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Autore: little_psycho    28/11/2018    2 recensioni
Dove gli unici problemi di Percy sono trovare cibo blu e diventare il capitano della squadra di nuoto, Annabeth ha un cappello degli Yankees assolutamente normale, Piper è solo molto convincente, la peggior cosa che Luke abbia mai fatto è derubare una gioielleria.
Dal primo capitolo
«Hai provato a scappare! Dèi, ma ti rendi conto? Io e Jason siamo qui per te, e tu te ne vai!»
«Non stavo scappando. Mi stavo semplicemente allontanando.»
«Ahia!»
«Non mi interrompere!»
Percy si massaggiò il braccio, aggrottando le sopracciglia.
«Ma se mi hai dato un pizzicotto!»
«Zitto!»
Dal terzo capitolo
Era tutta colpa di Nico che l’aveva fatto spaventare, che era andato a prendere Hazel, quindi forse la colpa era di quest’ultima. Ma lei era rimasta per dare una mano a Rachel al club del macabro – occulto, pardon – e la colpevolezza passava alla rossa isterica. Ma la suddetta aveva dovuto levare l’imbottitura dei peluche di quell’altro pazzo di manicomio, e la causa del guaio diventava Ottaviano. Per concludere, la colpa era di una certa Lou Ellen, una ragazza che si era diplomata due anni prima e che non c'entrava niente.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III
Planetary (GO!)
 
 
  “There might be something outside your window
But you'll just never know
There could be something right past the turnpike gates
But you'll just never know”

 
 
