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Autore: AlekHiwatari14    04/12/2018    1 recensioni
Sequel di Iris Harlock - una storia perduta nel tempo…
Margaret, avendo cambiato il corso dei tempi e impedito ai diavoli di impossessarsi del suo mondo, continua il suo ruolo da eroe mascherato, ma stavolta sotto un altro nome e con un aiuto in più.
Una nuova avventura l'attende e nuove sfide con nuove e vecchie conoscenze, oltre ad una novità in più.
Il suo cuore ormai è stato preso da qualcuno.
Non è più la Margaret di prima. È cresciuta e innamorata, ma quell'amore è destinato a non reggere per molto.
Il risveglio del Signore degli inferi fa tremare cielo e terra e la nostra Iris Nube deve mettersi all'opera per cessare l'inferno del suo mondo.
[La storia contiene: Gender Bender/ Tematiche delicate come il bullismo e il razzismo/ Possibile FemSplash e/o Splash]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: Gender Bender, Tematiche delicate
Capitoli:
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Fairy.

Eccomi qui, a varcare la soglia del cortile di scuola. Respiro l'aria che mi circonda, mentre una farfalla blu si posa sulla mia spalla.
Lei è Batty, la mia fata guardiana che mi fa da sempre da balia.
Mi sussurra all'orecchio con quella vocina che potrebbe essere confusa per un ronzio.
Piccola e minuscola, quasi impercettibile da comprendere per gli umani poichè difficilmente può essere udita da loro.
«Ricordati di coprire bene le orecchie...» Mi ricorda.
Metto le mani nella zona indicata, per controllare che le protesi siano al loro posto. Non sono umana, non sono uno spirito, ma solo un ibrido tratto da entrambi i geni. Sono un elfo, un essere impuro.
So che ho degli amici e di essere rispettata per quella che sono, ma ho combattuto molto per questo giorno. Ho combattuto e sofferto per il mio essere elfo.
Insomma, non mi sono mai sentita realmente me stessa. Sono sempre stata un ponte, una persona che viaggia tra il mondo spirituale e quello materiale. Persona che molto spesso prende il nome di strega, ma nel migliore dei casi, mi chiamano con il nome della realtà che sono. Sciamana, ovvero una strega bianca che predilige la natura e gli spiriti che lo abitano.
Mi guardo a torno ricordando il giorno in cui tutto ha avuto inizio.

 
***

Avevo solo quattro anni quando mi accorsi di essere diversa.
I bambini del villaggio, in cui vivevo con mia madre, non volevano giocare con me.
Mia madre mi vietava spesso di uscire e di vedere gente, ma non capivo il motivo. Io mi sentivo normale. Perchè trattarmi così freddamente?
Ero solo una bambina. Non riuscivo a comprendere la paura che tutti avevano nel cuore.
Avevano tutti paura di me e delle mie orecchie.
Sono sempre stata una persona testarda e, in un giorno di primavera, decisi di uscire per andare a giocare a campana con gli altri.
Ripeto, avevo solo quattro anni e le urla dei bambini mi traumatizzarono.
«È un folletto!» Disse uno dei bambini, seguito da un altro che urlò: «Si, è proprio lui! È Tremotino! Colui che rapisce i bambini!»
Si armarono di pietre e cominciarono a lanciarmele, chiamandomi nei modi più disparati possibili come: «Gnomo infame!» oppure «Ladro di anime.»
Insomma, pensavano fossi qualcosa di orribile che ruba anime o comunque uno spirito maligno...
Caddi a terra, sbraitando e urlando. Piangevo dal dolore e dalle cattiverie che stavo subendo e quelle mie urla vennero confuse con qualcos'altro: «Sta emettendo un richiamo!»
«È un mostro! Presto! Scappiamo!»
Quel giorno mia madre mi trovò piena di lividi e di ferite fatte a causa delle pietre che mi avevano lanciato addosso.
Ci volle un bel po' per riprendermi, ma mi sentivo molto sola, anche perchè vedevo alcuni spostamenti strani che non mi piacevano.
