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Autore: Mardy Paranoica    25/11/2018    0 recensioni
Forse non era abbastanza coraggiosa come aveva sempre pensato, forse non era nemmeno più sicura di riuscire a fare quello che aveva sognato per tutta la vita.
Forse stava davvero desiderando che le loro strade non si fossero mai incrociate per non doversi ora separare in un bivio che sembrava incredibilmente freddo e buio nonostante l'aria tiepida di una notte di Settembre ricordava ad entrambi che non sarebbero potuti restare per sempre bloccati in quell'istante di tempo, che tutto avrebbe ricominciato a scorrere anche dopo che sarebbe salita su quel treno, che avrebbe voltato le spalle a quella che fino ad allora era stata la sua vita, la sua comfort zone.
Sarebbe tornata, ne era certa, ma non sapeva chi sarebbe stata: sarebbe cambiata, sarebbe cresciuta, le cose sarebbero state diverse e per la prima vera volta avrebbe dovuto veramente chiudere un capitolo della sua vita per aprire una pagina nuova, completamente bianca.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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𝑆𝑐𝑎𝑟 𝑡𝑖𝑠𝑠𝑢𝑒 𝑡𝘩𝑎𝑡 𝐼 𝑤𝑖𝑠𝘩 𝑦𝑜𝑢 𝑠𝑎𝑤
 

Non fa freddo a settembre, è la brezza tiepida di fine estate che ti confonde. Non riesci a capire dove ti trovi di preciso, non sai se è tutto un sogno, non sai se ti sveglierai e sarà tutto come è sempre stato o se non stai sognando veramente, se quella è effettivamente una realtà da affrontare che non puoi semplicemente ignorare aprendo gli occhi e facendoti un caffè.

“Stai veramente andando via?”

Forse, non c’era veramente una risposta che avrebbe saputo dare in quel momento.
La lunga scia di lampioni non illuminava abbastanza la strada per far si che i suoi pensieri fossero più chiari: avrebbe veramente preso quel treno? Avrebbe veramente salito i suoi bagagli senza voltarsi e avrebbe semplicemente risposto uno sbiadito sì e gli avrebbe dato la buonanotte in un addio spento e smorto?
Forse, non esisteva veramente una risposta.
Non era nemmeno capace di dire “sì, ma tornerò presto” o qualche altra stupidaggine di circostanza. Sarebbe tornata ma non sarebbe mai più stata la stessa cosa, e anche quel ‘tornerò’ sarebbe sembrata una frivola circostanza. La verità era che aveva sempre creduto di essere abbastanza coraggiosa da farlo, da lasciarsi tutto alle spalle, di poter prendere quel treno senza allungare l’occhio al mare che lasciava alle spalle, alle colline che a quell’ora sarebbero state ancora scure dalla notte, non era semplicemente sicura che sarebbe riuscita a fare tutto quello che aveva sempre sognato da quando ricordasse, da prima ancora che le loro strade si incrociassero.
Forse stava sbagliando il punto focale, forse era proprio perché le loro strade si erano incrociate nel bel mezzo del niente e la avevano portata nei luoghi più belli che avesse mai visto.
Il silenzio della notte cominciava ad essere ingombrante, il fruscio della loro ultima sigaretta insieme che bruciava, si consumava in tripudio metaforico perfetto, li distraeva entrambi dal parlare ancora, dal riempire un vuoto che entrambi sapevano dovesse restare tale.
Avrebbero potuto dirsi qualcosa di stupido, avrebbe potuto dirgli che sarebbe potuto andarla a trovare in qualsiasi momento, che fortunatamente esistevano treni e aerei e car-sharing o qualsiasi altra diavoleria la tecnologia potesse offrire ma non voleva conoscere la risposta perché sapeva già quale sarebbe stata.
Non voleva sentirsi dire di “no” perché sarebbe stato un “no” brutale, secco, quasi rabbioso. Persino quel saluto, stavano tirando la corda fin troppo: sarebbe stato meglio salutarsi con i loro amici intorno, sarebbe stato meglio forse non salutarsi direttamente.
Le avrebbe detto no perché era meglio così, perché non ne avrebbero mai avuto abbastanza e perché separarsi di nuovo sarebbe stato ancora più doloroso.

“Mi sorprende che tu non stia piangendo…”

Ma il tono era più scherzoso, più leggero, forse anche in qualche modo più malinconico perché anche lui aveva deciso di denudarsi un po’ da quella crudezza che lo aveva sempre contraddistinto nei suoi sentimenti esposti brutalmente o agognatamene reconditi. Li nascondeva dietro quegli occhi scuri, belli, circondati da delle ciglia invidiosamente troppo lunghe.

“Mi hai visto piangere solamente una volta e sai che era per una determinata causa, taci!”

Ma non v’era veramente scherno nella sua voce, non vi era nient’altro che una triste famigliarità e una preziosa complicità nascosta da un sorriso tinto da un rossetto scarlatto.
Tutto era perfettamente incastrato come in un puzzle completo: amore e una punta d’odio, affetto, quotidianità, complicità… tutto spezzato da ambizioni troppo diverse, essere visionari in maniera differente, riuscire o non riuscire a lanciare lo sguardo più lontano della propria zona di confort.

