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Autore: Shakethatangstforme    25/11/2018    3 recensioni
Beatrix ha diciassette anni e vuole essere un’artista.
Ma Beatrix, per raggiungere questo traguardo, si è ritrovata a percorrere una strada difficile, che la rende spesso infelice, una strada che comprende il farsi usare. Ha ceduto, Beatrix, a questa vita e ogni giorno l’affronta consapevole di starsi facendo del male.
Questa storia è solo uno squarcio sulla sua vita quotidiana.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Breve angolo autrice alla fine.


Vans ai piedi, jeans neri strappati sopra delle calze a rete, felpa che arriva all’ombelico, capelli fucsia che incorniciano un viso tondeggiante, che sembra non essere mai stato definitivamente abbandonato dall’infanzia.
Tatuaggi sul collo, sulle braccia, uno sotto il seno, un piercing al labbro e uno sulla lingua, le orecchie con i dilatatori, l’aspetto tipico della ragazza che cerca di essere alternativa a tutti i costi.
La musica punk-rock sempre nelle orecchie, le sigarette accese e le maniche degli indumenti sempre pronti a nascondere le braccia – una ragazza che si è persa.
 
Non c’è una definizione che meglio le si addice, secondo lei. Persa.
 
Lo pensa anche adesso mentre si sta preparando per quella sera, stanca, con un mal di testa lancinante, e ne è certa anche mentre indossa quelle mutande in pizzo (economico, comprate solo per gusto estetico) e toglie il reggiseno, una minigonna di jeans e una canottiera bianca annodata sul fianco, ai piedi degli stivaletti neri.
Si trucca, indossa l’eyeliner e non mette il rossetto, perché sarebbe solo una seccatura rimetterlo ogni volta, con cura indossa le ciglia finte. Prende la borsetta con dentro l’essenziale come dei preservativi, dei fazzoletti e le chiavi di quel posto fatiscente che chiama casa.
È notte, lei è sola e presto non lo sarà più, pensa questo mentre butta giù una pillola senza bisogno d’acqua, tanta è l’abitudine.
 
Sola, persa, ma non cerca compassione. Cerca di sopravvivere.
 
Beatrix con questo stile di vita ha capito quanto le persone siano ipocrite.
Uomini che ogni domenica vanno in Chiesa, giudicano gli altri secondo i presunti peccati commessi, non si sono mai fatti remora a farle male, dimenticandosi che, in teoria, il piacere nel sesso dovesse essere reciproco. Puntano il dito, ma poi guardano lei, le ricordano che l’hanno pagata e questo giustifica tutto.
E Beatrix di quei soldi ne ha bisogno fino all’ultimo centesimo, quindi china il capo e accetta in silenzio. È diventata così brava a estraniarsi, a fingere di non essere lei quella penetrata ripetutamente da così tanti uomini diversi.
Ha imparato che anche in questo ambiente ci sono delle gerarchie, ha presto dovuto rendersi conto che con lei ci sarebbero sempre andati solo un certo tipo di persone. Lei è l’ultima ruota del carro, in quella strada, quella che tutti sanno avrebbe fatto qualunque cosa per vedersi gettati quelle banconote, alla fine.
E poi, alla fine di tutto, ha imparato a dissimulare tutto, a fingere che niente di tutto quello succede in tutte le sue notti. Arriva a casa, si strucca, dorme un paio d’ore ed è di nuovo in piedi, a celare sotto il trucco i marchi della notte trascorsa fra un vicolo buio, i sedili posteriori di una macchina e il muro di un bagno pubblico.
Va ancora a scuola, Beatrix, e questa le finiva quasi sempre tutti i soldi.
Succede che la ragazza si guarda allo specchio e finisca per mettersi a ridere alla vista di quanto fosse patetica con quelle occhiaie, quegli occhi perennemente arrossati e tristi. Tutto per colpa di un sogno, poi uno sbaglio, il passo falso in quella famiglia che la voleva solo in un certo modo.
 
Ne è valsa la pena?
 
