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Autore: Manto    30/11/2018    1 recensioni
"L'amore non è cosa che nasce con l'età: diventi grande e così ti innamori, inizi a comprendere e allora puoi sentire anche ciò che il tuo cuore vuole... no, non è proprio questo il suo modo di funzionare.
Non potrei mai dirti quando è iniziato il mio: forse, dentro me, già sapevo ciò da cui mi volevi proteggere, oppure forse in qualche modo ti avevo già conosciuto, e a priori avevo deciso di restare al tuo fianco.
Io l’ho chiamato l’amore dei ragazzini, sprovveduto, incosciente e intenso quanto loro; ma, ora lo so, in verità è molto più di questo."
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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{ II ♦ Di Noi Due… }




15 Giugno 2003, principio della notte.



Cleo può riconoscere la figura di Socrate fin da una grande distanza: la pelle ambrata non è lucida come quella brunita che contraddistingue quasi tutti gli abitanti del borgo — diversa anche dalla sua, così bianca da renderla sempre soggetta a scherzose prese in giro —, la sua altezza è quasi unica e il sorriso difficile da non notare; inoltre, la posizione della propria casa consente di controllare la strada che sale dal molo e dal basso borgo, quindi… quindi come ha fatto, quella stessa mattina, a non vederlo, così da ritrovarselo davanti alle finestre della camera all’improvviso?
«Lieto di vedere quell’espressione, cara Cleo», l’ha salutata il giovane trattenendosi dal ridere, mentre la ragazza nemmeno lo ha lasciato finire e, saltata sul davanzale della finestra, si è lanciata verso di lui. In ben pochi abbracci si è mai sentita così bene, perfettamente incastrata tra l’impulso di non lasciar più andare il corpo dell’altro e chiedere di essere stretta maggiormente, con il volto affondato in quel petto ampio e la sensazione di potercisi accoccolare contro, come in un rifugio. «Ben ritrovato a te», ha esclamato una volta svanita la forza della sorpresa, «e non sbaglio se dico che qualcuno ti ha aiutato in questo scherzo, vero? Avevi detto che saresti venuto ad Agosto!»
«Dovevo ripagarti di tutte le volte in cui sei venuta a farmi visita! Però… davvero non mi aspettavi?»
Sette anni; sono sette anni che ti aspetto.
Sette anni di pensieri e parole tramite le lettere di cui il signor Galileo si è fatto tramite; sette anni di chiamate lunghe ore, ricolme di sfoghi e risate, in una delle rare cabine telefoniche del borgo, dove la voce dell’altro è stata un farmaco contro la malinconia e le lacrime hanno potuto scorrere liberamente.
Sette anni in cui ogni estate ha assunto gli occhi di uno o dell’altra e li ha legati istante dopo istante, al pari delle occasioni in cui lei ha raggiunto il giovane nella sua città e, contro le proprie paure, è sempre riuscita a trovarlo — qualunque significato questo verbo abbia… sette anni in cui il cuore di Cleo non si è mai perso, aggrappandosi anche al sentore più lieve di quella presenza, perché così ha voluto e scelto.
«No, però ho sperato spesso in questo regalo. Grazie», ha mormorato, prima che lui la lasciasse andare per prenderla per mano e iniziare il loro tempo sulla spiaggia e nella biblioteca; ed è tra queste mura che, approfittando dell’assenza della famiglia di Cleo, il ragazzo le ha chiesto di restare oltre il tramonto. L’ha stretta forte sotto gli astri di metalli e i giochi di luce sulle vetrate, facendola ridere d’imbarazzo quando l’ha presa in braccio e ha affondato il naso tra i suoi capelli; l’ha tenuta contro di sé senza accennare a staccare da lei neppure un dito, e in quell’abbraccio la giovane ha percepito molto più che trasporto. «Guarda che non sto cercando di fuggire», ha sussurrato nel tentativo di spezzare il silenzio sorto improvvisamente e poi prolungatosi, strusciando piano il naso contro il collo del ragazzo; ma questi non ha replicato né udito, gli occhi socchiusi e la mente distante da lì, oltre ogni pensiero.