“Ti mancherò?”

“No, non mi manca nessuno. Lo sai.”

“Lo so.”

Forse avrebbe dovuto farsi bastare quello, forse avrebbe dovuto farsi bastare la consapevolezza che gli sarebbe mancata da impazzire, così come lui sarebbe mancato a lei, così come entrambi avrebbero avuto qualcuno a cui pensare la notte, prima di andare a dormire. Forse avrebbe dovuto semplicemente accettare quello, forse il bivio di quella strada che avevano condiviso per tanti chilometri era arrivato e forse avrebbe dovuto semplicemente salire su quel treno senza doversi continuare a questionare e torturare e perlomeno far finta che avesse davvero tutto quel coraggio che aveva sempre creduto di avere.
Il mozzicone spento di sigaretta, sporco di rossetto scarlatto, finì sull’asfalto ancora umido dall’ultima pioggia a risaltare come un diamante nella terra nuda, come il contrasto che erano sempre stati insieme, come le parole che si erano urlati, i baci che si erano dati, i silenzi che avevano condiviso, i vetri appannati, i libri, le dediche, le canzoni che avevano fatto sempre da colonna sonora a tutti i loro respiri.

“Tu mi mancherai.” come l’ossigeno dopo un’immersione nell’acqua.
Come il sole in inverno dopo giorni di neve e qualsiasi altra assimilazione romantica che potesse venirle in mente. Il perno al centro del suo mondo senza in quale la bussola non avrebbe più trovato il suo nord, la direzione giusta… o se non giusta, sicuramente la direzione migliore, il primo caffè della giornata condiviso in silenzio, in un posto felice in cui potevano capirsi semplicemente con una mezza occhiata senza nessuna necessità di spiegare.
Chissà se se lo ricordava il loro primo incontro, chissà se anche lui aveva provato lo stesso balzo al cuore che aveva provato lei.
Non era stato tanto tempo prima, non si conoscevano poi da così tanto come le sembrasse, non avevano vissuto insieme quella che a lei sembrava veramente una vita intera.
“Amo i tuoi occhi.”
Quelle erano state le prime parole che gli aveva rivolto, seguite da un silenzio apocalittico, come se il mondo avesse smesso di girare e tutto si fosse fermato, compreso il suo cuore che all’improvviso aveva smesso di battere per poi riprendere subito dopo.
Poi si era corretto, aveva riso, aveva sdrammatizzato “I tuoi occhiali, volevo dire: sono bellissimi” nella consapevolezza che entrambi si erano capiti benissimo, la consapevolezza che non sarebbe stata solo l’ennesima persona casuale capitata per sbaglio nella sua vita.
“Non credo di essermi mai innamorato davvero.”
“Io sì, ma è stato doloroso e non voglio pensarci.”
Se avesse saputo prima che l’amore non fosse veramente qualcosa di così malato come lo aveva sempre inteso, se solo avesse saputo prima che si potesse amare senza sanguinare, che l’amore non faceva male, non incatenava, non tradiva, non toglieva il sonno… non lo avrebbe nemmeno definito amore.
L’amore non ti fa sentire inadeguata, l’amore non ti chiama egoista, l’amore non ti rilega ad un angolo insignificante e non fa in modo che tu creda che quello sia il tuo posto. L’amore non ti fa credere che tu sia quella difficile da amare, l’amore è più semplice, più naturale, più complice.
L’amore è qualcos’altro.
“Forse ti amo.”
Forse il rumore delle onde, il caldo della spiaggia di sera, le luci del porto in lontananza che li tenevano entrambi con i piedi aggrappati alla realtà ben diversa dalle romanticherie da film
Forse il vento sulle loro facce, la strada in moto, le loro parole perse nei fruscii e nel rumore che copriva tutto.
“Forse anch’io.”
E forse andava bene così, forse potevano accontentarsi di quel qualcosa che li facesse splendere entrambi nonostante i loro caratteri difficili, le loro paure, le loro incomprensioni, le loro dimenticanze… tutto diventava insignificante quando erano insieme, tutto spariva in un secondo piano invisibile.

“Io vado, è tardi e domani finisco di fare le valigie e… mi raccomando...”

Erano vicini ma non abbastanza da toccarsi, sapevano entrambi che nessuno dei due avrebbe fatto un passo in più, sapevano entrambi di volersi congelare in quel preciso momento ma allo stesso momento potevano quasi sentire il tempo scorrere inesorabilmente sulla pelle d’oca, tra i loro capelli, davanti ai loro occhi.

“…Ciao.”

“Buon viaggio…” con gli occhi bassi, una distanza che sembrava ormai siderale, la notte tiepida di settembre e delle promesse mai fatte, dei bagagli pieni a metà, dei biglietti nello zaino, delle foto sul muro, parole mai dette e battiti in gola. “Buon viaggio, amore mio.”

   
 
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