Non mi piaceva il fatto che nel mondo terreno ero sempre e solo con mia madre, mentre nel mondo degli spiriti solo con mio padre. Insomma, eravamo una famiglia, ma non mi sembrava affatto unita. Mio padre non era mai a casa e avvertivo la cosa come una famiglia separata e senza amore. Questo mi rendeva sempre più triste e sola. Non mi sentivo amata da mio padre e non vedevo amore. Lui era sempre nel mondo degli spiriti e non abbiamo mai cenato tutti insieme come una vera famiglia.
Ed io mi dividevo sempre tra lui e mia madre. Inutile dire che questo mi pensava.
Più passavano gli anni e più era opprimente vedere gli altri felici e con entrambi i genitori, mentre invece io no.
Cominciai a porre milioni di domande e solo allora mia madre mi spiegò realmente la situazione.
Era assurdo.
Umani e spiriti non potevano innamorarsi. Era contro natura. Per questo sono nata io, il frutto del sacrilegio e del potere dell'amore tra due anime che non dovevano incontrarsi, un ibrido. Essendo mio padre uno spirito della natura che governava folletti e fate, mentre mia madre era una semplice umana che si divertiva a capirne di magia, sono nata io, un semplice elfo.
Inutile dirlo, ma non mi è mai piaciuta la mia natura. L'elfo è una razza ibrida e le razze ibride hanno un massimo del 50% del DNA di entrambe le razze acquisite, dunque non appartenevo né al mondo visibile né al mondo invisibile, nonostante loro continuavano a dirmi che dovevo vivere in entrambi i mondi.
Il problema era solamente uno. Essendo l'unica erede dello spirito che governa fate e folletti avrei dovuto studiare per la mia formazione effettiva, poichè avevo un compito assegnatomi dalla nascita che ancora devo portare a termine. Insomma, come è di norma, tutti quegli spiritelli verranno affidati a me un giorno ed io sarò colei che governerà su di loro, indirizzandoli sul da farsi.
Il peso della responsabilità non mi è mai piaciuto, ma più passava il tempo e più diventava insostenibile.  Volevo solo essere normale. Volevo solo essere umana o invisibile. Non volevo entrambe le cose. Volevo essere normale ed è ovvio perchè avevo tredici anni. Volevo vivere la mia vita, essere me stessa, avere degli amici, ma più passava il tempo e più diventava difficile.
Mia madre si ostinava ad insegnarmi l'arte della Wicca, la disciplina magica che lega ogni soggetto umano agli spiriti e il mondo invisibile a quello visibile. Mio padre, diversamente da lei, mi mostrava quel mondo invisibile che un giorno sarebbe stato mio, insegnandomi le priorità e come regnarlo e gestirlo al meglio.
Peccato che non ho mai avuto poteri strepitosi, almeno non ancora.
Il mio unico potere era ed è quello di parlare con gli spiriti e fare da ponte dimensionale, un po' come sono gli sciamani, ma con la differenza che io non sono del tutto umana. In realtà... gli sciamani non sono umani, ma sono esseri che discendono o che hanno comunque geni di entità benevoli nel sangue, però questo è tutto un altro discorso che ho appreso negli anni.
Comunque sia, odiavo ed odio ancor tutt'oggi la magia, poichè conosco perfettamente il potere del karma.
Ogni cosa ha un prezzo, ogni cosa deve essere pagata. Per questo mi rifiutai di apprendere quella disciplina da mia madre, ma per qualche strana ragione riuscivo ad aiutare la natura.
Si, come una strega bianca che osservava e curava con il potere delle erbe e degli intrugli le querci e i fiori. Sentivo di cosa avevano bisogno. Sentivo che mancava loro l'acqua o avevano bisogno di riprodursi in altri ambienti. Era strano, ma era come se mi sussurrassero. Avevo questo potere, proprio come ce l'ho ancor oggi.
Insomma, io sono così. Parlo con l'animo della natura, ma non sapevo che era un vero e proprio potere.
