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Autore: _Joanna_    27/11/2018    1 recensioni
Mentre si avvicinava, la luce delle candele danzava tra le pieghe del suo mantello, risalendo l'alta, snella figura del Signore Oscuro, finché non illuminò il volto più orrendo che Megan avesse mai visto.
Più simile a un teschio animalesco che a un viso umano, con la pelle bianca e sottile, quasi trasparente, Voldemort era il ritratto della Morte.
-
Qualcosa di scuro e denso, un liquido, scintillava alla luce della luna.
Era sangue.
«È giusto questo?» chiese di nuovo l'uomo, afferrando uno dei cadaveri che giaceva per terra.
Megan lo riconobbe, era Ron Weasley, pallido e inequivocabilmente morto.
«E questo? E questo?» continuò, ripetendo lo stesso gesto ancora e ancora.
Erano tutti morti.
No, non morti, erano stati uccisi.
Tutti quanti.
L'aria ora era ammorbata da un tanfo insopportabile, putrido.
Era l'odore della morte.
«Hai visto che cosa hai fatto?».
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Riddle/Voldermort | Coppie: Draco/Pansy, Harry/Pansy, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VII libro alternativo
Capitoli:
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1.1






Nota dell'Autrice

Questa è stata la prima fanfiction che ho scritto, nel lontano 2014 e sviluppa uni dei più famosi clichè del fandom Potteriano, clichè reso poi canonico dalla stessa Rowling. Spero, tuttavia, di aver reso il mio personaggio comunque un po' interessante e sarei lieta di ricevere i vostri feedback.
Piccolo avvertimento: il suddetto personaggio è lievemente sociopatico, una precisazione, questa, che ritengo necessario premettere.
Intanto, vi ringrazio per il vostro tempo.

Jo

:

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Prologo
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Verità



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«Fai attenzione» gli disse, accarezzandogli delicatamente il braccio.
Non sapeva spiegarsi il perché, ma provava un acuto senso di angoscia, anzi diciamo anche di puro terrore, come se stesse per accadere qualcosa di tremendo che lei sentiva di non poter evitare.
«Io faccio sempre attenzione» le rispose lui, con una smorfia divertita «A dopo» aggiunse, sfiorandole le labbra in un veloce e timido bacio.
Megan non voleva lasciarlo andare così; gli afferrò il braccio e lo attirò a sé, incurante del rumore della folla che si stava avvicinando.
«Non mi interessa che tu vinca, per me sei già tu il Campione, lo sai?» gli disse, seria. Cedric sorrise e la baciò di nuovo, prima di allontanarsi lungo il sentiero ombroso che portava allo stadio.
Megan lo seguì con lo sguardo, quindi si avviò verso le tribune insieme agli altri.
Da lassù, vide il suo Cedric entrare nel Labirinto Incantato, il volto teso che si illuminava in un ultimo sorriso, solo per lei, prima che le alte siepi si chiudessero attorno a lui.
«Cedric vincerà, ho scommesso cinque galeoni su di lui» affermò suo fratello William, convinto.
«Anche Krum ha buone possibilità» obiettò George, accogliendo una puntata dell'ultimo minuto da un Corvonero del sesto anno «Ottima scelta, amico mio» approvò poi.
«Abbiamo il vincitore!» esclamò d'un tratto Silente, solenne.
Le siepi si riaprirono e sulle tribune si scatenarono cori e boati di approvazione, mentre la banda riprendeva a intonare quell'irritante motivetto allegro.
Ma Megan non li udiva.
Le sue peggiori paure, la cui esistenza lei non sapeva spiegare nemmeno a se stessa, si erano avverate.
Si precipitò giù dagli spalti, dove i festeggiamenti continuavano frenetici; nessuno si era ancora accorto che c'era qualcosa di mortalmente sbagliato nel modo in cui il corpo di Cedric giaceva sul prato.
Un urlo, il suo, fece tacere gli strumenti e mise fine al sogno.
Megan si svegliò nel suo letto, sudata e stremata.
I primi raggi del sole tracciavano sottili lame di luce sul pavimento della sua camera.
Megan si mise a sedere, cercando disperatamente di scacciare quelle immagini tremende dalla sua testa.
Era passato un mese da quella notte terribile, eppure l'orrore che provava era sempre lo stesso.
E forse, pensava Megan, era giusto che fosse così.

