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Autore: fedegelmi    04/12/2018    0 recensioni
"[...] Era da tempo che cercavo una persona come te. Sei impazzita così gradualmente che quasi hai fatto impazzire anche me, mi hai fatto eccitare più di quanto ogni omicidio che abbia compiuto non abbia mai fatto. Anche se ora mi leggi dove tutti possono vederti, non sperare di sfuggirmi. Una preda come te è esattamente quello di cui ho bisogno. Scappa pure se lo desideri, non farai che incrementare la mia eccitazione. Sto venendo a prenderti.”
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con
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È stato difficile trasportare il corpo di Diana all’esterno, su per le lunghe scale a pioli, ma ripensandoci ce l’ho fatta abbastanza velocemente.
Ringrazio la mia defunta madre per avermi odiato talmente tanto da avermi costretto ad allenarmi ogni giorno fino allo sfinimento; tutto quell’odio represso è stato utile anche quando ho ucciso lei. Un corpo diventa così pesante quando è senza vita.
Comunque è grazie a Diana se sono riuscito a caricarla così facilmente sul mio furgone, senza fretta né occhi indiscreti: ha avuto la brillante idea di nascondersi in una casetta abbandonata, sotto alla quale era stato costruito un bunker sottoterra, tempo fa.
Non so come abbia fatto a pensare che non l’avrei vista, che non me ne sarei accorto.
La osservavo persino mentre leggeva la sua ultima lettera: era scappata immediatamente dal palazzo, senza nemmeno passare per il suo appartamento. Come poteva pensare che non l’avrei seguita?
Quando ho visto dove si era diretta ho atteso: volevo controllare se sarebbe uscita.
Ho capito che non l’avrebbe più fatto quando sono entrato nella casetta per colpirla alla sprovvista e l’ho trovata vuota. Quasi subito ho notato la botola ai miei piedi, nascosta malamente, di fretta; l’ho socchiusa per spiare senza farmi notare e l’ho vista seduta a terra, raggomitolata su sé stessa.
Si mormorava parole di conforto.
Capii che stava impazzendo, anzi, che lo era già, ma non abbastanza.
Così ho deciso di richiudere la botola e aspettare ancora un paio di giorni.
Non sapevo quanto rumore arrivasse fino a laggiù, ma cercai di non farne mai troppo, volevo che ne percepisse poco, giusto per farla rimanere nel dubbio.
Passati due giorni ero arrivato al limite, ero eccitato di scendere e non avevo più intenzione di aspettare.
Adesso sono nella mia stanza preferita.
La casa dei miei genitori l’ho sempre odiata, è così colma di orribili ricordi, eppure da quando è diventata mia dopo la loro morte ho cominciato ad amarla. Ho rivoluzionato ogni stanza, cancellato ogni ricordo. È come se, né mia madre, né mio padre, ci abbiano mai vissuto.
Solo una camera è rimasta invariata, nessuno ci è mai entrato da quando sono morti, nessuno eccetto me.
Lo scantinato è il luogo più scontato dove rinchiudere una persona, lo è stato durante la mia infanzia e lo è ancora adesso.
Stessa stanza, prigionieri diversi.
Perché fai questo?, mi aveva chiesto mia madre poco prima che le togliessi la vita.
Beh, mamma, hai deciso tu di plasmarmi così.
Io mi sono solo adattato.
 
