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Autore: _Kalika_    02/12/2018    1 recensioni
Valerio è un valoroso soldato romano nel pieno dell'ascesa al potere. Una particolarità: sostiene di non aver mai provato paura. Forse è arrivato il momento di cambiare le carte in tavola, e gli Dei sembrano essere più che d'accordo.
*
*
«Non hai paura proprio di niente?» Gli chiedevano sempre i nuovi compagni quando, dopo aver raccontato la sua storia e le sue avventure, precisava quest’ultima parte.
«Di niente» confermava lui, sorridendo spavaldo di quella sua virtù.
Una volta, da ragazzo, gli chiesero: «Non hai paura neanche della morte?»
Genere: Guerra, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avviso dell'autrice: prima di leggere la storia volevo fare un piccolo ma importante annuncio. Nei primi mesi del 2018 ho partecipato, uscendone come una dei vincitori, ad una sorta di concorso di scrittura chiamato "Frammenti di Paura" organizzato dal Liceo Nomentano per un progetto di ASL. Vi ho partecipato con una storia che è la versione più breve di quella che state per leggere (per spiegarmi, avevo scritto questa ma era troppo lunga, quindi ho dovuto riassumere, ma non c'è molta differenza per quanto riguarda trama e personaggi)

Quindi nell'improbabile coincidenza in cui leggeste il libro creato da quel progetto ASL, ci tenevo a chiarire che non ho rubato nè copiato niente da quella storia: è soltanto una versione diversa scritta dalla stessa autrice, cioè da me.

Detto ciò, buona lettura!

 

 

  

 

Nescio Metum

 

 

 