*

A qualche decina di chilometri di distanza, Cedric era il protagonista del sogno di un altro.
Harry Potter si svegliò urlando, le lenzuola aggrovigliate intorno alle gambe e al petto, come le spire di un serpente strette attorno alla preda.
Mancava poco all'alba e a un nuovo, noioso giorno in casa Dursley.

*

Megan non credeva di riuscire a riprendere sonno dopo quell'incubo, invece, quando aprì gli occhi, vide che il sole aveva inondato di luce la sua camera; la calura estiva, dopo la tregua notturna, era tornata ad opprimere i cieli di mezza Inghilterra.
Cacciò via con rabbia le lenzuola e si alzò, rischiando di inciampare su uno dei libri di magia che aveva dimenticato sul pavimento la sera prima.
“Al diavolo” pensò, agguantando la bacchetta, che aveva lasciato sul comodino.
La legge ministeriale imponeva che ai minorenni non fosse concesso usare la magia fuori dalle mura di Hogwarts; tuttavia, chi viveva in una famiglia di maghi poteva godere di qualche libertà: il Ministero, infatti, dal momento che poteva solo localizzare gli incantesimi, ma non individuarne l'autore, e non potendo di certo vietare a maghi e streghe adulti di farne uso, doveva raccomandarsi ai genitori affinché la legge venisse rispettata.
I suoi genitori vigilavano attentamente, ma ogni tanto a Megan e a suo fratello William  era concesso uno strappo alla regola.
Essendo sola in quel momento, Megan agitò la bacchetta e lanciò un semplice incantesimo di levitazione, facendo atterrare i libri su uno scaffale.
Terminata l'operazione, Megan ripose la bacchetta sul comodino, quindi si diresse verso l'armadio e lo aprì.
Il disordine che vi regnava avrebbe fatto impallidire chiunque: nel ripiano in basso, vecchi libri e strumenti erano ammassati l'uno sull'altro, senza riguardi; appesi alle grucce, mescolati tra loro, c'erano gli abiti Babbani, le divise scolastiche e alcuni vecchi abitini dal taglio formale.
Megan rovistò un po' in quella confusione, finché non trovò quello che stava cercando: una semplice camicia di lino, molto fresca, e un paio di pantaloncini di jeans chiari; indifferente al disordine ulteriore che aveva causato, richiuse l'armadio, quindi scelse la biancheria intima e andò in bagno per lavarsi e cambiarsi.
Quando scese di sotto per fare colazione, erano ormai le nove e trenta passate.
«'Giorno» salutò, entrando in cucina.
«Oh, buongiorno tesoro» le rispose sua madre; era in piedi davanti alla finestra e per lei quello sembrava essere tutto tranne che un giorno buono.
Megan non vi badò e si diresse verso la credenza.
«Vuoi che chiami Ellie per farti preparare qualcosa?» le chiese sua madre.
«No, grazie. Prenderò solo un caffè» rispose lei, riempiendo la tazza con il bollente liquido scuro.
«Sicura?» insistette «Ieri sera non hai quasi toccato cibo e hai del tutto saltato il pranzo, dovresti mangiare almeno qualcosa».
«No, sto bene così» rifiutò di nuovo.
In effetti, però, sua madre aveva ragione: da quando era tornata a casa per le vacanze, Megan era dimagrita molto; passava gran parte delle sue giornate chiusa in camera, a leggere e studiare i libri di incantesimi che aveva chiesto in prestito ad alcuni ragazzi di Durmstrang, e, quando scendeva, non restava mai molto tempo in compagnia della sua famiglia, né di chiunque altro.
Ora, quando si osservava allo specchio, doveva constatare che quello non rifletteva più l'immagine a cui lei era abituata: non vedeva più la ragazza vivace e solare che era sempre stata, ma una ragazzina taciturna e insicura. I lunghi capelli, neri e lisci, incorniciavano un viso pallido, dalle guance scavate, e gli zigomi alti e appuntiti mettevano i risalto due grandi occhi grigio-azzurro, cerchiati da pesanti occhiaie e adombrati da un costante velo di malinconia.
La morte di Cedric l'aveva devastata, e in lei era rimasto un solo desiderio a darle sostegno: la vendetta. Aveva scritto ad alcuni ragazzi di Durmstrang, con cui aveva fatto amicizia nell'ultimo anno, per farsi spedire i loro libri di Magia; da quel punto di vista, la scuola del Nord andava decisamente controcorrente: lì, infatti, gli insegnanti non si limitavano a fare apprendere ai loro studenti sciocche formule di difesa, ma veri e propri Incantesimi Oscuri. Megan aveva deciso di impararli, anche se, per il momento, non aveva la possibilità di fare pratica: pur potendo fare, di quando in quando, qualche magia fuori da Hogwarts, era piuttosto sicura che lanciare un qualche Sortilegio Oscuro in casa avrebbe fatto allarmare il Ministero; perciò, era costretta a limitarsi alla sola teoria e, per il momento, questo era abbastanza.
«Dov'è Will?» chiese a un tratto Megan, accorgendosi solo allora dell'assenza del fratello.
«È andato dai Weasley» rispose sua madre, che aveva ripreso a fissare l'orizzonte.
“Ah, già” pensò, ricordandosi di quella visita programmata da settimane; William aveva insistito perché andasse anche lei, ma Megan aveva rifiutato.
«Sono una Serpeverde» aveva detto una volta, quando William aveva cercato di nuovo di convincerla «Non vorrei mai essere accusata di spionaggio mentre voi Grifondoro vi allenate per il Campionato».
Quella era stata solo una delle decine di scuse che aveva trovato per declinare l'invito, non troppo spontaneo, dei Weasley.
All'improvviso, Megan udì l'inconfondibile crepitio delle fiamme: qualcuno aveva appena usato la Metropolvere per Materializzarsi nel loro salotto.
«Non può già essere tornato» mormorò sua madre, che era sbiancata di colpo.
«Chi, Will?» chiese Megan, senza ottenere risposta.
Un attimo dopo, suo padre comparve sulla soglia della cucina.
Aveva un'aria stanca, come di uno che non fa una dormita decente da settimane; sua madre gli andò incontro, pallidissima.
«Com'è andata?» chiese con un filo di voce.
Megan seguiva la scena preoccupata: non aveva mai visto i suoi genitori in quello stato.
«No» mormorò sua madre un attimo dopo, come se il silenzio le avesse appena dato la peggiore delle risposte.
«Che succede?» riuscì a chiedere Megan, incontrando lo sguardo sconsolato di suo padre e quello angosciato di sua madre.
Dopo un lungo istante, finalmente suo padre parlò «Megan, c'è una cosa che devi sapere»
«No, non se ne parla!» esclamò sua madre, interropendolo.
«Non abbiamo scelta, Kate, deve saperlo» ribatté lui, con convinzione.
«No, assolutamente no, è troppo presto!» protestò l'altra.
«Sapere che cosa?» chiese Megan, con una nota di panico nella voce; si sentiva confusa e il comportamento dei suoi genitori, di solito sempre calmi e riflessivi, la spaventava.
«La verità Megan» rispose suo padre, avviandosi verso il salotto, seguito dalla moglie.
Megan, abbandonato il suo caffè, non ebbe altra scelta che imitarli.

