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Autore: obidoia    01/12/2018    0 recensioni
Dal testo: "E ancora nei secoli successivi alla grande lotta, le persone terrorizzate pregavano rintanate e nascoste nelle loro case affinché gli Dei potessero garantire loro la sopravvivenza. Ma si sbagliavano, perché non sempre il Dio che ci si aspetta di vedere davanti è quello giusto."
Kalia non credeva. Chiusa nella sua piccola bolla di quotidianità e ignoranza non voleva credere o vedere. Poi incontra Lui.
"IO SONO DIO"
E lei gli crede.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7



Erano ormai passati tre mesi dall'incidente. Le persone erano convinte che io fossi cambiata con il tempo, ma era solo apparenza. Dentro non ero cambiata di una virgola. Per me tutto era come prima, e tutto questo era solo una finta. “Quella” era solo una delle tante facce.

Mentre camminavo ricordavo ancora cos'era successo al mio risveglio. Medici e infermieri da tutte le parti, e io stavo lì, ferma perché incapace di muovermi, a guardare come dall'esterno, ciò che in realtà accadeva a me. Persone che mi urlavano contro, mi chiedevano cose e io che semplicemente lì, a piangere e a osservare un punto imprecisato della stanza. Sentivo le braccia tremolanti di Sharon che venivano allontanate da me con la forza.

Mi portarono in un'altra camera dove due dottori,o almeno pensai che lo fossero, tagliarono la camicia di forza e la gettarono via. Quando i due signori uscirono entrò una donna, una sola e pensai vagamente che potesse essere la stessa donna del mio primo risveglio. Mi disprezzai da sola al ricordo e nuove lacrime mi assalirono. Seguirono le visite mediche, controlli, analisi, trattamenti e sedute psichiatriche, il tutto non durò più di tre ore. Dopodiché ci fu la cena e poi il coprifuoco.

Ormai mio padre e Sharon se n'erano andati da un pezzo e io ero rimasta sola coi miei pensieri. Persino la mia camera era vuota, impersonale, solo un letto, un piccolo comodino e un bagno dalle scarse norme igieniche erano presenti. Erano solo le nove, ma l'ospedale aveva già spento le luci e per tutto l'edificio non si sentiva volare una mosca. Solo qualche passo ogni tanto.

Nonostante sapessi che il mio orgoglio ormai era ben finito, non mi andava di andare a dormire così presto come i vecchietti. Insomma ero giovane, pazza ma pur sempre giovane!

Sapevo che in qualche modo dovevo risolvere da sola tutti i problemi e tutte le ossessioni che mi aleggiavano continuamente in un angolino della testa, ma per qualche strano motivo non volevo. Sapevo che non ce l'avrei fatta. Sapevo che probabilmente se avessi permesso di nuovo a quell'oscurità di invadermi non sarei stata più al sicuro, nemmeno da me stessa. Per questo preferii così, tenere almeno per il momento i miei segreti sigillati, nascosti da qualche parte nel mio subconscio.

Presi un libro che trovai in giro per caso e incominciai a leggere. Entrare in un mondo finto è l'unico modo per scappare dalla realtà. Come disse un famoso scrittore “Molti dicono che la lettura è un mezzo che ci permette di scappare dalla realtà, una mera illusione, io dico che questa illusione è più reale e viva di qualsiasi realtà.”

Il giorno dopo fu una giornata abbastanza straziante. Una colazione da far pena e poi due ore di interrogatorio. Continuavano a pormi domande a cui neanche io sapevo dare risposta, ma non lo capivano.

 

Erano le due di pomeriggio quando sentii squillare il telefono, che ovviamente si trovava dall'altra parte della casa. Mi misi a correre lungo il corridoio rispondendo infine al cellulare rischiando nel frattempo di ruzzolare per terra. Era una mia compagna di lezioni. Disse di volermi vedere e parlare un po'. Ero felicissima di sentirla, non ci eravamo sentite per tanto tempo dopo quell' “incidente”. Fissammo l'appuntamento dopo una mezzora nel parco sotto il mio nuovo appartamento.