«Hai…hai un ragazzo?!» L’ultima parola l’aveva sputata fuori come se fosse veleno e le stesse bruciando la lingua.
Silena continuò a guardarla confusa, gli occhi azzurri spalancati e lo sguardo perso.
«Ehm, sì. Dov’è il problema?»
Prima che Talia potesse rispondere che era proprio lì, il problema – fra il suo “sì” sconsiderato e la sua incapacità di vederlo – l’altra la precedette.
«Oh, ma non mi distrarrà dal lavoro! Sono una persona precisa. Verrò agli orari prestabiliti.»
“Gli orari prestabiliti”. Eh già. Ma lei non ne aveva proprio idea che le Cacciatrici andavano alla “Freccia di Diana” senza un orario prestabilito, ma semplicemente quando se la sentivano. Erano una famiglia, che diamine! Sì, Artemide le pagava, ma non c’entrava nulla. Silena lo prendeva come un vero lavoro. Ma se avesse saputo che era fidanzata non gliel’avrebbe chiesto a prescindere, ovviamente. Le ragazze innamorate erano così problematiche! Mai in orario, mai pronte a prendere il posto di un’altra, sempre fra le nuvole, sempre a pensare al loro benedettissimo fidanzato.
All’inizio ci avevano provato, a non fare distinzioni. Ma era troppo lampante per non passare inosservata, quella marcata differenza, quell’abisso fra le sane di mente e le invasate con gli occhi a cuoricini.
Sentì la collera salire, dirompente, verso Silena. Nonostante sapesse che non aveva colpe. La colpa era tutta sua, sua per essersi fidata di nuovo, ma non avrebbe commesso lo stesso sbaglio, neanche per sogno. Fu la rabbia per quello, o per se stessa, ma iniziò ad urlare.
«Dov’è il problema?! Il problema è che sei fidanzata, Silena! Dopo tutti i discorsi che abbiano fatto sulla dipendenza e il maschilismo negli sport, mi vieni a dire che per te erano solo cazzate e che hai un fidanzato?»
E forse non le stava urlando verso Silena, quelle parole, ma verso lei, stava rivivendo il loro litigio, e le stava vomitando addosso tutto quello che non aveva avuto il coraggio di dire quel giorno.
«M-mai io credo nella dipendenza e nella emancipazione femminile, nel maschilismo negli sport, in tutto quello di cui abbiamo parlato. Non capisco cosa c’entri Charlie in tutto questo.»
Charlie. Aveva davvero detto “Charlie”?
Eppure sembrava così spaesata, ma possibile che non avesse ancora afferrato l’antifona? «Charlie fa nascere il fottutissimo problema. Artemide ed io le Cacciatrici le vogliamo con un po’ di sale in zucca, non delle fessacchiotte che sognano ad occhi aperti l’amore a prima vista con tanto di fuochi d’artificio, e dedicano frasi riciclate da qualche cioccolatino ai propri fidanzatini su Instagram!» Stava urlando, probabilmente anche sputacchiando un po’, e non aveva più fiato in gola.
«Quindi pensi che io non possa avere un po’ di sale in zucca, se sono innamorata? E che non potrei fare bene il mio lavoro, se sogno ad occhi aperti l’amore a prima vista con tanto di fuochi d’artificio?» Anche lei stava urlando, con una vena in rilievo sul collo e le mani strette a pugno.
«Lavoro.» La beffeggiò Talia. «Ma allora non ti entra in testa? Se accetti il posto qui diventi una Cacciatrice, una del gruppo. Non si tratta solo di lavoro. Trovi una seconda famiglia! Per alcune di noi è anche la prima.»
Dato che urlare implicava sprecare fin troppo fiato, si fermò un attimo, per fare dei respiri profondi. Poi riprese, ancora più ferma nelle sue convinzioni.
«Ma la famiglia non accetta un sentimento insulso e fuorviante come l’amore romantico. Si basa su principi più solidi, più duraturi. Che sia la prima cotta o l’amore con la lettera maiuscola, prima o poi finirà. Lealtà, gratitudine, affetto fraterno, sono cose che non si dimenticano. Più profonde.»
Silena stava tentennando, indecisa su come ribattere. Gli occhi guizzavano a destra e sinistra, le mani stringevano la stoffa della maglietta, i denti martoriavano il labbro inferiore.
«Anche l’amore non si dimentica.» Fu la sua risposta, un sussurro sottile e poco chiaro contro le urla appassionate di Talia.
La risatina beffarda di quest’ultima la svegliò dalla sua indecisione, punta sul vivo. «Allora forse non voglio far parte della famiglia. Di certo non ho bisogno di un manipolo di pazze armate di arco e frecce che già pensano di sapere come giri il mondo e si comportano come tredicenni, per sentirmi a casa!»
La consapevolezza che a Talia servisse proprio quello – un manipolo di pazze armate di arco e frecce che già pensano di sapere come giri il mondo e che si comportano come tredicenni – per sentirsi protetta, e la decisione di Silena di rifiutare quell’affetto incondizionato che avrebbe potuto avere, quella sicurezza che quando il mondo ti sta per cadere addosso c’è qualcuno che ti sorreggerà sempre, tutto per un ragazzo, fece male.
Fece male accettare che esistesse qualcuno che non avesse poi così tanto bisogno di quello che per Talia era fondamentale come l’ossigeno. Sminuì momentaneamente quegli ultimi quattro anni lì. Come faceva uno stupido fidanzato essere più importante di quello?
Non aveva mai avuto una relazione amorosa, lei. Come nessuna delle altre. Sol sesso rabbioso nel retro dei locali, solo con ragazze di cui non sapeva il nome. Per Artemide andava bene, limitarsi al contatto fisico. Andava bene, scaricare la tensione sui corpi sudati di ragazze brille con sorrisi invitanti. Andava bene, andarsene subito dopo senza lasciare traccia. Che poi, che se ne sarebbe fatta anche di quell’amore? Tutto quello che riceveva dalle Cacciatrici, da Jason, da Annabeth e Luke, era più che sufficiente. Bastava.
«Torna quando avrai cambiato idea, Silena.» Disse, glaciale.
«Allora mi sa che è proprio un addio, Talia
 