   «Vincent, ti prego» ripeté per l'ennesima volta sua madre, ignorando deliberatamente il marito che le faceva segno di accomodarsi su una delle grandi poltrone del salotto.
Suo padre si posizionò in piedi davanti al camino. Voltava loro le spalle, e si tormentava il polsino della camicia; era un gesto che Megan gli aveva visto fare spesso, quando c'era qualcosa che lo preoccupava o lo innervosiva.
Dopo un lungo silenzio, rotto soltanto dai respiri affannosi di sua madre, suo padre riprese a parlare.
«Devi sapere che noi, io» precisò «non sono sempre stato l'uomo che sono oggi. Avevo fatto una scelta, di cui mi sono pentito presto, di cui mi vergogno in ogni momento»
Megan, che era stata quasi costretta a sedersi sul divano, pendeva dalle sue labbra.
«Devi capire che a quel tempo ero giovane, pieno di idee stupide. Ero ambizioso e arrogante e le mie amicizie … Non cerco giustificazioni, ma devi capire che in certi momenti si fanno scelte sbagliate, che si rimpiangono amaramente in seguito».
«Papà» lo interruppe Megan, stanca di quei giri di parole «Mi stai dicendo che hai fatto una cosa sbagliata da giovane, quale?» lo esortò, temendo la riposta.
Suo padre trasse un lungo respiro «Mi sono unito al Signore Oscuro» disse infine, in tono grave; slacciò i bottoni del polsino sinistro e tirò su la manica, scoprendosi l'avambraccio: un grosso tatuaggio, nero e spettrale, pulsava sinistramente.
Era il Marchio Nero.
Megan represse un gemito. Si alzò lentamente, avvicinandosi a quella cosa che sembrava dotata di vita propria, per esaminarla.
«Quando incontrai tua madre, ero già diventato un Mangiamorte» riprese a raccontare lui, scoccando un'occhiata alla moglie, che finalmente aveva preso posto sulla poltrona più vicina, lo sguardo basso e l'aria sconfitta.
«Lei non condivideva le mie idee e, dopo poco tempo, mi accorsi che neanche io mi riconoscevo più in quegli ideali. Ci innamorammo, ci sposammo, ma non potevamo avere una vita, non così» continuò «Non si può smettere di essere un Mangiamorte» spiegò «L'unico modo per sciogliersi dal giuramento è pagare con la vita»
«Poi, un giorno, il Signore Oscuro venne da me. Mi disse che dovevo andarmene, lasciare l'Inghilterra e dire a tutti che Lui mi stava dando la caccia. Era una cosa credibile, perché già allora occupavo una posizione di rilievo al Ministero. Voleva che lo servissi in quel modo e mi disse che, un giorno, forse, avrei saputo il perché».
Fece una pausa, come per raccogliere le idee prima di continuare; la parte peggiore di quella confessione a tre, dunque, non era ancora arrivata.
«Per me quella era un'occasione unica. Potevo sfuggire al suo controllo e con il suo permesso per di più. Così feci come mi aveva ordinato, simulai un attacco in casa nostra e con tua madre lasciammo il Paese. Silente stesso ci offrì protezione per la fuga. Arrivammo in Francia e lì aspettammo. Passò un mese, poi tre, un anno e niente. Sperai che il Signore Oscuro si fosse dimenticato di me, del nostro accordo, ma non fu così. Una notte, dopo più di due anni di esilio, si presentò alla porta un Mangiamorte. Non lo conoscevo, doveva essere una nuova recluta, dal momento che non poteva avere più di diciotto anni. Mi disse che il Signore Oscuro era stato sconfitto e che se n'era andato, ma che sarebbe ritornato presto, e allora avrebbe voluto raccogliere i frutti di ciò che gli avevo promesso. Dovevo onorare il mio giuramento, mi disse, e così» si fermò, sospirando «Così mi consegnò voi».
Tacque.
Megan guardò suo padre confusa.
«Noi?» chiese, cercando una risposta nello sguardo avvilito di suo padre e in quello terreo di sua madre, che aveva cominciato a piangere.
«Sì, tu e tuo fratello» rispose alla fine suo padre.
«Che significa?» chiese; la risposta era fin troppo evidente, ma Megan non voleva crederci, aveva un disperato bisogno di sentirsi dire che non era vero, che quelli che aveva davanti erano i suoi veri e unici genitori.
