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Autore: Cress Morlet    04/12/2018    15 recensioni
Un colpo, due colpi, tre colpi.
Quei rumori stridenti e cupi sono gli incubi e le colpe che ti chiedono il loro deplorevole riscatto, che pretendono la tua famiglia sterminata, il tuo sangue versato, il sangue di cui tu aspiri ancora l’odore.
È ovunque, su di te.
Ti prego, Dio Santo e Benedetto, ti prego e ti invoco. Non un’altra morte, non un altro sacrificio sul tuo altare immacolato.
Giuliano è già morto.
Sì, Giuliano è morto.
Giuliano è... morto.
L’unico sangue colato sulle pietre bianche dell’altare, l’unico sangue versato, è quello di Giuliano.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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All'ombra dei pugnali

A Nao, Harriet e Mari, le mie sorelle preziose.

                                                                                                 ALL'OMBRA DEI PUGNALI

I am here for all to see
In my bones there's dignity
I will fight them
I can say that I can change the world
But if you let me
I can change the world for us
Come with me and
Make the vision all brend new
We can fight them
I can say that I can win it all
Come with me and
I will make my worst untold
Let me do this

Renaissance, Skin

Tanto tanto tempo fa, chissà quando e chissà dove, ti è stata raccontata una storia. 
Non era di certo una bella storia, e no, proprio no.
Perché parlava della Morte.
“La Morte?”, tu chiedesti, esitante.
“La Morte”, ti fu risposto.
Ti è stato narrato di un giorno, impossibile nell’infinito del tuo presente, e di una notte speciale.
Che cosa era accaduto mai? Che cosa? Che cosa?
Alle tue domande fu data tale risposta: “Ascolta e sii paziente. E, soprattutto, ascolta bene.”
Tu annuisti e dunque, dolcemente, ti fu narrata una storia macabra e inquietante. La favola oscura iniziava con l’immagine lontana e sbiadita della Morte incurvata su se stessa, affannata, affamata, derelitta. Si era fermata dinanzi alla casa di una famiglia di umili contadini da cui si era presentata strisciando, con la sua falce bianca e luccicante e una stola scura avvolta intorno alle ossa rachitiche, e aveva bussato imperiosa e aveva preteso ospitalità e conforto. 
Era la fine di un lungo tortuoso cammino e la Morte era tanto tanto stanca.
Così aveva bussato.
E aveva bussato, e bussato, e bussato.
Ti è stato raccontato, un’enfasi appena accennata, che la Morte aveva bussato tutta la notte, senza ottenere nulla, e che allora era stata costretta ad andarsene via, incespicando malamente sui ciottoli freddi e sulle pietruzze aguzze che già le avevano aperto in due i piedi scalzi.
Ciò non deve apparire strano e disumano.
Chi mai sarebbe stato così folle da girare le chiavi nella toppa e prostrarsi dinanzi alla Morte? Chi l’avrebbe accolta mai?
Nessuno. La risposta corretta è sempre stata questa: nessuno.
Eppure tu, Lorenzo, rispondesti tronfio che, sì, ebbene sì, tu l’avresti accolta la Morte.
L’avresti fatta entrare nella tua dimora e le avresti offerto un pezzo di pane caldo.
Dopo aver ascoltato le tue fiere parole, Giuliano ti avevo colpito il capo con uno schiaffo e, -che brutta cosa quando si utilizza il tempo passato, non trovi?-, ti aveva definito stupido e incosciente.
Hai troppo cuore.
Ti aveva rivolto proprio queste parole.
Lorenzo, hai troppo cuore.
Ma tu già da bambino non potevi credere all’esistenza di un mondo così insensibile, un mondo reso spaventoso dalla cecità dell’umanità dinanzi al male, e allora, spintonando lontano da te tuo fratello, gli avevi risposto che ognuno è degno di essere aiutato, che ognuno merita una porta aperta e una mano tesa.
Persino la Morte.
Allora, o magnifico Lorenzo, perché non dimostri con i fatti quello che hai sempre tanto appassionatamente predicato con le parole?
Toc, toc.
Toc, toc.
Toc, toc.
La Morte è finalmente giunta da te e sta bussando, imperterrita.
Si ricorda delle tue promesse, la Morte ricorda.
Perché non stai aprendo quelle porte e non la stai accogliendo sorridente? Ti sei per caso dimenticato?
Ah, Lorenzo, Lorenzo.
Non avrai per caso... paura?