Iniziai a prepararmi e mi guardai allo specchio, ciò che vidi fu un'immagine triste di me stessa. Anche se quella figura stava sorridendo i suoi occhi erano tristi. Un dolore nascosto scorreva nelle sue pupille. Il passato non poteva essere cancellato dalla vita di una persona, ma solo far parte di essa. Il mio passato quindi era una parte di me, dovevo solo accettarlo e conviverci insieme.

Spesso le persone erano propense a scoprire i misteri che si che si celavano dietro a degli avvenimenti. La curiosità li spingeva a fare ricerche sul perché delle cose. Erano sono degli idioti. Perché dietro quella risposta si sarebbe sempre stata un'altra domanda e così via per sempre, senza mai trovare la risposta vera, la verità assoluta. Io ero più semplice. Indifferente a tutto quello che mi stava intorno. O almeno cercavo di esserlo. Farsi trasportare da un fiume di sentimenti e di emozioni per arrivare in un mare di disperazione era una perdita di tempo. Se ti lasciavi trasportare eri finito. Perso nell'incoscienza, non riconosceresti più il il volere dal non volere, lo sbagliato dal giusto. Fino ad arrivare a non saper più riconoscere nemmeno te stesso, cadendo così inesorabilmente nella pazzia. Alla fine affondi.

Mi sedetti su una panchina del parco aspettando il momento in cui sarebbe arrivata Eveline. Di sicuro voleva sapere tutto quello che era successo, soprattutto il perché della mia misteriosa sparizione a scuola. La versione ufficiale dei fatti era stata per gravi problemi di salute, che poi si avvicinava abbastanza alla realtà. Gliela avrei raccontata anche se solo in parte. Faceva abbastanza freddo a stare lì immobile, in fondo eravamo in pieno inverno. I fiocchi ancora cadevano inarrestabili dai giorni precedenti e la neve cominciava ad attecchire al suolo e agli alberi ormai spogli. Nonostante la neve non fosse abbondante c'erano già bambini intenti a giocare con essa. Alcuni giocavano a palle di neve, altri tentavano di fare una forma d'angelo per terra. Era piacevole stare lì ad osservarli. Si divertivano beati, a pochi metri da me eppure così lontani, come se non fossero di questo mondo, o forse l'estranea in quella scena ero io. Era come se ci fosse una barriera attorno a me, la quale mi proteggeva ma al contempo mi isolava dagli altri. Un qualcosa di irraggiungibile, intoccabile.

Sentii dei passi soffici alla mia sinistra e trattenni il respiro. Gli occhi mi si riempirono quasi di lacrime quando mi abbracciai con Eveline. Guardandoci ci mettemmo a ridere come delle sceme e senza un motivo ben preciso. Ero felice, in quel momento non ero sola all'interno della barriera. C'era qualcuno che mi stringeva la mano.

Con mia grande sorpresa non fece domande su quel che mi era accaduto. Parlava e parlava, mi raccontò tutto quello che era successo in città dalla mia assenza, perfino dettagli insignificanti, ma io ne ero affascinata. Non sembrava minimamente intenzionata a chiedermi qualcosa e di questo gliene fui grata. Ero sinceramente stupita dalla quantità di informazioni che stavo assorbendo in così pochi minuti, dai più strambi pettegolezzi ai più curiosi avvenimenti, dal fornaio matto vicino alla scuola agli ultimi gossip in circolazione in classe. Eveline mi guardava con occhi luccicanti come se volesse da tempo fare una confidenza del genere. Forse lei era stata l'unica vera amica che mi ero fatta in quella scuola.

A un certo punto del racconto si fermò e la sua espressione si fece lievemente cupa. Iniziai a preoccuparmi.

<< Ehi, ehi che succede? >>

<< Sai.. da quando te ne sei andata mi sono sentita un po' sola. >> ammise imbarazzata. Io sorrisi gentilmente.