Beatrix una risposta non sa darsela e anche quella mattina distoglie lo sguardo dallo specchio preferendo prendere una siringa e anestetizzare quei pensieri, celando poi quei segni sotto le maniche lunghe e larghe dell’ennesima felpa.
Si dice che mollare adesso sarebbe stupido, se mollasse adesso aver ceduto a quel rapporto malato con il proprietario di quel posto che definire casa è eccessivo, per non essere buttata sotto un ponte, non avrebbe senso, lo avrebbe fatto per nulla. Si prostituirebbe per mantenere un vizio che in primis è causato da quello che fa ogni notte.
 
Il vizio dell’oblio.
 
Un sospiro, la consapevolezza che quella vita la sta sprecando.
Scuote la testa, afferra lo zaino accertandosi soltanto di avere il blocco dei disegni, il resto dei libri e dei quaderni non contano.
 
Mamma non voglio fare il fottuto avvocato, voglio essere un’artista. Un momento indimenticabile, quello. Ha capito cosa fosse la delusione quando ha visto l’espressione della donna, quando ha stretto le labbra e sollevato il capo, quando ha sentito quel freddo “okay”. Non era okay e Beatrix lo sapeva bene, non era mai esistito nella sua famiglia qualcuno che osasse rompere la tradizione dell’avvocatura.
Ma la goccia che aveva fatto traboccare il vaso è stata quando, fra le lacrime, si è trovata a confessare a sua madre di essere incinta. Hai sedici anni e sei incinta, non ti rendi conto che sei solo una disgrazia per il nostro nome?
In quel momento ha capito cosa volesse dire essere giudicata.
Quello che è successo dopo è solo un ricordo confuso, nella testa di Beatrix. Sono urla, suo padre che lo viene a sapere e ancora più urla, è sentirsi dare della puttana da quattro soldi e aver detto di andarsene da quella casa, vedere sua madre allontanarsi, prendere una borsa e metterci dentro dei vestiti. Adesso te la sbrighi da sola.
E l’hanno lasciata da sola da allora.
Non hanno mai chiesto cosa avesse provato a dormire su di una panchina una notte, non si sono mai interessati a sapere se un tetto sopra la testa lei lo avesse o no. Non voleva essere un avvocato, era incinta, non era degna né di quel nome né di una famiglia. Adesso, ci sono volte in cui si chiede se i suoi fratelli si ricordano di lei. Lo spera. Spera che se lo ricordino e che crescano con lo stesso rancore che lei prova per quei genitori che le hanno dato la vita come gliel’hanno rovinata.
Beatrix da sola aveva dovuto scegliere fra il cibo e un tetto sopra la testa. Quando è successo era estate, quindi si era detta che una panchina era un buon compromesso per non morire di fame. Aveva pianto rendendosi conto di non poter neanche abortire, sola, essendo così piccola. Ma Beatrix a sedici anni un figlio non lo voleva mica.
E poi era arrivato quello che adesso è il suo padrone di casa, le si era seduto accanto e aveva parlato con lei. Era stato gentile, quasi paterno, le aveva offerto un fazzoletto per asciugare le lacrime e le aveva chiesto perché era sola e lei aveva detto che non aveva un posto dove stare.
Christopher, così si è presentato l’uomo, le ha allora detto che il giorno dopo doveva assolutamente andare a un indirizzo, lui lì aveva una casa che poteva affittare a poco prezzo.
E vuoi per l’ingenuità dell’età, vuoi per la disperazione, lei il giorno dopo si è presentata lì.
Christopher la casa alla fine gliel’ha davvero affittata, ma solo dopo il sesso.
Lui è anche la persona che l’ha introdotta a quella vita. Eppure Beatrix non riesce ad odiarlo. Cos’è del sesso quando lui le garantisce un tetto sulla testa e pure il cibo?
 