 

 

Il mondo è buio e la luce sfarfalla tra le tue ciglia grumose. Il sangue si è addensato sotto le tue unghie sporche e ti colora i polpastrelli, i polsi fragili.
Tutti i peccati di una vita si sono impigliati, come in una fitta trama di merletti lavorati da mani incallite e da occhi ciechi, tra le vene del tuo collo, la tua bocca spaccata e le tue guance che si lasciano attraversare da copiose lacrime grigie.
Tua madre urla, tua moglie affoga tra le sue braccia nel tentativo di salvarla, nel tentativo di salvare tutti voi.
Toc, toc.
Toc, toc.
Toc, toc.
E poi sì, sì, quella porta cederà.
Quella porta cadrà sotto i colpi di una panca trasformata in un ariete e tu intanto rimani sdraiato a terra, con il corpo pesante di un tuo amico steso sul tuo petto, e vedi il legno che sussulta, i battenti che contano i minuti e attendono la tua morte.
Un tocco e morirai.
Un sussulto e morirete tutti.
La paura ti fa raggomitolare su te stesso, come un bambino, un infante che non sa nulla della vita e che non vuole morire, non vuole morire, sa solo che non vuole morire.
Davvero non li senti, Lorenzo?
Un colpo, due colpi, tre colpi.
Quei rumori stridenti e cupi sono gli incubi e le colpe che ti chiedono il loro deplorevole riscatto, che pretendono la tua famiglia sterminata, il tuo sangue versato, il sangue di cui tu aspiri ancora l’odore.
È ovunque su di te.
Ti prego, Dio Santo e Benedetto, ti prego e ti invoco. Non un’altra morte, non un altro sacrificio sul tuo altare immacolato.
Giuliano è già morto.
Sì, Giuliano è morto.
Giuliano è... morto.
L’unico sangue colato sulle pietre bianche dell’altare, l’unico sangue versato, è quello di Giuliano.

 

Lorenzo, vieni fuori! Lorenzo, vigliacco, codardo, muori da uomo! Lorenzo muori, muori!
Lorenzo, Lorenzo, Lorenzo!
Lorenzo!

 

E mentre sputano il tuo nome contro le porte che non si spezzano, contro il legno che non si frantuma in affilate schegge, tu ascolti il modo in cui grattano il muro, come cani che raschiano la soglia di una casa abbandonata, come animali feroci e privi di senno.
Tua madre strepita, tua moglie prega e tu respiri affannosamente e percepisci la carne della mano bruciare a causa del contatto improvviso con la lama viscida del pugnale.
Quando abbassi il capo e lo guardi, quel pugnale che ti fissa e che ti restituisce il tuo sguardo, ti rendi conto -un’accecante folgorazione che fa cadere in ginocchio la tua mente e che rattrappisce il tuo cuore- di esserti salvato solo grazie a questo: ad un gioco di pugnali, ad un gioco di mani, ad uno scambio non equo.
Un pugnale a te regalato e nulla donato a Giuliano.
Un pugnale adagiato tra le tue dita affusolate e un pugnale infilato nello stomaco di tuo fratello.
Ti tremano le tempie e gli occhi si muovono inquieti mentre continui ad osservare il tuo riflesso e insieme a quello rivedi anche altro, scorgi altri occhi, innumerevoli sguardi.
Quei mostri lo hanno colpito a fondo, più e più volte, più volte nella pancia. Lo hanno ripetutamente squarciato. Si sono accaniti a brutalizzare il suo corpo e Giuliano soffocava mentre beveva il suo sangue caldo, tra i denti e la lingua impastata, e ti supplicava di salvarti.
Rivedi il suo corpo che crolla a terra e l’avverarsi delle più antiche profezie, lo sciorinarsi a cantilena di quello che accade sempre quando due fratelli sono troppo legati da un indicibile affetto: solo uno dei due può sopravvivere, solo uno.
Il Destino è un personaggio crudele nelle storie dei fratelli e il Fato, assassino, pretende una vita salvata e una morte realizzata.
Non è così?
Giuliano è morto e tu sei vivo.
Lui, il tuo Giuliano, nell’esatto istante in cui ti ha consegnato il pugnale e ha perso la sua vita in nome della tua, o lui, il tuo Giuliano, il tuo splendido Giuliano, Giuliano, Giuliano, Giuliano, lui, proprio lui e proprio in quell’istante, ha salvato Firenze e ha redento la sua anima spezzata.
Era splendido anche mentre moriva e lasciava sgorgare sangue dalla bocca, dagli occhi, da ogni ferita infertagli con una tale crudeltà da aver superato quella delle bestie, quella dei folli mostri che strisciano nelle lande oscure e fuligginose e tetre dell’Inferno. Lui era splendido mentre moriva e aveva il nome Simonetta sulle labbra, il dispiacere tra le dita e te, Lorenzo, aveva te negli occhi. 
Aveva il tuo volto non dinanzi alle pupille ma dentro, in profondità, tra le cavità del cuore e nell’anima, aveva te.
Perché le vostre anime sono state create insieme, nella notte dei tempi, e non si sono mai più separate, neppure attraverso il lento snocciolarsi dei secoli.
Ti sovviene allora un pensiero, un ricordo sfuggente che avevi provato a imprimere sulla carta, ma che poi era volato via, lontano come il vento al suono di una risata troppo forte: l’essere umano, cotale accozzaglia di imperfezioni e di occasioni sprecate, è un animale fragile che cerca soltanto di essere accettato, di essere amato.
E tuo fratello lo era più di chiunque altro.
Quindi ora lo sai e lo sai con una certezza che ti attanaglia le viscere: lui ti amava.
E ti amava tanto, ti amava troppo, ti amava incondizionatamente.
O Lorenzo, non piangere.
O Lorenzo, sì, piangi.
Tuo fratello è morto e tu sei rintanato in una sagrestia, come un uccellino spaventato che raschia il fondo della gabbietta pur di sfuggire alle unghie affilate di un gatto che ha agilmente superato le sbarre.
Sei per caso un codardo?

