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Autore: Ness by Moon    03/12/2018    1 recensioni
Si era innamorata di lei da quel giorno al Rabbit Hole, quando si era soffermata ad ascoltarla andando oltre ciò che la città le chiedeva di essere. Si era innamorata di lei per il modo in cui la faceva sentire, viva più che mai e immersa in un bagno di lava che le faceva bruciare il cuore. Si era innamorata dei suoi occhi, così maledetti scuri e sporchi, che la stendevano al tappeto al primo sguardo.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Nuovo personaggio, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevano cercato Emma in ogni angolo di Storybrooke, in ogni bar, caffetteria, pub o che altro. La donna sembrava essere sparita, proprio come nella realtà dalla quale veniva Alexis. Il panico aveva iniziato ad invadere anche il corpo di Regina, la quale, in quel momento, iniziava a rendersi conto di quanto stupida fosse stata ad allontanarsi tanto da sua moglie. E come sempre, ci se ne accorge solo quando si perde. Voltò appena lo sguardo verso sua figlia, la ragazza se ne stava con il capo retratto e le mani fisse tra i capelli. Sul viso, un’espressione distrutta e sul punto di versare un numero indefinito di lacrime. Allungò una mano verso di lei per stringere le sue dita, per cercare in qualche modo di confortarla. Erano ferme nel viale di case da diversi minuti ormai, incapaci di lasciare la vettura.

-Che ho fatto, mamma. Che diavolo ho fatto! –

-Tesoro, non è colpa tua-

-Si invece! Ho lasciato Laya, ho lasciato Henry e mamma è sparita! È solo colpa mia, mia e del mio stupido desiderio di sistemare le cose! –

Scoppiò in lacrime, per la seconda volta in un tempo troppo ravvicinato. A Regina non restava che guardarla, flagellandosi l’anima per quell’assurda idea avuta tre mesi prima. Sua figlia era tornata a casa distrutta, fisicamente ed emotivamente, poteva vederlo quanto fosse instabile al momento. Sospirò, accartocciandosi il cervello alla disperata ricerca di una soluzione. Poi lo sguardo le cadde sulla finestra della cucina della villa, ne era certa, qualcuno si era mosso all’interno della casa.

-Alexis, c’è qualcuno in casa-

La ragazza scattò dritta, negli occhi un’onda magica fece vibrare il suo verde. Scese dalla macchina come una furia, correndo verso l’interno. Tra le dita, una sfera di fuoco stava già andando a materializzarsi. Regina le corse dietro, afferrandola per un braccio.

-Tesoro, sta calma-

Ma Alexis era già troppo lontana dalla realtà per poterle dar retta. Entrò in casa carica come una pila, pronta ad incenerire gli intrusi presenti a casa sua. La tensione le circolava nelle vene assieme alla magia e Regina era certe che se fosse scoppiata una battaglia, sua figlia non sarebbe riuscita a controllarsi. Avevano lavorato così tanto sul controllo della magia e sul domare le proprie emozioni, ma per quanto Alexis fosse stata una perfetta alunna, quando la sua emotività bussava la magia ne risentiva. Per cui le stava dietro, pronta ad intervenire qualora ce ne fosse stato bisogno. La sfera di fuoco tra le sue dita la preoccupava, sapeva fin troppo bene cosa significava arrendersi alla magia oscura ed era consapevole che né lei né Emma sarebbero riuscite a fermarla. Un rumore dalla cucina le fece voltare entrambe, la mano della ragazza già alta verso l’intruso. Stava per lanciare quando Regina la fermò urlando e afferrandole il polso.

Emma, occhi sgranati e tazza di caffè in mano, non seppe se prendere la pistola dalla fondina o rispondere con la magia. Ma quando il suo verde si scontrò con quello della figlia, le mani le divennero talmente molli da lasciar cadere ogni ipotesi. Senza dire una sola parola, si avviò a passi troppo lenti verso la figlia. Le prese il viso tra le mani, come a volersi accertare che fosse realmente lei, per poi abbracciarla tanto stretta da farle dolere le costole già provate per i bruschi atterraggi.  Entrambe si sciolsero in un pianto liberatorio, e Regina non fu mai stata così felice di vedere sua moglie piangere. Emma aveva tenuto tutto dentro per così tanto tempo, da esplodere di fronte a quell’enorme sollievo. Si avvicinò alle due, ma non riuscì a stringerle. L’astio tra lei ed Emma, ancora non si era alleviato nonostante il ritorno della ragazza.