Eh no, dopo a stento due settimane da dall’ennesimo litigio con l’ennesima ragazza innamorata, quell’addio non era per niente definitivo.
Silena Beauregard la stava guardando convinta delle proprie idee da ragazzina in calore, accompagnata da quello che doveva essere il fantomatico Charlie. Non sapeva bene cosa si sarebbe aspettata, ma di certo non lui. Qualcuno con un soprannome come Charlie sarebbe dovuto essere decisamente più minuto, o basso, o meno grosso. Si era fatta l’idea di un biondino con il ciuffo mantenuto con una quantità scabrosa di gel, forse un po’ muscoloso, e la perenne espressione da costipato, che sarebbe dovuta apparire affascinante.
Invece, Charlie, era un ragazzone di colore, alto sul metro e novanta, con grandi occhi scuri, larghe spalle e mani callose, da lavoratore, forse fabbro. Talia se ne intendeva, che a furia di tendere la corda dell’arco anche le sue erano messe abbastanza male. La cosa che più non sopportò, era che le ispirò simpatia. Sembrava davvero un bravo ragazzo, per niente in linea con i suoi pensieri. Per niente in linea con l’altro.
La testa riccioluta di un ispanico che per sua immensa sfortuna conosceva, le fece collegare i puntini molto più velocemente.
Per la cronaca, i puntini uniti illustravano il disegno di un Leo Valdez riverso per terra, con una moltitudine di frecce che spuntavano dal petto.
 
“If my velocity starts to make you sweat
Then just don't let go
And if the heaven ain't got a vacancy
Then we just, then we just, then we just, then we just
Get up and go”
 
«… e così lei mi ha risposto che sono un’immatura, che quando avrò scoperto le “meraviglie dell’amore” la capirò, e blablabla…»
«Forse intendeva le “maniglie dell’amore”.» Suggerì Luke, in un fugace istinto suicida, vista l’occhiataccia che ricevette da parte di Talia.
«Passi troppo tempo con Percy.» Costatò Annabeth, sconsolata, pensando come la stupidità potesse essere così facilmente trasmettibile.
 L’altro alzò gli occhi al cielo, divertito. «Ma sei tu che te lo porti sempre appresso!»
«E che dovrei fare, lasciarlo abbandonato a se stesso in mezzo ad una strada?»
«Dèi, Annabeth, non è un cucciolo di cane!»
«Ehi, gente!» Esclamò Talia, facendo il segno del time-out con le mani. «Io starei qui a cercare di raccontare com’è andato lo scontro.»
«Finisce con un ispanico con un occhio nero, una Piper traumatizzata probabilmente a vita e  voi due che ve le date di santa ragione tirandovi capelli e schiaffi?» Chiese Luke disinteressato, stiracchiandosi sulla sedia.
«Ehm… in effetti…» All’improvviso Talia non aveva tanta voglia di continuare a parlare, o di guardare Annabeth negli occhi.
«Talia, non dirmi che hai picchiato Leo e Silena!» Quasi urlò Annabeth, scandalizzata, coprendosi la bocca con la mano.
«È stato lui a volersi immischiare e lei a rispondere!»
 
“Ladies and gentleman, truth
Is now acceptable fame
Is now injectable process the progress
This core is critical faith
Is unavailable lives
Become incredible now
Please understand that”
 

