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Autore: Ladyhawke83    25/11/2018    5 recensioni
Storia partecipante al Contest "Specchi, ombre e presagi: il doppelgänger II edizione" indetto da Shilyss sul forum di EFP.
Ladyhawke AU!
“Dunque sei venuto a prendermi finalmente. Sappi che non temerò mai la spada di mio padre! (1)”. Quella voce era carica di rammarico e rancore trattenuto a stento.
“Non so chi voi siate, e di sicuro quella che porto qui al fianco non è la spada di vostro padre, né ho intenzione di battermi con essa...”. Rispose Navarre, cercando di essere conciliante, nonostante pensasse di avere a che fare con un povero pazzo, provato da tanta prigionia.
“Conosco bene la storia di quella spada”, proseguì l’uomo nell’ombra. “È stata la compagna di grandi battaglie, ha versato il sangue degli infedeli nelle Crociate e avrebbe dovuto servire me. Avrei dovuto, avresti dovuto, brandirla per uccidere colui che ora, contro ogni logica terrena, e divina, si sta per unire in matrimonio nella Cattedrale”. Ammise stancamente la voce nell’oscurità umida di quel luogo così angusto.
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’eclissi non vi salverà

 

 

Navarre si stropicciò gli occhi, sentendosi leggermente confuso, disorientato. Ciò che si trovò dinnanzi era il profilo della Cattedrale di Aguillon, con le sue caratteristiche sfumature di bianco e di rosa, date dalla pietra con cui era stata costruita quasi un secolo prima.

Ad offuscare la visuale c’era, però, quel mattino, una fitta brina composta di acqua condensata, gelata e umida, si appiccicava agli abiti, insinuandosi sotto la pelle, là dove gemevano le ossa e le cicatrici di vecchie ferite dolevano, esposte a quell’umido tipico di novembre.

Il Capitano conosceva perfettamente ogni dettaglio di quel luogo, in fondo aveva trascorso molti anni in quella città, al servizio di Sua Eccellenza, il Vescovo di Aguillon.

Eppure nell’aria avvertiva qualcosa di strano, di sinistro, di inspiegabile. 

Sobbalzò senza quasi rendermene conto, quando sentì le campane suonare, contò i rintocchi, no, non erano per la funzione, e nemmeno per un’esecuzione. 

E allora per cosa? Si domandò Navarre, preda di un’inquietudine crescente. 

Sembrava proprio il suono delle campane da matrimonio.

Il Cavaliere affrettò il passo, ma la nebbia non ne voleva sapere di diradarsi, nonostante l’ora ormai tarda del mattino. 

Ad un tratto qualcuno lo afferrò per una spalla, e Navarre, sempre sulla difensiva, fu tentato di sguainare la propria spada, ma l’intenzione si smorzò in fretta, quando capì che chi lo aveva afferrato, altri non era che una delle sue vecchie guardie al servizio di Sua Eccellenza.

“Perdonate Mio Signore, ma ho l’ordine di condurvi alle prigioni. C’è qualcuno che desidera parlarvi” Disse l’uomo con voce sommessa. 

Il suo volto stanco e affilato ricalcava perfettamente i tratti di Andres, però le ciocche grigie tra i suoi capelli, cozzavano con il ricordo che Navarre aveva di lui. 

Il suo compagno d’armi sembrava invecchiato di almeno una decina d’anni, eppure, Navarre ne era certo, non erano passati neanche due anni da quando era dovuto fuggire, come un ladro, da Aguillon.

Il cavaliere, anch’egli in livrea rossa e nera, accompagnò il suo ex Capitano, proprio nell’ultimo luogo dove avrebbe voluto trovarsi Navarre in quel momento: le prigioni di Aguillon.

“Come mai sono così deserte?” Domandò Navarre, temendone quasi la risposta.

“Sua eccellenza ha deciso di epurare il superfluo...”. 

Andres abbassò lo sguardo sulle proprie mani guantate, mentre lo diceva, vergognandosi da un lato per la propria omertà di fronte alle decisioni nefaste del Vescovo, e dell’altro, non potendo nascondere un certo qual sollievo, nel sapere che quei poveracci avevano smesso di soffrire. 