 

Se ne sono andati. Se ne sono andati, potete uscire. Potete uscire, siete salvi. Siete salvi, siete salvi!

 

Né il pianto del bambino ti commuove, né i singhiozzi acuti di tua madre, né il cereo volto di tua moglie che in ginocchio ti sta afferrando il mantello e ti prega, te lo chiede con le lacrime sulle guance e sul collo -disperata candida anima di una donna che fino a quel momento non aveva mai piegato il capo- di nasconderti, di cercare un rifugio, di correre immediatamente a casa.
Tu vedi soltanto il corpo martoriato di tuo fratello che ha il viso scarlatto e gli occhi velati, il petto squarciato in più punti e le carni molli coperte a stento dagli abiti sporchi e strappati.
In questa Chiesa, su questo terreno calpestato da uomini orribili e sacrileghi, il tuo respiro è troppo rumoroso e fastidioso. Riecheggia e spegne il silenzio dell’unico altro respiro che dovrebbe esserci, il respiro di Giuliano, che è invece spento e dall’alto contempla impassibile l’eterna irrimediabilità del suo sacrificio.
Morto in nome tuo, morto in nome dell’amore, morto in nome della speranza di salvarti da una brutale e immonda carneficina di odio e di rancore.
Tu vuoi gridare fino a scorticarti la gola e a prosciugarti le vene.
Che Giuliano sia ancora tra le tue braccia, ancora una volta, una sola, ma non così, non in questo modo, non con il cuore fermo, l’addome barbaramente aperto e l’ultima parola che aleggia incompleta sulle sue labbra.
Che Giuliano sia di nuovo tra le tue braccia, come quando si disperava a terra, nella Cappella, e chiamava il tuo nome e poi quello di Simonetta, e quello di Simonetta e il tuo, che Giuliano sia di nuovo tra le tue braccia ma vivo, vivo nonostante la disperata infelicità, che sia vivo.
Lo osservi e ti sciogli in singhiozzi balbettanti. Ti stendi vicino a lui e porti il suo capo ciondolante vicino al tuo collo ferito.
È un corpo morto, non è niente altro. Non è tuo fratello.
L’anima di Giuliano si è incagliata all’ombra dei pugnali dei congiurati e si è arrotolata intorno a quello che tu hai ancora vicino alla gamba, lì è, e ti supplica di liberarla, di lasciarla andare.
In Inferno o in Paradiso. Per l’eternità.
Le tue spalle piegate da vuoti balbettii, la tua vista cieca e bruciante, le tue mani bagnate dal suo sangue e dalle tue lacrime.
In Inferno o in Paradiso, insieme. Insieme per l’eternità.
Aleggia insistente, sul suo viso lentamente inespressivo, il disperato ricordo dell’ultimo sguardo di Simonetta che si confonde stridente con quello prezioso, e tanto agognato, del sapore delle labbra di lei, tanto belle, rosee, morbide.
Miele cosparso sugli orli degli abissi neri e profondi di quella che era stata la sua esistenza, vuota e vana, fino al giorno in cui non aveva incontrato la donna tanto amata.
Tu lo senti, tu lo ascolti.
Ti pare che lui lo dica ancora, che lo ripeta con i suoi occhi vitrei rivolti verso il cielo chiaro e i raggi caldi che vi spiano guardinghi dalle inferriate delle finestre. Ti pare che lui lo sussurri piano e con indicibile tenerezza.
‘Insieme in Paradiso.’
Tua madre accarezza freneticamente i capelli di tuo fratello, mani ingioiellate immerse tra le sue ciocche intrise di polvere e grumi di sangue, e scuote leggermente il suo viso come se volesse svegliarlo. Le sue pupille si rovesciano in alto e rimangono immobili.
‘Insieme in Paradiso.’
Lo scopo della sua vita non doveva essere quello di salvare la tua.
Questo lo sai, non è vero?
