A Nao,
Harriet e Mari, le mie sorelle preziose.
ALL'OMBRA DEI PUGNALI
I am here for
all to see
In my bones there's dignity
I will fight them
I can say that I can change the world
But if you let me
I can change the world for us
Come with me and
Make the vision all brend new
We can fight them
I can say that I can win it all
Come with me and
I will make my worst untold
Let me do this
Renaissance, Skin
Tanto tanto tempo fa, chissà quando e
chissà dove, ti è
stata raccontata una storia.
Non era di certo una bella storia, e no, proprio
no.
Perché parlava della Morte.
“La Morte?”, tu chiedesti, esitante.
“La Morte”, ti fu risposto.
Ti è stato narrato di un giorno, impossibile
nell’infinito
del tuo presente, e di una notte speciale.
Che cosa era accaduto mai? Che cosa? Che cosa?
Alle tue domande fu data tale risposta: “Ascolta e sii
paziente. E, soprattutto, ascolta bene.”
Tu annuisti e dunque, dolcemente, ti fu narrata una storia
macabra e inquietante. La favola oscura iniziava con
l’immagine lontana e
sbiadita della Morte incurvata su se stessa, affannata, affamata,
derelitta.
Si era fermata dinanzi alla casa di una famiglia di umili contadini da
cui si
era presentata strisciando, con la sua falce bianca e luccicante e una
stola
scura avvolta intorno alle ossa rachitiche, e aveva bussato imperiosa e
aveva
preteso ospitalità e conforto.
Era la fine di un lungo tortuoso cammino e la
Morte era tanto tanto stanca.
Così aveva bussato.
E aveva bussato, e bussato, e bussato.
Ti è stato raccontato, un’enfasi appena accennata,
che la
Morte aveva bussato tutta la notte, senza ottenere nulla, e che allora
era
stata costretta ad andarsene via, incespicando malamente sui ciottoli
freddi e
sulle pietruzze aguzze che già le avevano aperto in due i
piedi scalzi.
Ciò non deve apparire strano e disumano.
Chi mai sarebbe stato così folle da girare le chiavi nella
toppa e prostrarsi dinanzi alla Morte? Chi l’avrebbe accolta
mai?
Nessuno. La risposta corretta è sempre stata questa:
nessuno.
Eppure tu, Lorenzo, rispondesti tronfio che, sì, ebbene
sì,
tu l’avresti accolta la Morte.
L’avresti fatta entrare nella tua dimora e le avresti
offerto un pezzo di pane caldo.
Dopo aver ascoltato le tue fiere parole, Giuliano ti avevo
colpito il capo con uno schiaffo e, -che brutta cosa quando si utilizza
il
tempo passato, non trovi?-,
ti aveva definito stupido e incosciente.
Hai troppo cuore.
Ti aveva rivolto proprio queste parole.
Lorenzo, hai troppo
cuore.
Ma tu già da bambino non potevi credere
all’esistenza di un
mondo così insensibile, un mondo reso spaventoso dalla
cecità dell’umanità
dinanzi al male, e allora, spintonando lontano da te tuo fratello, gli
avevi
risposto che ognuno è degno di essere aiutato, che ognuno
merita una porta
aperta e una mano tesa.
Persino la Morte.
Allora, o magnifico Lorenzo, perché non dimostri con i fatti
quello che hai sempre tanto appassionatamente predicato con le parole?
Toc, toc.
Toc, toc.
Toc, toc.
La Morte è finalmente giunta da te e sta bussando,
imperterrita.
Si ricorda delle tue promesse, la Morte ricorda.
Perché non stai aprendo quelle porte e non la stai
accogliendo sorridente? Ti sei per caso dimenticato?
Ah, Lorenzo, Lorenzo.
Non avrai per caso... paura?
Il mondo è buio e la luce sfarfalla tra
le tue ciglia
grumose. Il sangue si è addensato sotto le tue unghie
sporche e ti colora i
polpastrelli, i polsi fragili.
Tutti i peccati di una vita si sono impigliati, come in una
fitta trama di merletti lavorati da mani incallite e da occhi ciechi,
tra le
vene del tuo collo, la tua bocca spaccata e le tue guance che si
lasciano
attraversare da copiose lacrime grigie.
Tua madre urla, tua moglie affoga tra le sue braccia nel
tentativo di salvarla, nel tentativo di salvare tutti voi.