Anime perse, dimenticate da Dio persino, in quel buco umido e puzzolente, che neanche i raggi del sole osavano sfiorare. 

Finire alle prigioni per chi aveva la sventura di capitarci, era come  osservare con un certo anticipo, piuttosto realistico, che cosa poteva esserci  all’inferno.

“Li ha fatti giustiziare tutti?” Navarre lo chiese, ma non si mostrò poi così sorpreso, poiché conosceva l’indole di Sua Grazia fin troppo bene, da dubitare che ci fosse anche solo una stilla di compassione in quell’uomo.

“Si, Mio Signore. Tutti meno uno. Venite...” Andres accompagnò il Capitano davanti all’unica cella ancora occupata da qualcuno.

“Resterei con voi, Mio Signore, ma gli ordini di Sua Grazia sono stati chiarissimi: tutti devono presenziare alla funzione che si svolgerà tra poco, guardie comprese, perdonatemi...”

Navarre pensò che fosse tutto alquanto strano, ma i suoi pensieri furono interrotti da un voce proveniente dall’angolo più oscuro della cella davanti a sé.

“Dunque sei venuto a prendermi finalmente. Sappi che non temerò mai la spada di mio padre! (1)”. Quella voce era carica di rammarico e rancore trattenuto a stento.

“Non so chi voi siate, e di sicuro quella che porto qui al fianco non è la spada di vostro padre, né ho intenzione di battermi con essa...”. Rispose Navarre, cercando di essere conciliante, nonostante pensasse di avere a che fare con un povero pazzo, provato da tanta prigionia.

“Conosco bene la storia di quella spada”, proseguì l’uomo nell’ombra. “È stata la compagna di grandi battaglie, ha versato il sangue degli infedeli nelle Crociate e avrebbe dovuto servire me. Avrei dovuto, avresti dovuto, brandirla per uccidere colui che ora, contro ogni logica terrena, e divina, si sta per unire in matrimonio nella Cattedrale”. Ammise stancamente la voce nell’oscurità umida di quel luogo così angusto.

“Chi siete?” Nel domandarlo Navarre avvertì un brivido, una spiacevole sensazione si impossessò di lui, e per la prima volta nella sua vita, il Capitano fu tentato di inforcare la porta e fuggire. 

Ma non avrebbe avuto alcun senso, perché non si può fuggire da se stessi.

“Io volevo una missione, e per scontare i miei peccati, me ne assegnarono una (2)... Ancora non mi riconosci Capitano? Ecco guarda coi tuoi stessi occhi...” Intimò la figura, vestita di stracci e incappucciata, avanzando claudicante verso la fioca luce delle torce. 

Fu allora che Navarre si accorse che la cella era aperta e indietreggiò d’istinto. Sguainò la spada, che una volta era appartenuta a suo padre, e del pallore comparve sul suo volto, come se avesse visto un fantasma.

“Io sono il tuo futuro...”. 

 

Isabeau si muoveva nervosamente avanti e indietro, ormai aveva consumato il pavimento della propria stanza, a furia di camminarci sopra.

Quasi non si accorse che la sua dama di compagnia Nana (3) era entrata, fu la sua voce a farla sobbalzare, sospirando per la sorpresa.

“Vi ho spaventata Mia Signora? Perdonatemi”. 

Si scusò prontamente la giovane donna dai lunghi capelli d’ebano, tenendo gli occhi bassi e le mani giunte.

“Sua Grazia mi ha mandato per aiutarvi nei preparativi...” proseguì piano lei, con una certa esitazione nella voce.

“Sì, lo so”. La voce di Isabeau ridotta ad un sussurro.

La sua mente ed il suo cuore, soprattutto quest’ultimo, erano altrove, persi in ricordi lontani, al tempo in cui la speranza di una vita libera, diversa, era ancora ardente nel suo animo.

“Mia Signora siete bellissima, Sua Grazia rimarrà estasiato”. Si affrettò a sottolineare la donna mentre le sistemava i lacci dell’abito, che le aveva fatto indossare, su espressa richiesta di Sua Grazia, dopo averle levato la vestaglia che usava per coricarsi.