«A quanto vedo hai scoperto la tua natura...» Mormorò mio padre, accennando un sorriso, nel vedermi annafiare un fiore e parlarci tranquillamente.
Mi voltai e quelle parole furono una lama nel cuore.
Quella semplice frase indicava che io appartenevo più al mondo invisibile e spirituale che a quello materiale.
Non l'ho mai accettato. La mia reazione a quelle parole forse fu troppo brusca, ma gettai tutto e andai nel mondo visibile.
Fuggi via, rinnegando ciò che ero. Mi rintanai in casa e mia madre mi vide piangere.
«Fairy, tesoro, cos'è successo?» Mi chiese, ma non avevo nemmeno la forza di parlare.
Avevo appena scoperto di non essere umana e che il mondo umano non sarebbe mai stato felice di ospitarmi. Parliamoci chiaramente, chi mai vorrebbe una come me? Chi vorrebbe uno spirito delle fate e dei folletti dentro casa? Chi mai amerebbe un'entità come me?
Mia madre, stanca e stressata dal mio pianto, si diresse in cucina, prendendo una tavola ouija per invocare mio padre, usando la forza dei quattro elementi: fuoco, acqua, terra e aria.
Per lei la magia nera è sempre stata una passeggiata. Mi calmai e andai verso la cucina, dove la vidi praticare quella tavola con accanto una candela, che simboleggiava il fuoco, una bacchetta di legno, che era simbolo di terra, e un bicchiere d'acqua che ovviamente era simbolo della sua natura.
Lui gli spiegò ciò che era accaduto e lei decise di aiutarmi. Mi iscrisse in una scuola locale per farmi sentire normale, ma io normale non ero.
Mi fece coprire le orecchie con i miei stessi capelli per permettermi di andare a scuola, ma era difficile.
Per quanto ci provassi, non ero mai abbastanza. Continuavano a darmi i nomignoli di mostro, non appena arrivavano folate di vento che scoprivano leggermente le mie orecchie o quando semplicemente toglievo i miei stupidi capelli dagli occhi portandoli all'orecchio quando ero applicata ad una verifica in classe. Sono gesti che si fanno senza riflettere e involontari, ma nessuno mi accettava per la mia natura.
Nessuno.
Io mi sentivo vulnerabile e terribilmente incompresa.
Mi sentivo schiava di me stessa e della mia stessa vita. Non potevo legare i miei capelli perchè dovevano coprire le orecchie e dovevo sempre stare attenta che fossero ben coperti. Non potevo dire dove andavo nei weekend e non potevo stare con loro perchè era l'unico momento che mi era concesso stare con mio padre e loro non avrebbero capito. Insomma, era tutto troppo complicato.
Non ero umana, non ero uno spirito, ero un elfo. Ero un essere impuro e disgustoso, ma stranamente potevo essere me stessa solo il giorno di San Patrizio.
In Irlanda si usava fare una grande festa e travestirsi da folletto, ballando e cantando.
Solo in quella festa potevo sfoggiare la vera me. Solo in quel giorno potevo essere felice. Solo in quel giorno potevo ridere e scherzare, danzando e mostrandomi alla gente avendo anche complimenti sulle orecchie che tutti odiavano. Questa cosa cominciava a pesare.
Mi pesava non essere sempre me stessa, ma il mio comportamento, il mio andare tra la gente nella mia forma, non era visto di buon occhio da mio padre.
Quel giorno, lui se ne accorse e mi richiamò.
Ricordo molto bene quando, entrando nelle sue stanze, si alterò urlandomi: «Fairy, quante volte dovrò dirti ancora che non devi mostrarti alle persone in questo aspetto?»
«Ma papà... io...» Tentai di dire, ma lui era furioso con me.
«Lo sai come la penso. Sei un elfo, un ibrido tra due razze, un essere impuro. Non sei uno spirito, non sei una fata, non sei nemmeno un essere umano. Guardati! Lo sto dicendo per il tuo bene.»