«Noi non siamo i vostri veri genitori» dichiarò invece suo padre, o meglio, a questo punto, l'uomo che si era professato come tale fino a quel momento.
«Ma-» cominciò Megan, senza riuscire a pronunciare la domanda che sapeva di dover fare.
Chi allora? E perché glielo stavano dicendo in quel momento, e solo a lei poi?
«Tesoro, è meglio che ti sieda» disse sua madre, parlando per la prima volta da quando suo padre aveva cominciato a raccontare.
Megan non l'ascoltò nemmeno, aspettando che suo padre continuasse, ma lui taceva ancora. Era tornato a darle le spalle, le braccia tese sulle mani appoggiate al camino, lo sguardo fisso sulla cenere fredda.
«Tua madre era una Veela, Megan» disse alla fine, dopo quel silenzio teso ed eterno «Ed era stata destinata a un uomo, a...» si interruppe «a Lui».
Quando ebbe pronunciato quell'ultima parola, “lui”, fu come se qualcuno l'avesse trafitta con mille stilettate velenose.
«Vuoi dire che-» riuscì a dire alla fine, ritrovando chissà come la voce che credeva ormai persa per sempre «Che Voldemort è il mio vero padre?»
«Sì».
Altre stilettate.
Megan sentì la vista offuscarsi e le gambe sembravano essere diventate molli e pesanti.
Trovò a tentoni il bracciolo del divano e vi si lasciò cadere.
Voldemort era suo padre.
Voldemort, quel demonio, quel mostro ripugnate, quell'essere malvagio e crudele era suo  padre.
Voldemort, che aveva ucciso il suo Cedric, e innumerevoli altri innocenti, era suo padre.
Senza neanche accorgersene, Megan si scoprì a ridere.
I suoi genitori, o meglio, le persone che lei aveva sempre considerato tali e che l'avevano cresciuta, la stavano osservando preoccupati.
«Megan…» cominciò sua madre, ma lei la interruppe subito, sforzandosi di controllare quella risata isterica che doveva certamente suonare inquietante «Ok, molto divertente» disse, ironica.
«Tesoro, è…» cominciò sua madre «È la verità, tesoro».
«D'accordo allora! Mio padre è Voldemort e mia madre è, che cosa avete detto, una Veela?» ricapitolò.
«Amore…»
«No, no, sto bene, davvero» ghignò Megan «È semplicemente assurdo, tragicamente assurdo, ma va bene».
«Non è tutto» disse suo padre.
«Oh ma davvero?» chiese Megan, sarcastica «Che altro mi avete tenuto nascosto? Vediamo, mio fratello non è mio fratello, e quello vero se l'è tenuto Voldemort? O chessò, sono imparentata con qualche altro assassino o-?»
«Vuole incontrarti» disse suo padre, semplicemente.
Di nuovo, Megan sentì il desiderio bruciante di ridere. Questa volta riuscì a trattenersi e chiese «Incontrarmi? Perché, vuole giocare a fare il padre? E Will, viene con noi?»
Suo padre ignorò il suo tono e rispose «Non vuole tuo fratello, ha fatto domande e ha deciso che sei tu quella che gli interessa».
«Ma davvero?» ripeté. Sentiva l'odio e la rabbia, a lungo covati in quelle settimane, esploderle dentro «Gli interesso? Mi dispiace allora, perché io non provo alcun interesse per lui».
«Non possiamo-» stava ribattendo suo padre, quando si intromise sua madre «Vince, non puoi costringerla, e neanche lui, è troppo giovane».
«Non è questione di essere giovani, non voglio vederlo» ribatté Megan.
«Lo so che è giovane e lo sa anche lui» disse suo padre «Vuole solo accertarsi di chi e che cosa sia diventata, non pretenderà che si unisca a lui o altro, vorrà solo vederla e mi ordinerà di addestrarla nelle Arti Oscure, me l'ha assicurato».
«Oh bé, se te l'ha assicurato!» sbottò sua madre, ancora pallida, ma risoluta.
«Non mi importa, non ci andrò» continuava a ripetere Megan, stranamente calma.
«Sarà solo per questa volta, poi, a tempo debito, diremo tutto a Silente e lui ci aiuterà».
«Se proprio insisti va bene!» dichiarò alla fine Megan «E gli dirò esattamente quello che sono e che penso».
«Megan, non dirai sul serio!» esclamò sua madre, allarmata.
«Certo» assicurò Megan «Piuttosto che unirmi a lui preferisco morire!» concluse e, ignorando le grida di sua madre che cercava di richiamarla, corse a chiudersi in camera sua.

