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Autore: Sognatrice_2000    26/11/2018    2 recensioni
AU-Tutti umani- Ispirato al libro dal titolo omonimo di Tabitha Suzuma-
Fuori, nel mondo, Klaus non si è mai sentito a suo agio.
Gli altri sono tutti estranei, alieni… l’unico con cui può essere se stesso è suo fratello Elijah.
Klaus ed Elijah hanno altri tre fratellini da accudire: Kol, Freya e Rebekah sono la loro ragione di vita e la loro maggiore preoccupazione, da quando il padre violento e alcolizzato è morto e la madre si è trovata un nuovo fidanzato e a casa non c’è mai.
Il tempo passa e solo una cosa ha senso: essere vicini, insieme, legati, forti contro tutto e contro tutti.
Per Elijah, Klaus è il migliore amico. Per Klaus, Elijah è l’unico confidente.
Finché la complicità li trascina in un vortice di sentimenti, verso l’irreparabile.
Qualcosa di meraviglioso e terribile allo stesso tempo, inaspettato ma in qualche modo anche così naturale.
Un sentimento che si rivelerà la loro salvezza e contemporaneamente la loro condanna.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Elijah, Esther, Klaus, Kol Mikaelson, Mikael, Rebekah Mikaelson
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Incest, Non-con
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Quindici anni dopo

 

Sono passati quindici anni da quando io e i miei fratelli siamo stati separati.

Quindici anni, dal giorno in cui due poliziotti si sono presentati alla nostra porta e ci hanno detto che avevano trovato il corpo di nostro fratello tra i cespugli di un parco poco distante da casa.

“Torno presto, Bekah.” Aveva detto Nik, e mi aveva sorriso, e poi non l’avevo più rivisto.

Gli avevo afferrato il polso e lo avevo stretto forte, spaventata, perché in qualche modo sapevo che voleva raggiungere Elijah, ma alla fine lo avevo lasciato andare.

Lo avevo lasciato andare, e se non l’avessi fatto, se magari mi fossi messa a strillare e a fare i capricci costringendolo a rimanere a casa, tutto questo non sarebbe mai successo.

Razionalmente, so che era un pensiero stupido.

Nik ormai aveva preso la sua decisione, e niente avrebbe potuto fermarlo.

Non avrei potuto convincerlo a cambiare idea, se anche quella sera fosse rimasto a casa avrebbe potuto portare a termine il suo piano il giorno dopo, o quello dopo ancora.

Ma all’epoca, in tutta la mia ingenuità di bambina, avevo creduto sul serio che fosse stata colpa mia.

In un primo momento non avevo creduto alle parole dei poliziotti.

“No, Nik ha detto che sarebbe tornato! Ha detto che sarebbe tornato!” Continuavo a gridare piangendo e scalciando per ribellarmi dalla loro presa.

Non ricordo molto di ciò che successe dopo.

Ricordo la sensazione delle lacrime sulla pelle che continuavano a scendere senza sosta, il vuoto e la paura e lo smarrimento davanti alla bara scura, l’odore della terra umida, il freddo che sentivo sulla pelle e nelle ossa. 

La polizia aveva cercato di rintracciare nostra madre, ma nonostante i loro sforzi non erano riusciti a trovarla. 

Dopo la morte di Elijah si era trasferita chissà dove con David troncando ogni contatto con noi, lasciando Nik da solo ad occuparsi di tutto, a sopportare il peso di un dolore troppo grande per lui.

Non ci aveva neppure lasciato un numero di telefono; non avrebbe mai potuto sapere che anche Nik era morto, e in ogni caso dubito che le sarebbe importato qualcosa.

Non aveva partecipato neppure al funerale di Elijah, anzi aveva colto l’occasione per fare i bagagli e abbandonarci definitivamente, per costruirsi una nuova vita lontano da noi, senza di noi.

Non aveva mai voluto questa famiglia, siamo sempre stati solo un intralcio per lei.

Esther non è mai stata una madre, non è mai stata niente per me.

Elijah e Niklaus invece erano tutto per me, erano il mio mondo. Genitori, fratelli, confidenti, amici.

Quando li avevo persi, era stato come perdere una parte di me.

