Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: EuphemiaMorrigan    03/12/2018    2 recensioni
[One-shot. What if...? Scritta per il compleanno di Mista. 3/12
GiornoxMista. Lievissimi accenni BucciaratixTrish]
Da che aveva memoria, preferiva immergersi nella lettura di complicate inchieste e interessanti biografie, oppure guardare alla televisione documentari su Paesi lontani e animali mai visti prima, piuttosto di perdere tempo a sfogliare un tomo farcito dei soliti cliché melensi e completamente irrealistici.
Considerava il romanticismo importante, certo, almeno per la maggior parte degli individui, ma razionalmente sapeva di non esserci portato, di non capirlo. Quindi ne stava alla larga.
I pochi momenti liberi a disposizione li sfruttava per coltivare passioni concrete e culturalmente appaganti.
… Allora per quale dannato scherzo del destino proprio lui si era innamorato?
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Giorno Giovanna, Guido Mista
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Le mille e una volta in cui Giorno Giovanna provò a conquistare quello scemo di Guido Mista.


Triste luogo comune declama: da una profonda e solida amicizia spesso può sbocciare l’amore; ne narrano persino i vecchi romanzi, quelli nuovi, le riviste, i film e le canzoni. E nei secoli era diventato un argomento talmente sdoganato da finire per annoiare in moltissimi.
Giorno Giovanna era uno di questi da, in pratica, tutta la sua giovane e turbolenta vita. In quell’ultimo periodo però aveva scoperto, contro la propria volontà, quanto i sentimenti umani fossero illogici e non potessero essere controllati; ciò gli aveva conseguentemente provocato un certo timore, poco abituato a fare i conti con alcuni lati nascosti di sé.
Da che aveva memoria, preferiva immergersi nella lettura di complicate inchieste e interessanti biografie, oppure guardare alla televisione documentari su Paesi lontani e animali mai visti prima, piuttosto di perdere tempo a sfogliare un tomo farcito dei soliti cliché melensi e completamente irrealistici.
Considerava il romanticismo importante, certo, almeno per la maggior parte degli individui, ma razionalmente sapeva di non esserci portato, di non capirlo. Quindi ne stava alla larga.
I pochi momenti liberi a disposizione li sfruttava per coltivare passioni concrete e culturalmente appaganti.
… Allora per quale dannato scherzo del destino proprio lui si era innamorato?
Superato il panico iniziale ci aveva riflettuto a lungo, arreso all’evidenza e appurato non ci fosse nulla di male in quel che provava, malgrado ciò lo infastidiva l’impossibilità di capirne il perché e in quale occasione fosse successo.
Quando si era preso la bizzarra malattia a cui neanche Gold Experience poteva porre rimedio?
Il giorno prima era stato un tranquillo adolescente di diciassette anni, forse non molto ordinario dato che lavorava per l’organizzazione mafiosa più rinomata di Napoli; si sentiva soddisfatto di come la sua vita fosse cambiata dagli ultimi eventi a Roma e, soprattutto, dei compagni trovati nella squadra di Bucciarati. Evidentemente non gli era bastato, desiderava qualcosa in più, che alla fine s’era presentato d’improvviso e cresceva man mano, diventando quasi pesante da sopportare.
Necessitava liberarsi della zavorra che lo tediava e affannava, e lo avrebbe anche fatto, se quei sentimenti non avessero coinvolto il suo migliore amico…
Lo stesso considerare qualcuno migliore amico per Giorno era una specie di miracolo.
Il motivo per cui piacesse così tanto a Mista da avercelo sempre attorno gli era oscuro, così l’assurda fortuna, o sfortuna, di funzionare alla grande come squadra e lavorare insieme la maggior parte delle volte. I loro Stand si capivano, andavano d’accordo e i Sex Pistols parevano molto più amichevoli con lui che con qualsiasi altro membro di Passione.
Per questo aveva paura di esporsi. Intimorito di rovinare l’unico rapporto umano decente che era riuscito a coltivare.
Per settimane aveva sperato di essere solo confuso, di star attraversando una momentanea fase della vita, ma alla fine ne era uscito sconfitto; ci aveva rimuginato talmente a lungo sulla questione da obbligarsi a concludere, a malincuore, che amore e amicizia per lui venivano rappresentati dalla stessa persona.
Non poteva rinunciare a nessuna di quelle emozioni, tanto meno al calore provato alla pancia ad ogni sguardo, carezza, o sorriso che Mista gli rivolgeva. Gesti innocenti, non nascondevano alcun secondo fine. Anche perché il sicario aveva più volte espresso la sua preferenza verso il gentil sesso.
