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Autore: Xandalphon    02/12/2018    1 recensioni
Il cantore non vorrebbe che io parlassi di lui, che raccontassi della sua ultima avventura. Ma questa è una storia che vale la pena di essere cantata in molti lai. E' la storia del lontano oriente, dove il tempo non vuole scorrere, dove le maree del mondo non sembrano toccare poi molto la vita delle creature che vi abitano. Ma anche nella terra dove primo sorge il sole, la lotta contro l'oscurità ha avuto luogo, in modi strani e inaspettati...
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maglor, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I Morinethari e il fato di Maglor


Arda sapeva essere crudele con chi vi dimorava, per forza o per amore.

Il cantore, che più di tutti aveva vissuto dolori e sofferenze, negli immemori anni in cui il suo passo aveva calcato la terra-di-mezzo, lo sapeva meglio di tutti. Ma sapeva anche di non essere il solo.

In quell'angolo sperduto di mondo vi era una stirpe di secondogeniti che condivideva con lui una maledizione del fato. Più di ogni altro, persino più delle genti delle tre case, essa aveva combattuto l'ombra. Ma, odiata con ferocia dall'oscuro signore, era destino che i suoi sforzi non venissero mai riconosciuti.

Unico rimasto tra tutti i priminati a conoscere la loro storia, il cantore li chiamava 'Morinethari', uccisori dell'ombra. Essi erano gli unici che, pur essendo nati sotto il dominio di Morgoth, gli avevano voltato le spalle per allearsi con gli Eldar, in tempi ormai lontani. Quanto poco questa scelta avrebbe tratto loro vantaggio non lo potevano certo sapere, ma non tornarono mai sui loro passi né tradirono la parola data.

Erano i discendenti di Borlach, Borlad e Borthand, figli di quel Bòr che, durante la battaglia delle innumerevoli lacrime, si schierarono con Maglor e Maedhros. All'indomani di quel triste scontro, il maggiore dei figli di Fëanor non volle più avere a che fare con loro. Il sospetto del tradimento e il disprezzo per la debolezza di cuore degli umani avevano avuto la meglio sul suo animo.

Il cantore ricordava ancora molto bene cosa il loro capo aveva detto prima di andarsene irato da Dolmed:

La luce del Reame Beato, mai potemmo vedere, ché il nostro fato è lungi dalla Terra-di-Mezzo. Poco somigliamo ai nostri fratelli che per primi vennero in queste terre, ed il nostro aspetto ci accomuna più ai Nani che agli Elfi. Noi sappiamo che trovate la nostra forma affatto ripugnante, e da quella giudicate il nostro cuore. Noi, tuttavia, qui siamo, perché al pari vostro, abbiamo perso le nostre case ed i nostri affetti. Se ci giudicate servi di Morgoth, ben misera ricompensa abbiamo ricevuto dal nostro signore, per i nostri servigi!

Principi degli Eldar, abbiamo difeso la vostra ritirata combattendo con onore. Il nostro padre e capostipite Bòr ed i nostri fratelli sono rimasti uccisi. Quale sogno malvagio inculcato nelle vostre menti può farvi immaginare che fosse tutto un piano per guadagnarci la vostra fiducia? Persino le fiere dal cuore più nero provano pietà per i propri figli!

Se volete liberarvi di noi, cacciarci con il fuoco, non staremo certo ad attendere; non vogliamo mendicare neppure la più piccola briciola del vostro pane. Ma sappiate che la vostra collera è mal riposta e del vostro disprezzo nei nostri confronti, Morgoth ride.

Tra coloro che erano rimasti turbati da quelle parole c'era Maglor. Quello era il nome che più di tutti il cantore non voleva ricordare.

Il suo nome.

All'epoca non era stato capace di dire nulla, bloccato com'era dalla paura che albergava nel suo cuore. Maledetto il giuramento, maledetta la debolezza del suo carattere, maledetto tutto!

Negli anni a venire la consapevolezza che la sua ignavia avesse ridotto un popolo alla rovina e all'oblio fu una tortura per la sua mente. Eppure, la gente di Bòr non morì quel giorno. Si trasferì nelle profondità della terra di mezzo, a est del grande mare interno di Rhun. E lì, la loro lotta continuò.

