{ II ♦ Di Noi Due… }
15 Giugno 2003, principio della notte.
Cleo
può riconoscere la
figura di Socrate fin da una grande distanza: la pelle ambrata non
è
lucida come quella brunita che contraddistingue quasi tutti gli
abitanti del borgo — diversa anche dalla sua, così
bianca da
renderla sempre soggetta a scherzose prese in giro —, la sua
altezza è quasi unica e il sorriso difficile da non notare;
inoltre,
la posizione della propria casa consente di controllare la strada che
sale dal molo e dal basso borgo, quindi… quindi come ha
fatto,
quella stessa mattina, a non vederlo, così da ritrovarselo
davanti
alle finestre della camera all’improvviso?
«Lieto di vedere
quell’espressione, cara Cleo», l’ha
salutata il giovane
trattenendosi dal ridere, mentre la ragazza nemmeno lo ha lasciato
finire e, saltata sul davanzale della finestra, si è
lanciata verso
di lui. In ben pochi abbracci si è mai sentita
così bene,
perfettamente incastrata tra l’impulso di non lasciar
più andare
il corpo dell’altro e chiedere di essere stretta
maggiormente, con
il volto affondato in quel petto ampio e la sensazione di potercisi
accoccolare contro, come in un rifugio. «Ben ritrovato a
te», ha
esclamato una volta svanita la forza della sorpresa, «e non
sbaglio
se dico che qualcuno ti ha aiutato in questo scherzo, vero? Avevi
detto che saresti venuto ad Agosto!»
«Dovevo ripagarti di tutte le
volte in cui sei venuta a farmi visita! Però…
davvero non mi
aspettavi?»
Sette anni; sono sette anni
che ti aspetto. Sette
anni di pensieri e parole tramite le lettere di cui il signor Galileo
si è fatto tramite; sette anni di chiamate lunghe ore,
ricolme di
sfoghi e risate, in una delle rare cabine telefoniche del borgo, dove
la voce dell’altro è stata un farmaco contro la
malinconia e le
lacrime hanno potuto scorrere liberamente.
Sette anni in cui ogni estate
ha assunto gli occhi di uno o dell’altra e li ha legati
istante
dopo istante, al pari delle occasioni in cui lei ha raggiunto il
giovane nella sua città e, contro le proprie paure,
è sempre
riuscita a trovarlo — qualunque significato questo verbo
abbia…
sette anni in cui il cuore di Cleo non si è mai perso,
aggrappandosi
anche al sentore più lieve di quella presenza,
perché così ha
voluto e scelto.
«No, però ho sperato spesso
in questo regalo. Grazie», ha mormorato, prima che lui la
lasciasse
andare per prenderla per mano e iniziare il loro tempo sulla spiaggia
e nella biblioteca; ed è tra queste mura che, approfittando
dell’assenza della famiglia di Cleo, il ragazzo le ha chiesto
di
restare oltre il tramonto. L’ha stretta forte sotto gli astri
di
metalli e i giochi di luce sulle vetrate, facendola ridere
d’imbarazzo quando l’ha presa in braccio e ha
affondato il naso
tra i suoi capelli; l’ha tenuta contro di sé senza
accennare a
staccare da lei neppure un dito, e in quell’abbraccio la
giovane ha
percepito molto più che trasporto. «Guarda che non
sto cercando di
fuggire», ha sussurrato nel tentativo di spezzare il silenzio
sorto
improvvisamente e poi prolungatosi, strusciando piano il naso contro
il collo del ragazzo; ma questi non ha replicato né udito,
gli occhi
socchiusi e la mente distante da lì, oltre ogni pensiero.
È quasi passata un’ora,
ormai, da quell’istante; la figura del signor Galileo, angelo
del
luogo, è apparsa solo per pochi attimi e da
chissà dove per mettere
loro addosso una coperta, quindi li ha lasciati in compagnia della
reciproca presenza e ha permesso che la notte fluisse indisturbata.
Cleo continua a combattere il
sonno e attendere, perché sa che qualcosa sta per svelarsi e
a sua
volta vorrebbe rivelare; ma è proprio quando decide di
intervenire
che la situazione si sblocca.
«Devo farti vedere che cosa
abbiamo scoperto io e il signor Galileo.»
«Quest’anno non ritornerò
a casa; sono giunto per restare.»
