lo farò bastare.

 

«Ti ho messo nei guai, Annie? È tutto a posto?» Jules si era chinato su di lei, essendo almeno dieci centimetri più alto, e le aveva posato una mano sulla spalla. Alzò gli occhi su di lui con un sorriso, pronta già a rimproverarlo perché non la doveva chiamare così, ma non fece in tempo ad esprimersi che Demian lo aveva spintonato brutalmente per allontanarlo da lei. A sua volta le cinse le spalle con il suo braccio pallido e la attirò a sé con la stessa possessività di un bambino capriccioso.

«Ti ho detto di non toccarla, non devi nemmeno parlarle» ringhiò.

«È una persona, Dami, non il tuo cane!»

Demian la strinse un po’ più forte, per il suo disappunto «Hai già fatto abbastanza, non rompermi ancora i coglioni e stanne fuori!»

«Vaffanculo!» sbottò anche Julian, alterandosi a sua volta «Sei solo un piccolo stronzetto ingrato!»

 

Bene, perfetto, ed anche l’ultima isola di calma e nirvana è sprofondata! Ottimo davvero!

 

«Mi dispiace di aver preso il suo numero senza il tuo permesso, ma non avevo cattive intenzioni, cazzo! E lo sai benissimo!»

«Balle, è stata solo una scusa! Lo sappiamo entrambi che volevi vederla!»

Julian, con quel suo ciuffo da divo scarmigliato e la faccia pericolosamente rossa, sembrava sul punto di volersi mangiare le mani per la frustrazione «Io volevo aiutarti. Porca la miseria, prima di essere il mio migliore amico sei mio cugino! E adesso si sta veramente andando troppo oltre»

Arianna sentì il corpo di Demian irrigidirsi contro il suo e capì che Julian, volontariamente o meno, aveva colpito un punto nevralgico. Nonostante l’inflessibilità di quel corpo che parlava per lui, le parole uscirono fluide e spavalde «Se vuoi aiutarmi, sparisci e smettila di metterti in mezzo»

«Non hai capito un cazzo» soffiò Julian, si passò una mano sulla fronte, le iridi adombrate da una nuova determinazione. Persino Arianna capì che quello che stava per dire mirava a ferire Demi «Se non la smetti di farti io… io devo pensare a Sarah. Tu in questo momento puoi farle solo del male»

Doveva ferire Demian, eppure Arianna colse la gravità di quelle parole e quanto gli fosse pesato dirle, Julian si faceva male da sé anche solo pensarle, certe cose. Si sentì in colpa per aver dubitato di lui così, per aver pensato che stesse per dare fiato alla bocca per avere ragione.

Si sentì inerme, stare fisicamente tra quei due non cambiava le cose, non poteva essere detto nulla di più grave per ferirli entrambi.

Il braccio che la stava trattenendo perse forza e ricadde inerte, la sigaretta pigramente appoggiata tra le dita dell’altra mano scivolò a terra. Arianna si voltò a guardare Demian in viso, vide le sopracciglia bianche, spesse sulla pelle nivea, aggrottate. I suoi occhi, assurdamente chiari, quasi trasparenti con una sfumatura rosata percepibile solo ad una certa vicinanza, erano oscurati da altrettanto spesse e folte ciglia.

«Cosa vorresti dire?» proferì con tono tanto apatico e incolore che Arianna provò l’impulso di abbracciarlo, perché aveva deglutito a fatica prima di fare quella domanda e la voce era suonata roca. Quella era la disperazione più concreta.

Julian scrollò il capo e proseguì imperterrito «Io vuoto il sacco Dami, dirò la verità a mamà. Non ti permetteranno più di vederla»

Arianna riuscì a prevedere le mosse di Demian in anticipo senza difficoltà questa volta, e si lanciò su di lui per istinto, aggrappandosi al suo corpo prima che il ragazzo potesse aggredire di nuovo Jules. A muoverlo non era la rabbia cieca del tradimento stavolta, ma la disperazione di chi sta perdendo qualcosa di fondamentale.

«Tu non puoi!» la viva costernazione che traspariva era troppa, Arianna chiuse gli occhi, come per riuscire ad assimilarla meglio «Tu non puoi portarmela via! Non ne hai il diritto! Io non le farei mai del male, lo sai!»