È quasi passata un’ora, ormai, da quell’istante; la figura del signor Galileo, angelo del luogo, è apparsa solo per pochi attimi e da chissà dove per mettere loro addosso una coperta, quindi li ha lasciati in compagnia della reciproca presenza e ha permesso che la notte fluisse indisturbata.
Cleo continua a combattere il sonno e attendere, perché sa che qualcosa sta per svelarsi e a sua volta vorrebbe rivelare; ma è proprio quando decide di intervenire che la situazione si sblocca.
«Devo farti vedere che cosa abbiamo scoperto io e il signor Galileo.»
«Quest’anno non ritornerò a casa; sono giunto per restare.»
Entrambi si bloccano e si fissano a occhi spalancati, prima di ridere di come le loro parole riescano a incrociarsi sempre più spesso: un altro volto della sintonia. «Ma questa è una bellissima notizia! Certo che sei tutto particolare, perché aspettare così tanto a dirmelo? E per quale motivo, se posso sapere?» Una pausa, seguita da un lieve incupimento. «Qualcosa non va?»
Socrate sorride e le aggiusta meglio la coperta sulle spalle, accarezzandola con dolcezza. «Sempre la stessa tensione con i miei genitori, nulla più: fin troppo tempo sono rimasto in gabbia in quella città grigia, e alla fine l’ha capito anche la mia famiglia. Avrei dovuto essere qui già da un anno, diventare adulti comporta anche poter decidere per proprio conto! Eppure solo ora sono riuscito a liberarmi e a raggiungerti, pur nella loro perseverante contrarietà.
Questo posto finirà per logorarmi ancora di più, dicono, e non è fatto per me; come se si fossero completamente dimenticati della loro origine.»
Cleo non replica, eppure non smette di fissarlo. Nel borgo sono già in parecchi a sospettare sulla reale natura della loro storia e a divulgare bisbigli e supposizioni, e neppure i suoi genitori ne sono all’oscuro; a loro, poi, quel giovane gentile e solare è sempre piaciuto, così che incoraggiano come possono il rapporto… caso opposto alla famiglia di Socrate.
La mora ricorda fredde parole e sguardi ostili, quasi ricolmi di allarme, per ogni volta che la sua figura ha incontrato quella del ragazzo e quest’ultimo si è staccato dall’ombra dei genitori per passare le ore con lei; le occasioni sono divenute sempre più, la distanza da quegli sguardi perennemente uguale e, anche per colpa della sua titubanza, senza spiegazione. Come può scatenare una tale paura? Non riesce a comprenderlo, no. «Ai tuoi genitori non piaccio, lo so già», risponde quindi e non senza amarezza, «per qualche motivo è così e non me lo nascondo. Mi dispiace… la tua decisione ti avrà creato parecchi problemi, e tutto per causa mia.»
«Anche con tutti quei chilometri a separarci, tu sei sempre stata più presente di molti altri. Perché non lo capiscono?»
«Forse si aspettavano qualcosa di meglio per te.»
«Allora ho fatto bene a seguire i miei, di piani; se vogliono il meglio per me, beh, l’ho giò trovato.»
Lei sente tutto il calore che si eleva da quelle parole, quindi cerca un contatto più stretto.
«Di cosa volevi parlarmi, prima che ti interrompessi? “Scoperta”, ho sentito bene?»
«Non è grandiosa come la tua notizia, credimi… è solo una sorpresa che nessuno si aspettava.»
«Cioè?»