Sono pensieri che le passano per la testa, questi, mentre cammina per arrivare a destinazione.
C’è un rito quando arriva, ed è fermarsi proprio davanti il cancello di quella scuola che le porta via tutti i soldi con la sua retta, aspettare Luke e condividere con lui una sigaretta. A scuola tutti pensano che lei stia con Luke per quell’intimità che hanno nei gesti che riservano l’uno all’altra, ma non è così.
Lei e Luke vanno a letto insieme, sì, ma non sono una coppia, Luke è quella persona con cui lei va a letto per piacere e attrazione e basta, e viceversa. Luke fa il suo stesso lavoro e sono simili nelle abitudini, ma lui è buono con lei e le fa dei bellissimi ritratti – gli vuole bene.
 
È così anche quel giorno, dove ovviamente Luke ritarda. Lo vede arrivare da lontano magro, forse pure troppo, alto e con i capelli legati in una coda. I capelli di Luke sono più lunghi dei suoi e Beatrix rimane sempre affascinata dall’abilità del ragazzo nell’acconciarli.
La ragazza si fa trovare direttamente con la sigaretta accesa, pronta porgergliela. Il ragazzo senza dire niente si ferma al suo fianco, si china a lasciarle un bacio sulle labbra e fa un tiro da quella sigaretta – come d’abitudine.
“Oggi non ho dormito, ho praticamente fatto gli straordinari”, commenta dopo un momento di silenzio il ragazzo, aggiungendo poi: “Sono indietro di due mesi con l’affitto”, il tono di Luke è sempre criptico, Beatrix sa che lui soffre forse più di lei per la situazione in cui vive, ma lui mai lo mostra, odiando, forse, il farsi vedere vulnerabile.
Infatti non ama che la ragazza dica qualcosa in proposito, questa è solo un’informazione che lui condivide e che lei ha imparato a registrare senza commenti in proposito. Si limita ad annuire.
“Sì? Per me è stata una giornata no, ieri”.
“Sarà il fucsia dei capelli che ti si è scolorito”.
Beatrix ridacchia e ricorda perché Luke è l’unica cosa positiva della sua vita, la fa ridere e non è una cosa così comune.
L’ultimo tiro tocca a lei, quindi è anche lei a spegnere la sigaretta e a incamminarsi verso l’ingresso della scuola, sentendo presto il braccio del ragazzo che le cinge le spalle.
 
In quella scuola loro due sarebbero etichettati come due secchioni se non ricalcassero così palesemente lo stereotipo dei tossici. Che, insomma, lo sono pure davvero, però ogni tanto ricevere il merito per il loro studio non sarebbe male.
Luke è naturalmente portato, ascolta e memorizza istantaneamente, per non parlare della sua naturale predisposizione al disegno. Disegna principalmente con matite o carboncini, lascia quasi sempre i disegni in bianco e nero, l’antitesi dei colori che Beatrix ama usare, delle figure che, con lei, diventano quasi astratte.
 
Un’Accademia, più che il classico liceo, quella. Il luogo dove vengono formati degli artisti, dei liberi pensatori, il posto dove l’arte è impressa in ogni parete o anche nella sola scelta della moquette. C’è un senso di estetica in ogni scelta fatta in quella struttura e la ragazza ne è perdutamente innamorata. Persino gli studenti sono costretti ad adeguarsi a questi standard, infatti portano una divisa. Una divisa sui toni del grigio, più scuro nella gonna (e nei pantaloni per i ragazzi) e nella giacca, più chiaro nella camicia e nelle calze, le scarpe sono blu, come lo stemma della scuola.
Ma, essendo artisti, trucco, accessori, sono tutte cose ammesse, perché, secondo la logica dell’Accademia, un artista si esprime anche attraverso queste piccole cose. Come con i piercing e con i tatuaggi che accomunano lei e Luke o attraverso i capelli lunghi e sempre acconciati di lui e i capelli fucsia di Beatrix.
Si rende conto, la ragazza, di appartenere a questa realtà, non importa che ne dicano i suoi genitori.
È felice ti poter prendere tutto quel dolore che le soffoca il cuore e trasporlo in una tela, trasformando il dolore, il disgusto per la sua vita in colori sgargianti.
 
Ma poi la giornata finisce e la realtà la ripiomba addosso.
 
Solo un altro poco di serenità, per favore.
 