   Per tre giorni, Megan rimase rinchiusa tra le quattro pareti della sua stanza.
I suoi genitori, dopo qualche debole tentativo, avevano deciso di lasciarle il tempo e lo spazio che le servivano.
Ellie, l'Elfa Domestica di famiglia, si Materializzava in silenzio nella sua camera per portarle da mangiare e ritirare i piatti che Megan lasciava, quasi intonsi, sulla scrivania.
All'alba del quarto giorno, Megan, che aveva passato le ultime ore sveglia a riflettere, prese la sua decisione: avrebbe riposto per l'ultima volta la sua fiducia in quelli che aveva creduto essere i suoi genitori. Dopotutto, non aveva altra scelta.
Quando scese di sotto, li trovò in cucina, seduti a parlare davanti a una tazza di tè nero.
«Non possiamo più aspettare, Kate» stava dicendo suo padre «Vuole una riposta».
«E l'avrà» lo interruppe Megan, entrando.
Sua madre balzò in piedi e si avvicinò a lei, per abbracciarla. Lo sguardo gelido che Megan le rivolse le fece cambiare idea.
«Lo incontrerò e mi mostrerò timida e sorpresa, per niente ostile, va bene?» chiese, in tono di sfida.
Suo padre annuì, quindi si alzò e lasciò la stanza.
«Sarà meglio prepararsi» disse sua madre, dopo un momento; Megan la seguì docile, sperando di aver preso la decisione migliore.