Maglor non venne a conoscenza della loro esistenza se non dopo molti, troppi secoli, quando uno dei suoi viaggi lo portò lontano, nel Dorwinion. Lì il martello di Sauron si posò come su un incudine. Non poteva sopportare che così vicino a Mordor si trovasse la prova vivente che il suo padrone non era così onnipotente, che non era riuscito a traviare tutti i cuori che erano stati a lui vicini. Li odiava con lo stesso ardore con cui sputava sui numenoreani sopravvissuti all'inabissamento della terra della stella.

E una seconda volta, la maledizione dell'ombra piombò sugli occhi di coloro che dovevano esser loro alleati. Oropher, re degli elfi silvani di Boscoverde il grande, vedeva in loro dei rozzi barbari, una ferita purulenta troppo prossima alla sua pulita e ordinata foresta. Maglor, più per sentirsi finalmente in pace con la propria coscienza, che per vero amore per quel popolo, aveva chiesto al sovrano udienza presentandosi come Linnon, un noldo errante rimasto al di qua del mare dopo la guerra d'ira (cosa che non era tanto lontana dal vero). Tentò di dissuadere il re dai suoi intendimenti nella forma che meglio conosceva, cantando un lungo lai in onore dei figli di Bòr. Non valse a nulla. Anzi, pur rimanendo colpito dall'arte del suo ospite, derise apertamente il tentativo di nobilitare quegli sporchi e brutti orientali che, a dispetto delle apparenze, si dicevano nemici di Mordor.

Linnon non osò rivelare il suo vero volto. Aveva paura di quel che ne sarebbe conseguito. Non aveva fatto già così fatto il massimo? Non voleva saperne degli stupidi anelli di Celebrimbor, che gli ricordavano un po' troppo i Silmaril, per i suoi gusti. Non voleva saperne di essere riconosciuto come il sovrano di tutti i noldor, soppiantando Gil-Galad. Non voleva essere costretto a incontrare Elrond... Per cosa? Per implorare perdono per la strage alle bocche del Sirion? Ma per tutti i Valar, no!

Cirdan, l'unico sapeva chi fosse, gli avrebbe negato ancora una volta la nave per veleggiare verso Valinor, come già aveva fatto?

Il tuo fato è legato alla terra-di-mezzo, nobile Maglor. Sento che il silmaril che fu nella tua mano grida ancora dal profondo degli abissi marini. Non ti garantirà un salvo percorso sulla dritta via.

Per due volte il vecchio timoniere del Lindon gli aveva detto le stesse parole. Certo che se il silmaril ancora lo malediceva, poteva essere un po' più chiaro su cosa doveva fare per espiare i suoi peccati, no?

Anche dopo quella sceneggiata con Oropher, Cirdan non cambiò il suo responso.

Maledetto il gioiello creato da suo padre! Maledetta Arda! Maledetti tutti!

Chi lo sa, se ti fossi rivelato, forse tuo nipote Celebrimbor sarebbe ancora in vita.

Ah, ora il saggio e profetico timoniere voleva appendergli un'altra pietra al collo? Non erano già abbastanza quelle che già gravavano sulla sua coscienza?

Ad ogni buon conto, Oropher si dovette poi finalmente ricredere sui Morinethari. Non volendo sottostare agli ordini di un noldo, non rispettò le istruzioni di Gil-Galad e attaccò per primo durante la grande battaglia di Dagorlad. Inizialmente affondò con le sue armate come un coltello nel burro, ma, ovviamente, si trattava di un'imboscata. Accerchiati sarebbero morti tutti, se gli eredi di Bòr non avessero fatto la stessa cosa che avevano fatto nella Nirnaeth Arnoediad, ossia rompere il fronte nemico per consentire la ritirata ai propri alleati. E ancora una volta, ricevettero ben poca riconoscenza se non quella delle lame delle affilate asce degli orchetti di Sauron. Perirono quasi tutti.

Ah, se avessi dato ascolto alle parole di Linnon il cantore! Fu tutto quello che Oropher ebbe a dire della vicenda. Ancora una volta i Morinethari sparirono nell'oblio. Ancora una volta Maglor avrebbe potuto salvarli con una sua parola in più, forse. E ancora una volta si maledisse per non averla detta mai, quella parola di più.

  
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