Il rumore delle trombe scuote i soldati fin dentro le ossa. Davanti a loro, a qualche centinaio di metri, l’ennesimo villaggio barbaro.
La legione si era avvicinata di soppiatto, circondando il luogo da radere al suolo, approfittando del silenzio della notte. Adesso, pochi minuti prima dell’alba, sono pronti ad attaccare, e lo squillo imperioso è il segnale definitivo.
Valerio entra con i suoi uomini più fidati. È riuscito a forzare una delle porte d’ingresso secondarie, ed è tra i primi a fare irruzione. Scambia una rapida occhiata ai suoi subordinati, non più di una dozzina, e si sparpagliano in piccoli gruppi entrando nelle case. Mentre con una spallata sfonda la porta di una capanna ed entra pronto a fare razzia, Valerio vede il resto dell’esercito far crollare la porta principale ed entrare anch’essi. Nel giro di pochi istanti, il villaggio si riempie delle urla terrorizzate delle donne barbare e dell’acre odore degli incendi.
Il legionario scruta il luogo in cui è entrato. La casa sembra ancora avvolta nel sonno. In un’altra stanza una porta sbatte, una voce concitata sovrasta il pianto di un bambino; Valerio non si prende la briga di inseguirli, perché dopo qualche secondo si ode solo il clangore delle spade, un ultimo grido e poi più nulla, tranne che per i nuovi ordini di un suo compagno romano.
Avanza nella casa e prende tutto quanto può essere di valore; poi accende una fiaccola e la lascia cadere su una catasta di legna ammucchiata in un angolo che, come il resto della capanna, non si attarda ad incendiarsi.
Uscendo, la scena è come da copione: pennacchi di fumo si levano ovunque, barbari corrono cercando inutilmente una via di fuga, cadaveri e sangue a terra in grosse quantità.
Poco lontano, alcuni dei suoi uomini si battono con guerrieri del villaggio: anche se sorpresi all’alba, i selvaggi della regione che Roma tenta di occupare sono combattenti sempre pronti e non c’è da sottovalutarli. Ad un suo ordine Valerio viene affiancato da un paio di uomini, ed insieme si apprestano a dare man forte ai compagni: pochi minuti, e dei ribelli non resta che il corpo vuoto.
La battaglia ancora infuria. Sebbene l’esercito romano sia in maggioranza numerica, i barbari agguerriti stanno dando del filo da torcere agli invasori. Valerio raggiunge il resto dei suoi e si schiera nel punto saliente della battaglia.
Come sempre, diventa tutt’uno con l’arte della guerra. È una cosa a cui è abituato fin da piccolo: entrare esso stesso nella battaglia e non averne paura. È da quando l’ha capito, infatti, che non prova paura. Non è ammissibile che un ragazzo, un uomo talentuoso come lui che sta scalando rapidamente le cariche dell’esercito, provi paura in guerra.
Non ha timore, non ha pietà: ciò che ha davanti sono solo nemici, ostacoli per l’impero di Roma, ostacoli che lui deve abbattere. Un affondo, poi un altro, i suoi sensi sono presi totalmente. Arretra di pochi passi per evitare un fendente del nemico davanti a lui, un uomo grosso più di lui, poi con lo scudo alzato scatta in avanti e all’ultimo disarma l’avversario. Scarta di lato, e approfittando della distrazione dell’uomo effettua una rotazione del braccio. La testa del nemico rotola ai suoi piedi, il corpo crolla su sé stesso.
Valerio si prende un istante di gloria. L’odore del sangue che annusa come fosse una animale, insieme alla puzza di fumo sempre più pungente, lo inebria; ed è proprio a causa di questo piccolo, rado e dovuto momento di distrazione che non sente le grida dei suoi subordinati.
Un dolore improvviso esplode sul suo fianco, una delle poche zone non coperte dall’armatura. Sente il ferro di un’arma bruciare e girare nella sua carne.
«Non hai mai pensato a quando il tuo cammino troverà una fine?»
Si volta, gli occhi spumeggianti d’ira. Il viso barbuto ed un poco emaciato di un barbaro qualunque gli appare davanti. Mulina la spada in un gesto esperto, e in pochi secondi il nemico è morto, a terra insieme ai molti suoi compagni.
Questa volta, Valerio non può permettersi di esultare. Barcolla all’indietro. Porta una mano insicura al suo fianco, e con un movimento netto riesce ad estrarre la lama che era rimasta conficcata nella sua carne. Si tratta di un pugnale, lungo e dentellato, che il nemico aveva affondato praticamente fino all’elsa.
Valerio non è certamente un guaritore, ma quando prova a muovere un passo e le gambe non gli rispondono, capisce che la ferita deve aver tagliato qualche legamento che controlla gli arti inferiori; la vista gli si appanna, e lasciando cadere lo scudo crolla anche lui in ginocchio, il dolore lancinante che gli ottenebra i sensi.
Era stato ferito diverse volte. A causa di un fendente mal schivato, adesso gli mancava il mignolo della mano destra. Una volta era stato colpito gravemente ad una spalla, ed aveva passato interi mesi senza poter combattere. Se c’era una cosa positiva, era che in quei suoi quasi vent’anni di carriera aveva imparato a conoscere o quantomeno distinguere le ferite gravi da quelle superficiali. E la situazione al momento gli sembrava tutt’altro che superficiale.
«Pensi che ripudiare la paura possa essere la soluzione? Pensi che gli Dei ti ameranno per questo?»
«Tu cosa puoi saperne, vecchia? Sai forse cosa vogliono gli Dei? Io sono benvoluto da Marte, e non c’è niente di più importante. La paura non è nulla in confronto alla potenza della guerra.»

Un dolore lancinante esplode anche tra le scapole, la testa si fa pesante e inizia la sua discesa in una direzione non precisata. Con movimenti lenti e confusi Valerio si porta una mano al fianco, poi la passa sulla schiena. Come immaginava, la trova imbrattata di sangue. Il torace inizia a pulsare, mentre lentamente il romano perde anche la sensibilità delle braccia. I rumori attorno a lui si sono attenuati. Sente solo un lento bu-bum, poi il bruciante palpitare della ferita, come se qualcuno stesse di nuovo girando uno spiedo dentro di essa. La vista diventa nera.