L’occhio nero di Leo era messo peggio di quello che Annabeth si aspettasse. Molto peggio. Si erano riuniti alla caffetteria “Mezzosangue”, a pochi metri da casa di Talia e Jason. L’ennesimo posto in cui Luke aveva lavorato per un periodo piuttosto breve della sua vita, per poi essere licenziato e in cui aveva rubato tutti i soldi dalla cassa per ripicca.  
Aveva avuto il posto grazie a Grover, che adesso guardava Frank confuso.
«Gelato senza lattosio?»
«Sì, per favore.»
Il cameriere si mosse a disagio, grattandosi i ricci castani con la penna che aveva in mano.
«Senti, amico, non siamo abbastanza all’avanguardia per il gelato senza lattosio.» Lo disse come se fosse strano anche solo pronunciarlo. Si sporse un po’ e abbassò drasticamente il tono di voce. «Ora che ci penso, tutto il gelato che abbiamo si limita ad una vaschetta al pistacchio scaduta due mesi fa.»
Dal colorito verdognolo che assunse la faccia di Frank, forse non era stata una mossa vincente dirglielo.
«Ah.» rispose infatti quest’ultimo, con le sopracciglia alzate fino all’attaccatura dei capelli. «Un caffè?» Lo tolse dall’impiccio Grover, prendendo il silenzio di Frank come un sì.
«Della carne surgelata farebbe comodo, qui.» Si lamentò Leo, indicando l’occhio tumefatto.
Grover lo guardò impietosito dal suo metro e cinquanta, dal lavoro sottopagato e dal grembiule arancione fluorescente. Certo che Leo era messo parecchio male.
«Talia Grace, vero?» Annuì, saputo. «Non impara mai.» 
Mentre Luke non poté trattenersi dallo sghignazzare – perché quel “non impara mai” comprendeva un ballo scolastico, un lento disastroso e probabilmente il peggior corteggiamento della storia – Jason lo guardò stranito, pensando probabilmente a quante cose sulla sorella fosse bellamente all’oscuro.
«Ma Percy dov’è?» Chiese ad un certo punto Luke, ripresosi egregiamente dal ridere.
Leo roteò gli occhi, annoiato, tamburellando le dita sul bordo della sedia. «A scuola ad allenarsi.»
Altri sbuffi a fare da coro a quella già divertentissima riunione. Anche essere l’unica femmina della situazione in quel momento era a suo sfavore, perché non si sarebbe potuta girare verso nessuno ed iniziare un’interessante discussione su come i maschi tendano a comunicare come se fossero nell’età della pietra. A volte anche a camminare, ingobbendosi e strascicando i piedi, come se non ci fossero stati millenni di evoluzione darwiana per permettergli di avere una posizione eretta. Oppure a mangiare, spalancando la bocca e masticando rumorosamente, manco fosse scotch, quello che avevano fra i denti.
O magari in realtà si stava svolgendo il processo inverso. L’essere umano, ormai completamente differente dai suoi antichi antenati primati, stava regredendo sempre di più, secolo dopo secolo, fino ad arrivare al punto di partenza, sotto forma di Australopiteco. Davanti alle quattro forme di vita vagamente scimmiesche che Annabeth si ritrovava davanti, ipotesi del genere erano più che legittime.
Trattenne la stupida idea di avvicinare gli occhi alle mani di Frank, che stava spargendo briciole di torta dappertutto, per vedere se già i suoi pollici opponibili stessero dando problemi. Avvicinarsi alla bocca di Leo per vedere se c’erano già segni di prognatismo o denti più grandi del normale, era escluso. Quel cupcake ai frutti di bosco era spiaccicato metà sulla sua guancia, l’altra metà a zonzo nei presi delle labbra.
Represse un versetto di disgusto, decisa ad essere un esempio di buone maniere a cui ispirarsi.  
«Andiamo a vedere come se la cava!» Esclamò poi Leo, alzandosi dalla sedia e prendendola per il braccio, trascinandola fuori dal locale.
Inutile dire che non si diede nemmeno la pena di pulirsi la crema violacea rimastagli sul mento.

 
“I can't slow down,
I won't be waiting fo
r you,
I can't stop now because I'm dancing”


