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Autore: gayamatriciana    03/12/2018    2 recensioni
[Carol]
"Quando entrò, i suoi occhi cercarono subito quelli di Therese, e non appena gli sguardi si incontrarono la ragazza si sentì catapultata in un'altra dimensione. Erano occhi grigi, freddi, eppure ogni volta che li guardava, Therese sentiva un fuoco dentro di lei sciogliere e distruggere ogni parte del suo corpo, ogni angolo della sua mente, ogni cellula del suo cuore."
Note: college!AU su Carol/The Price of Salt scritta a quattro mani; il rating potrebbe aumentare pian piano.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2 

 

 

 

 

 

Carol chiuse la portiera della macchina con un colpo secco. Poggiò le mani sul volante e la fronte sulle mani, sospirando. Questa non ci voleva proprio.  
Frugò nella borsa in cerca di una sigaretta, ma, come sempre quando ne aveva più bisogno, il pacchetto era vuoto.  
Un picchiettare sul finestrino del passeggero la fece sobbalzare, facendole ricadere i capelli sul viso.  
«Professoressa Aird, la trovo nervosa.» 
Carol sorrise nel sentire la voce attutita dal vetro.  
Aprì la portiera dal lato del passeggero e gettò la borsa sul sedile posteriore per fare spazio ad Abby Gerhard.  
L’amica si accomodò e le porse una sigaretta senza nemmeno aspettare che Carol gliela chiedesse.  
A volte si domandava se al mondo ci fosse qualcuno che la conoscesse di più di Abby.  
Non appena inspirò la prima boccata di fumo, i muscoli di Carol si rilassarono immediatamente.  
«Primo giorno difficile?» dedusse Abby, fumando anche lei e guardandola con l’aria di chi la sa lunga.  
Carol le sorrise, sfuggente, ed annuì.  
«Ho incontrato Harge nei corridoi stamattina,» continuò Abby, ormai rassegnata al silenzio dell’amica. «Il tuo ex ha sempre la stessa faccia da stronzo.» 
Carol rise, sorpresa, ed il fumo le uscì dalle narici e le bruciò la gola, facendola tossire.  
«Occhio a come parli, legalmente è ancora mio marito. Ed anche il padre di mia figlia,» aggiunse, come se quel dettaglio le facesse venire il mal di testa.  
«Tranquilla,» commentò Abby. «La mia figlioccia capirà presto quanto suo padre sia idiota. L’adolescenza non è poi troppo lontana.» 
Gli occhi grigi di Carol si persero in un punto lontano, fuori dal parabrezza, dove la neve fresca si mischiava a quella sporca agli angoli della strada.  
«Rindy ha solo cinque anni,» disse, le labbra rosse tirate. «Vorrei potesse averli più a lungo.»  
Abby stavolta non replicò, ma fece una carezza ai capelli di quella che era la sua migliore amica da quasi venti anni.  
Rimasero un altro po’ così, a fumare in silenzio.  
 

«...novantanove, cento!» recitò la bambina, farcendo penzolare le gambe dallo sgabello.  
Carol diede un bacio sui capelli della figlia e ripose la spazzola sul comodino.  
Rindy saltò giù dallo sgabello e si infilò a letto, circondata dalle sue bambole.  

«Mamma!» chiamò, mentre Carol si sedeva sul bordo del letto e le rimboccava le coperte.  

«Sì, tesoro?» rispose, cercando di lisciare ogni piega presente sul soffice piumone.  

«Anche le principesse danno cento colpi di spazzola prima di andare a letto?» domandò la bambina, rimirando sospettosa la bambola di Rapunzel che aveva accanto.  

«Tutte le principesse lo fanno, pulcino.» Carol sorrise nel vedere il volto della figlia illuminarsi.  

«Se lo fanno tutte... vuol dire che anche io lo sono?» chiese speranzosa.  

Carol le poggiò una mano sul viso, carezzando col pollice il profilo perfetto di sua figlia.  
«Certamente,» assentì. «Sei la principessa di mamma.» 

«E di papà,» aggiunse prontamente Rindy 

Mentre si stringeva al petto le bambole e si sistemava contro l’enorme cuscino, la bambina non si accorse del sorriso amaro che si gelò sul volto della madre.  

 

Carol entrò in classe con la solita fretta agitata e noncurante, la sciarpa che le pendeva dal collo bianco e il cappotto sbottonato sul tailleur blu.  
Nonostante i suoi sforzi, gli occhi le caddero automaticamente sul banco centrale in terza fila, dove i grandi occhi scuri di Therese Belivet la stavano già osservando intensamente.  
Carol sorrise lievemente, poggiò la borsa sul tavolo, si riavviò i capelli all’indietro con fare istintivamente nervoso e prese a parlare di Hegel.  
Come il lunedì, anche quel giorno Miss Belivet fu l’ultima a rimanere nell’aula a fine lezione. 
Con la coda dell’occhio, Carol notò che la ragazza stringeva convulsamente qualcosa tra le mani. 
Stranamente senza fretta, l’insegnante completò di rimettere tutto nella borsa in maniera ordinata prima di voltarsi verso l’alunna.  

«Miss Belivet,» la salutò, come se si fosse appena accorta della sua presenza.  

«Ha lasciato qui i suoi guanti,» si affrettò a dire Therese, allungando quelli che, in effetti, erano i guanti di pelle marroni di Carol. «Lunedì,» precisò la ragazza di fronte all’espressione sorpresa dell’insegnante.  