-Dio Lex, finalmente. Ci hai fatto morire di paura! –

-Mi siete mancate così tanto, mamme-

Si voltò verso Regina, non comprendendo quella sua freddezza e quel così palese distaccamento dell’altra donna.

-Abbiamo così tante cose di cui parlare, mamme. Potremmo cominciare da cosa diavolo vi è successo-

 

Regina trovò quasi strano vedere Emma in pigiama seduta all’angolo sinistro del loro letto. Era diverso tempo che la donna non frequentava quella stanza della casa. Dopo il racconto di Alexis, si erano sentite entrambe così stupide ad aver litigato per tutto quel tempo mentre la loro bambina sopportava di tutto in silenzio. Eppure, nonostante adesso la ragazza dormisse nella sua stanza, o quantomeno era ciò che credevano facesse, non riuscivano a guardarsi negli occhi. Emma era nella stessa posizione da diversi minuti, ormai, mentre Regina aveva spalmato di crema ogni centimetro del proprio corpo. Non avevano più parlato dal giorno precedente al molo, quando la bionda era andata via senza voltarsi nemmeno una volta.

-Dove sei stata, Emma? –

-Avevo bisogno di staccare la spina-

-Con il pirata? Capitan Eyeliner è sicuramente la scelta più saggia, in un momento delicato come questo-

Emma si alzò dal materasso passandosi le mani tra i capelli, già stufa di quella conversazione.

-Regina per favore, Lex è appena tornata aspettiamo almeno domani per litigare, ok? –

La bruna la fissò sconvolta da dietro i suoi eleganti occhiali da vista. Si alzò anche lei, ma non si avvicinò. Temeva di prenderla ancora a sberle.

-Credi che io mi sia divertita, Emma? O che provi piacere nel discutere con te da più di due mesi, ormai? –

-Io non lo so più, Regina! Ogni volta che ci incontriamo finiamo per litigare, ogni volta che proviamo ad avere una conversazione finiamo per litigare. Anche adesso che nostra figlia, la persona più importante delle nostre vite, è tornata a casa ci riduciamo a litigare. Non credi significhi qualcosa? –

Regina non riuscì a credere a ciò che aveva appena sentito, non riuscì a credere che quelle parole nascessero dalle deliziose labbra di Emma. La sua Emma.

-Che stai cercando di dirmi? –

-Sto cercando di dirti che ormai il problema non è più Lex, ma noi-

-Vuoi lasciarmi, Emma? –

Nel petto di Regina, nacque un senso di terrore e panico che non aveva avvertito nemmeno con la scomparsa di Alexis. Sentì le gambe tremarle e il cuore accelerare così tanto da renderle difficile respirare. Gli occhi le si riempirono di lacrime e in attimo si rese conto di esserci arrivata da sola a quella situazione. Fu come se la semplice tranquillità di avere sua figlia alla porta accanto, avesse sollevato quel velo che le impediva di vedere nitidamente la realtà. Riuscì a vedere quante volte avesse allontanata Emma da sé e quante altrettante volte era stata peggio della Evil Queen, con lei. Rivide avanti agli occhi la sera in cui l’aveva sbattuta fuori di casa, quella in cui l’aveva presa a schiaffi e tutte le volte che l’aveva cacciata via dal proprio letto. Aveva allontanato l’amore della sua vita, quella meravigliosa donna che le aveva fatto riscoprire la felicità e la voglia di essere una persona migliore.

O forse, più semplicemente, era la paura di vederla andar via una volta e per sempre.

-Io ti amo, Regina. Ti amo più della mia stessa vita, tu e Lex siete tutto ciò di cui ho bisogno, ma tutto questo dolore, tutto questo gelo che c’è tra noi non riesco più a sopportarlo. Voglio tornare a casa la sera e vedere di nuovo quel meraviglioso sorriso che rivolgevi solo a me, sentirti battibeccare con Lex per l’uso della magia e poi infilarmi nel letto al tuo fianco. Ma questo non esiste più da troppo tempo ed io non posso tollerarlo ancora! –

Gli occhi della bionda si riempirono di lacrime, ma non aveva idea se fossero di dolore, rabbia o frustrazione. Regina le mancava, le mancava ogni singolo giorno e anche se era fisicamente a due passi da lei, sua moglie non c’era. Non c’era da quando Alexis era partita. Sollevò lo sguardo su di lei e quasi si sorprese quando vide il suo volto sconvolto. Regina sembrava provare un enorme dolore, lo stesso che le aveva visto quando aveva avuto un aborto spontaneo. Il dolore della perdita. Sospirò e le si avvicinò a passo lento, poi le mise le mani sulle spalle.