Entrambi si bloccano e si
fissano a occhi spalancati, prima di ridere di come le loro parole
riescano a incrociarsi sempre più spesso: un altro volto
della
sintonia. «Ma questa è una bellissima notizia!
Certo che sei tutto
particolare, perché aspettare così tanto a
dirmelo? E per quale motivo, se
posso sapere?» Una pausa, seguita da un lieve incupimento.
«Qualcosa
non va?»
Socrate sorride e le aggiusta
meglio la coperta sulle spalle, accarezzandola con dolcezza.
«Sempre
la stessa tensione con i miei genitori, nulla più: fin
troppo tempo
sono rimasto in gabbia in quella città grigia, e alla fine
l’ha
capito anche la mia famiglia. Avrei dovuto essere qui già da
un
anno, diventare adulti comporta anche poter decidere per proprio
conto! Eppure solo ora sono riuscito a liberarmi e a raggiungerti,
pur nella loro perseverante contrarietà.
Questo posto finirà per
logorarmi ancora di più, dicono, e non è fatto
per me; come se si
fossero completamente dimenticati della loro origine.»
Cleo non replica, eppure non
smette di fissarlo. Nel borgo sono già in parecchi a
sospettare
sulla reale natura della loro storia e a divulgare bisbigli e
supposizioni, e neppure i suoi genitori ne sono all’oscuro; a
loro,
poi, quel giovane gentile e solare è sempre piaciuto,
così che
incoraggiano come possono il rapporto… caso opposto alla
famiglia
di Socrate.
La mora ricorda fredde parole
e sguardi ostili, quasi ricolmi di allarme, per ogni volta che la sua
figura ha incontrato quella del ragazzo e quest’ultimo si
è
staccato dall’ombra dei genitori per passare le ore con lei;
le
occasioni sono divenute sempre più, la distanza da quegli
sguardi
perennemente uguale e, anche per colpa della sua titubanza, senza
spiegazione. Come può scatenare una tale paura? Non riesce a
comprenderlo, no. «Ai tuoi genitori non piaccio, lo so
già»,
risponde quindi e non senza amarezza, «per qualche motivo
è così e
non me lo nascondo. Mi dispiace… la tua decisione ti
avrà creato
parecchi problemi, e tutto per causa mia.»
«Anche con tutti quei
chilometri a separarci, tu sei sempre stata più presente di
molti
altri. Perché non lo capiscono?»
«Forse si aspettavano
qualcosa di meglio per te.»
«Allora ho fatto bene a
seguire i miei, di piani; se vogliono il meglio per me, beh,
l’ho
giò trovato.»
Lei sente tutto il calore che
si eleva da quelle parole, quindi cerca un contatto più
stretto.
«Di cosa volevi parlarmi,
prima che ti interrompessi? “Scoperta”, ho sentito
bene?»
«Non è grandiosa come la tua
notizia, credimi… è solo una sorpresa che nessuno
si aspettava.»
«Cioè?»
«Durante i restauri della
villa qui accanto, è stata ritrovata una stanza non mappata:
una
vera camera segreta scoperta per caso e vuota — a eccezione
di
tanta polvere, di un telescopio mal funzionante e di un tipo ormai in
disuso, e dell’affresco di una veduta marina, così
perfetto da
sembrare una fotografia. La Soprintendenza ha dato il meglio di
sé
per quanto riguarda quest’ultimo, ma il telescopio non ha
molto
valore, quindi è finito nelle mani del signor Galileo; e per
questo
è qui, alla portata di tutti, anche se a nessuno sembra
interessare.
Il signore mi ha detto che potrò lavorarci sopra, appena
saprò come
procedere; non attendo altro.»
«Nessuno si interessa a
quello strumento, ma tu non sei parte di quel nessuno,
è chiaro. Posso
guardarlo?»
«Non si vede nulla, è come
un occhio cieco puntato sulla notte; e anche se mi ha dato la
possibilità di studiarlo, all’inizio il signor
Galileo mi ha
comunque detto di tenerlo così, perché, parole
sue,
quella mancanza è parte della sua storia e bellezza.»
