Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: RaidenCold    30/11/2018    1 recensioni
Numerosi destini si incrociano nella città di Caravan Palace, legati dai bizzarri poteri noti come "Stand".
I giovani Joey e Joanna dovranno fare i conti con complotti e misteri, ma nel loro cammino non incontreranno solo nemici, bensì anche nuovi alleati che combatteranno al loro fianco lotte sempre più dure: sarà proprio in queste battaglie che i protagonisti impareranno a conoscere loro stessi, i propri Stand, ed i motivi per cui hanno ricevuto tale dono.
(Postilla della'autore: era da tanto tempo che volevo scrivere una storia su uno dei miei fumetti preferiti, spero possa piacervi, e che in essa, nonostante il mio tocco personale, possiate trovare il senso di "Bizzarria" che mi ha sempre affascinato nei lavori del grande Hirohiko Araki.
Ringrazio di cuore tutti coloro che mi hanno aiutato nella stesura di questa storia, ed in particolare TheShieldOfClouds, che trovate qui su Efp, e Saru Mimiwara.)
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Nuvole scure coprivano il cielo; quel giorno non pioveva, ma tutti gli invitati si erano comunque portati dietro un ombrello intimoriti dal maltempo.

Marco osservava il vento che di tanto in tanto faceva mulinare delle foglie secche: fuori faceva veramente freddo. Lui era vicino ad uno dei tavoli dove servivano da mangiare, intento a sorseggiare del vino rosso in un bicchiere; non conosceva quasi nessuno, e cercava di evitare quei pochi altri. Dall’altra parte del salone, circondata da torri colorate di pacchi regalo infiocchettati, una carrozzina con un fiocco rosa sopra, e attorno ad essa un continuo via vai di invitati che andavano ad osservare la piccola bimba al suo interno, e a complimentarsi con la madre.

Solo Marco rimaneva in disparte, nonostante fosse il padre della bambina.

Si limitava ad osservare da lontano quella sorridente giovane donna dai capelli dorati, ma non aveva il coraggio di unirsi alla festa, poiché non riusciva a sentirsi accettato dalla prestigiosa famiglia Joestar.

 

“Va tutto bene?”

Marco si voltò e vide un ragazzo biondo, praticamente identico alla sua amata: suo fratello gemello, Budd.

“Sì, è ok.”

Come al solito rispose in maniera brusca, quasi scontrosa, ma senza cattiveria, e inoltre apprezzava sinceramente l’interesse di Budd, che fino a quel momento era stato l’unico a rivolgergli la parola.

“Non vai da tua figlia?”

Marco sbuffò sorridendo:
“Rovinerei la festa a tutti, se portassi il mio brutto muso là… la bambina potrebbe anche piangere.”

“Suvvia, è una festa di battesimo, non un funerale!” - esclamò allontanandosi sorridendo. Budd voleva sdrammatizzare, ma sentiva che l’umore del suo interlocutore era più o meno quello di una cerimonia funebre. Avrebbe voluto stargli più vicino quel giorno, ma era intimorito dalla sofferenza di quell’uomo; in seguito il senso di colpa lo avrebbe profondamente attanagliato, e in lui sarebbe sorta la convinzione di poter essere l’unico che avrebbe potuto fermare i sanguinosi fatti di quella domenica che sarebbero accaduti di lì a poco.

 

Allontanatosi Budd, Marco si avvicinò al tavolo del rinfresco per prendere qualcosa da mangiare; fu allora che, dall’altra parte della tavolata, vide un uomo abbastanza anziano dai capelli ingrigiti che dava pacche sulle spalle ad un altro più giovane e pallido, coi capelli neri pettinati all’indietro. Quello più giovane aveva un aspetto viscido, e si gongolava aggiustandosi la cravatta mentre chiacchierava allegramente con il vecchio, il quale sfoggiava una barba grigia e ben curata che spesso lisciava con le dita durante la conversazione.

In quel momento vicino a sé, Marco aveva le due persone che più odiava sulla faccia della terra, coloro che gli avevano portato via tutto.

“Sono contento di come sia andato l’affare.” -ridacchiò l’uomo dai capelli neri aggiustandosi gli occhiali da vista.

L’affare si chiamava Holly Joestar.

“Anch’io, mio caro Davis.”