Mi erano rimasti soltanto Freya e Kol, ma ancora non sapevo che sarei stata costretta a separarmi anche da loro.

Per qualche mese abbiamo vissuto tutti insieme in un istituto, in attesa di essere dati in affidamento ad un’altra famiglia.

Poi, un giorno, si presentarono un uomo e una donna dal sorriso gentile, una coppia che non poteva avere figli e stava cercando un bambino da adottare.

Lei si chiamava Bonnie, aveva la carnagione olivastra, una folta massa di ricci scuri e un sorriso dolce e affettuoso che mi piacque subito. 

Anche suo marito, Enzo, era un uomo affettuoso e gentile. 

Giocarono con me per un intero pomeriggio, e per la prima volta dopo la scomparsa di Elijah e Niklaus, risi di nuovo, sentendomi di nuovo parte di qualcosa, di una famiglia.

Sarebbe stata la più bella delle favole vivere con quelle due persone, accanto a Freya e Kol, ma la vita non è una favola e il mio desiderio si avverò solo in parte.

Bonnie ed Enzo non avevano abbastanza soldi per poter mantenere tre bambini, e a malincuore dovettero scegliere soltanto uno di noi.

La scelta cadde su di me, ma non ne fui felice, non quando seppi che io mi sarei trasferita in una nuova casa e Freya e Kol sarebbero rimasti all’istituto.

Ricordo le grida, il terrore, le gambe che scalciavano in aria nel tentativo di liberarmi dalla presa dell’assistente sociale che mi aveva condotta su un furgone e portata via per sempre dai miei fratelli.

Si dice che la vita ti colpisce, ti fa a pezzi, ti cambia. 

E tu muori o ne esci più forte.

Allora perché ero viva e in quel momento sentivo comunque l’anima scivolare via?

Non ho mai più rivisto Freya e Kol da quel giorno, ma ogni volta che vado al cimitero a trovare i miei fratelli, spero di trovarli lì.

Vivo con questa sciocca, irrazionale speranza da anni, e ogni volta che mi ritrovo da sola davanti alle loro tombe mi sento morire un po’ dentro.

Ma non smetto di sperare.

E così anche oggi mi ritrovo qui, da sola in questo cimitero desolato.

Non so mai cosa dire quando sono lì, davanti alle loro lapidi, a fissare le scritte dei loro nomi incisi nel marmo.

Qualche volta vorrei pregare, ma subito dopo mi sento una stupida per averlo anche solo pensato.

Non credo in Dio, non credo a niente, e recitare qualche parola vuota davanti ai loro corpi non cambierebbe nulla.

E così parlo, parlo tanto. 

Parlo di me, della mia vita, della famiglia che mi ha adottata. 

Parlo di Bonnie ed Enzo, che sono stati la madre e il padre che non ho mai avuto, che mi hanno voluto davvero bene, che mi hanno restituito il sorriso e mi hanno fatto conoscere di nuovo il calore di una casa, di un posto a cui appartenere.  

Dei corsi che frequento all’università, del mio sogno di diventare medico un giorno, degli esami che mi spaventano di più e di quelli per cui mi sento più preparata.

Di Vincent, un cameriere che lavora nel bar dove faccio colazione ogni mattina che è diventato un mio grande amico.

Pochi giorni fa mi ha confidato di essere innamorato della sua migliore amica, ma di aver rinunciato a rivelarle i suoi sentimenti perché ha già una compagna, anzi, ha addirittura accettato di essere il padre surrogato del bambino che queste due donne hanno intenzione di crescere insieme dopo essersi sposate.

Vincent dice che stanno organizzando i preparativi del matrimonio, e presto troverò l’invito nella mia casetta della posta. 

Sono proprio curiosa di vederla, questa donna di cui Vincent è tanto innamorato, che lui descrive come un angelo dai capelli dorati e il sorriso dolce e sensuale di una dea.

E poi ovviamente parlo di Davina, la mia migliore amica, una ragazza tosta, divertente e intelligente che ho conosciuto il primo anno di università.

Ultimamente non fa altro che parlarmi del suo nuovo ragazzo, un tipo ribelle e affascinante per cui ha letteralmente perso la testa, insistendo così tanto per farmelo conoscere che sono stata costretta ad accettare la sua proposta di un’uscita a quattro questo fine settimana, lei con il suo ragazzo e io con Marcel. 