In pratica Giorno aveva zero possibilità.
Forse… Massaggiò il mento, meditabondo. Se fosse stato una donna, magari… No!
Scosse rapido la testa, scacciando quel pensiero assurdo. Il suo corpo andava bene com’era, e di certo non lo avrebbe cambiato per un motivo così futile, quale compiacere un’altra persona.
…Possedere dei pettorali più muscolosi comunque non gli sarebbe dispiaciuto.
Si sentiva vittima di un’ingiustizia, perché dei Joestar era l’unico smilzo?
Sospirò, posando il pugno sotto la guancia.
Vagava un poco troppo con la fantasia quando l’agitazione lo colpiva; la verità era che dopo l’incontro con Jotaro Kujo e Josuke Higashikata si sentiva meno solo. Continuavano a vivere lontani e mantenere i contatti esclusivamente per dovere, nessun legame affettivo li legava, né li considerava una famiglia, però sapere di non essere un’isola, perduto in un oceano di incertezze, che da qualche parte nel mondo esisteva qualcuno simile a lui, lo rassicurava.
In quel preciso istante un’idea gli balenò alla mente, il ricordo frammentato di una conversazione. Aveva scoperto, da noiosi stralci di discorsi insieme a Koichi, che Higashikata conviveva con un uomo, quello che al tempo delle superiori era stato il suo migliore amico. Perciò, magari, Giorno avrebbe potuto chiamarlo? Domandargli come diamine funzionava una relazione omosessuale? E farsi dire com’era riuscito a conquistare il suo compagno?
I profondi dubbi e l’inesperienza in campo amoroso, però, gli stavano impedendo di agire.
«Giorno, porca puttana, mi hai spaventato! Cosa ci fai da solo e al buio in cucina?».
Il ragazzo strinse le palpebre quando la luce artificiale irradiò la stanza e, all’udire la voce profonda richiamarlo, sollevò il viso, sorpreso; silenzioso puntò gli occhi chiari in direzione di Mista: poggiato allo stipite della porta, ricambiava divertito lo sguardo.
«Il cane ti ha mangiato la lingua?».
«Non abbiamo cani, e se per assurdo accadesse potrei ricostruirla con Gold Experience».
Guido gli si avvicinò, le mani puntellate sul tavolo e il busto sporto in avanti. «È un modo di dire, ti eri imbambolato».
Lo scrutò con interesse, cercando di non sostare troppo sul torace nudo e gli addominali cesellati; il brutto vizio di Guido di dormire soltanto con i pantaloni del pigiama stava mettendo a dura prova il suo autocontrollo. Inclinò il collo, incantato dalla pelle abbronzata e si lasciò sfuggire un sospiro: «Sei bellissimo».
Incontrò le iridi nere, pareva confuso e un velato rossore gli aveva colorato le gote. Giorno, resosi conto di essersi lasciato un po’ troppo andare, accennò un sorriso amichevole: «Ho soltanto notato che stai meglio senza quell’assurdo berretto in testa, non capisco perché ti ostini a portarlo».
«Ho freddo alle orecchie» incespicò, passandosi impacciato una mano fra i ricci spettinati.
Adorabile.
Catturò il labbro inferiore fra i denti bianchissimi e si alzò in piedi; lento gli si avvicinò, cambiando discorso: «Come mai sei sveglio a quest’ora?».
«Potrei farti la stessa domanda».
«Insonnia» ammise sincero. Si era svegliato nel cuore della notte, sudato e ansimante, dopo un sogno per nulla casto e non era più riuscito a prendere sonno.
Il ricordo delle sensazioni provate in quel momento d’incoscienza gli provocarono un brivido dietro la schiena. Le mani di Guido che scivolavano sul corpo nudo, plasmandolo come creta, i baci passionali quasi da togliergli il fiato, le spinte rudi del bacino mentre lo prendeva sul letto sfatto… Serrò i pugni tremanti, maledicendosi per aver indugiato su certe fantasie con il ragazzo così vicino.
Raggelò, e subito dopo prese fuoco, quando le dita gentili gli sistemarono una ciocca bionda dietro l’orecchio.
«In effetti hai una faccia proprio sbattuta» dichiarò, avvicinandosi innocentemente al suo viso.
Giorno deglutì a vuoto, sulla punta della lingua pizzicava l’insana voglia di rispondere che, se proprio voleva, poteva sbatterlo lui quanto, come e dove desiderava.
«C’è qualcosa che non va?».
A parte gli ormoni risvegliati di colpo?