Ray Davis, questo il nome di colui che gli aveva portato via Holly.

“Sa, Mr Joestar…”

Paul Joestar, il padre di Holly, colui che lo aveva reso possibile.

“… ho già adocchiato delle scuole che sarebbero perfette per la piccola.”

“Meraviglioso! Lei è preparato come sempre, signor Davis.”

Davis era un uomo efficiente, di buona famiglia, a capo di una grossa industria che stava per fondersi con la società dei Joestar. Marco invece era soltanto un disgraziato a cui la vita aveva continuamente sputato in faccia: orfano di povera gente, aveva sempre fatto i lavori più umili, odiandoli tutti sotto sotto, poiché detestava la sua condizione di bassezza sociale, e questo suo odio mal celato aveva spinto le male lingue a sostenere si fosse approfittato della bella Holly Joestar solo per impadronirsi del suo patrimonio.

Ma Marco la amava, sinceramente.

Qualunque fosse stata la verità a Paul non importava, detestava quel miserabile e ogni mezzo per liberarsene andava bene, calunnia inclusa.

Un giorno poi, con machiavelliche manipolazioni riuscì a far litigare i due, appellandosi all’affetto paterno della figlia e mettendola di fronte a un bivio; l’uomo diede in escandescenze, stuzzicato al limite dalla violenza psicologica di casa Joestar, e Holly, incinta di sei mesi, si spaventò nel vederlo fuori di sé.

Naturalmente il vecchio Joestar colse la palla al balzo, approfittandone per far conoscere alla figlia un giovane abbiente, educato, e rispettabile, e poi riuscire poche settimane dopo a rendere pubblicamente ufficiale il loro fidanzamento.

Ed ora eccoli lì, a programmare la vita della festeggiata, l’uno per volersi levare dai piedi la mocciosa il più presto possibile, l’altro assolutamente entusiasta di poter dare alla sua nipotina la miglior educazione che i soldi potessero comprare.

“Un collegio in Svizzera… ma sarà molto caro immagino.”

“Non si preoccupi signor Joestar, lei non dovrà rimettere un singolo centesimo, penserò a tutto io.”

“Oh signor Davis, lei riesce a capirmi al volo.”

“I bambini entrano in questo istituto all’età di tre anni, ma con le mie risorse ed il suo buon nome sono certo che verrà ammessa con un anno di anticipo.”

“Ottimo! Non è che riuscirebbe anche a far entrare il nipote più grande?”

“Ah signor Joestar, mi creda ci ho provato, ma suo figlio non ne vuole sapere.”

“Suvvia, saranno quisquilie sicuramente, mi basterà parlarci un po’ e vedrà che sistemeremo anche questa faccenda.”

Marco strinse il bicchiere di vetro fino a farlo cigolare – sarebbe bastata solo poca forza in più per mandarlo in frantumi.

“E riguardo al matrimonio?”

“Pensavo di organizzarlo in primavera.”

“La primavera sarebbe perfetta. E sa cos’altro sarebbe perfetto?”
“Un erede?” - rispose Davis ammiccando.

“Esattamente. Se riuscisse a sbrigare questo affare il prima possibile sarebbe l’ideale; il maschio non ha futuro, finché suo padre non si mette in riga e decide di comportarsi com’è consono ad un Joestar, mentre la femmina ahimè, ha dentro di sé il sangue di quel Brando…”

A quel punto i due alzarono lo sguardo nel medesimo momento, verso la direzione di Marco, e quando si accorsero di lui non dissero nulla, limitandosi ad osservarlo: uno sguardo tagliente, pieno di puro disprezzo verso ogni singola cosa facente parte dell’essere di quel turpe omuncolo rispondente al nome di Marco Brando.

 

Non ci vide più.

 

Afferrò uno dei coltelli da cucina sul tavolo e con uno scatto si portò sopra il suo rivale, atterrandolo: senza che questo potesse avere tempo di opporsi, gli conficcò la lama in gola, dandogli una morte rapida ma sanguinolenta.

Alcuni dei presenti lo spostarono via, con ancora il coltello imbevuto di sangue stretto tra le mani, mentre gli altri ospiti realizzato ciò che era appena accaduto iniziarono ad urlare sconvolti; alcuni chiamarono un’ambulanza, altri la polizia, altri ancora la protezione di Dio.

