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Autore: Najara    02/12/2018    4 recensioni
Con un sospiro posò le chiavi nella loro scodella, scese dai tacchi e si massaggiò per alcuni secondi i piedi. Era stanca, era stata una lunga giornata.
Storia partecipante all'Iniziativa “Santa is coming to femslash tonight" indetta dal gruppo LongLiveToTheFemslash.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quel momento

 

Con un sospiro posò le chiavi nella loro scodella, scese dai tacchi e si massaggiò per alcuni secondi i piedi. Era stanca, era stata una lunga giornata. Proprio in quel momento suonarono alla porta del suo appartamento, chiuse gli occhi per un istante, poi si voltò e aprì la porta abbozzando un sorriso.

“Scusa, ti ho sentita arrivare. Il corriere ha lasciato questo per te.”

“Oh, grazie!” Questa volta il sorriso fu sincero. Salutò il vicino e richiuse la porta, poi posò il pacchetto sul tavolo e prese le forbici. Davanti a lei ora vi era un orologio. Lo osservò con attenzione chiedendosi per l’ennesima volta se andasse bene.

Non che avesse scelta mancavano pochi giorni a Natale, cambiare idea ora era quasi impossibile.

Quel pensiero la condusse ad un altro, guardò il cellulare e fu delusa dall’assenza di messaggi.

Lei non aveva scritto, né chiamato.

Cercando di non fare la bambina si recò in camera dove si spogliò, poi entrò in bagno e fece una doccia.

L’acqua calda scorreva sul suo corpo togliendo via parte della fatica della giornata e scaldandola dopo la lunga camminata sotto la neve. Il sistema di taxi e autobus era in crisi per quella nevicata abbondante.

Quando uscì il vetro era appannato. L’assenza dello scorrere dell’acqua le permise di udire la musica messa da uno dei vicini, il ragazzo con il cappotto rosso, come lo chiamava lei.

Si asciugò il corpo poi passò il panno sul vetro e si ritrovò ad osservarsi, ora che il trucco era sparito e la fatica della giornata si faceva sentire, davanti a lei vi era solo una donna di mezz’età dagli occhi stanchi e dalla pelle pallida e opaca.

Alzò il braccio e osservò la pelle che ormai cedeva al tempo, poi passò le mani sui seni che, a loro volta, cedevano alla gravità.

I suo corpo erano decisamente diverso.

Quel pensiero la infastidì. Non per invidia, ma perché si sentì inadeguata, un’impostora.

Scosse la testa e distolse lo sguardo da se stessa, avvolgendo la testa nell’asciugamano e iniziando a vestirsi.

Quando ebbe asciugato con il phon i capelli tornò in cucina, per un istante pensò di trattenersi, ma alla fine prese il cellulare e controllò.

Un messaggio.

Di nuovo si sentì infantile quando lesse il nome e provò un brivido caldo.

“Ciao, Raggio di sole.

Mi dispiace, ma questa sera la devo ai miei genitori.

Li raggiungerò da loro per cena.

Tornerò tardi. Ci vediamo domani.

Mi mancherai.”

Provò subito una fitta di delusione, aveva sperato di poterla vedere. Le sarebbe piaciuto passare la serata con lei, la notte magari… invece no.

Con uno sforzo si impedì di pensarci, invece si preparò la cena. Non le ci volle molto, aveva una bistecca di tacchino nel congelatore, la mise nel microonde a scongelare, mentre lei tagliava due zucchine alla julienne e le metteva in una pentola a cuocere. Quando suonò il timer del microonde mise sul fuoco anche la bistecca che fu pronta in pochi minuti, le zucchine tagliate così sottili non ci misero molto di più.

Seduta a tavola mangiò nel silenzio, con, come sottofondo, la musica del ragazzo con il cappotto rosso e i leggero vibrare della metro quando passava sotto il loro condominio.

Avrebbe dovuto mettere qualche decorazione, magari un alberello di natale, due luci, ma non ne aveva avuto il tempo, c’era il lavoro, c’era lei.

Sparecchiò e lavò quello che aveva sporcato.

Poi rispose al messaggio.

“Divertiti, ma fai attenzione alla strada.

A domani.

Mancherai anche a me.”

Semplice. Lo guardò alcuni lunghi istanti chiedendosi se doveva aggiungere una di quelle faccine che mettevano i giovani oppure altro. Alla fine inviò così e posò il cellulare.