Decide di non voler pensare a casa, che doveva essere per una giovane mamma ma il bambino non è mai nato e lì allora tutto è troppo grande.
Beatrix non voleva un figlio, nato da una stupidità da ragazzina, dal fidarsi del “non usiamo il preservativo, esco prima”, ma quando il bambino non c’è più stato si è resa conto di non voler neanche stare sola.
 
Beatrix si volta verso Luke, gli propone di stare insieme, prima di dover lavorare e lui, come sempre, accetta.
Stare insieme significa che le giacche vengono lanciate su una sedia in quel minuscolo monolocale che rappresenta la casa di Luke, significa che Beatrix prende l’erba e la prepara, Luke prende le siringhe per il resto dei loro vizi. Si fanno così tanto del male che, alla fine, sorridono. Stanno così tanto di merda che quando si ritrovano in quell’oblio che così tanto agognano, ne sono felici.
Beatrix in Luke ha trovato un compagno in quella strada che percorreva sola, ha trovato qualcuno con cui perdersi.
Lei non sa cosa rappresenta per lui, ma sa bene di amare quelle carezze intime che solo lui le fa in quel modo.
Sono due incoscienti, quando sono insieme. Due persone che spengono il cervello perché sentirlo pensare è troppo doloroso.
 
Beatrix bacia Luke perché, semplicemente, desidera farlo.
E lo desidera perché lui, in lei, non vede solo qualcuno pagata per aprire le gambe, lui vuole che lei provi lo stesso piacere che lui prova. Ed è il modo migliore per dirsi che ci sono l’uno per l’altro, questo. Che, nonostante siano strafatti entrambi, continuano a desiderarsi.
Luke non è l’unico a farle venire un orgasmo, ma sicuramente è l’unico che ci mette attenzione per farlo accadere.
Incoscienti perché succede spesso che non vengano prese precauzioni di alcun tipo e che, successivamente, se ne dimentichino e basta.
Come in quel momento, mentre l’ennesimo spinello viene acceso e condiviso, ancora nudi a letto, entrambi gli sguardi rivolti al soffitto e gli occhi socchiusi.
Luke si alza e poco dopo torna con gli occhiali, segno che le lenti a contatto iniziavano a bruciare. È tardi, Beatrix deve tornare.
“Ci vediamo domani”, sospira la ragazza, alzandosi per cercare i vestiti. Luke non la guarda, troppo preso dal fumare.
Si prende quindi tutto il tempo per rivestirsi, la malinconia che già inizia a farsi sentire.
“Sto andando”, annuncia, una volta pronta e allora Luke si alza e la bacia un’ultima volta prima di chiudere la porta dietro la schiena di Beatrix.
È stato automatico, per loro, passare dal bacio sulla guancia a quello sulle labbra. Dopo tanti baci a letto, tanto sesso, sembrava veramente strano baciare la guancia, ma, che ci si creda o no, i loro baci sulle labbra d’amore non hanno nulla.
Beatrix non ama Luke, ma lui è comunque il posto in cui andare quando la via da percorrere è troppo oscura per essere attraversata da sola.
 