<< Non hai idea di quanto TU mi sia mancata. >> posai delicatamente una mano su suo braccio.

<< Sono contentissima che tu sia venuta qui. >>

<< Anch'io lo sono. Sono cambiate molte cose dalla tua partenza. A proposito, mi sono dimenticata di dirti una cosa. Sai il nuovo professore? Quello giovane che era arrivato da poco, come si

chiama... >>

Con la mano si grattò la testa in cerca di una risposta, a volte appariva davvero buffa. Ma a parte quello lei stava certamente parlando di... un tremito mi passò veloce lungo la spina dorsale.

<< Ah si, il professor Iuga, sai no quello carino... comunque si è licenziato purtroppo. >>

<< Licenziato?? >>

Ero sinceramente stupita da quello che aveva appena detto, a parte il fatto che negli ultimi tre mesi avevo cercato in tutti i modi di non pensare a Micael e adesso arriva lei e mi ributta tutto in faccia, ma il fatto era che non capivo le sue azioni. Ero curiosa di scoprirle come se ne fossi ancora in qualche modo attratta. Tuttavia non volevo darlo a vedere e infatti me ne stetti buona ad aspettare che Eve andasse avanti, cercando di mantenere la calma, nonostante il mio cuore battesse decisamente troppo forte.

<< Si cioè suppongo si sia licenziato. A noi hanno detto soltanto che a causa di alcuni problemi personali aveva dovuto abbandonare il lavoro. Ma non si sa il vero motivo. Il fatto strano è che se ne sia andato pochi giorni dopo la tua scomparsa, ma alla fine tu non ne potevi sapere nulla no? >>

<< Si, infatti non lo sapevo. >>

Eveline sembrava normale, come se il fatto che Micael si fosse licenziato non l'avesse toccata. Senza rendermene conto iniziai a tremare, a intermittenza, brividi che andavano e venivano, ed ero sicurissima che non fossero per la neve. Lui si era licenziato poco dopo la mia caduta mentale. Se n'era andato, ma lo aveva fatto perché io avevo cambiato scuola? Mi sembrò assurdo, in fondo fu lui stesso a mandarmi via quel giorno. Mi ricordai la scena come se fosse successo ieri e non mesi fa. Lui che con sguardo altezzoso ma in tono quasi gentile mi disse “vattene”. Io lì per terra, seduta ma quasi agonizzante, pietrificata dalla paura e da ciò che era appena accaduto.

Qual era realmente il suo piano? E cosa centravo io in tutto questo? Il mio flashback improvviso mi fece ricordare di Liz. Che fine aveva fatto dopo che me n'ero andata? Cercai di interrogare Eve prendendola alla larga.

<< Gli altri compagni di corso come stanno? Liz è sempre la solita ochetta? >> Eveline alzò un sopracciglio.

<< Stai bene Kal? >>

<< Eh? Si, certo che sto bene, ma perché me lo chiedi? >>

<< Stai tremando, da capo a piedi. >>

Mi guardai e vidi che il mio corpo era quasi in delirio, tremavo tantissimo. Mi sentivo agitata. Perché reagivo così? Mi strinsi le braccia cercando di allontanare quel senso di dolore e paura che mi stava attanagliando. Eve posò una mano sulla mia, mi sforzai di sorridere e dopo un po' smisi di tremare.

<< Sto bene tranquilla. >> Cercai di rassicurarla, ma lei sembrò comunque triste, probabilmente sapeva qualcosa su ciò che mi era successo. Le voci girano in fretta.

<< Liz? Non saprei, i primi giorni in cui non c'eri sembrava sempre in ansia, agitata per qualsiasi cosa. Era molto strana. Tuttavia ora sembra essersi calmata. >>

Dopo aver chiacchierato un altro po' tornai a casa, ma non prima di passare da Starbuck's a prendermi qualcosa di caldo da bere, mi avrebbe aiutato a reggere il freddo e a conciliare il sonno.

 

 

  
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