Lo strinse più forte, un abbraccio che divenne una morsa, per quanto glielo permettessero le sue braccina esili, sperando di riuscire almeno a ostacolarlo e trattenerlo a sé. Non si era nemmeno accorta di aver incominciato a ripetere, come un mantra «Calmati, Demi! Devi stare tranquillo, reagire così non serve a nulla» con una voce tanto flebile che, in verità, dubitava seriamente il ragazzo potesse sentirla o prestarle attenzione, nello stato confusionario in cui versava.

«La tua vita le farà male! Quando scoprirà che suo fratello è un drogato del cazzo che passa più tempo a farsi di acidi e valium piuttosto che stare con lei, ne uscirà distrutta!»

Julian, inconsapevolmente, le aveva appena sferrato un montante morale che quasi la mise al tappeto. Si zittì e cercò di assimilare lentamente la notizia.

 

Si droga.

Assurdo, guardandolo non sembra una verità così improbabile. Eppure, chissà perché, non lo avevo proprio messo in conto.

 

La fitta di panico non le impedì comunque di rimanere avvinghiata al suo corpo, con una disperazione nuova a sua volta, un’incapacità di accettare una realtà che non aveva assolutamente senso per lei. Cercava di metterlo a fuoco e di comprendere che no, di lui non aveva capito proprio nulla.

 

Pensavo di averlo inquadrato

 

Faceva quasi paura realizzare quanto si fosse sbagliata. Però poi incrociò i suoi occhi tiepidi, quasi irreali per la loro trasparenza, taglienti come una scheggia di vetro con quel loro taglio nordico, e si ritrovò a sbattere brutalmente contro un muro di costernazione. C’era un tale disamore, dentro di lui, da ferirla. Guardarlo era guardare se stessa, una figura sottile come un’ombra in trasparenza annebbiata dalla troppa luce dell’alba. Era più grande di lei, Arianna si sentì incatenata.

 E il peggio era che non riusciva a dispiacersene.

La sua fragilità era tanto disarmante quanto attraente, per una bellezza così soverchiante si poteva tranquillamente scegliere di affondare consapevolmente. Lo sentì spegnersi nella sua stretta, gli arti gli ricaddero inerti e tutto il suo corpo si svuotò, come un manichino, una bambola vuota. Come se il vuoto lo avesse dentro e lo stesse inghiottendo lentamente, un buco nero che risucchiava ogni sensazione.

Solo il suo mormorio sconsolato, totalmente arreso, le diede un accenno della malinconia che si portava dietro come uno strascico troppo pesante.

«Io ho bisogno di lei»

Julian rimase pietrificato, ma solo un istante. Con un sospiro cacciò fuori tutto il suo risentimento «Sei un egoista. Lei ha solo nove anni! Non ti può salvare dalla merda da cui non vuoi uscire. Non puoi aggrapparti a lei, dovresti essere il suo punto fermo, non il contrario!»

Demian scattò di nuovo e la travolse, senza che potesse opporre la minima resistenza. Arianna si ritrovò compressa tra i corpi dei due cugini che si urlavano contro e non riuscì a far nulla per separarli.

«Sei un bastardo! Vuoi solo liberarti di me, non è vero? Sono la parte marcia, la cancrena della famiglia, lo so benissimo cosa pensate di me! Ma non vi permetterò di farlo, non vi permetterò mai di separarmi da Sarah!»

Il petto di Julian si gonfiò d’aria e indignazione «Sei tu che ti consideri un rifiuto, non gli altri che ti trattano come tale! La tua è una scelta, io non posso farci nulla se hai l’autostima sotto i piedi, ma se non ce la fai non ti permetterò di trascinarci tutti sul fondo con te!»

Demian riuscì a raggiungerlo, gli spintonò una spalla e per poco Jules non cadde a terra trascinandola irrimediabilmente con lui. Fortunatamente, il biondino l’afferrò per le spalle, frenando la sua rovinosa caduta. Arianna sentì un battito scapparle, non si era fatta niente ma l’espressione di Demi, quel gesto, l’avevano spaventata.