Nana tirava così forte i lacci dietro la schiena, che Isabeau quasi si sentì mancare il respiro, e una parte di lei ci sperò in un malore improvviso, uno svenimento, insomma qualsiasi cosa, purché ritardasse l’inevitabile. 

Annullare quell’esecuzione, perché di questo per lei si trattava, non sarebbe stato possibile, ma riuscire a posticiparla le avrebbe forse donato anche l’ultimo briciolo di coraggio, di illusione di libertà.

“Sua Grazia sarebbe estasiato da me, anche se mi presentassi con un sacco di juta indosso e con le rane tra i capelli...” serpeggiò sarcastica Isabeau senza alcun timore.

“Mia Signora, parlate come se questo vostro giorno sia una condanna, invece che un’occasione di gioia...” Nana aveva un tono piatto, come se si fosse impegnata mille volte nel ripetere, e ripetersi, quelle parole, nel recitare quel ruolo che le veniva imposto, ma col quale fatica a venire a patti.

“Per favore Nana, siamo sole qui, puoi smettere di fingere con me, almeno oggi...” Le ricordò Isabeau impaziente, mentre volgeva lo sguardo ai bellissimi affreschi che ornavano le pareti della sua stanza.

Una prigione, più che una stanza.

“Mi dispiace Mia Signora, è l’abitudine... vorrei poter fare qualcosa per voi...” disse la donna, in un sussurro, mentre sistemava i lunghi capelli biondo ramati di Isabeau in ciocche da intrecciare con piccoli boccioli di mughetto, di viole, di fiordalisi e un filo di perle andò ad impreziosire il tutto, esaltando ancora di più il candore e la perfezione della pelle di Isabeau.

Tutti quei dipinti sul muro, però, e quei profumi delicati, stonavano con il sentimento opprimente, cupo, che aleggiava sopra le teste delle due donne nella stanza: da un lato la dama di compagnia, dall’altro la futura sposa, consegnata ad un destino orribile e beffardo. 

Il falco ridotto in catene, ferocemente ammansito, costretto a piegarsi sotto lo sguardo glaciale del demone, il quale si celava perfettamente sotto vesti candide e immacolate.

Nel cuore di Sua Grazia, Isabeau lo sapeva, non era mai esistito qualcosa che potesse anche solo avvicinarsi a ciò che i comuni mortali chiamano amore e compassione. No, le vesti di religioso e vicario di Dio non avevano mai ingannato nessuno. 

Il Vescovo di Aguillon aveva un solo obbiettivo nella mente, che non aveva niente a che vedere con le salvezza delle anime: il potere.

E più potere accumulava, sulle genti, sulle terre, su di lei e il suo sventurato amore, più quel folle ne voleva.

Isabeau era stata solo un tramite per Sua Grazia, un suo persero modo di sentirsi più forte, onnipotente, talmente vicino a Dio da volerlo sfidare, come solo un folle potrebbe fare: rinnegando la fede, e consegnando se stesso al Diavolo.

Sua Grazia, i due amanti traditori, Navarre e Isabeau, li aveva già sconfitti, annichiliti, umiliati, e privati della speranza. Tutto in quell’unica notte di un decennio addietro. 

Aveva catturato lei, per punire l’ardire di lui, per rendere ancora più evidente la conseguenza del tradimento del Capitano della Guardia, Etienne Navarre, lo aveva costretto ad arrendersi e farsi

imprigionare.

Quale miglior modo di vendicarsi, che strappargli il cuore dal petto , lasciandolo vivo a contemplare la propria disfatta?

E così era stato, giorno dopo giorno, anno dopo anno. 

Isabeau isolata nelle stanze del maniero di Sua Grazia, che una volta era stato un’elegante nido d’amore di Pier Maria II de’ Rossi e della sua amante Bianca Pellegrini(4), affascinante donna, a cui si dovevano tutte quelle magnifiche scenografie decorative alle pareti. Navarre, invece, piuttosto che rischiare la vita di Isabeau, aveva preferito consegnarsi di sua sponte al Vescovo. Aveva passato gli ultimi anni in una cella buia e fetida, in compagnia di criminali e folli. 