Torna a casa e sa già di avere troppo poco tempo per essere pronta a chi arriverà.
Si lava in fretta, eliminando le prove delle ore trascorse con Luke, neanche si riveste, Christopher non vuole. Lui non deve sapere assolutamente di Luke e del fatto che esiste qualcuno che fa sesso con lei senza pagarla. Lei è solo sua.
Beatrix lo sa che Christopher è, obbiettivamente, un bell’uomo, ne è infatti attratta fisicamente. Quei capelli rossicci e quegli occhi nocciola si intonano perfettamente a quella pelle pallida che lo caratterizza, lui è pure più grande, Beatrix non sa che lavoro fa ma sa che guadagna bene e infatti è lui che le fa sempre la spesa e non le fa mai pagare niente di legato alla casa, a patto che lei si lasci trattare come qualcosa da possedere.
Che non vuol dire avere una relazione, lui vuole solo poter aprire la porta e scoparci quando desidera, infatti la obbliga a fare sempre esami per assicurarsi che non prenda malattie e, soprattutto, si rifiuta di usare alcun tipo di precauzione. Beatrix non ha abbastanza potere in questa situazione per dire la sua, accetta passivamente tutte queste condizioni. E così si siede a gambe incrociate sul letto completamente nuda, aspettando.
L’attesa comunque non è lunga, presto la porta si apre e l’uomo entra posando le chiavi di casa all’ingresso. Lui non vive lì ma la casa sua, è chiaro perché abbia anche lui le chiavi.
“Ti ho portato un po’ di cose per mangiare”, annuncia, una volta che arriva in camera, ma senza buste, lo sa che lui non vuole perdere tempo.
“Grazie, ti aspettavo”.
“Lo so”.
Ovvio che lo sa. Piega le gambe, Beatrix, aprendole. “Sei già bagnata per me?”
La ragazza non risponde, non osa mentire, ma non è lui la causa, se non il sentire ancora quella lingua, Luke, in certe zone del corpo.
Beatrix fa quello che lui desidera, si fa sculacciare se è questa la voglia del giorno, sesso orale, vaginale, anale si alternano con frequenza, si fa legare, prega di essere scopata se lui vuole e, in cambio, lui la fa venire e le dà il necessario per vivere.
Quando l’uomo finisce si alza dal letto e si riveste, ma lei deve rimanere nuda e si può lavare solo quando lui se ne va. Ma prima deve preparargli la cena, Beatrix ha praticamente imparato a cucinare solo per lui.
E allora cucina sotto lo sguardo dell’uomo, mangiano insieme e lui la ascolta mentre lei racconta della sua giornata all’Accademia (escludendo attentamente Luke), la guarda lavare i piatti e, alla fine, la congeda dovendo lei andare a lavorare. Alla fine del mese lei dovrà dare la parte che spetta a Christopher di soldi.
 
La doccia prima del lavoro dura un po’ di più, ma poi la routine ricomincia.
Si veste, si trucca, prende i preservativi, i fazzoletti, le chiavi e li mette nella sua borsetta, scende di casa, va in strada e aspetta il primo della serata.
Arriva un momento, dopo tutte quelle volte, che persino il sesso diventa noioso, è solo automatismo, qualche finto gemito, trattenere quelli di fastidio se, ad esempio, non è ben lubrificata e lasciarsi andare a quell’oblio che la dose in vena prima di uscire di casa le regala.
 
Secondo Beatrix la sua vita è monotona, noiosa, si è abituata a essere una prostituta, a essere una tossicodipendente, a essere ripetutamente usata. Sa di aver perso la sua strada e sa di non star facendo niente per recuperarla, perché questo è quello che le permette di frequentare l’Accademia e ciò che l’avvicina sempre di più al suo sogno di essere un’artista – a costo di farsi usare in quel modo da Christopher per tutta la vita.
 
Ma la monotonia è facile a rompersi, sposta un tassello del puzzle che compone la vita e non saprai più che sta succedendo.
Come quella volta in qui non viene puntualmente il ciclo e pensi sia solo un ritardo, ma poi il ritardo continua e allora vai a comprare un test di gravidanza.
Beatrix sa di avere speranze vane quando si siede per fare il test e non riesce a esserne stupita quando lo vede positivo. Ha solo una domanda: chi è il padre?
 





 
Angolo autrice:
Be’, che dire, è stato difficile.
Non so neanche com’è esattamente nata, questa storia – a un certo punto ho pensato a questo personaggio, mi sono messa al pc e ho scritto praticamente per quattro giorni interrotti solo dallo studio. È evidente che io non sia un’esperta di queste situazioni, che probabilmente non rispecchiano neanche la realtà, ma questa è la storia che ho voluto dare alla mia Beatrix. Non ha neanche una vera fine, il finale è aperto e me ne scuso, ma, nella mia testa, questo era il finale che volevo dare a questa storia dalla prima parola che ho scritto, anche quando non avevo idea di cosa stessi realmente scrivendo.
È un po’ un esperimento, per tanto anche solo due parole per darmi un feedback sarebbe gradito. Grazie, in ogni caso, per essere giunti fino a qui!
   
 
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