*

«Ci sta aspettando» disse suo padre, raggiungendole in fondo alle scale.
Si era cambiato d'abito: ora indossava un completo nero e, drappeggiato sulle spalle larghe, quello che Megan intuì fosse il Mantello dei Mangiamorte.
Sua madre, invece, aveva scelto un bell'abito lungo, verde pino, mentre Megan aveva alla fine optato per un semplice tailleur pantalone.
Con un cenno di assenso, tutti e tre si diressero verso il salotto.
«Andrò prima io, tu mi seguirai subito dopo» le disse suo padre, entrando nel camino.
Afferrò la Metropolvere e declamò «Villa Malfoy»; con un ruggito, le fiamme verdi si accesero e lo inghiottirono
Megan, per nulla sorpresa di quella destinazione, attese qualche istante, quindi ripeté gli stessi gesti.
“Fa che vada tutto bene” si ritrovò a pensare, mentre il turbine verde la trasportava lontano, facendole roteare davanti centinaia di camini dai mille colori; Megan sarebbe entrata volentieri in uno qualsiasi di quelli.
Alla fine la sua folle giravolta terminò e Megan atterrò incerta sul tappeto bruciacchiato davanti al camino dei Malfoy.
Pochi attimi dopo, anche sua madre li raggiunse.
Dalla penombra della stanza, emerse la sagoma di un uomo, e fu solo quando la luce delle candele illuminò il suo viso che Megan lo riconobbe: Peter Minus, basso e grassoccio, si rivolse a loro con fare untuosamente deferente «Ben arrivati, signor Parker, signora» salutò affabile con la sua vocetta fastidiosa «Seguitemi» squittì, precedendoli sulla soglia e facendo loro strada lungo il corridoio, alcune rampe di scale e altri due corridoi.
Megan era stata molte volte a Villa Malfoy, dal momento che Lucius era il cugino di suo padre. Lei e Draco, il figlio di Lucius, erano praticamente cresciuti insieme, tanto che, se non fosse stato per l'incredibile somiglianza che legava Megan al suo gemello, si sarebbe detto che erano loro due i fratelli e William l'amico.
Tuttavia, ora che si ritrovava a percorre quei corridoi che conosceva tanto bene, Megan si sentiva un'estranea, un'intrusa.
«Aspettate qui» disse Minus, una volta che ebbero raggiunto il grande atrio. Di solito, Megan non mancava mai di notare lo sfarzo di quel luogo, arredato con il gusto finissimo di Narcissa; tuttavia, in quel momento, le pareva più tetro di una cattedrale abbandonata, buio e umido.
Codaliscia si era allontanato e si era fermato davanti alla porta del salone; bussò tre volte, quindi socchiuse l'uscio e sgattaiolò dentro.
Pochi istanti dopo ne uscì trafelato, come se avesse appena corso una maratona, o ricevuto il peggiore degli spaventi.
«Potete entrare adesso» disse agitato.
Suo padre le fece cenno di precederlo, quindi, con un ultimo sguardo di raccomandazione, abbassò la maniglia di bronzo della porta e l'aprì per lei.
Il salone di villa Malfoy era, come il resto della dimora, immenso.
Il grande camino di marmo era spento e l'unica luce proveniva dai quattro grandi candelabri a muro, appesi agli angoli della sala.
Al lungo tavolo, riccamente decorato, erano sedute alcune persone, per lo più sconosciute; Megan riconobbe solo Lucius e Narcissa Malfoy, Dwayne Tiger e Magnus Goyle.
Al capo opposto del tavolo, ammantati dalle tenebre, un paio di occhi rossi la stavano fissando.
Megan era pietrificata dal terrore.
Con lentezza esasperante, Voldemort si alzò in piedi e avanzò.
Mentre si avvicinava, la luce delle candele danzava tra le pieghe del suo mantello, risalendo l'alta, snella figura del Signore Oscuro, finché non illuminò il volto più orrendo che Megan avesse mai visto.
Più simile a un teschio animalesco che a un viso umano, con la pelle bianca e sottile, quasi trasparente, Voldemort era il ritratto della Morte. Al posto del naso, c'erano due sottili fessure, come le narici di un serpente, e le labbra erano inesistenti.