Lui, proprio lui, il Cavaliere integerrimo, colui che era il vanto, il sole splendente di tutta Aguillon per forza e nobiltà d’animo, costretto a marcire in cella, come il peggior ladro mentecatto.

Sua Grazia, non contento di avere di nuovo entrambi sotto il proprio controllo, il Capitano e la bella dama, li aveva imbrigliati con un potente maleficio, o incantesimo, che dir si voglia.

 

“Se di fuggire da me tenterai, 

di pene immortali lo investirai. 

Se cercherai di salvarla, 

giungerà la morte a ghermirla

 

Quell’uomo malvagio, e potente, aveva raccolto ogni stilla di magia dal proprio anello di rosso rubino e proferendo quelle lugubri parole, aveva gettato la maledizione (5), la quale si era compiuta sotto gli occhi atterriti dei due fuggiaschi.

Isabeau, da quel momento non avrebbe più potuto allontanarsi da Sua Grazia, per non arrecare sofferenze indicibili al suo amato cavaliere.

Navarre, invece, sapeva che se avesse tentato di toccarla, o di portarla via, lei sarebbe morta all’istante.

Quello era stato il loro unico pensiero fisso, in tutti quegli anni di lontananza, l’uno verso l’altro.

 

 

 

Le campane suonarono ancora e Isabeau seppe che non aveva più molto tempo. 

Si strinse a Nana, la sua unica confidente, concedendosi un breve, ma intenso, conforto fra quelle braccia amiche, poi si lasciò accompagnare giù dalle scale, verso il centro del paese, verso la Cattedrale, dove si sarebbe celebrato il suo matrimonio. 

In cuor suo, ella sperò che qualcuno giungesse per salvarla, ma sapeva che non era possibile, quindi si augurò solo che tutto finisse in fretta. 

 

 

“Non ti credo. Devi aver perso il senno, vecchio...” Gli fece eco Navarre, mentre indietreggiava leggermente sempre tenendo la guardia alta con la spada.

“Mi deludi Capitano... Arretrare di fronte ad un vecchio cieco. Non è da te”. Scosse la testa l’altro, mostrando capelli arruffati e ormai grigi, ma un’espressione tutt’altro che rassegnata, nonostante l’impossibilità di vedere.

“Smetti di parlare per enigmi...” Navarre parlò allo sconosciuto prigioniero con voce dura, nonostante qualcosa, dentro di lui, si fosse incrinata. 

Aveva compreso sì, ma si rifiutava di accettare quella realtà così assurda.

“Vuoi sapere chi sta per diventare la sposa di quel maledetto? No, non vuoi davvero scoprirlo...” Il vecchio si stiracchiò una gamba ossuta e sudicia.

“Ti ucciderebbe pensare che quella bestia, camuffata da essere umano, metterà le mani su quella sua pelle di porcellana. 

Che quegli occhi da rapace guarderanno quelle labbra rosee e piene con immondo desiderio, forse le strapperanno anche un bacio, un orribile simbolo tangibile della loro unione...” Lo sguardo cieco incontrò gli occhi celesti dell’altro, come se potesse vederlo davvero, attraverso quell’oblio, come se sapesse esattamente cosa Navarre stesse pensando. 

In fondo quelli erano i suoi stessi pensieri, o molto simili: paura, vendetta, angoscia e rabbia.

“Tu menti...” le parole di Navarre erano sempre più incerte, mentre con gesti lenti abbassava la spada.

“Che motivo avrei di mentirti? È giusto che tu veda coi tuoi occhi dove ci ha portato la codardia, l’esitazione, la pietà, la speranza, il sacrificio...”

“Isabeau non lo farebbe mai...” sottolineò Navarre con una morsa sul cuore.

“Capitano, tu non vuoi capire... La volontà di Isabeau qui non conta nulla, non può fuggire, non può morire. Che altro potrebbe fare?” Disse colui che una volta era stato il Capitano delle guardie per Sua Grazia, ed ora si ritrovava costretto a parlare con una versione più giovane e ottusa di se stesso.