Eppure, quel viso candido che sembrava scolpito nel marmo incrociò il suo e Arianna lo vide trasfigurare ancora, un misto di collera e colpa, la guardava ad occhi bassi, sopraffatto.

 

Non voleva farmi male. Non voleva sfiorarmi… non voleva nemmeno che io lo vedessi in questo stato, è per questo che ha mentito. Si vergogna

 

«È per questo che l’hai portata qui, vero?» accusò di nuovo, con voce bassa, più trattenuta «Volevi dimostrarle che sei migliore di me? Volevi mostrarle quanto sono patetico?»

Julian scrollò le spalle, amareggiato «Quanto mi credi meschino? L’avrebbe scoperto lo stesso, non puoi nasconderti. Lei ha il diritto di sapere in cosa va a cacciarsi con te»

 

No, questo non è vero. Neanche Demian sa in cosa va a cacciarsi con me, così è equo. Io non sono migliore di lui, lo sembro soltanto e non è giusto

 

 Il senso di colpa le tolse la voce per dirlo. Perché Demian si presentava come la più splendente delle opportunità ed il suo lato più egoistico lo sapeva, lo sapeva fin troppo bene che le possibilità non si sprecavano, che potevano non riappare più dopo.

Le piaceva, che in qualche modo distorto lui avesse bisogno di lei, le piaceva troppo e non era positivo.

«E glielo hai detto che sei un puttaniere del cazzo che da quando l’ha vista punta solo a scoparsela? Perché dovrebbe sapere anche questo!» lo assalì con ritrovato vigore, spingendola di nuovo con la schiena contro il petto di Julian «Ti avverto che non la toccherai mai, Cristo! Non ti permetterò nemmeno di sfiorarla con un dito, non la devi guardare!»

«È una mocciosa alle prime armi, come dire che potrei mai farmela! Le principianti non mi interessano! E comunque non è un cane, piantala di parlarne come se fosse Lalami!»

«Ma se ti sei vantato fino a ieri di quanto sia soddisfacente essere il primo!»

 

Ok, la conversazione sta prendendo una piega che non mi appartiene!

In quel momento avrebbe dato qualunque cosa per essere uno struzzo e poter cacciare la testa sottoterra, venti metri sotto l’asfalto fosse stato necessario a non doverli sentire urlarsi contro certe nefandezze.

«Stronzate, lo sai benissimo che le vergini non le sopporto! Ti si attaccano come una cozza e non te ne liberi più! Ed hanno anche la pretesa di essere trattate come speciali!»

Compressa tra i due, Arianna sentì le guance bollire di indignazione profonda per tutto il genere femminile esistente e di vergogna assoluta.

 

Se dicono un’altra scemenza, giuro che li prendo a ceffoni!

«Questo perché tu….»

«Sono l’ambasciatrice dei pastelli a cera del Veneto!» strillò acutamente, coprendo le loro voci con la prima cosa che le venne in mente, giusto per zittirli.

 

Perché se non tacciono, parola mia che faccio una strage!

 

Le fece eco, finalmente, il silenzio. Demian si scostò da lei e così Julian, entrambi irrigiditi nella loro perplessità la guardavano con gli occhi strabuzzati dalla confusione. La sigaretta di Dem era più cenere che altro ormai, aveva fatto in tempo a consumarsi sul marciapiede nel mentre di quella allucinante e inconcludente discussione.

 

A prezzo della mia dignità, ma almeno ho ottenuto l’effetto desiderato. E comunque fuma, annotatelo, che qui le cose di cui prendere atto stanno leggermente sfuggendo di mano

 

«Finalmente un po’ di silenzio!» esclamò stendendo le braccia per allontanarli definitivamente l’uno dall’altro. I due cugini risposero alla debole pressione delle sue mani con una passività inaspettata, senza smettere di guardarla, improvvisamente inconsapevoli o indifferenti alla reciproca presenza.

 

Se avessi saputo che bastava così poco, avrei urlato prima

 

Sollevò l’indice e lo brandì minacciosamente verso Demian, che per istinto indietreggiò di un passo, come un’abitudine, un gesto con cui si confrontava abitualmente «Tu!» lo apostrofò non senza una certa rabbia «Non trattarmi come se fossi un bambolotto, sia chiaro! E tu!» tuonò di nuovo, voltandosi verso Julian e picchiettandogli il dito sul petto. Il sorriso intenerito con cui lui ricambiò l’espressione più truce del suo repertorio indispose Arianna «Tu sei veramente pessimo!» sputò «E io so rendermi conto delle cose benissimo da sola, senza bisogno di un cavalier servente!»