-Regina, io non voglio tutto questo, ma sono stanca. Quindi, per quanto tutto ciò ferisca entrambe, dobbiamo decidere cosa fare-

Desiderava baciarla, lo desiderava con tutta sé stessa. Desiderava spogliarla e toccare ogni centimetro di pelle, farlo suo. Ma tutto ciò che fece, fu sfiorarle le guance e lasciare la stanza in favore di quella degli ospiti.

Ciò che entrambe ignoravano, era che Alexis aveva ascoltato l’intera conversazione.

Tornò nella propria camera più avvilita di quanto già non fosse, non solo aveva perso ogni cosa, ma per colpa sua le sue madri erano in crisi. Si chiuse la porta della propria camera alle spalle scivolando contro il legno con le spalle fino a cadere seduta sul pavimento. Tirò le gambe al petto e scoppiò a piangere, ancora una volta. Sentiva il petto schiacciarsi sotto una pressione che non riusciva a scacciare, sentiva il cuore scricchiolare e sgretolarsi ulteriormente. Avrebbe voluto urlare, dar sfogo a tutto quel dolore che l’attanagliava e che le impediva di respirare. Le lacrime le inumidirono le labbra, invadendole la bocca e rendendola salata. Si impose la calma, obbligò il proprio stomaco a non infierire ancora su di lei. La sua stanza, per quanto grande fosse, le sembrava talmente piccola da opprimerla. Piccola come la stanza di Laya. Sgranò gli occhi al pensiero del nome della ragazza, i suoi occhi scuri le invasero la mente, il cuore, le iridi. Vide solo nero. Un nero che l’avvolgeva, la strangolava, la lasciava cadere senza via di fuga. Si rannicchiò così tanto contro sé stessa, da sentir male alle ginocchia e alla schiena. Ma per quanto si fosse sforzata, non riuscì a tenere lo stomaco al suo posto. Scattò in piedi come una molla, corse verso il bagno e si piegò sulla tazza vomitando tutto il suo dolore.

Emma e Regina, provenienti da due stanze diverse, accorsero in un secondo in suo aiuto. Ma per quanto ci provassero, non avevano potere di far nulla.

 

 

SEI GIORNI DAL RITORNO

 

Regina si ritrovò a pensare che aveva dormito più mentre sua figlia era lontana, che da quando era tornata. Alexis passava le giornate a piangere chiusa in camera sua e le notti a lottare tra incubi, urla e corse al bagno. Lei ed Emma aveva provato in ogni modo a loro conosciuto ad aiutarla, ma la ragazza non accettava nessuno al suo fianco. Si era segregata nella sua stanza, chiudendo tutto il resto del mondo fuori. Non aveva voluto vedere la sua famiglia, né tantomeno Gideon. Aveva provveduto a consegnare il Cappello del Mago alle sue madri, affinché ci imprigionassero i loro nemici. Non aveva voluto più saperne alcunché, conscia che se avesse incontrato il Cigno Nero e Claude Frollo non sarebbe stata in grado di controllarsi. Avrebbe ricercato la vendetta contro le persone che l’avevano separata da Laya. Regina non aveva insistito, leggendo negli occhi della figlia nient’altro che dolore.

Per Snow White era ormai consuetudine passare i pomeriggi nel salotto di casa Swan-Mills, sperando che sua nipote allentasse un po’ quella forzata reclusione. Quel giorno erano presenti anche Leopold e Gideon.

-Che cosa possiamo fare? – Chiese la donna.

-Non lo so, mamma. Non lascia entrare nessuno-

Regina non proferì parola, lacerata dal dolore della figlia. Poteva comprendere il suo dolore, poteva comprendere la sua reclusione, ma sperava che almeno lasciasse una minuscola fessura ai suoi amici. A Gideon. il ragazzo sembrava essere il più allarmato da quella situazione, già reduce dal primo crollo di Alexis.

-Vado io-

Leopold lasciò il divano per recarsi al piano superiore, ma Emma l’afferrò per un braccio.

-Ti prego, Leo-

Il ragazzo non sapeva per cosa esattamente sua sorella stesse pregando, se affinché non fallisse o per non essere troppo duro con Alexis. Non era mai stato una persona particolarmente empatica, né tanto meno paziente. Ma una cosa era certa, amava Alexis. Quindi si limitò ad annuire una sola volta, per poi dirigersi verso la camera della ragazza.