“Lo fermerò. Non permetterò che possa anche solo pensare che lei sia sua, neanche per un istante” Affermò deciso Navarre, andando deciso verso l’uscita della prigione, come se una scintilla di speranza, in tutta quella desolazione, si fosse appena accesa.

“Come vuoi Capitano. Hai la mia benedizione... Tenta se credi, ma ricorda: l’eclissi non vi salverà, non questa volta...” gridò l’anziano prigioniero, proferendo quelle parole come fossero un avvertimento.

Navarre non vi prestò ascolto, né rispose, avendo solo in mente di fermare il vescovo e il suo folle piano.

Il vecchio, lasciato solo nella sua cella, alzò gli occhi lattiginosi al cielo e pronunciò una flebile preghiera: “Signore proteggilo, perché non sa quello che fa”, per poi lasciar ciondolare la testa di lato, cadendo in un sonno senza sogni.

 

 

 

Navarre non incontrò nessuno sulla strada, come precauzione si era calato il cappuccio sopra la testa, celando la propria spada sotto il pesante mantello nero e cremisi.

Una volta giunto davanti al grande ingresso della cattedrale, fu colto da un lieve tremore e da una potente esitazione. 

Molti interrogativi affollarono la sua mente confusa e frenarono la mano guantata, prima che potesse spalancarne le porte.

 

E se lo avessero riconosciuto? 

Se fosse stato già tutto compiuto? 

Se fosse morto prima di riuscire a salvare lei? 

Se Imperius si fosse sbagliato? 

E se davvero l’eclissi non fosse giunta, o non fosse bastata? 

Chi era quel vecchio che tanto gli somigliava? 

Era davvero una versione di se stesso, nel futuro?

 

“Siete qui anche voi per la cerimonia vero?”.

Una voce alle spalle di Navarre lo fece nuovamente sobbalzare, era già la seconda volta che Andres spuntava alle sue spalle, sapendo esattamente il luogo e le sue intenzioni, tanto che Navarre si chiese se la guardia non lo stesse pedinando.

“Andate, prima che sia troppo tardi. Le campane hanno smesso di suonare...” mentre l’uomo dai capelli brizzolati pronunciava queste parole, il pesante portone si aprì da solo rivelando a tutti la sua presenza. 

Etienne Navarre si ritrovò a dover strizzare più volte gli occhi, prima di riuscire ad abituarsi al cambio di luminosità. 

C’era così tanta luce all’esterno, e così poca all’interno...

Poi si accorse di non distinguere più la propria ombra, avvertendo su di sé un freddo innaturale, come un brivido.

Tutto attorno calò il silenzio, interrotto solo da alcune esclamazioni  dei presenti nella Cattedrale.

Sua Grazia e Isabeau avevano alzato entrambi gli occhi verso un punto al di sopra della loro testa, tanto che Navarre stesso dovette volgere lo sguardo per capire chi, o cosa, stessero guardando tutti con cotanto stupore.

Il sole era scomparso, e con esso il calore e la speranza. 

Tutto si era tinto di una sfumatura scura e disperata. Una potente, quanto inaspettata, eclissi faceva sfoggiò di sé e del proprio mistero, dal rosone semi distrutto della basilica.

“Non può essere... Non puoi essere tu...” Sibilò il Vescovo accanto all’altare, mentre incredulo osservava la figura di Navarre avvicinarsi a loro. 

Un uomo giovane gli si avvicinò a passi misurati, una versione forte e soprattutto “vedente” di Navarre.

No, non poteva essere vero, lui personalmente, anni prima aveva sbattuto il Capitano a marcire nelle prigioni di Aguillon, privandolo della vista. 

Sua Grazia tremò e scosse la testa terrorizzato, mentre stringeva a sé il proprio bastone da cerimonia, in un gesto istintivo.

Isabeau non distolse gli occhi neanche per un istante, invece, da colui che era apparso, insieme all’ombra della luna nel cielo.

Il cuore le stava martellando nel petto per l’emozione che credeva non avrebbe mai più provato. 

Le labbra semiaperte per lo sgomento, il respiro trattenuto ed il corpo immobile.