«Sottotitolato: levati dalle palle» sottolineò Demian seccato, comparendo sopra la sua spalla.

 

Ecco, annotati anche che quando è arrabbiato diventa tremendamente volgare. Così, giusto per tenere una lista di punti

 

«Ti sembra che io non sappia parlare abbastanza chiaramente da me? Ti sembra che io necessiti di sottotitoli?» ringhiò, e Demian si accigliò e si ritrasse, con il volto contratto «No, ma…»

«No! Appunto!» lo interruppe prima che potesse dire qualche altra sciocchezza in grado di alterare il suo equilibrio psicofisico.

Demian schiuse la bocca e così rimase, incapace di ricollegare suoni a parole. Ovviamente, il suo altrettanto idiota ma più sfacciato cugino non riuscì a fare altrettanto.

«Ha un caratteraccio, te ne rendi conto? Solo tu potevi farti incastrare da una così»

Un’uscita infelice, per il fin troppo orgoglioso ragazzo, che vanificò ogni suo tentativo di riportare pace nella galassia. Demian si gonfiò come Anacleto quando Semola lo aveva definito “impagliato” e Arianna seppe di aver perso all’istante ogni appiglio.

«Ti ho già detto che è una cazzata. Fanculo te e lei. Io me ne torno a casa» partì a passo di marcia abbandonandoli alle sue spalle e Arianna, per un momento rimase smarrita tra loro due, incapace ancora una volta di reagire con tempismo o almeno di seguire il corso dei pensieri di quelle assurde persone. Non era una sensazione in cui incappava spesso, lo smarrimento, era più abituata a confondere che a essere confusa.

 

Ma evidentemente mi sono imbattuta in soggetti che quanto stranezza mi tengono testa e mi superano pure

 

Le spalle le si lasciarono andare in un eccesso di stanchezza, quasi slegate dal suo corpo, insieme all’ennesimo sospiro di disperazione ormai non più sopita. Con gli occhi seguì la figura di Demian, con l’incertezza di cosa fosse meglio fare a quel punto.

 

Magari non ho idea di cosa sia meglio fare, ma almeno so cosa sento di dover fare. E nel dubbio, forse è meglio affidarsi all’istinto

 

Si voltò verso Julian, rimasto in silenzio con lo sguardo basso. Le parve stranamente distrutto, sconfitto per davvero, e Arianna pensò che forse, anche quando attaccava era per difendersi ed in qualche modo ferire suo cugino lo feriva a sua volta. Quella era l’espressione contratta di un animo demolito, l’aveva vista molte volte nella sua vita.

Per questo gli sorrise con tutta la convinzione di cui era capace, cercò d’imprimere in ogni tratto del suo volto un “andrà tutto bene, non devi preoccuparti” che in qualche modo riuscì a scioglierlo, perché Jules ricambiò, seppur mestamente.

«Hai capito perché l’ho fatto?» chiese, come se avesse davvero bisogno di essere sicuro di non essere stato frainteso. Per essere più grande e così provocatorio, lasciava trasparire una profonda insicurezza.

«Certo. Ora che so, non può più fingere, giusto? Non può più nascondere i segni. Tu speri che la considerazione che ha di me lo porti a ridimensionarsi, vero?»

Non lo aveva compreso subito, eppure dopo quella discussione sembrava evidente, per qualche ragione Julian si era convinto che lei potesse avere un qualche ascendente. Sinceramente, ne dubitava, ma probabilmente Jules si stava giocando un po’ il tutto e per tutto, con quel disgraziato di suo cugino.

«Forse tu potresti…» iniziò il ragazzo, lasciando cadere la frase nel vuoto, la voce che sfumava bassa e mesta. Tutta quella dolcezza di fondo la commosse, scosse il capo agitando i riccioli e sulle labbra sentì affiorare il sorriso più vero e sereno da tanto tempo, perché quei due le scaldavano l’anima, con il loro affetto grottesco.