«Lo so papà, ma vorrei almeno divertirmi un po'... essere... normale...» Balbettai incerta.
Abbassai lo sguardo e lui sospirò, tornando ad essere un po' più calmo. Si voltò nuovamente verso me, continuando a dire con tono un po' più tranquillo: «Mi spiace, ma tu non sei nata umana. Tu devi comprendere le tue responsabilità di futura sovrana delle fate e dei folletti. Per questo ti ho procurato una balia.»
«Cosa? Una balia? Ma papà non l'ho avuta nemmeno quand'ero piccola!» Cominciai ad agitarmi non comprendendone il motivo, ma lui ormai era deciso.
«Lo so, ma lei ti farà da coscienza. Anch'io ne ho avuto bisogno alla tua età. So che non sei in una posizione facile ed è per questo che te l'ho procutata. Spero che capirai.» Mi disse, andandosene e lasciandomi lì a riflettere sulla questione.
Fu allora che conobbi Batty. Ero ribelle e non mi piaceva stare a ciò che mi consigliava.
Non mi fermava nessuno. Ero una vera peste.
Me ne andavo spesso in giro e, quando non ero nel mondo invisibile, me ne stavo in mezzo alla natura del mondo visibile.
Fu proprio allora che mi resi conto di qualcosa che non mi era stato ancora detto.
«Che ci fai in questi boschi tutta sola?» Sentii una voce maschile provenire da dietro all'albero sulla quale ero appoggiata.
Mi spostai e mi voltai di scatto verso colui che mi parlava.
Indietreggiai, vedendolo avvolto nell'oscurità.
Non capivo cosa fosse e nel camminare all'indietro caddi, ritrovandomi con le spalle contro il tronco di un albero.
«Ehi, non volevo spaventarti.» Mi disse quel tipo, continuando a starsene nascosto lì dietro.
«Chi sei?»
«Il mio nome è Aveel.»
«Cosa vuoi da me?»
A quella domanda cambiò espressione, diventando triste. Si nascose ancor di più dietro quell'albero ed io mi alzai velocemente, avvicinandomi con cautela verso di lui.
Perchè diamine è diventato triste? Cos'ho detto di sbagliato? Possibile che non sia cattivo come penso?
Queste domande continuavano a balenarmi nella mente ed io non potevo non dare delle risposte.
«Esci fuori, Aveel. Così non ti vedo.»
«Non credo tu voglia vedermi.»
«Perchè dici così?» Chiesi e lui rispose con tono triste, quasi stanco di ciò che aveva subito: «Non sono come tu pensi. Urlerai e mi allontanerai come fanno tutti. Nessuno vuole avere a che fare con un ibrido come me.»
Ibrido. Ancora quella parola.
Lui si comportava esattamente come mi sentivo io in tutti quegli anni, si stava comportando come un essere che non accetta la sua natura.
Lui era come me e non riuscii a non dire: «Anch'io lo so. Esci fuori. Giuro che non urlerò.»
Lo dissi senza battere ciglio, per non perdere l'occasione di vederlo uscire allo scoperto.
Ahimé, forse, era meglio starmene al posto mio. Era meglio scappare il più velocemente possibile, invece di chiedere di venir fuori.
Ciò che vidi fu una figura completamente nera. Era come un'ombra umana, ma diversa. Aveva delle ali possenti, molto simili a quelle di una falena.
Era strano. Non capivo cosa diamine fosse.
«Cosa sei?»
«Sono l'unione tra mezzosangue di genere demone-folletto e un'umana. Mi hanno battezzato con il nome di uomo falena.»
Avevo studiato ogni razza esistente insieme a mio padre e a mia madre. Sapevo con certezza che i demoni non potevano procreare, a meno che non si trattasse di diavoli invece di demoni.
«Demone? Ma i demoni non erano esseri sterili?» Chiesi, completamente presa dalla curiosità di capirne di più su colui che avevo davanti.
Rise e scosse la testa, per poi replicare: «Beh, gli umani sono esseri molto fertili. Basta poco per farli procreare, altrimenti noi non saremo qui.»