«Benvenuti» alitò Voldemort, in tono che voleva sembrare suadente, ma che invece era solo raccapricciante «Vincent, Katherine, accomodatevi» continuò, indicando con le lunga dita pallide due sedie lì accanto.
«E tu, mia cara, devi essere Megan» riconobbe.
Al sentir pronunciare il suo nome, Megan sentì il sangue gelarsi nelle vene.
«Mi devo congratulare con voi, amici miei» continuò, rivolgendosi di nuovo ai suoi genitori, che nel frattempo avevano preso posto.
«Vi siete presi cura di lei molto bene, vedo. E, avevi ragione Lucius, è bellissima» disse,  ricevendo un cenno di muto ringraziamento da parte di Malfoy.
All'improvviso, Megan sentì qualcosa sfiorarle le caviglie; abbassò lo sguardo e vide un lungo, viscido serpente strisciare sinuoso verso Voldemort.
«Oh, questa è Nagini» spiegò il Signore Oscuro, accarezzando dolcemente l'enorme testa della serpe.
«E lei» continuò poi, rivolgendosi a Nagini «lei è Megan, la mia deliziosa figlia».
Alcuni mormorii di inquieta ammirazione percorsero la sala. Un attimo dopo, Megan capì il perché: Lord Voldemort aveva appena parlato in serpentese.
«E ora, perdonami cara, ma non sono molto pratico di queste cose» continuò, tornando alla lingua normale «Dovrei abbracciarti, suppongo?» chiese, e così facendo, sorrise in modo orribile, allargando le braccia.
Megan, che destava anche solo l'idea di sfiorare quel mostro ripugnante, fece un passo indietro.
«Capisco, forse è troppo presto» aggiunse Voldemort, che non sembrava per nulla dispiaciuto della sua mancata dimostrazione di affetto,
In quel momento Megan provò un odio bruciante e parlò, per la prima volta da quando era arrivata.
«Non osare toccarmi» sibilò in serpentese.
Voldemort non si scompose e disse, a sua volta, in serpentese «Molto bene, mi avevano detto che avevi ereditato questo dono»
Megan non sapeva che cosa stava facendo.
Si era ripromessa di restare calma, ma quando era entrata in quella stanza, quando aveva visto quella bestia, quel demonio, tutti i suoi buoni propositi erano volati via, come foglie al vento, e l'odio verso quell'essere mostruoso erano divampati dentro di lei, fino a prendere il sopravvento.
Non sarebbe finita bene, di questo ne era certa.
«Mi avrai anche generata, ma tu non sei mio padre e non provare a sperare che mi unisca a un relitto ripugnante come te» continuò.
I Mangiamorte, che non conoscevano la lingua, rimasero in silenzio, cercando di intuire quello che stava succedendo.
Un lampo d'ira balenò negli occhi sanguigni di Voldemort.
«Tutti fuori, voglio restare solo con la mia bambina» ordinò, nella lingua umana.
I Mangiamorte si affrettarono ad obbedire; i suoi genitori, con il terrore dipinto sul volto, furono gli ultimi a lasciare la sala.
«Molto bene, vedo che hai carattere e la rabbia è uno strumento utile» disse Voldemort, riprendendo a usare il serpentese «Anche se preferisco sia diretta verso gli altri» aggiunse.
«Mi dispiace,» ribatté Megan «non so che cosa ti aspettassi da questo incontro, ma devo deluderti, non sarò mai come te»
«Davvero? E che cosa te lo fa pensare?» chiese Voldemort, per nulla impressionato dalle sue dichiarazioni.
«Tu hai ucciso il ragazzo che amavo, pensi davvero che potrei mai perdonare il suo assassino?»
«Ah sì, quell'Eric»
«Cedric!» esclamò Megan, ricacciando a fatica le lacrime.
«Cedric, giusto, un bel ragazzo devo ammetterlo» disse Voldemort, con noncuranza, «È stato Codaliscia ad ucciderlo» aggiunse «Se vuoi, puoi avere la sua testa» le offrì.