La genuina preoccupazione di Mista lo spiazzò e, per l’ennesima volta, avvertì la morsa alla bocca dello stomaco far male; la parte sfiorata doleva e la pelle chiedeva di più, voleva sentirlo ancora.
«Non è nulla di grave» mentì, dando fondo a tutta la forza di volontà posseduta per non gettargli le braccia attorno al collo e baciarlo.
L’altro annuì, poi dolcemente gli spettinò la chioma bionda; scalzo s’incamminò verso il frigorifero, lamentandosi: «Sto morendo di fame. I Pistols ieri sera hanno mangiato tutta la mia cena, e Abbacchio ha anche il coraggio di dire che se uno Stand è sazio dovrebbe esserlo anche il portatore».
«Gli Stand sono energia psichica e spirituale, quindi...».
«Ok, ok, ho semplicemente fame!» esclamò, tamburellando poi le dita sulla pancia.
Mista neanche lo faceva di proposito, ma agli occhi di Giorno ogni suo movimento pareva volerlo sedurre, come se ci fosse stato bisogno di aggiungere sale sulla ferita aperta. Era capitolato da un pezzo, e peggiorava sempre di più.
Rischiò di strozzarsi al vederlo piegarsi a cercare qualcosa di commestibile, il sedere alto e sodo in bella mostra.
Mi sta torturando.
Sedette di nuovo, sorreggendo la fronte con una mano.
«Mal di testa?».
Lo scrutò da sotto le ciglia chiare e pesanti, aveva tirato fuori un pezzo di torta alle fragole.
«Un po’».
Guido appoggiò il piatto sul tavolo e afferrò due cucchiaini dalla credenza; si accomodò vicino a lui, porgendogliene uno. «Qualsiasi sia ciò che ti affligge, mangiare un dolce in compagnia è la miglior soluzione».
«Stai dividendo l’ultima fetta di torta con me?».
«Già, puoi vantarti di essere l’unico ad avere questo privilegio» disse allegro.
Giorno sgranò gli occhi liquidi, provando a non leggere in quelle parole un sottinteso che, sicuramente, non esisteva.
All’inizio, alla scoperta di provare attrazione e amore per l’amico, aveva valutato l’ipotesi di reprimerli quei sentimenti, allontanarsi, ripensandoci; in quell’attimo, invece, mentre Mista gli sorrideva caloroso, si rese conto sarebbe stato inutile il solo provarci.

Aveva legato, stretti e fermi, i capelli lunghi in uno chignon, si era lavato le mani, per sicurezza un paio di volte, e poi posato sul banco della cucina tutti gli ingredienti di cui necessitava.
Si incitò mentalmente, sicuro di farcela. La pasticceria è una scienza simile alla chimica, e Giorno ai tempi della scuola era stato il migliore della sua classe in quella materia, bastava dosare tutto con estrema precisione e seguire la ricetta. Nulla sarebbe andato storto.
«Oh, Signore, cosa stai combinando, maledetto pazzo?».
Rivolse completa attenzione ad Abbacchio, che lo scrutava astioso come al solito. Nonostante fossero trascorsi ben due anni dal loro primo incontro, le vicissitudini con Diavolo, e da quando Giorno era stato accettato come compagno da, praticamente, tutti i membri della squadra di Bucciarati, Leone si dimostrava ancora reticente nei suoi confronti.
Il più giovane non riusciva a capire se davvero lo infastidiva, oppure si divertisse alle sue spalle.
«Preparo un tiramisù».
«Sei un mafioso o una massaia? Per quale fottuta ragione dovresti cucinare un tiramisù?».
«È un esperimento».
In realtà, qualche settimana prima, lui e Mista si erano fermati in un piccolo bar poco conosciuto per rifocillarsi dopo una missione particolarmente difficile che li aveva tenuti svegli quasi tre giorni, all’inseguimento di alcuni contrabbandieri Russi, colpevoli di aver osato introdurre e spacciare sul suolo di Napoli un nuovo tipo di droga, senza prima rivolgersi a Bucciarati.
In quell’occasione l’amico aveva decantato per mezz’ora la bontà del tiramisù impegnato a divorare, lasciandosi sfuggire fosse il suo dolce preferito.
Informazione di cui Giorno aveva fatto tesoro.
E malgrado le occhiaie, la barba sfatta e l’odore di sangue, sudore e polvere da sparo, mischiato a quello del caffè espresso proveniente dal bancone, a Giorno era apparso davvero splendido; s’era sentito così fortunato di poter stare insieme a lui, in un locale per nulla affollato, ad un tavolo stretto in cui le ginocchia quasi si toccavano e i loro occhi non avevano mai smesso di cercarsi…
«Ti sei incantato, moccioso?».