«Durante i restauri della villa qui accanto, è stata ritrovata una stanza non mappata: una vera camera segreta scoperta per caso e vuota — a eccezione di tanta polvere, di un telescopio mal funzionante e di un tipo ormai in disuso, e dell’affresco di una veduta marina, così perfetto da sembrare una fotografia. La Soprintendenza ha dato il meglio di sé per quanto riguarda quest’ultimo, ma il telescopio non ha molto valore, quindi è finito nelle mani del signor Galileo; e per questo è qui, alla portata di tutti, anche se a nessuno sembra interessare. Il signore mi ha detto che potrò lavorarci sopra, appena saprò come procedere; non attendo altro.»
«Nessuno si interessa a quello strumento, ma tu non sei parte di quel
nessuno, è chiaro. Posso guardarlo?»
«Non si vede nulla, è come un occhio cieco puntato sulla notte; e anche se mi ha dato la possibilità di studiarlo, all’inizio il signor Galileo mi ha comunque detto di tenerlo così, perché, parole sue,
quella mancanza è parte della sua storia e bellezza
«Desidero vederlo comunque, e tu stai morendo dalla voglia di accontentarmi», risponde il ragazzo con un sorriso scherzoso, prima di farla scendere dalle proprie gambe.
È quando sono con te che pure io riesco a vedere l’universo, le ha sussurrato una volta; e osservando la sua espressione, Cleo se ne rende conto per l’ennesima occasione. Non si fa pregare, allora, e le sue mani fremono quando si chiudono sullo strumento che riposa tra i propri fratelli, portandolo dall’altro con delicatezza; gli occhi seguono ogni movimento dell’amico, sorridendo senza cattiveria per il modo con cui le dita timorose scorrono su quel tesoro ignorato.
«Non morde, sai? Ma magari qualcun altro lo guardasse come stai facendo tu. Se solo riuscissi, un giorno, a capire cosa non va e risolverlo…»
«E se tu dovessi lavorare su questo telescopio, scoprire ciò che non funziona ma non poterlo riparare, per qualche ragione… che cosa faresti allora? Lo metteresti da parte, dimenticandotene? Lo getteresti?»
Un breve silenzio scende intorno, sorto dalla domanda che non concede via di fuga; ma la risposta è onesta, e dolce. «No, perché è sempre frutto di studi, benché magari imperfetti, di dedizione e impegno; no, non riuscirei a farlo perché qualcuno lo ha costruito per migliorare una parte di mondo, e anche se non ce l’ha fatta la sua presenza ne testimonia la dignità. Inoltre, è giunto fino a noi nonostante nessuno sapesse della sua esistenza: come se avesse ancora qualcosa da dire e, a modo suo, mostrare.
Non si elimina la passione, non si piegano le idee; non ne abbiamo il diritto né è giusto farlo. Se qualcosa non funziona, non per forza lo farà per sempre; l’errore, la diversità ci insegnano quanto il modello perfetto… anzi, di più. Su questo non ho dubbi.»
Da quando si sono incontrati quella stessa mattina, è la seconda volta che la ragazza vede il volto di Socrate illuminarsi; e quando questi le porge il telescopio, le sue parole giungono più vivide. «Farai un lavoro magnifico, ne sono sicuro. Vorrei tanto esserci quando inizierai…»
«Non è di certo impossibile, dato che ora sarai sempre qui», risponde Cleo con vivacità, prima di stringere a sé lo strumento e le mani che ancora lo trattengono. «Questa è un desiderio che realizzeremo insieme.»
Il cielo è ancora avvolto nel suo nero manto quando la giovane lascia la biblioteca e corre verso le terrazze panoramiche, seguita a poca distanza, più lentamente, dal compagno; lì attende lui e le onde che muoiono a riva, stringendosi poi contro la spalla calda di chi ora sarà sempre al suo fianco.
«Quante volte che potremo passare così, solo io e te», è l’unica cosa che Socrate le sussurra, cullandola ancora una volta; e lei socchiude gli occhi, non ha bisogno di nient’altro. Sotto alla volta priva di luna, le uniche a rispondere alle stelle sono le lampade dei pescatori; lumi che incantano e li stringono ancora di più, come visioni sul futuro.
L’estate non è ancora iniziata; ma il suo calore è già lì, parte dell’anima e del loro cammino.