-Se non sentiremo urlare, sarà già una vittoria- sospirò Emma.

Leopold salì le scale con un vago senso d’ansia, nonostante non fosse stato particolarmente vicino ad Alexis in passato, aveva sofferto per la sua condizione. Ma se per il suo carattere fin troppo forte e spavaldo la reazione era stata quella di gettarsi a capofitto nella lotta, per la ragazza la disperazione era stata l’unica via. C’era stato Gideon con lei, ma questa volta, ne era certo, l’estrema bontà d’animo del ragazzo non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose. Alexis aveva bisogno di qualcuno che avesse pugno duro e non si lasciasse intimidire dalle sue infinite lacrime. Fu con tutte quelle buone intenzioni che bussò alla sua porta.

-Andatevene! – fu la risposta che ricevette.

Non ci badò più di tanto, abbassando la maniglia non sorprendendosi affatto di trovarla aperta. Nella loro famiglia, non era certo una serratura a fermare un familiare dall’invadere la propria privacy. E lui lo sapeva fin troppo bene.

-Mamma ti ho detto … ! –

Leopold era certo di non trovarla in buono stato, ma ciò che gli si parò di fronte lo fece rabbrividire. Alexis era rannicchiata contro la spalliera del letto, minuscola in confronto a tutto il resto. Il viso segnato da troppe notti insonni e gli occhi rossi aveva ingoiato il verde splendente che era solito marchiarli.

-Sono io- disse a palmi alti.

La ragazza si limitò a guardarlo per un solo istante, senza nemmeno vederlo realmente. La maschera di dolore parlò al posto suo.

-Vattene-

Leopold si avvicinò al letto a passo lento, come se di fronte non avesse quella ragazzina alla quale aveva quasi cambiato i pannolini, ma una bestia feroce.

-Fai schifo, lo sai? –

-Leo, esci dalla mia stanza-

Il ragazzo si accomodò sul letto dandole le spalle. Tutta la sua sicurezza si era sgretolata appena incontrato il suo sguardo, riducendolo ad un ammasso di muscoli stretti in una felpa troppo piccola che governava un cuore in tumulto.

-Voglio solo parlare, Lex-

-Io no, quindi vattene-

Leopold le rivolse un solo sguardo e tanto gli bastò per comprendere quanto la sofferenza scavasse in lei ogni secondo un nuovo solco. Gli sembrò fosse dimagrita, incredibilmente, e che avesse perso la voglia di vivere. Fu a quel pensiero che ritrovò il proprio spirito combattivo. Si alzò dal letto ed andò ad aprire le tende, guadagnandosi diversi insulti ai quali però non badò.

-Che cazzo, Leo! –

Alexis saltò giù dal letto tentando di superarlo e tornare a nascondersi nel proprio buio, ma Leopold non glielo permise bloccandola per i polsi e stringendola a sé.

-Lasciami! –

-No che non ti lascio. Hai deciso di buttare tutta la tua vita all’aria? Di restare rintanata qui dentro fino a data da destinarsi? –

-Non ti riguarda! –

Alexis si dimenava tra le braccia dello zio, anche se non si erano mai definiti a quel modo, scalciando e facendo reclamo a tutto la sua poca forza.

-Sei tornata da una settimana e non ti sei degnata di farti vedere dalla tua famiglia, da persone che ti amano e che tengono a te. Non hai permesso a Phoebus e Fleur-de-Lys di piangerla perché non hai il coraggio di dirglielo! Non è questo che ci hanno insegnato! -

La minore si sentiva una bambina intrappolata in una morsa di pietra, smise di lottare solo quando si rese conto che sarebbe stato del tutto inutile. Non avrebbe potuto vincere ed era troppo spossata per usare la magia. Solo allora Leopold la lasciò, permettendole di guardarla negli occhi.

-Ti rendi conto che hai allarmato tutti? Nessuno sa cosa fare con te, nessuno sa come aiutarti. Come fai a fregartene di tutto questo? –

-Perché non riesco a pensarci! Non riesco a pensare ad altro che sia Laya! –

Pronunciare il suo nome fu doloroso, come se qualcuno le avesse strappato il cuore dal petto e lo stesse stringendo tra le dita.