«Non hai paura proprio di niente?» Gli chiedevano sempre i nuovi compagni quando, dopo aver raccontato la sua storia e le sue avventure, precisava quest’ultima parte.
«Di niente» confermava lui, sorridendo spavaldo di quella sua virtù.
Una volta, da ragazzo, gli chiesero: «Non hai paura neanche della morte?»
«No, neanche della morte!» Aveva gridato Valerio, fingendo un fendente con la spada da allenamento che aveva in mano. Di lì a pochi mesi l’avrebbero accolto nell’esercito, ed ogni occasione era buona per allenarsi con i suoi compagni. «Non ho paura della morte, perché…» salì rapido su un muretto, brandendo ancora l’arma ed assumendo una posa degna della statua di un eroe. «…perché quando sarò un guerriero, mi distinguerò per la mia bravura, e gli Dei mi faranno immortale! Plutone stesso si inchinerà ai miei piedi!» Alzò la lama verso il cielo, facendo scoppiare a ridere i compagni che lo ascoltavano. Valerio si unì a loro. Quello che gli altri non sapevano era che lui, in fondo, ci credeva davvero.


«Legato, la copriamo noi.» Una voce lo fa tornare in sé. Riconosce il tono rispettoso e devoto di uno dei suoi uomini. L’odore sempre più insistente di fumo lo fa tossire, ed immediatamente una fitta di dolore si propaga dal ventre a tutto il corpo.
Cercando di spannare la vista ruota il capo, ed è allora che si accorge che alcuni suoi compagni lo stanno trasportando lontano dalla battaglia su una barella di fortuna.
Apre la bocca per parlare, ma la trova traboccante di sangue. Passano alcuni istanti in cui il pulsante martellare al fianco gli riempie la testa, poi sente gli occhi rivoltarsi e la sua visione continua.

Dopo il suo breve spettacolino, i ragazzi avevano ripreso ad allenarsi. Come sempre, Valerio aveva disarmato senza troppe difficoltà tutti gli avversari che gli avevano posto davanti.
Alla fine dell’allenamento si era appartato per sciacquarsi il volto sulle rive del fiumiciattolo lì vicino. Mentre si rinfrescava tranquillo, una voce lo fece trasalire.
«Quindi non hai paura della morte?»
Il ragazzo si girò di scatto, stupito di come il tono della persona che si trovava davanti avesse superato il gorgoglio dell’acqua. Aveva parlato una donna piuttosto anziana dai lineamenti indefiniti. Indossava una tunica dall’aspetto elegante, e sotto lunghe ciocche di capelli grigi si rivelavano una pelle chiara ed un paio di intensi occhi marroni.
Valerio si alzò tranquillamente, rispondendo alla domanda. «Non ho paura di niente.»
«Tutti abbiamo paura. Forse devi solo capire di che cosa. Non è vero?»
Il ragazzo fece per rispondere irritato, poi si accorse che la domanda non era rivolta a lui. Da dietro la veste della donna spuntarono due bambini, che si guardarono tra loro con occhietti intelligenti; rivolsero uno sguardo a Valerio e sorrisero annuendo.
A giudicare dall’incredibile somiglianza probabilmente erano gemelli, e si notava che avessero un’affinità fuori dal comune.
«Gli dei hanno creato la Paura, anzi sono nate delle divinità di essa» iniziò uno gesticolando, venendo poi seguito dall’altro. «..quindi tutti proviamo paura, perché gli Dei esistono e sono anche dentro di noi.» Entrambi i bambini si portarono la mano all’altezza del petto con una strana luce negli occhi, poi si sedettero vicino alla riva del fiume ignorando completamente Valerio ed iniziando a giocare tra loro.
«Non saranno certo dei bambini a farmi cambiare idea.» Commentò il ragazzo evidentemente seccato.
L’anziana inclinò la testa. «No, forse no, ma dimmi… pensi che sia davvero utile non provare paura?»
«Certo» rispose subito l’altro «la paura blocca. Impedisce di andare avanti. Se non la si prova, si potrà proseguire per la propria strada. La mia strada è la guerra.»
«Eppure, lo sai che la paura è figlia della guerra? Gli Dei di cui i bimbi parlavano prima… sono figli di Marte. Pensi che ripudiare la paura possa davvero farti benvolere dagli Dei?»
«Tu cosa vuoi saperne, vecchia? Io non provo paura, e mai la proverò.» Si voltò irato guardando il fiume. «Non ho bisogno di qualcuno che mi insegni…»
Non concluse la frase. Non appena si rigirò verso la donna, lei era scomparsa, e così i bambini sulla riva. Si ritrovò da solo, con ancora il gusto amaro di quell’ultima conversazione in bocca.