«Lascialo a me… mi prenderò cura di lui»

 

 

 

 

Demian aveva una camminata strascicata.

Nel silenzio in cui si era trincerato, non le restava altro che seguirlo lentamente, cercando di non irritarlo. Si era accorto di lei, ma continuava a fingere di non sentirla, aveva scelto di ignorarla deliberatamente e di crogiolarsi nel proprio personale dramma.

Si accese un’altra sigaretta, era già la seconda da quando si erano separati da Julian, le fumava con gesti nervosi, quasi nevrotici.

Ed era bello.

Arianna non ci aveva mai prestato troppa attenzione, non ci si era mai soffermata. Ora però che si trovava a spiarlo, ora che poteva vedere solo la sua schiena, i capelli più corti sul collo e in apparenza tanto morbidi, ora che al massimo le concedeva uno squarcio del suo viso di tre quarti, quella bellezza quasi sensuale la colse impreparata. Era bello anche così malconcio, con l’aria trasandata di chi nella vita sa solo trascinarsi e l’espressione un poco crucciata un poco assorta, persa da qualche parte, come capitava a Jenevieve a volte, mentre le parlava. La boccata di fumo che si disperdeva poi dalle sue labbra gonfie, rosa pallido, aveva la stessa sfumatura dei lividi che segnavano la sua pelle eccessivamente bianca.

 

Mi sembra quasi di vederlo per la prima volta

 

Da un certo punto di vista era vero, non aveva mai preso coscienza del fatto che Demian fosse un ragazzo, a modo suo affascinante, e non per i tratti del volto innegabilmente eleganti e androgini, ma proprio per quella postura china di chi ha un peso enorme che non riesce a lasciare andare, per quella fragilità nascosta eppure tanto in vista e tanto profonda da travolgerla.

 

È quasi un cliché. È aggressivo, attaccabrighe e completamente barricato in se stesso. È imperscrutabile e in alcuni momenti diventa freddo, freddissimo, e incredibilmente meschino. Eppure perché mi sembra un gattino randagio tutto sporco e spaurito che dimena vanamente la sua zampetta?

Perché mi hai fatto le fusa, se in realtà non vuoi essere avvicinato?

 

Demian le aveva mentito, le aveva mostrato una persona differente, si era nascosto dietro una facciata inconsistente. E la risposta, per quanto banale, doveva essere davvero la più scontata.

 

Nessuno è fatto per stare da solo, nemmeno tu. Per questo sono qui, vero, Demian?

 

Il ragazzo rallentò il passo ed Arianna si trovò ad imitarlo ancora, ad adeguarsi al suo ritmo. Alla fine si fermò e la guardò da sopra la spalla, senza prendersi la briga di fronteggiarla davvero.

«Hai intenzione di seguirmi ancora per molto?»

Aveva un bel profilo, la luce di quell’alba lenta illuminò la linea del naso e delle labbra, i capelli densi sembravano morbidi e consistenti come il cotone. Se avesse avuto l’occhio dell’artista, probabilmente avrebbe cercato in qualche modo di fermare l’attimo, di ricordare l’effetto caldo del sole sulla sua pelle di marmo. Arianna però mancava di talenti e se ne rammaricò, rimase stordita ad ammirare la purezza incarnata in un corpo sublime che sembrava troppo lontano dall’imperfezione umana. La pelle doveva avere la stessa compattezza di una statua antica, come le figure delle divinità sui libri di Storia dell’Arte. Le bruciarono le guance per l’improvviso ed irrazionale desiderio di toccarlo, per sentirne il calore che scacciasse quella chimera di irrealtà frustrante. Non era troppo prestante, ma la sua corporatura asciutta e sicura, con le braccia magre che esponevano le linee dei muscoli e dei tendini, dava una sensazione di solidità su cui non si era mai soffermata.

Demian ringhiò «Allora?» con sufficiente astio da farla sussultare.

La sua occhiata gelida la rese incredibilmente insicura. Se fosse stato Daniele o chiunque altro probabilmente, le sarebbe bastato un abbraccio, senza dover dire nulla o dare spiegazioni che non trovavano forma. Si morse le labbra in un attimo di ponderazione «Stanotte ho fatto un sogno strano» dichiarò, e non riuscì a trattenere il sorriso. Demian si sciolse, l’aria truce scivolò via dai suoi tratti per lasciare spazio ad una semplice ruga di perplessità tra le sopracciglia.