Rialzò lo sguardo trasognante ad Abbacchio. «Scusami, non stavo ascoltando».
Il sopracciglio dell’uomo scattò verso l’alto e il tic nervoso alla palpebra lo colpì; rapidamente girò i tacchi e uscì dalla stanza mentre sbraitava: «Ma guarda te se Bucciarati doveva scegliersi proprio questo rincretinito come futuro sostituto. Diventeremo una pasticceria!».
Giorno fece spallucce, menefreghista, ormai abituato agli attacchi d’ira di Abbacchio; rimboccò le maniche della maglia e, finalmente solo e tranquillo, si mise al lavoro. Aveva un obiettivo da raggiungere.
Ci volle pochissimo tempo e il minimo impegno per finire di preparare il dolce; il ragazzo, seppur cercasse di mantenersi modesto, doveva ammettere almeno a se stesso di aver fatto un lavoro sublime, sicuramente più buono del tiramisù che Mista aveva mangiato giorni prima in quel locale.
Lo ripose nel frigorifero e in fretta pulì la cucina, disdegnava il disordine e lo sporco.
Minuti dopo l’occhio gli cadde sull’orologio alla parete e si rese conto che s’erano fatte quasi le 17.00. Tradizionalmente Narancia, Mista e Abbacchio a quell’ora prendevano il tè, neanche fossero i reali Inglesi, quindi avrebbe attuato il piano proprio allora.
Sorrise soddisfatto, fare qualcosa per la persona che amava lo aveva riempito di sensazioni positive e speranze.
«Sei ancora qui?» grugnì Leone.
Giorno trasalì, di nuovo preso alla sprovvista, dopodiché si voltò; proprio quando stava per rispondere notò Mista lasciarsi sfuggire una smorfia. «Sentiamo, cosa ti avrebbe fatto Giorno oggi?».
Il tono seccato lo stupì, sembrava quasi essersi offeso.
«Probabilmente nulla come al solito, non prendertela, lo sai che Abbacchio borbotta sempre. E poi se non ci rimane male Giorno a te cosa importa?» ridacchio Narancia, diede un colpo fra le scapole dell’altro e sedette scomposto al tavolo.
«...Già».
Curioso della risposta avvilita, incrociò le iridi nere per un attimo, non riuscendo però a cogliere lo sguardo che gli lanciarono.
«Moccioso! Svegliati e metti su il tè» gli ordinò Abbacchio, richiamando la sua attenzione; lo osservò mentre s’infilava le cuffie alle orecchie e afferrava una rivista dal basso mobiletto vicino la poltrona, riprendendo ad ignorarli.
Sospirò e lasciò cadere la questione, avrebbe dovuto comunque prepararlo.
Concentrato sui fornelli, si accorse di Mista soltanto quando il braccio gli circondò i fianchi e le dita presero a tamburellare giocose sulla sua maglia. S’irrigidì, disorientato dalla vicinanza improvvisa.
«Come mai questo cambio di acconciatura?» sogghignò, pareva tornato il solito.
Giorno toccò i capelli ancora raccolti, cercando invano di non mostrare tutto l’imbarazzo e l’euforia provata durante la stretta calda a lungo desiderata.
«Ho preparato un dolce, così...» lasciò la frase incompleta, poggiando, innocentemente, la mano sul petto di Guido.
«Dici davvero?!» il viso s’illuminò, e fu proprio lui ad attirarlo più vicino.
Avvampò trovandosi a pochi centimetri da Mista. «Sì, mi era sembrato di capire ti piaccia il tiramisù, avevo del tempo libero ed ho voluto provare. Volevo fare qualcosa per te».
Il clima fra loro era diventato denso e pesante. Giorno ebbe l’impressione di percepire anche il calore dei corpi aumentare nel momento in cui l’altro serrò le dita sui fianchi e si chinò lento, sfiorandogli la guancia rosata con le labbra.
«Sei un tesoro. – la voce profonda e rauca per un attimo tentennò, dallo zigomo scivolò forse troppo vicino alla bocca socchiusa; si riprese nell’immediato e cambiò atteggiamento. – Boia, che fame ho!» disse allegro, gli lasciò una sonora pacca sul braccio e si distanziò. Come nulla fosse successo.
Giorno abbassò gli occhi sgranati al pavimento, per i successivi minuti non capì se, il suono che gli aveva ovattato le orecchie, fosse quello dei tamburi, oppure il cuore che stava per scoppiare.

Da quel fatidico momento era trascorsa più di una settimana e nulla sembrava cambiato, né nel loro rapporto, né nell’atteggiamento di Mista; un po’ la questione lo deprimeva.