Marcel. Il mio fidanzato, la mia anima gemella, che conosco già da due anni e con cui convivo da tre mesi.

Sento che è quello giusto, che passerò con lui il resto della mia vita.

Marcel non può capire la storia della nostra famiglia,  non capisce la mia assurda speranza di riunirmi ai miei fratelli, ma nonostante tutto mi ha sempre amata per quella che sono, con tutti i miei difetti, le mie cicatrici e il peso di quel passato che mi porto dietro da sempre, un passato che mi ha segnata profondamente, da cui non riuscirò mai a staccarmi completamente. 

Ho molto di cui essere grata, ho avuto spesso dei momenti felici, ma lungo la strada ho perso anche molte cose, ho detto addio a molte persone, a molte parti di me.

Tiro fuori dalla tasca del cappotto l’unica foto di famiglia che ho conservato, quella scattata il giorno in cui Elijah ha compiuto diciotto anni, quella in cui eravamo tutti insieme, uniti, felici.

Niklaus me l’ha lasciata nella lettera di addio che mi ha scritto quel giorno, il terribile giorno in cui ci ha lasciati per sempre, e da quel momento l’ho portata sempre con me, nello zaino di scuola, nella borsa, dappertutto, come una specie di amuleto, un modo per sentirli vicino quando mi sentivo particolarmente triste, sola, quando la speranza minacciava di abbandonarmi completamente.

Accarezzo i bordi ormai ingialliti, le mie dita sfiorano delicatamente i volti di quelle persone che ho tanto amato e che non ho mai potuto dimenticare.

E poi mi soffermo sul volto di quella bambina bionda dagli occhi ridenti, nello sguardo la gioia ignara, rivolta verso un futuro che non gli avrebbe mai sorriso come invece stava facendo lei.

Quella bambina adesso è diventata una giovane donna dallo sguardo triste, pieno di ferite e di spettri di ricordi che non è capace di lasciar andare.

Ripongo la foto nella tasca e guardo nuovamente le lapidi dei miei fratelli.

Ho pensato molto a cosa vorrei dirgli se potessero sentirmi.

Adesso lo so.

“Elijah… il tuo sacrificio non è stato inutile, almeno non per me. Il dolore per aver perso la mia famiglia è ancora vivo, e forse non si affievolirà mai, ma ho avuto una bella vita finora. Ho amato e sono stata amata. Ho sofferto molto, ma ho avuto anche molti momenti felici.” Sorrido tra le lacrime, voltandomi in direzione della tomba di Niklaus. 

“Lo sai, Nik, sono stata arrabbiata con te per molto tempo. Ma oggi posso finalmente dire che ti ho perdonato. Perché adesso so cosa vuol dire amare talmente tanto una persona da non riuscire nemmeno a concepire un’esistenza senza di lui.” Mi passo una mano sul viso per asciugare alcune lacrime. “Sei stato un maledetto egoista, ma ti perdono. Vi perdono entrambi. Vi ho amato moltissimo, ma adesso devo lasciarvi andare.”

Guardo un’ultima volta le due lapidi vicine e mi sfugge un singhiozzo che mi fa tremare le spalle.

Uniti nella morte così come nella vita.

“Grazie per tutto quello che mi avete dato. Per le risate, per il vostro affetto. Grazie perché mi avete fatto credere nell’amore, quello vero, quello per cui vale la pena lottare, quello per cui vale la pena vivere, quello per cui si è disposti a morire. Credo di averlo trovato, sapete? Ma ho paura, ho paura di non essere abbastanza per lui, di essere di nuovo ferita… ho paura di abbandonarmi alla felicità.”

“Rebekah!” Mi volto di scatto, a bocca aperta nel vedere Marcel davanti a me.

Prima di venire qui abbiamo litigato per l’ennesima volta, e l’ultima cosa che mi aspettavo era che lui mi avesse seguita.

Vuole farmi ancora una volta la predica per il troppo tempo che passo qui dentro?

Vuole fare pace?

O forse è venuto a dirmi che mi vuole lasciare, perché sono troppo incasinata, troppo danneggiata, troppo poco per uno splendido ragazzo come lui?