Fu allora che Navarre ritrovò il senno e guardando davvero davanti a sé, chiamò lei, la sua Isabeau, prima in un sussurro, quasi impercettibile... poi più forte.

“Isabeau...” le parole fecero eco ai suoi passi veloci, mentre percorreva la navata in direzione della donna in abito da sposa.

“Navarre!” Fu il grido rabbioso di Marquet che lo fermò a metà strada, costringendolo a difendersi da un pesante affondo con la spada.

Navarre confuso dalla forza dell’eclissi e dalla bellezza di Isabeau, si era completamente dimenticato delle guardie e del motivo per cui si trovava lì. 

Sguainò la spada, e guardando Marquet disse, mimando con le labbra “sei morto...” e lo pensava davvero e ne sarebbe uscito vittorioso da quello scontro, se solo non fosse stato impreparato dinnanzi all’innaturale bravura nelle armi, che Marquet non aveva mai avuto, ma che ora sfoggiava con spavalderia. 

Il Cavaliere in bianco, Marquet, il nuovo Capitano della Guardia, quando era solamente un sottoposto di Navarre, aveva dato più volte prova della sua meschinità e vigliaccheria. Aveva sempre utilizzato biechi trucchi in combattimento, piuttosto che gesti leali, e Navarre lo disprezzava per questo.

In quel momento però, su quel sagrato, entro le mura della Cattedrale, Marquet stava dimostrando una padronanza nell’uso della spada che sorprese l’ex Capitano, e per poco non gli fece perdere la presa. 

Per quanto si sforzasse, Navarre non riusciva a penetrare la guardia del moro, che continuava ad incalzarlo con quel suo ghigno stampato sulla faccia.

Entrambe le spade nel cozzare producevano un rumore metallico stridente che riecheggiava tra le colonne della Cattedrale. 

Nessuno dei due cavalieri sembrava avere la meglio, eppure, impercettibilmente, Navarre stava arretrando, sempre più in difficoltà nel parare certi fendenti del suo avversario.

Marquet lo stava tenendo lontano dal vescovo, e da lei, soprattutto da lei

Navarre cercava in tutti i modi di riagganciarne lo sguardo, ma la vista di Isabeau gli veniva negata dalla foga con cui il suo sottoposto cercava di colpirlo.

Navarre...” La voce di lei nel pronunciare il nome di lui, fu quasi un sussurro, un alito di vento, ma fu sufficiente a farlo voltare nella sua direzione e quell’attimo di distrazione gli fu fatale. 

Navarre fu colpito e cadde, in un tonfo sordo. 

Del sangue imbrattò la sua armatura all’altezza del petto, vicino al fianco, la vista gli si annebbiò un istante prima di tornare a inchiodarsi sulle iridi blu di lei.

La spada di suo padre scivolò lontano producendo un fastidioso  stridio contro il bellissimo pavimento mosaicato della Cattedrale.

Marquet si avvicinò piano all’ex Capitano della Guardia, sul volto affilato troneggiava un’espressione trionfante e meschina.

“Lascialo vivere Marquet. Voglio che veda... poi potrai farne ciò che desideri”.

Fu l’ordine secco e tagliente di Sua Grazia, mentre Marquet aveva già alzato la spada su Navarre per finirlo.

Isabeau non osava muoversi, paralizzata dal terrore di vederlo morire e dalla disperata consapevolezza di non poter cambiare il loro destino.

“Lei sarà mia e tu, tu non potrai fare niente per impedirlo, a meno che tu non voglia avverare la maledizione... Se la tocchi lei morirà...”Gli ricordò il Vescovo con parole avvelenate e scrutandolo con occhi glaciali ed impassibili.

Navarre, tenuto sotto scacco da Marquet che gli puntava la spada alla gola, ebbe comunque la forza di sollevarsi ormai sfinito, era mortalmente pallido.

“Maledetto. Vattene all’inferno!” Gridò, liberandosi con le ultime forze residue, dalla presa di Marquet, e lanciandosi come un lup famelico verso Sua Grazia.

Isabeau fu allora che si mosse e lo fece d’istinto. 

Si liberò anch’essa dalla presa del Vescovo, suo futuro consorte, e si lasciò quasi cadere verso le braccia del suo amato Navarre.