Possibile che non se ne fosse accorto? Lo stargli attorno, il cercare un contatto fisico solo con lui, l’essere gentile, sempre disponibile, decorare il suo posto a tavola con dei nontiscordardime ogni mattina, non erano gesti sufficienti?
Cos’altro doveva fare? Affrontarlo? Dirglielo?
No, quella soluzione ancora non voleva considerarla, aveva troppa paura di un rifiuto.
Pensieroso, camminava con la testa fra le nuvole fra i corridoi della villa, come accadeva da diversi giorni, a rimuginare su un metodo efficace per far capire a Mista di essere interessato a lui.
«Andate a vivere insieme?! Quando lo avete deciso?!».
Il vociare sconvolto di Guido lo ridestò e, guardandosi attorno, si rese conto d’essere arrivato in salone e aver rischiato di scontrarsi con il tavolino. Alzò lo sguardo davanti a sé, a qualche metro, seduti sul divano, Bucciarati e Trish stavano intrattenendo un’animata conversazione con il ragazzo che, stravaccato sulla sedia, aveva disegnata in viso un’espressione sbalordita.
«Salti sempre a conclusioni affrettate. – lo sgridò lei. – Non succederà domani».
Da lontano osservò Bruno intrecciare le dita sul ginocchio accavallato, poi riferire: «Abbiamo appena iniziato i lavori di ristrutturazione della mia vecchia casa, ci vorrà ancora del tempo. In più Trish deve concludere prima i suoi studi».
«E l’organizzazione? Sei il nostro capo!».
«Bruno ve ne ha parlato sin dall’inizio, sapevate che era momentaneo» intervenne Trish, lanciando poi uno sguardo comprensivo al fidanzato; nella voce si distingueva chiara la sfumatura affettuosa che Giorno le aveva sentito utilizzare soltanto nei riguardi di Bucciarati.
Lui sospirò, conoscendolo si stava già logorando nella colpa per l’abbandono imminente dei suoi ragazzi.
«Mista, è prematuro parlarne ora. Vi lascerò in buone mani».
Guido poggiò il pugno chiuso sotto la guancia, sbuffando: «Potete portarvi via Abbacchio? Sarà difficile sopportarlo quando don Giovanna salirà al comando di Passione».
Sobbalzò.
Quindi lo aveva detto anche a Mista?
Le iridi di Giorno, divenute opache a causa dell’apprensione, incontrarono quelle azzurre di Bucciarati, che finalmente si era reso conto della silenziosa presenza. Lo scrutò, e per un secondo lesse nello sguardo limpido preoccupazione, forse impensierito dalle palesi incertezze annidate nel suo cuore.
Il maggiore tornò a rivolgere attenzione al sicario. «A te disturba?».
«Cosa?».
«L’aver scelto come successore l’ultimo arrivato? Non te l’ho mai chiesto, e forse è stato un errore dare per scontata la tua approvazione».
Giorno seguì inquieto Mista mentre si sporgeva in avanti, poi notò il mezzo sorriso disegnato sulle labbra carnose. «Mi conosci, non ho mai puntato al vertice, per quanto mi riguarda potevi scegliere chiunque di noi. Giorno… – si prese una pausa e alzò le spalle, indifferente. – Mi sta bene. Mi piace».
I denti affondarono nel labbro inferiore, in seguito diede le spalle ai tre, desideroso di andarsene e smettere di ascoltarli. Non ci teneva a partecipare alla loro discussione, o interromperli.
A quale scopo poi? Riflettere sull’imminente futuro gli faceva attorcigliare lo stomaco, ancora troppo insicuro delle proprie scelte, forse era solo un moccioso proprio come affermava Abbacchio…
«Giorno!».
Si girò d’istinto, stringendo i pugni lungo il corpo rigido. Nel tono di Mista aveva percepito, sia in quel richiamo che nelle parole precedenti, un affetto di cui ridicolmente s’era reso conto di avere una paura folle. Soprattutto alla consapevolezza di come sarebbero cambiati i loro ruoli all’interno dell’organizzazione da lì a qualche mese.
Nonostante questo, gli permise di circondargli i fianchi e attirarlo allegramente verso l’uscita della stanza, incapace di scacciarlo.
Come riusciva ad essere così sereno?
«So camminare da solo, Mista» gli si rivolse più acido di quanto volesse.
«Sssh, lo so, ma lasciamo i piccioncini da soli. E tu sembri stressato, hai bisogno di una bella partita a strip poker».
Giorno sollevò un sopracciglio, guardandolo in confusione.