Sì, lo sai. Lo sai e la consapevolezza ti uccide.
La tua fronte è un crogiolo ardente in cui il dolore, la disperazione e la rabbia gorgogliano a tal punto da farti alzare pesantemente da terra.
Ti rialzi e ricominci a piangere perché dall’alto vedi una striscia rossa che taglia in due la bocca di Giuliano e del sangue nero che si è seccato lungo tutta la sua guancia sinistra.
Ti sembra un’accusa, un’accusa mormorata contro di te, e tu vorresti poter scomparire.
Dio Santo e Benedetto, perché non sono morto anche io, perché? Perché? Dio, Dio, perché?
Chini il capo e desideri disperatamente poter implorare il suo perdono, un’ultima volta soltanto.
Le tue lacrime si stringono tra le tue ciglia e tu osservi il suo corpo divenire sfocato e poi più nulla.
Sei cieco e imprigionato in lunghi veli neri che formano trecce strette, fili morbidi di cristallo, tra la sua anima e la tua.
Strappa, strappa, tira via, tira via. Cosa rimane di voi? Cosa vi rende voi stessi?
Tu Lorenzo, lui Giuliano.
Cosa vi rende voi stessi?
Cosa accendeva i suoi occhi e cosa muoveva le sue labbra in un sorriso canzonatorio e beffardo, quel sorriso così suo?
Cosa faceva tremare la sua voce e cosa faceva sorridere te ogni volta che scorgevi il suo volto e lo scoprivi felice?
È il nocciolo.
Quel nodo di stoffe e tele avvolto a pugno, di nessun colore e con tutti i colori insieme, che non appena viene sciolto rivela l’essenza di ognuno di voi.
Il segreto inconfessabile che ignorate ogni giorno e che tendete a coprire con i palmi delle vostre mani chiuse a coppa.
Avete riempito la vostra vita con così tanto rumore, con così tanti futili impegni, vani pensieri: avete fatto di tutto pur di sfuggire il più lontano possibile da voi stessi.
E adesso tu non puoi più farlo, lo vedi. Nessuno può farlo dinanzi alla Morte.
Le membra di Giuliano sono ancora calde eppure tu non riesci a smettere di tremare.
Hai le sue parole nelle orecchie, le sue mani sulle guance, i suoi occhi nei tuoi.
‘Sono libero, Lorenzo. Sono libero.’
No, Giuliano. Tu sei morto.
‘Avevo una scelta. Lasciami libero, lasciami con Simonetta.’
Ed io?
‘Insieme in Paradiso.’
Sollevi le palpebre e la scena della tua famiglia che piange, arrendevole, ti fa battere più forte il cuore.
Allora capisci che anche tu hai scelto.
Capisci che, mentre il suo sangue continua a seccarsi e le pupille vuote di tuo fratello guardano verso l’alto, tu hai già scelto.
Tra la vita e la morte, tra la clemenza e la vendetta, tu hai già scelto.
Il pugnale brucia, scotta e si forgia sul tuo palmo e sulla pelle delle tue dita mentre le tue ossa quasi si gonfiano alla richiesta, alla pretesa, di altro sangue da versare, di altre vite da spezzare, da uccidere per mano tua, per ordine tuo, per volontà tua.
Vuoi fare del male, vuoi distruggere.
Perché nulla ha valore. L'unico modo di sopravvivere nel mondo reale, nel mondo del peccato, è essere un peccatore più spietato del tuo nemico.
Allora che Firenze bruci, che Firenze si decomponga su se stessa e si stritoli per la fame, che Firenze pianga lacrime di sangue infetto purché i Pazzi muoiano.
Che i Pazzi muoiano, muoiano tutti, tutti devono morire, tutti.
Vengano cancellati dalla storia, dalla vita, dal mondo, ripudiati da Dio e persino dall’Inferno, e che muoiano tutti. Le loro carni vengano mangiate dai cani, aperte dai becchi dei corvi, i loro arti strappati dai corpi e portati in Piazza come se fossero trofei. Non rimanga più nulla di loro, nulla.
I Pazzi devono morire.