Sua Grazia, però, non avrebbe mai permesso che quei due potessero ricongiungersi, neanche per un istante, neanche se morenti. 

Non avrebbe permesso loro di sfiorarsi, mai più.

Se non posso averti io, nessun altro ti avrà...” sibilò e con follia assassina nello sguardo, con la punta dorata del proprio bastone nel trapassò il petto di Isabeau, ferendola mortalmente, prima che potesse anche solo pensare di godere dell’abbraccio caldo e morbido dell’ex Capitano delle Guardie.

“Navarre...” Fu l’ultima sua parola, prima di spirare tra le braccia del Cavaliere dagli occhi  che parevano rubati ad un cielo terso.

Isabeau morì così, nel giorno del suo matrimonio, tra le braccia di colui amava davvero, l’unico e solo amore della sua vita, benedetto e maledetto dall’eclissi.

Il volto pallido di Isabeau solcato da alcune piccole rughe era sereno, nella sua immobilità eterna, le labbra ormai bluastre, piegate un sorriso, l’ultimo, il più agognato, il più vero.

 

 

 

 

“Isabeau! Isabeauuu!” Navarre si svegliò urlando, in preda al terrore. 

Egli ci mise qualche attimo a rendersi conto di dove si trovasse,  e quando... sotto le dita aveva della paglia, e sopra la testa aveva il reticolo della gabbia in cui lo avevano rinchiuso, qu Andrea ancora un lupo, la notte precedente, prima di entrare di nascosto in Aguillon.

“Calmati Navarre, se urli così, ci scopriranno...”

Fu la voce di padre Imperius a riportarlo definitamente alla realtà, ricordandogli perché erano lì e cosa lo aspettava quel giorno.

Quando si fu finalmente sistemato, Navarre guardò il vecchio prete, che teneva sul polso il bellissimo falco pellegrino, dal quale Il Capitano non si separava mai.

Sospirò, ma non fece parola dell’incubo appena vissuto, si limitò a fissare il sole alto, feroce e beffardo in cielo.

“È giorno, vecchio... lo era ieri, e lo sarà domani...”.

 

***

 

 

 

Note al testo 

  1. La frase è tratta dal film di Robin Hood.
  2. La frase è tratta dal film Apocalypse now.
  3. Nana, la dama di compagnia di Isabeau, si ispira a Nana Cecchi, la costumista del film Ladyhawke
  4. La citazione degli affreschi e di Pier Maria e Bianca è storica, anche se sarebbe successiva all’epoca dei fatti qui narrati. Infatti il Castello di Torrechiara, qui dimora fittizia di Sua Grazia, è datato XV sec, mentre le vicende di Ladyhawke sono ambientate, idealmente, nel XIII secoli, quindi due secoli prima della costruzione della dimora degli amanti citati.
  5. La maledizione è presente anche nel film originale, qui ne ho data una differente vedine, più cupa e senza possibilità di esser spezzata, se non con la morte di uno dei due. Ho insistito molto anche sui presunti incantesimi e malefici di Sua Grazia, perché volevo che sembrasse ancor di più un uomo senza scrupoli, né morale.

 

 

Nota dell’Autrice: 

Storia partecipante al Contest "Specchi, ombre e presagi: il doppelgänger II edizione" indetto da Shilyss sul forum di EFP.

La ringrazio per avermi dato lo spunto per tentare una cosa così strana, come una AU! Ambientata nel futuro, un futuro gotico e cupo direi, usando l’escamotage del sogno di Navarre. 

Il cavaliere ha questo incubo la notte prima di affrontare il vescovo, nella cattedrale, durante l’eclissi.

Per chi conosce il film Ladyhawke, si sarà accorto che ho usato parecchi riferimenti e frasi dell’originale, a volte ribaltandoli di senso.

Spero di non essere stata troppo OOC. 

Buona lettura!

P.s. Dedico questo racconto a mio marito, per la nostra passione comune e per tutto l’amore che ancora dopo diciassette anni insieme, ha il coraggio di dimostrarmi.

A presto.

Ladyhawke83

   
 
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