«Ti prego!» esclamò di nuovo Megan «Quel ratto non respira neanche senza il tuo permesso. Lui è stato la mano, tu hai dato l'ordine» ricostruì.
«Ah, l'amore» sospirò Voldemort, orrendamente «Troverai qualcun altro, senza dubbio» disse con semplicità, e insinuò «Pensi sul serio che sarebbe rimasto con te, pensi che i tuoi amici si fideranno ancora quando sapranno chi sei veramente?»
Megan, confusa, rimase, suo malgrado, ad ascoltarlo.
«Già, mi hanno detto che sei amica di Potter» continuò Voldemort «Potter, che invece di affrontare il suo destino, è scappato via come un codardo, lasciando il tuo Cedric a morire al suo posto».
«Non è vero!» protestò Megan, ritrovando la voce.
«Come pensi che sia riuscito a sfuggirmi?» chiese e, senza aspettarsi una risposta, continuò «A sfuggire a me, il più grande mago di tutti i tempi! Megan,» insistette «le persone mentono, ingannano e, dietro al più grande ardimento, si cela sempre la peggiore delle viltà» spiegò «E poi, avanti, credi davvero che quando saprà la verità rimarrà al tuo fianco?» le chiese e, senza darle il tempo di rispondere, proseguì «No, Potter, e tutti quelli che tu chiami amici, e ogni altro mago e strega senza un briciolo di ambizione, da codardi quali sono, ti vedranno come una minaccia, ti escluderanno, e tu che cosa farai?».
«Non ho scelto io di chi essere figlia, contano le azioni e-» ribatté Megan, cercando, ormai invano, di opporsi.
«Ah, vedo che Silente è già entrato nella tua bella testolina e ha fatto i suoi danni» la interruppe subito «Amore, amicizia, buone azioni, tutte cose inutili secondo me. È il potere che conta, solo questo. Vuoi davvero passare la tua esistenza all'ombra degli altri? So come Silente e le sue pecore trattano noi Serpeverde, scommetto che non c'è stata una sola occasione in cui qualcuno ti abbia preferita a un pidocchioso Grifondoro, mai una volta che qualcuno si sia fidato ciecamente di te» continuò.
Aveva toccato il tasto giusto, lo sapeva, e per questo insisteva.
«Megan, non dirmi che non hai mai desiderato essere al centro dell'attenzione, avere il rispetto di tutti. Ebbene, te lo devi prendere, quel rispetto, e io posso aiutarti. Nessuno dubiterà più del tuo potere, nessuno metterà mai più in discussione la tua forza. Non ti serve Potter, per il semplice fatto che tu non servi a lui».
«E se fossi io a dire la verità, e se raccontassi tutto a Silente? Come pensi la prenderebbe?» lo sfidò. Megan ancora non lo aveva capito, ma stava reagendo esattamente come Voldemort voleva
«Fallo» rispose lui, tranquillamente «Dì la verità su chi sei, e guarda i tuoi preziosi amici dileguarsi. Il tuo sangue, le tue origini, parlano per te. Sanno quello che sei e temono quello che potresti diventare. Se fai tue le loro paure, se accetti il tuo destino, loro non potranno usarle contro di te. Unisciti a me e avrai tutto quello che hai sempre desiderato» concluse.
Per un lungo istante, nessuno dei due aggiunse altro.
Megan era confusa, ancora furiosa certo, ma più con se stessa ora.
«Vai pure adesso e rifletti su quello che ti ho detto. Ti accorgerai da sola che non ho mentito» la congedò Voldemort.
Di nuovo, Megan esitò, quindi, senza dire una parola, si allontanò da quella stanza infernale e dal demonio che la abitava.
Ai suoi genitori non raccontò nulla di quello che lei e Voldemort si erano detti; loro rispettarono il suo silenzio e non le fecero domande.
Quando finalmente si ritrovò sola nella sua camera, le lacrime, a lungo trattenute, esplosero come un fiume in piena.
“Riflettici”.
Il ghigno malefico di Voldemort le danzò davanti agli occhi e Megan, prima di abbandonarsi tra le braccia di Morfeo, si ripromise di obbedire.


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