 

Lorenzo, non andare! Lorenzo, rifugiati in casa! Lorenzo, è pericoloso, non andare! Lorenzo, è una follia, ti prego, ti scongiuro, torna a casa!

 

 

Una follia?
I fantasmi non sono certo dei folli.
I fantasmi sono solo... morti.
Anime incatenate a degli oggetti mortali, lì stese come i naufraghi sugli scogli umidicci e salmastri.
E, o Lorenzo, tu sei un pallido fantasma legato con collane di perle ad un pugnale eternamente sporco e macchiato di sangue, e sei tornato a reclamare il cuore, la vendetta e gli occhi spenti di tuo fratello.
Compi un passo dopo l’altro e più cammini claudicante, più zoppichi e inciampi con gli occhi lucidi e brillanti, più perdi la tua anima.
E dove la ritroverai Lorenzo?
Tra i versi di Poliziano o in un libro di filosofia? Tra i disegni di Botticelli o sotto la tua amata Cupola?
Dov’è la tua anima? Dove si trova, dov’è?
Si è persa. Si è dissolta.
È caduta, pezzo dopo pezzo, fune dopo fune, morte dopo morte.
Dov’è la tua anima, Lorenzo?
Forse te l’ha rubata Giuliano? Ha voluto portarsela via con sé, ti ha fatto un ultimo dispetto?
La tua anima, la tua anima, o Lorenzo, la tua anima non c’è più.
Non esiste più, non c’è più.
E i tuoi ideali, i tuoi sogni, i tuoi valori?
La tua amata, sospirata, desiderata pace? 
Nulla hai ormai più.
Si è tutto disintegrato con un semplice passaggio di pugnale.
E tu potrai cercarla ovunque ma non la troverai, e potrà anche il sangue strisciare tra i ciottoli della città, sgorgare nei bassifondi, imbrattare le pareti di ogni casa, sporcarti le unghie e i palmi, potranno anche morire tutti i Pazzi e tu comunque non la troverai, e tu comunque avrai perso.
Lunga vita a te, Lorenzo De Medici.
Lunga vita a te, magnifico Signore di Firenze.
Lunga vita a te, a te, a te soltanto.
Loro ti acclamano e loro non lo sanno, no, loro non lo vedono.
Loro non capiscono che tu sei morto in una Cattedrale e che l’ultima parola che hai detto è stata Giuliano, e che l’hai urlata fino a morire e fino a scomporti in milioni di miliardi di pezzi irriconoscibili, sparsi disordinatamente tra piume e polveri.
L’unico sguardo che adesso hai davanti agli occhi, l’unico sguardo che vedi ovunque, è quello di Giuliano.

 

 

Il tuo piede calpesta l'ultimo raggio di Sole e tuo fratello ti accarezza le guance.
‘Lorenzo, fratello stupido e incosciente. Tu non sei senza cuore, non lo capisci? Tu hai troppo cuore.’







Angolo autrice.

Ciao a tutti! Vi segnalo subito che l'espressione 'crogiolo ardente' non è mia ma è stata utilizzata dalla critica letteraria per definire 'Le ultime lettere di Jacopo Ortis' di Ugo Foscolo. Così come l'immagine di Giuliano che invoca i nomi di Simonetta e Lorenzo, alternandoli, è una ripresa di una scena della tragedia 'Romeo e Giulietta' di Shakespeare. Inoltre sono riprese anche varie frasi di Giuliano, alcune modificate in parte e non riportate fedelmente. Cosa posso dire? Spero la storia possa piacervi, spero di aver reso al meglio l'ultima puntata di questa meravigliosa serie e che abbia reso loro onore. Non mi perdonerei mai il contrario. Spero anche di sapere la vostra opinione! A presto.

   
 
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