«Desidero vederlo comunque, e
tu stai morendo dalla voglia di accontentarmi», risponde il
ragazzo
con un sorriso scherzoso, prima di farla scendere dalle proprie
gambe. È
quando
sono con te che pure io riesco a vedere l’universo,
le ha sussurrato una volta; e osservando la sua espressione, Cleo se
ne rende conto per l’ennesima occasione. Non si fa pregare,
allora,
e le sue mani fremono quando si chiudono sullo strumento che riposa
tra i propri fratelli, portandolo dall’altro con delicatezza;
gli
occhi seguono ogni movimento dell’amico, sorridendo senza
cattiveria per il modo con cui le dita timorose scorrono su quel
tesoro ignorato.
«Non morde, sai? Ma magari
qualcun altro lo guardasse come stai facendo tu. Se solo riuscissi,
un giorno, a capire cosa non va e risolverlo…»
«E se tu dovessi lavorare su
questo telescopio, scoprire ciò che non funziona ma non
poterlo
riparare, per qualche ragione… che cosa faresti allora? Lo
metteresti da parte, dimenticandotene? Lo getteresti?»
Un breve silenzio scende
intorno, sorto dalla domanda che non concede via di fuga; ma la
risposta è onesta, e dolce. «No, perché
è sempre frutto di studi,
benché magari imperfetti, di dedizione e impegno; no, non
riuscirei
a farlo perché qualcuno lo ha costruito per migliorare una
parte di
mondo, e anche se non ce l’ha fatta la sua presenza ne
testimonia
la dignità. Inoltre, è giunto fino a noi
nonostante nessuno sapesse
della sua esistenza: come se avesse ancora qualcosa da dire e, a modo
suo, mostrare.
Non si elimina la passione,
non si piegano le idee; non ne abbiamo il diritto né
è giusto
farlo. Se qualcosa non funziona, non per forza lo farà per
sempre;
l’errore, la diversità ci insegnano quanto il
modello perfetto…
anzi, di più. Su questo non ho dubbi.»
Da quando si sono incontrati
quella stessa mattina, è la seconda volta che la ragazza
vede il
volto di Socrate illuminarsi; e quando questi le porge il telescopio,
le sue parole giungono più vivide. «Farai un
lavoro magnifico, ne
sono sicuro. Vorrei tanto esserci quando
inizierai…»
«Non è di certo impossibile,
dato che ora sarai sempre qui», risponde Cleo con
vivacità, prima
di stringere a sé lo strumento e le mani che ancora lo
trattengono.
«Questa è un desiderio che realizzeremo
insieme.»
Il cielo è ancora avvolto nel
suo nero manto quando la giovane lascia la biblioteca e corre verso
le terrazze panoramiche, seguita a poca distanza, più
lentamente,
dal compagno; lì attende lui e le onde che muoiono a riva,
stringendosi poi contro la spalla calda di chi ora sarà
sempre al
suo fianco.
«Quante volte che potremo
passare così, solo io e te», è
l’unica cosa che Socrate le
sussurra, cullandola ancora una volta; e lei socchiude gli occhi, non
ha bisogno di nient’altro. Sotto alla volta priva di luna, le
uniche a rispondere alle stelle sono le lampade dei pescatori; lumi
che incantano e li stringono ancora di più, come visioni sul
futuro.
L’estate non è ancora
iniziata; ma il suo calore è già lì,
parte dell’anima e del loro
cammino.
4 Luglio 2003, sera.
Un
soffio sottile, un applauso prolungato; nel giro di un attimo passa
un altro anno, e Cleo diventa più grande.
Nella
piccola casa bianca e rosa ci sono tutti, dai genitori ai cugini,
dagli zii ai nonni; e questi ultimi non si fanno certo scappare
l’occasione di assillare di domande e attenzioni anche
l’unico
membro estraneo alla famiglia, ma, ormai lo sanno tutti, a questa
profondamente legato.
Da una parte della stanza
all’altra, gli sguardi di Cleo e Socrate si incontrano, i
volti si
sorridono e arrossiscono per l’entusiasmo; e la fotografia
che il
padre scatta intrappola tutta la luce che risplende nel viso della
novella diciassettenne e i pensieri che le attraversano la mente,
imprimendo nel tempo uno dei migliori compleanni che questa abbia mai
festeggiato.
Il tempo per parlare in
solitudine non è molto: tante le voci che si intrecciano e
chiedono
di uno dell’altra, della ragazza che prima pensava solo a
leggere e
sognare e del giovane che ha cambiato le sue priorità; ed
entrambi
sorridono e rispondono, i mignoli che spesso si incontrano sotto la
tavola e si intrecciano con calma e forza, come a dire:
“Anche in
mezzo a tutto questo caos, io posso comunque sentirti.”