Quelle parole mi incuriosirono e, avvicinandomi, continuai a domandare: «Noi?»
«Si, tu ed io. Anche tu sei un ibrido, no? Altrimenti non saresti qui.»
Le sue unghie si infilarono nella corteccia dell'albero dov'era nascosto. Fece uno strano ghigno che cambiò totalmente il mio modo di vederlo.
Non mi ero sbagliata. Era una persona perfida colui che mi trovavo davanti e a confermarlo fu ciò che seguì: «Ma sai cos'è che adoro di più?»
Feci un passo indietro. I suoi discorsi iniziavano a terrorizzarmi. Alzò di scatto il volto verso di me e vidi nitidamente quegli occhi rossi come fuoco, mentre mi urlava: «Il fatto che tu abbia così tanto paura di me!»
Mi attaccò, mentre io cercavo di scappare. Mi difesi, infilandomi tra i rami degli alberi. Ero protetta dalla mia stessa natura, ma inutile negarlo.
Avevo paura. Cominciai a gridare nella speranza che qualcuno mi sentisse.
Fortunatamente, Batty si era resa conto del pericolo avvertendo mio padre che intervenne in modo tempestivo.
Quell'uomo falena distrusse gli alberi e mi prese per i polsi, cercando di violentarmi, ma non ci riuscì perchè mio padre venne in tempo. Gli sferrò un calcio sul volto, allontanandolo da me. Avendo le coscie da capra lo ferì ripetutamente. Aveel spiccò il volo, scappando via. Mio padre, dopo averlo messo in fuga, tornò da me, inginocchiandosi e cercando di capire se stessi bene.
«Stai bene?!»  Mi domandò, vedendo che ero ancora tutta intera.
Avevo paura. Tremavo come una foglia, e questo  mio tremare portò mio padre a stringermi a sé. Le lacrime uscivano spontaneamente dal terrore provato nel stare a contatto con quell'essere, ma solo in quell'istante mi resi conto di non essere l'unica creatura ibrida.
Passò qualche giorno prima che potessi riprendermi del tutto, ma la curiosità ormai si era insediata in me. Era come un parassita che ti divora attimo per attimo. La mia sete di conoscenza si faceva largo dentro me e questo mi portò a cercare, nella biblioteca delle fate, i libri delle razze pure e degli ibridi presenti sul mondo terreno.
In uno di quei libri lessi qualcosa che mi lasciò perplessa, qualcosa che dovevo chiarire e comprendere a pieno.
Andai da mio padre e decisi di fargli le domande di cui necessitavo delle risposte. Solo lui poteva darmi le risposte che cercavo.
«Papà, posso parlarti?» Chiesi, entrando nella stanza in cui lui alloggiava. Se ne stava lì, appoggiato ad una finestra, a guardare il lavoro che svolgevano  fate e folletti.
Si voltò verso di me con volto autoritario. Scosse la testa: «Fairy, ho del lavoro da fare.»
«Papà, non ti distoglierò molto. È una cosa che riguarda il mio futuro e me.»
Quelle parole sorpresero mio padre e, allo stesso tempo, lo convinsero a staccarsi di lì.
Sospirò e venne verso di me, chiedendo: «Cosa c'è?»
«Vedi, ci ho pensato molto e avrei alcune perplessità.»
«Che genere di perplessità?» Continuò ed io ne approfittai per fare quella domanda che lui non avrebbe mai voluto sentire.
«Quante razze ibride esistono su questa terra?»
Quella domanda lo lasciò spiazzato. Mi guardò con occhi increduli, mentre cercava di capire il motivo di quella mia curiosità: «Ce ne sono parecchie, ma non solo qui. Anche in altre dimensioni, mondi, luoghi ancestrali, ma... perchè me lo chiedi?»
«Papà, anche tu sei un ibrido, non è così?» 
Rimase in silenzio per un po', ma poi domandò: «Come ti viene in mente una cosa del genere?»