-Non esiste solo Agnès, vuoi mettetelo in testa? –

-Cosa cazzo vuoi saperne tu? Non sai cosa si prova a perdere qualcuno! –

Leopold rimase in silenzio, respirando profondamente e cercando di ricordare l’ammonimento di sua sorella. Era vero, non era mai stato legato a qualcuno al di fuori della propria famiglia come Alexis era legata a Laya. Eppure si sbagliava, poteva comprenderlo.

-Ho perso te. Da quando Agnès è sparita, io ho perso te-

I toni si erano abbassati, gli animi raffreddati. Alexis guardò il ragazzo, come se sul suo viso cercasse una qualche sorta di rivelazione. Gli occhi le si riempirono di lacrime che non voleva versare. Leopold se ne accorse e mosse qualche passo nella sua direzione a braccia aperte. Alexis fu inizialmente restia ad affrontare di nuovo quel contatto, ma il calore del petto del ragazzo era un porto sicuro al quale al momento non riusciva a rinunciare.  Poggiò la fronte contro i suoi pettorali e solo quando le braccia di Leopold l’avvolsero, si sciolse in nuove lacrime aggrappata alla sua felpa.

-Mi manca, Leo. Non riesco a sopportare l’idea di aver fallito, di aver buttato tutto all’aria. Laya è lì, è lì tra le braccia di un altro ed io sento di impazzire-

Il ragazzo ingoiò un groppo di saliva mentre la teneva stretta e per un attimo gli sembrò impossibile che un corpo tanto piccolo potesse contenere un dolore tanto grande.

 

 

OTTO GIORNI DAL RITORNO

 

Alexis era stata costretta a lasciare la propria stanza per una causa maggiore; Phoebus e Fleur-de-Lys stavano per arrivare alla villa Swan-Mills e sarebbe toccato a lei comunicargli il proprio fallimento. Aveva cercato di rimettersi in sesto, di tentare in ogni modo di apparire più forte di quanto in realtà non fosse. Leopold aveva promesso di starle accanto e di supportarla ad ogni passo, il ragazzo le era stato incredibilmente vicino dopo la discussione avuta in camera sua. Anche in quel momento, mentre faceva ricorso a tutti gli insegnamenti di buona educazione impartitogli da Regina, le dava forza tenendola una mano sulla schiena. Emma e Regina erano estremamente sollevate nel vedere che almeno qualcuno era riuscito a scardinare la corazza che la loro bambina si era incollata addosso.

-Non ce la faccio, Leo. Mi viene da vomitare-

Il ragazzo le mise entrambe le mani sulle spalle e gli impose di guardarlo negli occhi.

-Sii forte, Lex. Glielo devi. E poi ci sono io con te-

-Lo so, lo so, ma… -

I dubbi della ragazza furono scardinato da un pesante bussare alla porta di casa e tanto bastò a farla tremare. Quando li vide entrare, sentì il cuore cercare in ogni modo di scappare dal petto per andare a nascondersi sotto il letto. L’uomo che ricordava enorme, era dimagrito al punto da sembrare incredibilmente più piccolo di Leopold. Fleur-de-Lys sembrava invecchiata di cent’anni. Dopo imbarazzanti saluti, Phoebus puntò lo sguardo sulla ragazza trasmettendole tutto il proprio nervosismo. Lasciò la mano della compagna per permetterle di andare ad abbracciarla e tanto bastò per farla sentire una traditrice, un essere spregevole al pari del Cigno Nero.

-Bentornata, tesoro-

I suoi occhi azzurri, carichi di speranza, saettavano per tutta la stanza alla ricerca della figlia adottiva. Lo stesso facevano quelli dell’uomo.

-Volete accomodarvi? Magari gradite del sidro di mele– Domandò cortese Regina indicando il salotto.

-Dov’è mia figlia? –

Le parole rudi dell’uomo arrivarono come una pugno alle orecchie di Alexis. Provò a rispondere, ma tutto ciò che ne uscì fu un muto sospiro.

-È meglio che vi sediate- rincalzò Emma.

Phoebus comprese in attimo, per quanto fosse un uomo dalla cultura modesta, non era certo stupido.

-Dov’è Laya! –

Fece un passo avanti verso Alexis e lo stesso fece Leopold verso di lui, a protezione della ragazza che si nascose dietro i suoi muscoli. Emma fu costretta ad intromettersi, frapponendosi tra il fratello e i loro ospiti.

-Calmiamoci tutti- disse rivolgendo particolare attenzione al fratello.