 
Era tutta colpa di Nico che l’aveva fatto spaventare, che era andato a prendere Hazel, quindi forse la colpa era di quest’ultima. Ma lei era rimasta per dare una mano a Rachel al club del macabro – occulto, pardon – e la colpevolezza passava alla rossa isterica. Ma la suddetta aveva dovuto levare l’imbottitura dei peluche di quell’altro pazzo di manicomio, e la causa del guaio diventava Ottaviano. Per concludere, la colpa era di una certa Lou Ellen, una ragazza che si era diplomata due anni prima e che Leo non conosceva e che non c’entrava niente di niente, anzi, eccome se c’entrava, perché se non avesse voluto indire quel cavolo di club per trucchetti di magia di seconda mano, la serra non starebbe bruciando, no no. Neanche un po’. E non ci sarebbe una giardiniera furiosa che lo incolpava puntandogli la paletta al petto.
Che poi, da quando i fiori prendevano fuoco così facilmente?
Che poi, da quando Leo conosceva la strada per la serra della scuola?
Era esclusivamente per il club di giardinaggio – ma di chi era stata l’assurda idea di fare tutte quelle attività extra-curriculari così balorde, Dio, ci mancava solo il club dell’uncinetto – no, non del club di giardinaggio, delle presidentesse del sopracitato club. Già, presidentesse, al plurale. Era ben tre. Roba da matti, se solo Ottaviano avesse saputo che era possibile avere più presidenti in carica…
E davanti a lui si stagliava la più terribile, Calypso. Davvero, avrebbe preferito le Gardiner, addirittura insieme, ma non lei.
Il fatto che fosse così carina, e che fosse infuriata fino all’inverosimile, mandava Leo in tilt. Maledì ancora se stesso per la sua abitudine a perdere la testa appena una ragazza che arrivava anche solo leggermente sopra l’asticella del “decente”, incrociava il suo sguardo. Letteralmente. Se si doveva mettere in mezzo l’argomento, Chione era l’esempio più vergognoso e lampante…
Sentì un dolore sordo sul dorso della mano, e cacciò un urletto non proprio virile.
Era stato picchiato troppo spesso, da troppe ragazze e in troppi punti vulnerabili.
« Ahia! Lo sai che è male educazione picchiare le mani altrui con le palette da giardino?»
«E tu lo sai che è male educazione bruciare i fiori altrui?»
«Bruciare fiori?» Chiese fintamente innocente, facendo posare lo sguardo dappertutto tranne che sui vasetti dietro di lui. «Di quali fiori stai parlando?»
Con un ringhio gli diede degli scossoni alle spalle, facendolo girare di malavoglia a centoottanta gradi.
«Oh, perbacco!» Aggiunse poi, imbastendo un’aria di finto interessamento. «Di quei fiori.» Poteva ancora scorgere l’accendino che gli era volato di mano ed aveva acceso il primo fiore. Ma quello stronzo si era piegato verso quello del vasetto vicino, come a raccontargli un segreto all’orecchio, e quell’altro era stato fomentato a sua volta. Questo si era ripetuto per tutte le decine di vasi che stavano su quel carrellino.
«Perbacco sì!» Disse, o meglio urlò, Calypso. La forma del naso era vagamente familiare, ma davvero non sapeva dire dove già l’avesse visto. Anche le labbra avevano un ché di noto, ma c’era il vuoto cosmico in quel momento nei suoi pensieri.
«Le mie campanule! Ci abbiamo messo così tanto tempo a farle crescere!»
Doveva sentirsi in colpa? Perché non lo era, nemmeno un po’. Ma per compensare era davvero impaurito da cosa gli avrebbe potuto fare una psicopatica giardiniera in erba.
Dovrebbero allontanare certi soggetti dalla scuola, non fa bene ai primini, no no.
E neanche ai terzini, sicuramente.
Si poteva dire “terzini”?
«Valdez! Mi stai ascoltando?»
No.
Avrebbe potuto biascicare qualche scusa in cui nemmeno credeva, avrebbe potuto allontanarsi e magari ridere sopra quell’assurda situazione  con Jason e Piper, avrebbe potuto fare tante cose e dirne il doppio, ma evidentemente il suo cervello non voleva ascoltarlo – ma non doveva essere il contrario? Non doveva essere lui a non dar ascolto al suo cervello?
«Potrei darti una mano.»
Cosa?! Davvero, cervello? Una mano!
Quella insieme alla mano si sarebbe presa pure il braccio – a morsi.
Lei lo guardò spiazzata. Ha ha! 1-o per il grande Leo!
Per essere bella era bella, ma se solo non parlasse sarebbe perfetta. Forse non era proprio un pensiero corretto – pregò chiunque si trovasse in quel Posto Molto In Alto che Talia non venisse mai a sapere cosa aveva appena iniziato. Il suo essere femminista gli avrebbe procurato un altro occhio nero e un’altra occhiata impietosita del primo cameriere che incontrava.
«Benissimo.» Assottigliò così tanto le labbra da ricordare terribilmente la professoressa McGrannit di Harry Potter. Entrambe bisbetiche e con pericolosissime. Forse l’età non coincideva, ma Calypso sembrava una di quelle persone vecchie dentro, quindi il problema non si poneva.
«Dopodomani alle 17 qui.»
Sembrava, no, era un ordine. Gli si sarebbe potuta allagare casa, ma lei non avrebbe cambiato la data per niente al mondo. Era una di quella principessine sul pisello, una di quelle che si aspettavano tutto servito su un piatto d’argento – quel genere di persone da cui fuggiva da una vita, ma in cui continuava ad imbattersi. Il ricordo di Chione che bruciava come se fosse la prima volta.
Improvvisamente, dal non sopportarla passò all’odiarla, un nodo che si stava attorcigliando nel suo stomaco e che stava risalendo lentamente per la gola – avrebbe potuto sputarle ai piedi tutto il suo rancore?
«Perfetto.» Rispose solo, anche se di perfetto quella situazione non aveva proprio niente.
 