«Da che razza discendi? Dal fauno o dal satiro?» Aggiunsi, facendogli capire di aver studiato ogni creatura mitologica ed esistente sulla nostra terra fin dalla notte dei tempi.
Prese un respiro e venne da me.
Mi mise una mano sulla spalla, guardandomi diritto negli occhi.
Sinceramente mi aspettavo un urlo, un rimprovero o comunque un richiamo da lui, ma non fu così.
Sospirò e, scompigliandomi i capelli e sforzando un sorriso, rispose: «Satiro.»
«Che?!» Farfugliai ignara che ciò che avevo pensato fosse vero.
Si allontanò, dandomi le spalle e tenendo la testa bassa, mentre mi raccontava: «Mio padre, ovvero tuo nonno, era un satiro. Si innamorò di una fata, ma non una qualunque. Sposò la regina delle fate ed è per questo che io sono lo spirito che li governa.»
«Perchè non me l'hai detto prima, papà?!»
«Perchè avevo paura che non avresti capito e che avresti rifiutato il tuo destino.» Continuò a confessare con tono pensieroso.
Abbassai lo sguardo e mi avvicinai a lui abbracciandolo da dietro.
Lo strinsi più forte che potevo. Lui, con quelle gambe che portava e le corna ben accentuate, avrà sofferto molto di più di me da ragazzo. Me ne resi conto e non riuscii a fare a meno di dire: «Papà, ma io non chiedo molto. Voglio solo essere come gli altri umani. Vorrei essere normale, condurre una vita semplice...»
«Fairy, con il tempo capirai che ci sono più razze nate ibride che razze pure, ma per saperlo con certezza devi continuare a studiare con dedizione. Sei nata elfo per un motivo. Sei nata così perchè questa terra ha bisogno di qualcuno che l'ascolti. Gli animali, le piante e la natura circostante ha bisogno di te. Non trascurare la tua natura e i tuoi doveri. Quanto alla tua vita, se qui ti pesa vivere, se vuoi andare nel mondo visibile e vivere la tua vita, fingendoti umana, va pure, ma sappi che questo mondo ti appartiene di diritto. Avrei solo voluto insegnarti ciò che invece già sai.»
Poi, staccandosi da me, mettendomi una mano sulla testa e accennando un sorriso, concluse: «Sono fiero di te.»
Compresi che i doveri di cui parlava era l'ascoltare la natura e gli alberi, ma anche che mi sentivo parte di entrambi i mondi.
Insomma, non ero uno spirito, non ero un'umana, ero e sono semplicemente un elfo. Sono un ponte che collega due dimensioni e non posso negarlo. Questa è a mia natura di sciamana.
Decisi di ricominciare tutto d'accamo. Tornai a scuola, ma le cose andavano sempre male. Batty mi stava sempre vicino e mi aiutava nelle situazioni difficili, finché un giorno non decisi di chiedere di essere trasferita.
La domanda fu accettata, ma sarei stata trasferita solo se avessi dimostrato di eccellere a scuola.
Mi feci anima e coraggio, iniziando a studiare tutte quelle maledette materie, riuscendo nell'intento.

 
***

Va beh, poi da allora la storia la conoscete.
Sono stata solamente in giro per la scuola qualche mese, prima di integrarmi completamente e conoscere Margaret e Demy in quell'incidente assurdo.
Devo ammetterlo. Non pensavo che mi sarei fatta degli amici. Non con il mio aspetto, ma sono felice di essermi sbagliata.
Ecco perchè ogni giorno me ne sto qui, con il sorriso sulle labbra, attendendo i miei amici.
Ecco Morgan e Margaret passare il cancello d'ingresso a bordo della loro moto.
«Ehi!» Sbraito, agitando la mano, per poi andare incontro ai due.
Non c'è alcun dubbio.
Non poteva andare meglio di così.
Spero solo che un giorno possa essere la regina che mio padre vuole che sia, ma nel frattempo penso a spassarmela e fare ciò che è più difficile fare. Vivere.
   
 
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