«Non vuoi vedere Leone in mutande?».
Il sorriso scherzoso che gli rivolse lo fece tornare di buon umore, e accantonò di nuovo in un angolo tutti i suoi timori. Anche se rimase leggermente deluso non fosse una proposta indecente.
Scosse il capo. «Non voglio farmi odiare ancora di più da lui».
L’altro si fermò di colpo e gli afferrò le braccia, voltandolo. Lo osservò, serio e risoluto, dopodiché picchetto la fronte contro quella di Giorno e, leggendogli quasi nel pensiero, sussurrò poco distante dalle sue labbra: «Abbacchio non ti odia, è solo… Strano. Sarai un ottimo capo, ne sono sicuro».
«Che intendi per strano?» domandò curioso.
Mista si massaggiò il collo, riflettendo per qualche secondo. «Come si dice da voi in Giappone? – borbottò fra sé, poi lo travolse divertito un’altra volta, aveva avuto l’illuminazione – Tsundere! Abbacchio è uno tsundere!».
Una risata genuina si liberò dal petto di Giorno che, per la prima volta senza pensare alle conseguenze dei propri gesti, si ritrovò a stringere il ragazzo contro di sé e posare dolcemente il viso nell’incavo del suo collo.
«Grazie, Guido».

La nausea lo colpì allo stomaco, simile al gancio destro di un pugile, quando rivangò le vicende avvenute quella notte.
In primis: aveva chiamato Mista per nome, agendo d’impulso. Non contento aveva compiuto quell’idiozia mentre lo stava soffocando fra le braccia e sfregava la guancia contro il torace spazioso; mancava poco che iniziasse a miagolare e fare le fusa come un gatto… Un enorme gatto in calore.
Ricordava le mani dell’altro sui fianchi aumentare la presa durante le effusioni, il mezzo sospiro all’orecchio ancora gli provocava brividi lungo la schiena, ed era sicuro Mista se ne fosse accorto.
Come se non bastasse, novello Napoleone a Waterloo, la vera disfatta arrivò nel momento in cui, durante la partita a carte con i ragazzi, il suo sogno erotico in carne ed ossa rimase senza mutande. Provocandogli quasi un mancamento.
Aveva dissimulato la questione appellandosi alla stanchezza, ma non era certo gli avesse creduto, dato che quella sera, dopo il gesto d’affetto inaspettato, era diventato stranamente silenzioso e distante.
Le battutine a sfondo sessuale che Fugo aveva rivolto loro, poi, avevano soltanto gettato l’ennesimo masso immaginario sulla tomba di Giorno Giovanna.
Non avrebbe mai più avuto il coraggio di guardare Guido negli occhi.
Alla fine se n’era andato, rifugiandosi nell’autocommiserazione; la fronte pressata sul tavolo della cucina, forse sperava di diventare parte dell’arredamento.
«Sono così stupido» soffiò, la schiena aveva cominciato a dolergli, non riusciva a muovere un muscolo.
Udì dei passi conosciuti avvicinarsi e, la mano gentile che gli carezzò il capo, tornò a provocargli farfalle nello stomaco. «Finirai per farti venire la gobba come Bucciarati».
Sorrise. In effetti Bruno sembrava non avere articolazioni alle volte e se ne stava sempre ricurvo; Trish avrebbe dovuto mettergli a forza un tutore se avesse continuato ad improvvisarsi sosia di Celentano.
«Tu perché sei ancora sveglio? Vuoi di nuovo razziare il frigo?».
«Non riuscivo a dormire».
«Neanch’io».
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo veloce e, subito dopo, Mista sedette davanti a Giorno, fissandolo meditabondo. «Sei un mio amico, giusto?».
La domanda improvvisa lo spiazzò. «C-certo».
«Negli ultimi due anni sei diventato il mio migliore amico, no?».
«Immagino di sì… – corrugò le sopracciglia bionde. – Perché?».
Lui intrecciò le dita e posò il mento sopra di queste; appariva spossato e terribilmente demoralizzato. «Ho bisogno del parere di un amico di cui mi fido ciecamente e so non mi giudicherà, tu sei stato il primo e l’unico che mi è venuto in mente. Anche se ora non sono più sicuro di nulla».
Giorno abbassò gli occhi, sussurrando: «Se non vuoi più parlarmene, Trish e Fugo penso...».
«Ho detto ‘non mi giudicherà’. – sorrise amaro. – I loro commenti e battutine adesso non li sopporterei proprio».
«Capisco. E cos’è che devi dirmi?» gli chiese, provando ad apparire rassicurante.
«In verità sono in cerca di un consiglio».