«Cosa?» mormorò con cautela eccessiva, diventando d’improvviso un’altra persona.

 

Non sa fare altro che saltare da una maschera all’altra, è così concentrato a difendersi da non accorgersi di nulla

 

Anche questo suo aspetto insopportabile e ingestibile l’affascinava, tragicamente.

 

Ah, io con te getto la spugna Arianna!

 

Chinò appena la testa, in imbarazzo «Ero davvero l’ambasciatrice dei pastelli a cera del Veneto. Avevo un grandissimo talento in questo campo e sono riuscita ad entrare nel marketing dei pastelli a cera, una specie di scalata al successo!»

Demian si morse l’interno della guancia, era un tic di disagio che Arianna gli aveva visto compiere spesso. Lo guardò vacillare da un piede all’altro, alla ricerca della cosa più appropriata da dire, e finalmente si voltò del tutto, annullando la sua sciocca distanza mentale.

«… intendi business?» optò infine.

Arianna si accigliò un attimo, non realizzò subito l’errore. In un secondo seppe di essere diventata rossa, perché stava morendo di caldo. Per abitudine si allargò lo scollo della maglia «Marketing, business… sono italiana, mica inglese!» sbottò, lasciandolo se possibile ancora più a corto di parole.

«E comunque, mi scaricavano un sacco di scartoffie e passavo il tempo a discutere se fossero meglio rotondi o quadrati, anche se ovviamente io insistevo per farli a stella perché dai… sono così tanto più belli a stella! Fossi una bambina e ci fossero, li comprerei solo a stella. E poi bisognava stare attenti ad un sacco di cose, come la composizione chimica della cera perché l’umidità dei canali poteva compromettere la qualità del prodotto» s’interruppe solo per sfoderare un sorrisone soddisfatto a trentadue denti «Insomma, alla fine mi hanno fatto membro onorario al congresso dei pastelli a cera! Indossavo pure un tailleur blu e, sinceramente, non mi ero mai immaginata con un tailleur. Però stavo bene!» concluse e si sentì stranamente gongolante nel ripercorre le proprie memorie accartocciate e indefinite dal sonno. Probabilmente, se Julian non l’avesse svegliata tanto malamente, avrebbe ricordato più dettagli. Le piaceva raccontare i suoi sogni a Daniele e Luca, al mattino, per fargli fare due risate. Dani avrebbe trovato la questione dei pastelli a cera estremamente esilarante, ne era certa.

Demian invece sembrava solo confuso.

«Ma cosa mangi a cena?» borbottò, gettando la sigaretta a terra. Per un momento Arianna si sentì scoraggiata, poi però Dem alzò su di lei un sorriso sfuggevole, solo un accenno che le risultò più che sufficiente. Quella linea indulgente e tremendamente sincera, al limite del disarmo, era proprio ciò che sperava di ottenere, se sorrideva allora una breccia era ancora possibile.

«Avevo anche un ufficio con una parete ricoperta di pastelli a cera in gradazione cromatica, con gli stemmi in bella vista perfettamente allineati. Pagavo una signora perché li spolverasse tutti i giorni! È stata un’illuminazione: ora non riesco a immaginare per me altro futuro!»

Dem non smise di sorridere, ma sembrava più una smorfia triste, l’ombra di un’angoscia abbastanza persistente da strozzarle la risata in gola. Quel principio di buon umore si spense sulle sue labbra, non era riuscita nel suo intento.

«Perché fai finta di niente?» le sussurrò, si stava mordendo l’interno della guancia, Arianna si rese conto che girarci intorno probabilmente, con lui, non era la giusta soluzione. Con suo fratello era più semplice, litigavano, andavano in paranoia e poi si chiarivano senza mai bisogno di spiegarsi, ma Demian era più complesso.

«Che intendi?»

Il ragazzo si adombrò lentamente. Le parve quasi possibile vedere la sua mente come una piccola proiezione, un Demian caricaturale in miniatura, che dopo aver curiosato fuori dal portone della sua imprendibile torre aveva deciso che nel mondo nulla era interessante e si sbatteva suddetta porta alle spalle.