«Forse dovresti svegliarti» una voce gli entra nelle orecchie e lentamente conclude la frase.
Valerio apre gli occhi. Davanti a lui c'è ancora il villaggio barbaro in preda alle fiamme, ma gli appare distante, come se non potesse in alcun modo raggiungerlo. È steso sul terreno, e la ferita al fianco non gli dà tregua.
È da solo, nonostante lontano si senta un eco della battaglia in corso. I suoi compagni non ci sono, forse sono morti, forse hanno capito che l’accampamento è troppo lontano perché sia portato lì in tempo. Una strana sensazione gli attanaglia il cuore e gli fa diventare il respiro corto.
Con occhi saettanti si guarda intorno, e le sue iridi incontrano un altro paio di occhi conosciuti. Occhi marroni e profondi, che sembrano irradiare il calore di un focolare.
La donna della visione, del suo passato, è lì in piedi accanto a lui. Ma adesso ha il volto di una giovane ragazza, e i capelli sono color del legno; indossa una tunica rossa, e solo in quel momento Valerio la riconosce.
«Vesta» la chiama con un sussurro «dea del focolare.»
Lei lo guarda negli occhi ed annuisce. Gli si siede vicino come se avesse tutto il tempo del mondo. «È passato diverso tempo dal nostro ultimo incontro.» commenta tranquilla.
«Perché sei qui?»
Vesta pare rifletterci. «Gli dei volevano farti provare la paura.» dice infine «Credevo che la chiacchierata che abbiamo avuto diverso tempo fa potesse schiarirti le idee, ma così non è stato.»
«Perché appari proprio adesso?» Valerio stesso è quasi stupito del tono che usa con lei, un misto tra l’aggressivo, il timoroso e addirittura il confidenziale.
La dea sorride appena sistemandosi i capelli dietro le spalle. «Lo sai anche tu perché. Stai morendo.»
Il romano sente qualcosa bloccargli il respiro per qualche attimo. «No» Biascica incapace di fare altro.
«Oh, finalmente funziona!» Vesta unisce le mani fra loro con un’espressione soddisfatta in volto. Da un punto imprecisato dietro di lei spuntano i due bambini. Nonostante siano passati venti anni dall’ultima volta che Valerio li ha visti, non sembrano cambiati fisicamente.
Indossano entrambi delle semplici tuniche grigie legate in vita da un cordoncino, e negli occhi hanno la stessa terribile espressione che il romano aveva già visto nel loro volto. Purtroppo questa volta non ci mette molto a riconoscerli, e la voce di Vesta che glieli presenta conferma i suoi timori. «Loro sono Pavor e Formido, gli Dei della paura. E come ho già detto, sono entrambi figli di Marte.»
I gemelli si avvicinano. Si siedono ai lati di Valerio. Uno dei due solleva un dito, lo mostra al romano, poi fulmineo lo avvicina alla ferita sul fianco ed inizia a toccare la piaga. Il contatto genera delle strane scosse nel corpo di Valerio.
I suoi muscoli si tendono, gli occhi si sgranano, il dolore aumenta mentre il respiro si fa più rarefatto; l’uomo guarda ansimando Vesta, che di riflesso lo osserva come se assistesse ad un fenomeno nuovo. «Hai paura?» Gli chiede.
Valerio la fissa a metà fra l’incredulo e l’arrabbiato.
«Hai paura?» Ripete ancora con tono più alto.
«No!» Ribatte lui ansimando. «Un vero romano non ha paura!»
«Un vero romano, un vero uomo» lo riprende la dea «prova paura. Ma quando la prova, sa come trasformarla in forza.»
Valerio non risponde. Non vuole morire, non può farlo. La sua ascesa al potere era così naturale! Era ovvio che fosse destinato ad un ruolo importante all’interno dell’Impero. Non può morire in quel momento, semplicemente è inconcepibile.
«Non capisci…» la voce di Vesta adesso è quasi rammaricata. Si alza in piedi, le braccia adagiate lungo i fianchi. «Credevamo che fossi in grado di renderti conto del tuo potenziale, di imparare. Ho aspettato venti lunghi anni, implorando Plutone che non ti portasse con lui negli Inferi, perché speravo che potessi comprendere.»
«Cosa stai dicendo?» Il romano si accorge della presenza dell’altro bambino accanto alla sua testa. Il dolore che continua a promanarsi non riesce a farlo concentrare, i pensieri sono ridotti a mere briciole, si deve trattenere per non urlare.
«Perché continui a negare, e a farti così sommergere dalla follia?»
«Sei tu che non capisci!» Ringhia furioso Valerio «Io non ho…» si interrompe all’ennesima fitta di dolore. Non riesce ad ammetterlo. È paura quella che sta provando? È paura quella sensazione che gli sta bloccando il respiro, che gli impedisce di pensare ad un futuro in cui lui non è un capo dell’esercito romano stimato da tutti?
Vesta sorride. «Fin da piccolo, sei stato obbligato a non mostrare paura. Una famiglia di origini guerriere, la tua, una discendenza in cui la battaglia è il valore più importante. Avevi bisogno di un nuovo centro, di un nuovo… focolare.» I suoi occhi sono caldi, per qualche istante guarda Valerio come si guarda una nuova creatura, ma poi torna fredda. «Ci ho provato, ma tu hai fallito. Non hai voluto ascoltare. E neanche adesso sei in grado di ammetterlo.»
Si allontana di qualche passo, restando sempre nel campo visivo del romano. «Sei debole, Valerio. Ed è troppo tardi per te.»
L’uomo sta per replicare, ma qualcosa gli oscura la vista. Ci mette poco tempo a capire che è la mano di uno dei bambini. La voce indistinta di Vesta gli arriva confusa. «Formido, fai ciò che devi.»
La mano gli si posa sulla fronte. Un lampo gli attraversa la testa, poi tutto si fa nero. È come se girasse su sé stesso, nel vuoto sente solo una gran confusione, forse delle urla.
Una voce gli risuona nella testa.
Hai paura?
Non riesce a rispondere. Forse grida, nel frastuono non riesce neanche ad accorgersene.
Hai paura? Paura di che cosa?
Per un attimo vede gli occhietti cattivi di Formido.
Avevi bisogno di un nuovo focolare.
Tutte le sue membra bruciano, le ossa scricchiolano.
Un vero guerriero sa come trasformare la paura in forza.
Valerio non ne è in grado. Non capisce.
L’ultima cosa che sente è ancora quella parola. Paura.