“Che ci fai qui?” Mi asciugo in fretta le lacrime con il dorso della mano, sentendomi sprofondare dall’imbarazzo.

Spero che non abbia sentito le mie ultime parole.

“Rebekah Mikaelson.” Marcel si avvicina e mi afferra la mano sorridendo, l’altra che si posa sulla mia guancia. 

“Scusami per prima, scusami per non averti capita. Sei una ragazza meravigliosa.” Mi bacia la fronte, il naso, le guance, portando via le lacrime, e io rimango lì, immobile e tremante, completamente abbandonata a lui. 

“D’ora in poi ogni volta che vorrai venire qui a trovare la tua famiglia ti accompagnerò io, va bene?” Mi sussurra all’orecchio, e io annuisco, incapace di formulare una frase sensata, ridendo e piangendo contemporaneamente.

“E non devi avere paura. Io sono qui, Rebekah, e non ho intenzione di andarmene. Ti amo davvero.” 

Sono paralizzata dallo stupore e dalla gioia, non riesco a credere che abbia davvero detto quelle parole.

“Ti amo anch’io.” Mi aggrappo al suo collo, intrappolando le sue labbra in un lungo bacio appassionato.

Quando alla fine siamo costretti a staccarci per respirare, con le fronti che ancora si toccano, non riusciamo a smettere né di ridere né di piangere.

Marcel mi prende per mano, e insieme usciamo dal cimitero senza mai voltarci indietro, abbandonando la morte, andando incontro alla gioia, all’amore.  

Mentre percorriamo la strada verso casa, in mezzo al marciapiede affollato, per un attimo ho l’illusione di vedere le sagome di due bambini.

Il più alto, con i capelli castani, stringe la mano del più piccolo, con i riccioli biondi ribelli che gli ricadono sugli occhi, occhi incredibilmente azzurri che saettano curiosi e vivaci in tutte le direzioni.

Due bambini che ridono, che giocano a rincorrersi nel vento che disperde il suono della loro felicità. 

Istintivamente mi fermo e appoggio la testa sulla spalla di Marcel, paralizzata dal dolore.

Vedo il mondo offuscato da una patina lucida di acqua salata, ma non voglio piangere. 

“Sai, Marcel, mi mancano così tanto. Vorrei che fossero qui.”

Lui sospira e abbassa la testa, poi mi posa una mano sul petto, proprio all’altezza del cuore, e un ampio sorriso gli illumina il viso.

“Non li senti, Rebekah? Loro sono qui. E ci saranno sempre. Ogni volta che avrai bisogno di loro.”  

E poi capisco.

Elijah e Niklaus non ci sono più, ma sono ancora dappertutto. 

Nei raggi del sole che bucano le foglie di un albero, nella trama complessa di una nuvola, in un’ombra sfocata che scorgo con la coda dell’occhio.

Nelle mie lacrime, nei miei sorrisi, nei miei sogni e nei miei incubi. 

Sono dentro di me, incastrati tra i miei muscoli e i tendini, radicati nelle mie ossa, che pulsano attraverso ogni mio battito.

Sono sempre lì, in un cassetto segreto della mia mente, in uno scomparto segreto della mia anima, a ricordarmi quanto stupendo e terribile può essere amare. 

“Hai ragione.” Poso la mano sulla sua e gli sorrido anch’io.

“Andiamo a casa.” E riprendo a camminare. 

Un passo. E poi un altro, e un altro ancora.

Non è difficile andare avanti.

Un passo dopo l’altro e il gioco è fatto. 

Non so se rivedrò mai Kol o Freya.

Spero che siano felici, spero che conoscano l’amore.

Per quanto riguarda me, adesso sono pronta a svestirmi del dolore, dei dubbi e delle insicurezze.

Sono pronta a sorridere di questa notte in me.

Sono pronta a lasciar andare il passato e a vivere appieno il futuro, qualunque cosa mi riservi.

Un’improvvisa brezza tiepida mi sfiora il viso, ricordandomi improvvisamente che l’inverno è finito, che il freddo se n’è finalmente andato.

E io sto camminando verso la primavera, verso il calore.

Stretta alla mano di Marcel, sto camminando verso la vita.

 

 

 

*Fine*

  
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