Poi, mano a mano che le ore
passano, l’allegria viene calmata dalla quiete della notte e
dal
sonno; uno dopo l’altro gli invitati lasciano la casa e
svaniscono
sotto le stelle dopo un ultimo bacio a Cleo, e alla fine sulla soglia
rimane solo una presenza. In quel momento, nella casa ogni luce si
abbassa e lascia che a rifulgere sia la pelle candida della mora,
stretta stretta al suo Socrate in un dolcissimo abbraccio. Notte di
luna piena, mare sussurrante e l’amore della sua giovane
vita: e
nient’altro chiede se non un ulteriore istante insieme,
connessi
come un unico corpo.
«Un ballo per concludere la
serata, mia lady?», scherza il ragazzo, prendendola in
braccio
perché siano volto a volto; lei annuisce e gli si accoccola
nell’incavo tra la spalla e il collo, il posto migliore per
sentirsi in pace e ascoltare i cuori dialogare. Quello di Socrate ha
un battito diverso dal solito, riconosce; ma non ci fa molto caso e
fa finta che i minuti non galoppino sempre più velocemente,
fino a
raggiungere il centro della notte — e, quindi, le ore da
passare in
solitaria.
«Comunque, il più bel regalo
sei stato tu», sussurra allora Cleo, depositandogli un
ultimo, lungo
bacio all’angolo della bocca appena prima che il giovane la
rimetta
a terra.
«Allora devi convincere i
tuoi genitori a tenermi.»
«Ma se già ti adorano!
Vedrai, tempo qualche anno e inizieranno a preparare il nostro
matrimonio…» Una pausa, per prendere tutto il
tempo, «… e io
non avrò nulla in contrario.»
La notte non può essere
fredda, non nel sorriso imbarazzato dell’altro; e su
quell’immagine
entrambi si salutano, promettendosi poche ore di distanza e tanti
sogni. Per la prima volta, appoggiata alla stessa soglia, la mora
riconosce che le parole della sua famiglia sono vere: Socrate ha
stravolto le sue priorità, le ha donato una nuova luna
— non meno
bella della prima ma più vicina, e solamente per lei; e
allora
insegue il ragazzo e lo raggiunge prima che esca dal cancello,
abbracciandolo ancora una volta tra il pallore delle case che li circondano.
«Proprio non riusciamo a
rimanere staccati, vero?»
Lei sorride, affondando il
viso contro la sua schiena. «Sai, sogno il momento in cui
passeremo
non solo istanti, ma una vita insieme. E…»
Le mani di Socrate sciolgono
la stretta con delicatezza, per permettergli di girarsi ed essere lui
ad abbracciare con più forza. «Ma è
quello che stiamo facendo:
vivere insieme, sempre uniti e capaci di sentirci.
Tutti questi anni… anche se
lontani, nessuno di noi due ha mai pensato di lasciare andare
l’altro, sapendo che avrebbe perso metà di
sé stesso e tutto il
cuore. E anche questo non è vivere insieme, come
un’anima sola in
due corpi separati?»
«Questo è vero, ma non
toglie il fatto che ti vorrei avere sempre con me anche fisicamente,
e recuperare ciò che la lontananza ci ha impedito.»
«Eccola, la coccolona», è
la risposta che lei sente prima di essere presa in braccio e fatta
volteggiare tra le sue risate soffocate e tutti i pensieri
più
luminosi, «la mia splendida donna che ora, però,
deve andarsene a
letto, o domani non si sveglierà nemmeno con i miei
baci.»
Mi troveresti comunque
sveglia: come potrei dormire in una notte come questa?,
pensa lei, trattenendo il tempo per qualche altro attimo e
riempiendolo di dolcezza, infine lasciando che le ore corrano fino a
raggiungere il nuovo mattino.
«Una
vita insieme… anche se dovesse durare solo un battito, ma
almeno
passare e finire con te», è tutto ciò
che riesce a dire quando si
separano; e nel buio può ancora sentire il cuore
dell’altro, la
sua speciale ninnananna e il dono più prezioso che
l’anima riceve.
A domani, allora; a te, che
continui a vegliarmi, e a me, che ogni volta mi innamoro di
più.