Poi chiude gli occhi, il sangue smette di circolare, ed i suoi subordinati si rendono conto che il corpo prima svenuto che stavano trasportando ormai è privo di vita.

Tutti abbiamo paura. C’è chi lo accetta. E c’è chi non lo fa, e si ritrova sommerso da essa.

 

 

 

 

***Angolo dell'Autrice***

...e come al solito, mi ritrovate qui alla fine della storia per i miei commenti.

Innanzitutto, volevo chiarire che non sono un'esperta di storia romana: quindi gradirei tantissimo che, nel caso avessi fatto un'errore legato appunto alla storia o alla mitologia romana, me lo faceste sapere! Tengo molto a questa storia per i motivi spiegati nell'avviso a inizio Ff, quindi vorrei che fosse il più fedele possibile all'epoca in cui è ambientata.

Non credo di avere molto da dire. Questa storia è rimasta per mesi dentro al mio computer, fino a che oggi non mi sono decisa a pubblcarla. Spero che piaccia a qualcuno - modestia a parte, se la versione più breve (e a mio parere peggiore) è piaciuta ai giudici del concorso, allora nutro forti speranze per la versione integrale.

Naturalmente se avete commenti, opinioni, critiche, suggerimenti o semplicemente volete farmi sapere che leggere questa storiella non è stata una perdita di tempo, vi invito a farmelo sapere con una recensioncina, ma ringrazio di cuore anche tutti coloro che si limitano a leggere!

Alla prossima,

_Kalika_

 

 

   
 
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