 “This planet's ours to defend
Ain't got no time to pretend
Don't fuck around, this is our last chance”
 
«Casa tua è troppo piccola per una festa.»
«Mh, in effetti hai ragione. Secondo te Piper accetterebbe di farla da lei?»
La seconda domanda era rivolta ad Annabeth, che era decisamente impegnata a fare ben altro. Tipo guardare gli altri componenti del club di nuoto che si tuffavano in piscina.
Certo che ce n’era di roba da guardare. Possibile che in tutta la squadra di nuoto, l’unico che conosceva era fra i meno muscolosi? Un’ingiustizia bella e buona.
«Quando ti arrapi sbavi.» Percy era abbastanza stizzito, anche per mettere un po’ di ironia in quella frase, la prima che lei gli avesse mai rivolto.
«Lo sai che quando dormi sbavi?» L’aveva chiesto davvero a titolo informativo, perché se fosse stata in lui e l’avesse saputo, non si sarebbe mai sognata di addormentarsi sul banco con altra gente a guardare di sfuggita mentre la professoressa era distratta.
Ma lei non si sarebbe addormentata in classe per principio, perché sarebbe stata una ben misera figura se la Dodds l’avesse scoperta.
«Io, ehm…» Neanche una frase di senso compiuto sapeva formulare, quello. A dodici anni compiuti.
«Comunque sono Annabeth.» Non aveva nessuna voglia di stringergli la stessa mano con cui si era asciugato la saliva ai bordi della bocca, quindi non tese la sua.
«Io Percy.» “Lo so” avrebbe voluto rispondere lei, ma avrebbe fatto la parte della saputella. Cosa dicevano Luke e Talia? Qualcosa riguardo a tenere a freno la lingua lunga e non far sentire degli idioti tutti i suoi interlocutori, perché altrimenti sarebbe rimasta senza amici e quando loro sarebbero stati vecchi avrebbe dovuto fargli da balia.
Da come si era presentato in classe, aveva capito che era come lei. Semplice, d’altronde, dato che aveva subito messo in chiaro – di fronte alla solita domanda sulla famiglia – che non conosceva suo padre e tanti saluti. Aveva pensato che sarebbe stato più facile fare amicizia con qualcuno che avesse problemi familiari simili ai suoi, invece di essere guardata con compatimento da tutti gli altri che avevano una felicissima famiglia.
Ma avrebbe dovuto saperlo, che più gli anni passavano più attirava casi umani con così tanti casini in famiglia da far venire mal di testa solo a pensarci.
«Non sono arrapata.» Rispose piccata, sentendosi come se l’avesse scoperta con le mani nella marmellata e dovesse assolutamente scusarsi. Ma non stava facendo niente! Al massimo la stava ammirando da lontano, la marmellata, ma di certo non avrebbe aperto il vasetto. Né tantomeno infilato la mano.
«Ragazzi, per poco non diventavo un delizioso sufflè alla Leo!» Una figura stava correndo a perdi fiato per il bordo della piscina al chiuso, rischiando di fare un bagno fuori programma.
Splash.
Beh, di certo l’aveva fatto fare al quel ragazzo biondo che fino ad un secondo prima si trovava davanti a lui.
«E perché, esattamente?» Chiese Luke con un sopracciglio alzato.
Dannazione, ma come faceva? Annabeth avrebbe tanto voluto saper alzare un sopracciglio anche lei, perché era una cosa terribilmente figa sia nei cartoni animati sia nella realtà, e avrebbe dato alle sue risposte argute un’aria ancora più arguta, appunto.
«Nico si è presentato di soppiatto alle mie spalle, ma io lo sto dicendo da anni che dobbiamo mettergli una campanella al collo, quel ragazzo è un pericolo pubbl- ma non è questo il punto! Beh, in realtà è uno dei punti, ma non il più importante. Comunque, mi ha fatto fare un volo dalle scale di dieci metri, lo giuro…»
Mentre continuava il suo racconto di mirabolanti avventure – dalla faccia di Luke si capiva che avrebbe preferito mangiarsi la lingua per tornare indietro nel tempo e prendersi a schiaffi da solo, prima di poter chiedere qualunque cosa a Leo – Percy era andato negli spogliatoi a cambiarsi, e stava appena tornando.
«E allora quella schizzata dice una cosa, ma io ne capisco un’altra e…» Il modo di parlare di Leo, mettendo troppe congiunzioni, troppe parole cambiate con il generico “cosa”, era allucinante.
«Chi sarebbe la schizzata in questione?» Chiese Annabeth, che aveva perso il filo del discorso da circa, diciamo, l’inizio.
«Calypso Nigh-qualcosa, penso. Non conosco il cognome.»
Percy spalancò gli occhi – la bocca e le braccia.
«Calypso?!» Aveva la voce strozzata. «Ė la presidentessa del club di giardinaggio?! Da quando? Con i capelli rossicci? Alta più o meno così?» Indicò un punto indefinito vicino al proprio orecchio.
« “Calypso” non mi sembra un nome molto comune, probabilmente nell’intera scuola solo lei si chiama così. Comunque sì, passione per le piante e tutto. Forse è un po’ più alta.»
«O forse sei tu troppo basso.» Considerò Luke, con un ghigno, guadagnandosi un pugno sul braccio da Annabeth.
«Pensi sia Calypso la tua ex delle medie?» Chiese quest’ultima a Percy, girandosi e facendo dondolare la coda bionda.
«Come ha detto Leo, non è che il suo nome sia molto comune…» Percy si grattò la testa, sovrappensiero.
«La tua cosa?»
«Ahhh, adesso mi ricordo!»
Dissero gli altri due all’unisono.
«La sua ex-ragazza» Spiegò Luke. «Più che alle medie, furono fidanzati l’estate fra le medie e le superiori. Non andò molto bene, mi pare. Percy probabilmente sbava anche quando bacia, e non solo quando dorme.»
«Ehi!» Il diretto interessato a quanto pareva l’aveva presa sul personale.
«Comunque devo darle una mano con le campanule dopodomani.» Disse Leo, lanciando un sguardo di vittoria a Percy, al quale non pareva importare granché.
«Buona fortuna, allora. Pensa che ne ho ancora una piantina sul davanzale, mamma la annaffia sempre.»
Ad Annabeth piacque pensare che il ringhio basso di gelosia fosse venuto da Leo, e non da lei.
 