Carol fissò le mani della ragazza, insolitamente minute e semplici a confronto coi guanti costosi. Li prese, sfiorandole deliberatamente il dorso della mano con le dita.  
Therese rabbrividì visibilmente.  
Carol le sorrise a denti scoperti, affascinata.  

«Grazie, Therese,» sussurrò, le loro mani ancora in contatto.  

Poi si scostò bruscamente per riporre i guanti nella borsa.  

«Therese...» ripeté poi, guardandola nuovamente. «Che ragazza strana che sei. Volata dal cielo.» 

 

Si incamminarono spalla a spalla fuori dall’aula.  

«Voglio sdebitarmi in qualche modo,» disse Carol, improvvisa.  

Therese la guardò con aria interrogativa.  

«Per i miei guanti,» chiarì l’altra. «Sei stata davvero un tesoro a custodirli con così tanta cura ed a rendermeli. Molti tuoi compagni li avrebbero venduti su eBay.» 

Rise scuotendo la testa e Therese sorrise di rimando, timida.  

«Posso offrirti un caffè?» insisté Carol. «Qualcosa di più forte, magari. Hai l’età per bere, immagino. Ma con me non dovrebbero esserci problemi.» Le strizzò l’occhio con fare cospiratorio e si ammaliò nel seguire la gola di Therese deglutire.  

«Va bene,» accettò la ragazza. 

 

Carol si accertò di notare ogni singolo stupito battito di ciglia, ogni espressione sorpresa o sognante sul viso di Therese, mentre percorrevano il breve tragitto in macchina che li portò al locale. 
Aveva scelto un posto poco impegnato, ma ciononostante di classe. Non sapeva esattamente perché, ma voleva impressionare la giovane alunna, fare colpo su di lei.  
Si era compiaciuta nel vedere come Therese sembrasse perfetta, seduta accanto a lei sulla macchina, avvolta dal suo profumo. Si beava nel guardarla attentamente sotto le luci soffuse del locale, osservarla contorcersi lievemente a disagio nel suo sguardo accattivante ed al contempo inquisitore.  
Sapeva, come sua insegnante, di avere potere su di lei.  
Ma in quel momento, mentre seguiva rapita la lingua di Therese leccarsi via una goccia di cocktail dalle labbra pallide, sperava di avere un altro specifico tipo di controllo sulla ragazza.  

«Ti piace?» chiese. «Immagino tu non sia molto esperta in materia, ma pensavo ti potesse piacere qualcosa di dolce per contrastare il sapore dell’alcol.» 

Therese prese un altro sorso dal suo Pink Martini e sorrise innocentemente da dietro la fettina di lime. Carol le face un occhiolino cospiratorio.  

«Parlami di te, Therese.» Era una richiesta al contempo perentoria ma cortese. «Parlami dei tuoi interessi, passioni, hobby.» 

La ragazza si guardò intorno come se fosse di fronte alla corte marziale. Poi prese un respiro profondo e sembrò imporsi di calmarsi.  

«Mi piace la fotografia,» rivelò. «La adoro, in realtà. Amo guardare le cose da dietro all’obiettivo di una fotocamera. Dà una prospettiva nuova, unica, ma al tempo stesso straordinariamente oggettiva. Non si può mentire in una foto, non senza mostrare la realtà.» 

 
Le guance le si erano arrossate, e non a causa del poco alcol che aveva ingerito. Carol si affascinò nel vedere come il velo opaco che sembrava coprire perennemente gli occhi di Therese si sollevasse mentre parlava del suo amore per la fotografia, scoprendo uno sguardo appassionato e dedicato. Era splendente.  
Distolse gli occhi per non rischiare di restare abbagliata. 

«Mio marito è appassionato di fotografia,» disse, resistendo alla tentazione di fumare una sigaretta. «Ha iniziato anche lui come me ad insegnare quest’anno al college: Harge Aird. La sua materia di indirizzo è matematica.» 

Therese sbatté le palpebre velocemente un paio di volte, stupita. 

«Il professor Aird tiene un corso di fotografia tre volte alla settimana...» “Pensavo lo sapesse”, sembrava implicare il resto della frase, anche se rimasta sospesa. 

«Che sciocca che sono,» si rimproverò Carol, la quale aveva sempre più bisogno di una sigaretta. Si passò una mano tra i capelli. «Sono ancora abituata a chiamarlo “marito”, ma io e Harge siamo separati ed in attesa di firmare le carte del divorzio.» 

Mandò giù il resto del suo Martini con oliva, attendendo una qualsiasi reazione da parte di Therese. 

«Mi dispiace.» fu la banale quanto sincera risposta della ragazza.  

Carol sbuffò, ridendo brevemente ed amaramente. «Non dispiacerti. Ci siamo rovinati la vita a vicenda. Lui voleva una perfetta moglie in stile anni cinquanta. Io un uomo che mi trattasse da pari e mi amasse per quello che sono,» fece una breve pausa per sorridere, affettata. «Nessuno dei due ha trovato ciò che cercava. Ma ci siamo regalati qualcosa che nessun altro avrebbe potuto darci: nostra figlia, Rindy. Potrei ancora provare un briciolo di rispetto per lui, se non stesse cercando di portarmela via.» 

Carol non si aspettava che quel fiume di parole le uscisse così, di getto, di fronte a quella che era sostanzialmente non solo un’estranea, ma anche una sua allieva. 

«Scusami,» sussurrò, cercando lo sguardo di Therese. 

La ragazza la stava già guardando.  
Si rivolsero un lieve sorriso. 

   
 
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