«Farò qualsiasi cosa possibile per aiutarti».
Mista gli sorrise tenero, dopodiché si passò la mano fra i capelli spettinati. «Da quando ho scelto di lavorare per Bucciarati, o meglio da quando mi ha tirato fuori di prigione. – vacillò, pareva a disagio. – Ho deciso di lasciami alle spalle tutti i desideri che avevo da ragazzo, fra cui quello di vivere in modo semplice e normale. Non che mi lamenti del mestiere che faccio e di dove sono adesso, alle volte però immagino la mia futura morte e mi chiedo cosa ne sarà della mia anima?
Sono un assassino, l’unica cosa che so fare è uccidere e… Probabilmente finirò all’Inferno».
«Smettila. – lo interruppe duro e nascose i pugni percorsi da tremiti sotto il tavolo. – Non sei solo un malavitoso».
Lui sospirò pesantemente e scosse la testa. «Lo sono. Mi fa piacere tu mi veda in modo diverso, ma uccidere è ciò che faccio per Passione. E mi sta bene, l’ho scelto io.
Però da qualche tempo ha cominciato a pesarmi, proprio perché credevo di non poter più provare certi sentimenti. Sono cosciente siano d’intralcio, eppure…».
Giorno attese qualche secondo il discorso continuasse; al rendersi conto che non avrebbe concluso, incuriosito e con un pizzico di timore, domandò: «Di quali sentimenti parli?».
«Mi sono innamorato».
La stilettata al cuore arrivò precisa e potente, spezzandogli il fiato. Immediatamente Giorno si forzò ad arricciare le labbra in un morbido sorriso, assumendo la più neutra delle proprie espressioni.
All’interno di sé il rimpianto lo stava logorando. Se solo avesse avuto l’audacia di confessarsi prima, magari sarebbe andato tutto diversamente.
Ingoiò il boccone amaro e scacciò il senso di nausea, recriminarsi qualcosa ormai era inutile.
«Innamorarsi non è una colpa, Mista, né dovresti sentirti inadatto. Mi addolora la considerazione che hai di te, quando io, in verità, ho sempre visto un uomo brillante, generoso e pronto a rischiare la vita per proteggere i suoi ideali. – inclinò il viso, guardandolo con affetto. – Invece dimmi, lei com’è?».
«Lei… – lo osservò inumidirsi le labbra, agitato. Aveva cominciato a sudare freddo e, inaspettatamente, nascose il viso fra le mani. – Non esiste nessuna lei».
«Non credo di seguirti» disse atono.
«È un ragazzo, mi sono innamorato di un ragazzo».
Le iridi verdi si trasformarono in lame di ghiaccio. «Ah».
La confusione e la furia gli resero impossibile capire cosa, in quel monosillabo, fece scattare in piedi Mista. «Lasciamo perdere, Giorno. Grazie di avermi ascoltato».
«Aspetta! – lo bloccò al vederlo voltargli le spalle. – Dove pensi di andare? Non volevi il mio consiglio? Hai cambiato idea?».
La coscienza di Giorno gli stava urlando di smetterla di ferirlo, esagerare in quella maniera cinica e meschina; la vista appannata e la sensazione di vuoto che, dalla pancia, s’era pericolosamente espansa verso il petto, lo avevano però gettato in panico.
«Non intendo continuare questa discussione, per favore» la delusione era palpabile.
Rise amaro. «Potevi pensarci prima, Mista».
«A cosa avrei dovuto pensare? Al fatto che al mio migliore amico disgusta così tanto l’idea mi piaccia un uomo da trattarmi come se gli avessi fatto un torto?».
«N-non… Non è per questo! – esclamò fra i denti; compì un passo in avanti, gli afferrò il polso e lo strattonò. – Davvero non riesci a capire?».
Le spalle di Mista s’incurvarono, come se portassero un peso enorme. E Giorno, vedendolo voltarsi di nuovo verso di lui, per la prima volta ne ebbe timore; le sopracciglia scure erano corrugate, la mascella contratta e gli occhi due pozzi neri e freddi.
Quel palese distacco emotivo gli provocò sofferenza e una morsa strinse la sua gola. Nonostante sapesse c’era il rischio di venir scacciato, avvolse le braccia attorno al busto scoperto, cercando di trattenerlo.
Sapere fosse innamorato di un altro lo feriva, ma non voleva perdere la sua amicizia.
«Ho esagerato, scusami. Ma… Come puoi anche solo pensare di disgustarmi?» abbassò lo sguardo contrito al pavimento.