Allora vide di nuovo l’orologio.

Nello sgabuzzino aveva della carta colorata, la prese e con attenzione impacchettò la confezione.

Quando ebbe finito guardò l’ora. Erano solo le otto. Si affacciò alla finestra osservando la neve che cadeva abbondante. Dov’era? Probabilmente dai suoi che l’avrebbero trattenuta per la notte, perché le strade sarebbero state davvero brutte tra qualche ora.

Quindi l’appartamento sarebbe stato vuoto.

Il pensiero la sorprese. Poteva farle una sorpresa?

Dieci minuti dopo stava di nuovo indossando i tacchi e il cappotto. Prese il pacchettino e lo infilò nella borsa, lanciò un ultimo sguardo allo specchio dell’atrio e annuì.

 

Le strade erano affollate, malgrado l’ora e malgrado la neve. Il traffico sempre intenso a quell’ora era peggiorato dal maltempo. Le lucine di natale apparivano beffarde nell’illuminare con vivacità due macchine che si erano tamponate o la schiena di qualcuno che cercava di montare le catene senza averlo mai fatto prima.

Il suo taxi, per fortuna, si muoveva con abilità tra quel dedalo confusionario. Quando la depose davanti all’appartamento erano appena le otto e mezza. Pagò, ringraziò ed entrò nell’edificio usando le chiavi.

Le sue chiavi che aveva ricevuto due settimane prima.

Entrò nell’ascensore e si chiese se fosse stata una buona idea. Dopo tutto non era mai stata lì da sola e se lo avesse visto come un’intrusione nella sua vita? Ma le aveva dato le chiavi, no?

Le porte si aprirono e lei uscì dall’ascensore. Il suo appartamento era il secondo del corridoio, l’allegro tappetino arcobaleno aveva una sola parola scritta in nero: PRIDE; non lasciava molto spazio all’immaginazione. Come al solito quel tappetino la mise un po’ in imbarazzo. Lanciò uno sguardo attorno a sé, ma il corridoio era vuoto. Si avvicinò alla porta e infilò in fretta le chiavi, aprì ed entrò per poi chiudersi la porta alle spalle altrettanto rapidamente.

In fondo all’atrio vi era il salotto, all’interno vi era l’albero di Natale che lei aveva avuto il tempo di decorare e abbellire con palline create da lei stessa. Ma non fu quello a colpirla, aveva già visto l’albero, a colpirla fu la sua voce che canticchiava felice in cucina.

Perché non le aveva detto se avesse voluto o dovuto cambiare programma?

Rimase immobile sulla porta chiedendosi cosa fare, poi i suoi piedi la portarono in avanti fino alla cucina.

Lei era lì.

Dio quant’era giovane.

Aveva i capelli biondi raccolti, gli occhiali sulla testa, le cuffiette nelle orecchie e cantava mentre mescolava quello che sembrava un sugo. Indossava un paio di jeans strappati sulle ginocchia e una t-shirt troppo larga per lei. Era così bella…

Dietro di lei vi era un tavolo apparecchiato per due al centro una candelina era pronta per essere accesa.

Improvvisamente il fatto che fosse così bella e spensierata le spezzò il cuore.

Improvvisamente capì che venire lì era stato un errore.

Improvvisamente lei alzò il volto e la vide. Aprì la bocca e si portò la mano al petto, spaventata.

“Dai tuoi.” Disse lei, indicando con la mano il tavolo e le pentole sul fuoco. “Certo.”

“Aspetta!” La richiamò lei.

“No. Forse non lo hai capito, ma non sono quel tipo di donna.” Si voltò, allontanandosi.

“Non è come credi.” A quelle parole la rabbia la fece tornare sui suoi passi.

“Sei una bambina, lo sapevo, lo sapevo che non dovevo…” Innamorarmi. Questo avrebbe voluto dire, invece non lo disse. “Illudermi che tu potessi essere anche solo vagamente seria.”

Si sentiva umiliata, derisa, ridicolizzata. Questo alimentò ancora di più la sua rabbia.

È questo quello che pensi?” Chiese allora lei e sul suo volto vi era un’espressione che non le aveva mai visto: era delusa.

Lei era delusa? Lei??

Gettò le chiavi verso il tavolo, finirono in un piatto, ma lei ignorò il rumore di porcellana e si voltò decisa ad andarsene, decisa a dimenticare quel volto, decisa a seppellire nella rabbia il dolore.