Diana
 
Mi sveglio, ho freddo. Buio.
Sento un forte dolore nel basso ventre, inizialmente non ricordo.
Mi rannicchio sperando di fermare il dolore, ma non riesco a muovermi, sono bloccata.
Ho gli occhi pesanti, come se non dormissi da giorni, come se non potessi aprirli, ma mi sforzo; li socchiudo facendo un’immensa fatica. Che il mio corpo non reagisca più ai miei comandi?
Vedo una luce bianca abbagliante, il soffitto, poi cedo, di nuovo buio.
«Sei sveglia, finalmente» una voce terrificante rompe il silenzio.
Rabbrividisco.
Un pugno di ricordi mi colpisce diretto allo stomaco e mi sale un conato.
Non ho più niente da rigettare, ormai sono completamente vuota, come un guscio.
Vorrei parlare, ma il mio corpo non mi ascolta, non riesco ad emettere alcuna parola, solo un rantolo. Mi sento stordita, mi fa male tutto.
«Non ti allarmare, ormai sei quasi pronta. Tra poco tutto il lavoro che abbiamo fatto insieme sarà completato».
Non posso vederlo, ma lo sento spostarsi nella stanza nella quale ci troviamo.
Un ticchettio, un orologio.
Un tintinnio, delle chiavi?
Cerco di captare ogni suono che riesco, impiego al massimo l’unico senso che mi è permesso usare.
Non riesco a sentire gli odori, non posso muovermi e nemmeno aprire gli occhi. Sento solo dolore.
Provo a parlare. Cosa vuoi farmi?, vorrei chiedergli.
Ma riesco a produrre solo un rantolo incomprensibile e impiego quasi tutte le mie forze per emetterlo.
«Non ti agitare, tra non molto sarà tutto finito».
Mi sale un altro conato, voglio morire.
«Ciò che ti ho iniettato nel braccio è ormai in circolo in ogni parte del tuo corpo, ma forse tu lo senti già. L’ho testato diverse volte prima di provarlo su ti te, non volevo che la dose sbagliata ti uccidesse».
Un colpo al cuore.
Non posso morire, voglio morire.
Sento la sostanza infettare ogni singolo centimetro del mio corpo, fino a quando non sento più nulla.
Mi sento stranamente piatta: non provo dolore, non sento pressioni. Mi sento finalmente libera dalla tortura alla quale mi stava sottoponendo.
Il mio corpo si rilassa, sospiro sollevata.
«Ha fatto effetto, sei pronta» esordisce scrivendo febbrilmente su un blocchetto.
Apro gli occhi, lo vedo.
«Cosa mi hai fatto?» riesco a chiedergli senza sforzo, girando la testa verso di lui.
«Vedi, Diana cara, quello che ti ho iniettato è un siero sperimentale, sono anni che ci lavoro. Mia madre mi ha sempre dato contro con questo progetto, non ha mai voluto credere in me, per lei ero solo un inetto. Ma adesso che finalmente sono giunto alla buona riuscita del siero su una cavia umana, le posso dare quel che si merita. La soddisfazione che provo nel poter dire di avercela fatta è ancora più grande di quella che provai nel toglierle la vita. Dall’inferno che si è scavata con le sue stesse mani starà rodendo, e non solo per il caldo delle fiamme. Il primo essere umano sul quale l’ho provato è stato quel sempliciotto morto prima di te. Ha fatto tutto ciò che gli ho detto di fare, ma vedevo che riusciva a malapena a sopportare il dolore. Gli avevo dato una dose troppo sbilanciata: era cosciente, sotto il mio comando, ma quasi impossibilitato dal dolore. Per fortuna è riuscito a finire il lavoro e infine si è ucciso. Ho adorato vedere il dolore e la sofferenza nei volti e nelle urla di quella famiglia. Non soffrirà più nessuno di loro, nessuno si rimpiangerà a vicenda. Sono stato molto accomodante e misericordioso nei loro confronti, non trovi? In qualunque caso ora il siero è perfetto, le dosi sono equilibrate e tu ora non provi assolutamente alcun dolore, dico bene?»
Allunga un ago pulito verso la mia gamba e mi punge con la punta.
Non sento nulla.
«Sei perfettamente cosciente e capisci tutto ciò che ti sta accadendo intorno».
«Sono perfettamente cosciente e capisco tutto ciò che mi sta accadendo intorno» ripeto annuendo, non so nemmeno perché l’abbia fatto.
«Infine, farai tutto ciò che ti ordinerò».
«Farò tutto».
 

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Spazio autore: siccome mi piace da impazzire lasciare un po' di suspence, ho deciso di dividere questo capitolo a metà. O meglio, l'ho fatto soprattutto perché tra questo e il prossimo (che dovrebbe essere l'ultimo) ci sarà uno sbalzo temporale e sarà strutturato con molti flashback, non so se nello stile del primo capitolo o in un altro. In qualunque caso, mi scuso con tutti per il tempo che è passato da quando ho pubblicato la prima parte della storia, sono stata molto inattiva su EFP ultimamente. Spero di poter recuperare.
   
 
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