La mano di Guido gli sfiorò il capo in maniera un poco incerta, poi lo invitò ad alzare il viso. «Spiegami perché allora sembri così arrabbiato e deluso?».
«Perché lo sono. Più da me stesso e dal mio comportamento».
Giorno si accorse che l’altro stava ricambiando l’abbraccio soltanto quando affondò fra i pettorali tonici; le orecchie s’imporporarono di rosso, dato che, come al solito, Mista era a petto nudo.
«Deluso da te stesso? E per cosa? – lasciò l’impressione di un bacio fra i capelli biondi. – Sciocco, sei la persona più luminosa e intraprendente abbia mai incontrato, il mio migliore amico, il mio portafortuna vivente».
Il ragazzo accennò una risata, intanto aveva cominciato a massaggiargli la schiena; sospirò inudibile: «Scusami, sono geloso e quando mi capita non riesco a rimanere molto lucido».
«Geloso? Geloso in quel senso?» nella voce di Mista lesse un’inaspettata euforia.
Annuì in imbarazzo, premendosi di più contro il torace bollente. A quel punto era inutile nascondersi.
«Fammi capire, Giorno. – Guido arricciò il naso, il suo tono sembrava leggero, divertito, emozionato. – Tu sei geloso di te stesso?».
A quella domanda si distanziò, come se si fosse ustionato, le palpebre sgranate e la bocca leggermente schiusa.
Aveva compreso bene? Od era stata un’allucinazione uditiva?
«Quando hai detto di essere innamorato…».
«Parlavo di te. – concluse, grattandosi impacciato la testa. – P-penso di non essermi dichiarato in modo comprensibile. Mi dispiace» incespicò e provò a sorridergli.
Giorno non era mai stato bravo ad interpretare al volo i suoi sentimenti, necessitava spesso di lunghe riflessioni. In quel momento, poi, era fin troppo confuso per darci un senso, passato in pochissimi secondi dall’imbarazzo, la rabbia, tristezza, di nuovo imbarazzo e… Perché aveva la sensazione di voler scoppiare a piangere?
Aggrottò la fronte, totalmente spaesato. «Mi prendi in giro?».
«No! Certo che no!».
«A-allora mi stai confessando che in tutto questo tempo non hai notato nulla? I fiori, gli abbracci, i dolci, il corteggiamento, lo starti sempre attaccato al culo?!» disse concitato.
«Di cosa parli?».
«Sono mesi che cerco di farti capire che mi piaci! Guido, sveglia, sono attratto da te!».
Un profondo silenzio calò fra di loro, e ci vollero diversi secondi prima che Giorno si rendesse conto dell’accaduto e delle parole dette senza pensare; le guance ripresero ad ardere. «I-io… Oltre ciò che ho detto, tu mi… – scostò lo sguardo in direzione del lavello, per poi ricercare gli occhi scuri di Mista e mormorare. – Anch’io ti amo».
Lo vide accendersi e aprirsi in un ampio sorriso. Eccessivamente entusiasta tornò a circondargli la vita magra e, con la mano libera, immerse le dita nei capelli sciolti, invitandolo ad alzare un poco il mento. Probabilmente la sfumatura di panico che vide attraversare le iridi verdi lo fermò.
«Posso baciarti?» chiese amabile.
Giorno tremò da capo a piedi all’avvertire il respiro dell’altro così vicino. Attinse a tutto il coraggio posseduto e si lasciò guidare soltanto dai suoi desideri, abbandonando la razionalità.
Appoggiò i palmi percorsi da fremiti sulle guance di Mista e lo attirò in avanti, per catturare le labbra carnose con le proprie. Aveva atteso anche troppo.
S’abbarbicò a lui, sorridendo durante quel contatto al rendersi conto che, forse, lo aveva preso davvero tanto alla sprovvista. Ma non aveva la benché minima intenzione di lasciargli neanche un centimetro di spazio vitale, non quella notte.
E a giudicare dalla bassa risata che vibrò fra le loro bocche, Guido era dello stesso avviso.


Angolo autrice:
Ben ritrovati! Non potevo saltare il compleanno di Mista, quindi ho scritto una piccola cosina, anche se non è proprio a tema compleanno, ma che spero tanto verrà apprezzata.
Ringrazio chi leggerà e lascerà un piccolo parere.
E ringrazio tanto anche la mia beta, Kyuukai, che come sempre mi è stata di grande aiuto per scovare quelle piccolezze che da sola non mi sarebbero mai saltate all’occhio. E hyoudox per aver letto la storia e avermi dato un parere.
Sapere di non aver scritto una boiata pazzesca mi rasserena ahahahaha

 

   
 
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