4 Luglio 2003, sera.



Un soffio sottile, un applauso prolungato; nel giro di un attimo passa un altro anno, e Cleo diventa più grande.
Nella piccola casa bianca e rosa ci sono tutti, dai genitori ai cugini, dagli zii ai nonni; e questi ultimi non si fanno certo scappare l’occasione di assillare di domande e attenzioni anche l’unico membro estraneo alla famiglia, ma, ormai lo sanno tutti, a questa profondamente legato.

Da una parte della stanza all’altra, gli sguardi di Cleo e Socrate si incontrano, i volti si sorridono e arrossiscono per l’entusiasmo; e la fotografia che il padre scatta intrappola tutta la luce che risplende nel viso della novella diciassettenne e i pensieri che le attraversano la mente, imprimendo nel tempo uno dei migliori compleanni che questa abbia mai festeggiato.
Il tempo per parlare in solitudine non è molto: tante le voci che si intrecciano e chiedono di uno dell’altra, della ragazza che prima pensava solo a leggere e sognare e del giovane che ha cambiato le sue priorità; ed entrambi sorridono e rispondono, i mignoli che spesso si incontrano sotto la tavola e si intrecciano con calma e forza, come a dire: “Anche in mezzo a tutto questo caos, io posso comunque sentirti.”
Poi, mano a mano che le ore passano, l’allegria viene calmata dalla quiete della notte e dal sonno; uno dopo l’altro gli invitati lasciano la casa e svaniscono sotto le stelle dopo un ultimo bacio a Cleo, e alla fine sulla soglia rimane solo una presenza. In quel momento, nella casa ogni luce si abbassa e lascia che a rifulgere sia la pelle candida della mora, stretta stretta al suo Socrate in un dolcissimo abbraccio. Notte di luna piena, mare sussurrante e l’amore della sua giovane vita: e nient’altro chiede se non un ulteriore istante insieme, connessi come un unico corpo.
«Un ballo per concludere la serata, mia lady?», scherza il ragazzo, prendendola in braccio perché siano volto a volto; lei annuisce e gli si accoccola nell’incavo tra la spalla e il collo, il posto migliore per sentirsi in pace e ascoltare i cuori dialogare. Quello di Socrate ha un battito diverso dal solito, riconosce; ma non ci fa molto caso e fa finta che i minuti non galoppino sempre più velocemente, fino a raggiungere il centro della notte — e, quindi, le ore da passare in solitaria.
«Comunque, il più bel regalo sei stato tu», sussurra allora Cleo, depositandogli un ultimo, lungo bacio all’angolo della bocca appena prima che il giovane la rimetta a terra.
«Allora devi convincere i tuoi genitori a tenermi.»
«Ma se già ti adorano! Vedrai, tempo qualche anno e inizieranno a preparare il nostro matrimonio…» Una pausa, per prendere tutto il tempo, «… e io non avrò nulla in contrario.»
La notte non può essere fredda, non nel sorriso imbarazzato dell’altro; e su quell’immagine entrambi si salutano, promettendosi poche ore di distanza e tanti sogni. Per la prima volta, appoggiata alla stessa soglia, la mora riconosce che le parole della sua famiglia sono vere: Socrate ha stravolto le sue priorità, le ha donato una nuova luna — non meno bella della prima ma più vicina, e solamente per lei; e allora insegue il ragazzo e lo raggiunge prima che esca dal cancello, abbracciandolo ancora una volta tra il pallore delle case che li circondano.
«Proprio non riusciamo a rimanere staccati, vero?»
Lei sorride, affondando il viso contro la sua schiena. «Sai, sogno il momento in cui passeremo non solo istanti, ma una vita insieme. E…»
Le mani di Socrate sciolgono la stretta con delicatezza, per permettergli di girarsi ed essere lui ad abbracciare con più forza. «Ma è quello che stiamo facendo: vivere insieme, sempre uniti e capaci di sentirci.
Tutti questi anni… anche se lontani, nessuno di noi due ha mai pensato di lasciare andare l’altro, sapendo che avrebbe perso metà di sé stesso e tutto il cuore. E anche questo non è vivere insieme, come un’anima sola in due corpi separati?»
«Questo è vero, ma non toglie il fatto che ti vorrei avere sempre con me anche fisicamente, e recuperare ciò che la lontananza ci ha impedito.»
«Eccola, la coccolona», è la risposta che lei sente prima di essere presa in braccio e fatta volteggiare tra le sue risate soffocate e tutti i pensieri più luminosi, «la mia splendida donna che ora, però, deve andarsene a letto, o domani non si sveglierà nemmeno con i miei baci.»
Mi troveresti comunque sveglia: come potrei dormire in una notte come questa?
, pensa lei, trattenendo il tempo per qualche altro attimo e riempiendolo di dolcezza, infine lasciando che le ore corrano fino a raggiungere il nuovo mattino.
«Una vita insieme… anche se dovesse durare solo un battito, ma almeno passare e finire con te», è tutto ciò che riesce a dire quando si separano; e nel buio può ancora sentire il cuore dell’altro, la sua speciale ninnananna e il dono più prezioso che l’anima riceve.

A domani, allora; a te, che continui a vegliarmi, e a me, che ogni volta mi innamoro di più.

   
 
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