 

Quante volte bisogna scalarla, questa parete, prima che lui si rassegni e la smetta di chiudermi fuori?

 

«Non fingere di non capire!» si alterò, gli occhi assottigliati in una linea di sprezzo e la voce più alta, senza motivo «Cosa aspetti a sparire? Ora lo sai che persona sono, vattene! Tieniti la tua compassione per te e smettila di starmi addosso!»

Arianna sbatté le palpebre a vuoto un paio di volte più del dovuto, sufficientemente confusa.

«Andarmene?» riuscì a mormorare, per essere sicura di aver davvero afferrato.

 

Quindi è tutto qui il problema? Pensavi che sarei sparita e basta, come se non avessimo condiviso proprio nulla?

È l’unica opzione che non ho davvero contemplato, che stupida. Eppure ha ragione, è la più ovvia e la più logica.

 

Eppure, il suo unico cruccio era stato cercare di capire come renderlo ragionevole, se fosse giusto davvero cercare di cambiarlo o se fosse più sensato rassegnarsi e viverlo così, per ciò che era, con tutte le conseguenze che quella sua vita avrebbe portato con sé.

 

Perché tutti meritiamo di essere amati per ciò che siamo, anche se facciamo schifo e siamo delle bestie. Basta una sola persona in grado di vederci nella nostra interezza, almeno per una volta.

 

A lei una persona sarebbe bastata, era quella che stava cercando e che sperava di ritrovare in Demian. E così, forse, a sua volta doveva essere in grado di accettare che non fosse buono, non fosse bello, non fosse per nulla giusto.

Gli rispose con un sorriso, perché non sapeva in che altro modo parlargli. Demian era un tipo che con le parole ci faceva gran poco, ma provava sempre a frugare tra i gesti, per questo scelse di sorridere con tutto l’affetto e la dolcezza che sentiva dentro, che scaturiva da lui, un gatto randagio piccolo e indifeso che tirava fuori le unghie e provava a graffiare chiunque gli si avvicinasse.

Proprio come quel gattino inconsapevole, Demian era ostile perché aveva solo fame, e nessuno lo capiva o sembrava voler rimediare a quella lenta e agonizzante morte per inedia.

Demian si irrigidì, sigillò le labbra e la studiò con sospetto, forse ora più simile ad una pantera pronta a balzare in un attacco repentino. Quella tensione nel corpo e nelle spalle le provocò un’ondata d’affetto.

«Di andarmene non ci avevo nemmeno pensato» proferì con una tranquillità fittizia che in realtà nascondeva l’ariete di sfondamento con cui contava di far tremare le mura di una torre che non aveva ragione di esserci.

 

Tu cerchi disperatamente qualcuno che legga tra le tue righe, quindi vedi di fare altrettanto!

 

La tensione del corpo e delle spalle venne meno e lentamente, quasi si stesse trattenendo per essere certo fino alla fine, Demian si rilassò e rilasciò un mezzo sospiro carico di sollievo.

 

In realtà lui è davvero incredibile, anche se non potrò mai dirglielo. Rappresenta tutto ciò che ho sempre ammirato… è pienezza, è una vita bruciata, vissuta in una manciata di anni, troppo forte forse per qualcuno che, come lui, non ha alcun motivo di avere fretta. La sua è una vita sbagliata, ma gli ha dato di più di un’esistenza intera vissuta lasciandosi vivere.

Demian è l’intensità che desidero più di tutto ma che non ho il coraggio di affrontare da sola.

Questa è bellezza, è come se dentro di lui ci fosse un richiamo categorico ad esistere.

 

«Dem, ci vuoi venire in un posto con me?»

Osservò il formarsi ormai familiare di quella ruga d’espressione tra le sopracciglia bianche «La domanda giusta è se tu vuoi andarci con me»

Il riso le venne spontaneo, come scavalcare quello stupido muro immaginario che il ragazzo aveva frapposto tra loro. Gli afferrò la mano e agitò i ricci al vento con un sorriso felice sulle labbra «Questa non è la domanda giusta, Demi, è quella stupida!»

 

 

 

 

 

 

 

  
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