Aprì la porta e si trovò un ragazzo davanti.

“Ciao.” Disse lui, malgrado la sorpresa. Abbassò il pugno con cui si apprestava a bussare e sorrise.

Fu come se fosse stata colpita. Quel sorriso… conosceva quel sorriso.

Era suo fratello.

“Entra.” Disse solo la ragazza e poi chiuse la porta rimanendo nel corridoio davanti a lei. Il suo viso era freddo. “Come ti senti ora?” Chiese.

Stupida. Pensò lei, ma non lo disse.

“Ti ho mentito, volevo parlare a mio fratello di te.” Scosse la testa, seria. “Senza fiducia me lo dici come lo costruiamo un rapporto?” Domandò.

Chi era l’adulta?

Poteva chiedere scusa, poteva sperare che la perdonasse.

Oppure…

Poteva andarsene, chiuderla lì.

Chi era la bambina?

Si voltò e se ne andò.

Poteva sentirli i suoi occhi puntati sulla propria schiena.

“Così lasci perdere?” Le chiese, ma lei continuò a non voltarsi. “Questa è tutta la tua maturità? Dimmi: non aspettavi che una scusa non è vero? Hai voluto fuggire dal primo momento in cui hai capito che poteva diventare qualcosa di serio, quando non era più una scopata e basta?”

Scosse la testa mentre premeva per chiamare l’ascensore, perché non c’erano le scale?!

“Giusto, non dire nulla. Come non hai detto nulla alla tua famiglia, come non vuoi che sappiano nulla i tuoi vicini, non sia mai che poi per lo schifo di avere una vicina lesbica non ti tengano più i pacchi della Bertolino.” Ogni parola colpiva il suo cuore con una precisione perfetta e faceva male, faceva terribilmente male perché significava che lei la conosceva, che lei avrebbe potuto essere quella che con la forza e il coraggio della giovinezza l’avrebbe liberata.

“Avrei potuto essere io.” Disse ancora la ragazza. L’ascensore si aprì e lei fuggì all’interno di quelle quattro mura di metallo riflettente.

Quando le porte si riaprirono lei si scagliò fuori nel corridoio, fuggendo quelle parole, fuggendo quelle verità.

Avrebbe potuto tornare indietro, avrebbe potuto mettersi in ginocchi e dirglielo:

TI AMO

Dirle che era stata sciocca e che aveva paura, paura di aver scoperto cosa poteva fare l’amore, come poteva renderla vulnerabile e feroce, rabbiosa e fragile.

Aprì il portone e uscì sotto la neve. Il mondo con le sue lucine era immutato, la strada era affollata di macchine, l’universo era colorato e vivo quanto prima.

Corse, senza guardare, l’ultima cosa che udì fu lo stridio dei freni di una macchina.

 

La stanza era bianca, vuota, perfetta. Neppure una macchia infrangeva quel vuoto.

La sua mente urlò.

Ma il suo corpo non sussultò neppure, nessun rumore infranse quel perfetto e immutabile silenzio.

Perché?

Perché?

Aveva fatto cose orribili, aveva distrutto vite con il suo lavoro, tanto era solo lavoro.

Eppure era con quel momento che decidevano di torturarla, con le luci di Natale, con il suo appartamento vuoto, con... lei

Perché?

Perché faceva male.

Chiuse gli occhi.

 

Con un sospiro posò le chiavi nella loro scodella, scese dai tacchi e si massaggiò per alcuni secondi i piedi. Era stanca, era stata una lunga giornata.

 

 

 

 

 

 

 

Note: Prima storia scritta per l’iniziativa di Natale “Santa is coming to femslash tonight" indetta dal gruppo LongLiveToTheFemslash.

Non molto natalizia direte voi… date la colpa a chi mi ha dato il prompt e ha richiesto l’angst! ;-)

Questo il contenuto del pacchetto “Love the way you lie”: A decide di passare a casa di B, sapendo che B non c'è. Invece, sorprendentemente, la trova a casa impegnata ad organizzare quella che sembra una cenetta romantica. A ha uno scatto d’ira ma scopre che B stava solo aspettando un parente/amico. Bonus: “senza fiducia me lo dici come lo costruiamo un rapporto?”

 

L’ho scritta questo pomeriggio e l’ho riletta solo una volta, la possibilità che ci siano più errori del solito è alta quindi chiedo scusa in anticipo. ;-)

  
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