Destatosi dal suo furore omicida, Marco fece cadere a terra il coltello, e alzò lo sguardo fino ad incontrare quello di Holly, la quale lo guardava pietrificata: fu in quel momento che realizzò la gravità della situazione.

 

“Non ci si poteva aspettare altro da un Brando…” - commentò Paul rabbiosamente, chino sul cadavere di Davis.

Marco guardò l’amata negli occhi, tentando di avvicinarsi ma venendo trattenuto con forza da alcuni presenti:
“H-Holly…”

La donna, come primo istinto, aveva afferrato la figlia, e la stringeva al petto in lacrime, mentre il suo pianto squarciava la sala molto più delle urla.

“Mi dispiace Holly…!”

Lei voltò lo sguardo altrove e prese a cullare la piccola per cercare di calmarla – e in verità, di calmare anche sé stessa.

“Guardala bene, animale” - gli si rivolse il vecchio Joestar – perché non la vedrai mai più, hai capito? Vivrai in cella per il resto dei tuoi giorni!”

Proprio quando pensava di aver toccato il fondo, Marco si rese conto che lo stava attendendo un abisso ben peggiore.

 

Dalle finestre inferriate della sua cella, Marco osservava la luna, che non aveva avuto la clemenza di mostrarsi quel malaugurato giorno, a cui non faceva che ripensare costantemente.

Il vecchio aveva mantenuto la sua promessa: l’ergastolo era stata la sentenza definitiva assegnata a Marco Brando, colpevole di omicidio.

Sospirò chinando il capo a terra, pensando alla figlia che non avrebbe mai potuto veder crescere, e ad Holly, il cui sguardo terrorizzato lo tormentava ogni notte. E quello sguardo sarebbe stato per sempre il suo ultimo ricordo di lei, non ce ne sarebbero stati altri; che senso aveva dunque andare avanti?

A un certo punto però, vide i raggi lunari scomparire, ed incuriosito portò lo sguardo alla finestra: sussultò, quando vide due occhi scarlatti brillare nel buio che lo scrutavano.

D’istinto si allontanò voltandosi dall’altra parte, ma quando guardò nuovamente verso la finestra, quei due occhi erano ancora là ad osservarlo impassibili.

“Guardati…”

Una voce di donna, profonda in modo innaturale, come qualcosa non di questo mondo.

“Che pena mi fai, sangue del mio sangue.”

Preso coraggio, Marco si avvicinò di pochi passi alla finestra – in ogni caso, tra lui e quella figura c’erano delle sbarre d’acciaio, si disse per farsi coraggio.

“Sei il diavolo? Sei… venuto a prendermi?”

In risposta quell’essere rise senza allegria, e solo in quel momento chiuse per alcuni istanti gli occhi, dopodiché di nuovo quei fari insanguinati lo investirono:
“Affatto… anzi, io sono il tuo angelo custode, Marco.”
“Il mio angelo custode?”

“Avvicinati, così che io possa parlarti meglio.” - sorrise nell’oscurità.

Con un po’ di esitazione, l’uomo si avvicinò alle inferriate, e poté osservare il volto di quella creatura: un viso armonioso, quasi angelico, in qualche modo a lui familiare.

“Non hai mai sentito parlare di me?”

“Sei un demone?”

“Diciamo di sì… tu invece, sei un patetico umano.”
Marco sbuffò ridacchiando:
“Cos’altro potrei essere?”
“Molto di più.”

A quel punto Marco tornò serio:
“Che intendi?”

“Da umano non hai combinato nulla della tua vita, ed il gesto più significativo che hai compiuto ti ha condotto qui, dove marcirai fino alla tua morte.”

“Cos’altro potrei essere?”

“Qualcosa che va oltre ogni tua immaginazione. Ma per diventarlo, devi accettare una sola condizione: rigetta la tua umanità.”

Marco rimase in silenzio.

La sua umanità.

Cos’era l’umanità? Per quel che aveva potuto vedere, il mondo degli uomini gli aveva portato via i genitori da piccolo, lo aveva costretto in un orfanotrofio, e ad una vita in miseria, e gli aveva sottratto la sua famiglia.

“Di questa umanità… io non me ne faccio nulla.”

La figura sorrise e le sue zanne aguzze scintillarono nell’oscurità:
“Magnifico.”

   
 
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