Fleur-de-Lys comprese cosa stesse accadendo e cosa avevano da riferire. Strinse un braccio del compagno, gli occhi già lucidi di lacrime dolorose. Fu lei a parlare, rivolgendosi direttamente alla ragazza.

-Alexis, ti prego-

La piccola Swan-Mills sentì il cuore frantumarsi di fronte a quella supplica appena sussurrata. Ingoiò le proprie lacrime e si parò di fronte la coppia con le mani che le tremavano.

-Io… quando sono arrivata lì, lei … -

-Parla maledizione! –

Il viso di Phoebus divenne paonazzo, tanto da terrorizzare la ragazza che fece inconsciamente un passo indietro. La mano di Leopold su una spalla le fece sentire che qualsiasi cosa fosse successa, lui c’era.

-Non sono riuscita a riportarla a casa-

Parlò tutto d’un fiato, ad occhi chiusi e tremando come una foglia. Poi ci fu silenzio. Ci fu un attimo in cui il tempo sembrò fermarsi sul dolore di tre persone, come se volesse scandirlo al meglio. Quando ricominciò a scorrere, mostrò il viso dell’uomo deformato dallo shock. Gli occhi gli si erano sgranati all’inverosimile lasciando cadere silenziose lacrime. Fleur-de-Lys lo abbracciò, ma non ebbe alcun tipo di reazione.

-Tu … tu hai dimenticato … mia figlia? –

-No! Non l’ho dimenticata, non lo farei mai! –

-E allora dov’è! Dov’è mia figlia! –

Phoebus aveva urlato così forte da far tremare tutti i presenti, Alexis più di chiunque altro. Indietreggiò, fino ad andare a sbattere contro Leopold.

-I-Io … -

Ormai le lacrime sembravano essere l’unica via di fuga e queste scesero copiose sulle guance della ragazza.

-Tu cosa? Sei tornata nella tua bella casa e hai lasciato mia figlia indietro! Lei ti ha dato ogni cosa e tu lo hai calpestato! –

Emma e Regina affiancarono la figlia, dandole tutto il supporto che riuscivano ad infondere. Alexis era sconvolta, i suoi occhi guardavano il vuoto perdendocisi.

-I-io… ho prova … -

-Non abbastanza! –

Fleur-de-Lys gli si parò avanti, cercando in qualche modo di placare la sua ira. Non lo aveva mai visto tanto adirato in vita sua, nemmeno nelle peggiori liti con Esmeralda. Il suo viso era rosso e la vena sul collo pulsava pericolosamente.

-Ehi! Lex ha fatto tutto quello che poteva! –

Leopold si frappose tra la nipote e l’uomo, la sua aria era minacciosa e la sua presenza imponente.

-Leo, ti prego non … -

-Rivoglio mia figlia! Rivoglio Laya a casa! –

Di fronte l’irruenza dell’ex capitano, anche Regina si posizionò avanti la figlia mentre Emma si avvicinò all’uomo.

-Phoebus, posso capire il tuo dolore, ma … -

-VOI NON POTETE CAPIRE! –

-Phoebus, per favore calmati- tentò Fleur-de-Lys.

-Calmarmi? Quella strega ha abbandonato Laya! La mia Laya! –

Quelle parole rimbombarono nella mente di Alexis come un tuono. “Abbandonato”, era stata questa la parola usata dall’uomo. Il fiato le si bloccò in gola, il cuore prese a battere troppo forte per essere normale. Aveva abbandonato Laya? Aveva messo sé stessa prima dell’amore della sua vita? Cadde in ginocchio, le mani sul petto e la faccia ferita dalle lacrime.

-Non ti azzardare a parlare così della mia famiglia! – minacciò Leopold puntandogli un dito contro.

-Mi dispiace. Mi dispiace- sussurrò appena.

Solo in quel momento i presenti parvero accorgersi di lei, rannicchiata sul pavimento del proprio ingresso.

-Tesoro! Amore cos’hai? – Regina le fu accanto ma Alexis non se ne accorse.
La sua mente era rimasta imprigionata in quella singola parola pronunciata da Phoebus. Dalle sue labbra, non usciva altro che un fievole “mi dispiace”. Si sentì schiacciare, opprimere da quella tensione tanto da sentir il bisogno di sparire. E così fece. Si teletrasportò via da quella casa e da tutte quelle accuse. Non si preoccupò di dove atterrò, l’unica cosa importante era che ci fosse silenzio. L’unico rumore erano i suoi singhiozzi e il suo cuore che continuava a spaccarsi.

 
  
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