Notes
Ma chi sarà la misteriosa ragazza di cui parlava Talia all’inizio del capitolo?
Finalmente è entrata in ballo anche la Caleo, e un pizzico di Percabeth! Sono curiosa di sapere se vi piacciono questi flashback. Anche perché non sono proprio bravissima ad inserirli. Insomma, sarebbe abbastanza bruttino scrivere “flashback” e poi metterlo, no? Ma d’altronde ho paura che vi sia venuto mal di testa a leggere tutto in corsivo – un paio di volte mi è capitato, quindi…
La caratterizzazione iniziale di Calypso com’è? Vi piace? O no? Oddio, dovrei riscrivere il capitolo, mi sa che è meglio.
Ma non mi sono scordata degli altri, non vi preoccupate – e chi si preoccupa, c’è ancora qualcosa che legge le note finale? – appariranno nel prossimo capitolo! E in quello dopo ancora, che dovrei scrivere, o almeno trovare un’idea.
Non sono neanche molto sicura sui dialoghi, abituata a scrivere One shot e Flash fic venivano leggermente glissati – sì, usiamo l’eufemismo del secolo!
La canzone “Planetary (Go!) è dei My Chemical Romance.
Come al solito, la vostra considerazione della storia e di come sta procedendo è importantissima per me! E per la mia autostima latente.
Un bacio
little_psycho ♥
   
 
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