Toc, toc.
Toc, toc.
Toc, toc.
E poi sì, sì, quella porta cederà.
Quella porta cadrà sotto i colpi di una panca trasformata in
un ariete e tu intanto rimani sdraiato a terra, con il corpo pesante di
un tuo
amico steso sul tuo petto, e vedi il legno che sussulta, i battenti che
contano
i minuti e attendono la tua morte.
Un tocco e morirai.
Un sussulto e morirete tutti.
La paura ti fa raggomitolare su te stesso, come un bambino,
un infante che non sa nulla della vita e che non vuole morire, non
vuole
morire, sa solo che non vuole morire.
Davvero non li senti, Lorenzo?
Un colpo, due colpi, tre colpi.
Quei rumori stridenti e cupi sono gli incubi e le colpe che
ti chiedono il loro deplorevole riscatto, che pretendono la tua
famiglia
sterminata, il tuo sangue versato, il sangue di cui tu aspiri ancora
l’odore.
È ovunque su di te.
Ti prego, Dio Santo e
Benedetto, ti prego e ti invoco. Non
un’altra morte, non un altro sacrificio sul tuo altare
immacolato.
Giuliano è già morto.
Sì, Giuliano è morto.
Giuliano è... morto.
L’unico sangue colato sulle pietre bianche
dell’altare,
l’unico sangue versato, è quello di Giuliano.
Lorenzo,
vieni fuori! Lorenzo, vigliacco, codardo, muori da
uomo! Lorenzo muori, muori!
Lorenzo, Lorenzo,
Lorenzo!
Lorenzo!
E mentre sputano il tuo nome contro le porte che
non si
spezzano, contro il legno che non si frantuma in affilate schegge, tu
ascolti
il modo in cui grattano il muro, come cani che raschiano la soglia di
una casa
abbandonata, come animali feroci e privi di senno.
Tua madre strepita, tua moglie prega e tu respiri
affannosamente e percepisci la carne della mano bruciare a causa del
contatto
improvviso con la lama viscida del pugnale.
Quando abbassi il capo e lo guardi, quel pugnale che ti
fissa e che ti restituisce il tuo sguardo, ti rendi conto
-un’accecante
folgorazione che fa cadere in ginocchio la tua mente e che rattrappisce
il tuo
cuore- di esserti salvato solo grazie a questo: ad un gioco di pugnali,
ad un
gioco di mani, ad uno scambio non equo.
Un pugnale a te regalato e nulla donato a Giuliano.
Un pugnale adagiato tra le tue dita affusolate e un pugnale
infilato nello stomaco di tuo fratello.
Ti tremano le tempie e gli occhi si muovono inquieti mentre
continui ad osservare il tuo riflesso e insieme a quello rivedi anche
altro,
scorgi altri occhi, innumerevoli sguardi.
Quei mostri lo hanno colpito a fondo, più e più
volte, più
volte nella pancia. Lo hanno ripetutamente squarciato. Si sono accaniti
a
brutalizzare il suo corpo e Giuliano soffocava mentre beveva il suo
sangue
caldo, tra i denti e la lingua impastata, e ti supplicava di salvarti.
Rivedi il suo corpo che crolla a terra e l’avverarsi delle
più antiche profezie, lo sciorinarsi a cantilena di quello
che accade sempre
quando due fratelli sono troppo legati da un indicibile affetto: solo
uno dei
due può sopravvivere, solo uno.
Il Destino è un personaggio crudele nelle storie dei
fratelli e
il Fato, assassino, pretende una vita salvata e una morte realizzata.
Non è
così?
Giuliano è morto e tu sei vivo.
Lui, il tuo Giuliano, nell’esatto istante in cui ti ha
consegnato il pugnale e ha perso la sua vita in nome della tua, o lui,
il tuo
Giuliano, il tuo splendido Giuliano, Giuliano, Giuliano, Giuliano,
lui, proprio
lui e proprio in quell’istante, ha salvato Firenze e ha
redento la sua anima
spezzata.
Era splendido anche mentre moriva e lasciava sgorgare sangue
dalla bocca, dagli occhi, da ogni ferita infertagli con una tale
crudeltà da
aver superato quella delle bestie, quella dei folli mostri che
strisciano nelle
lande oscure e fuligginose e tetre dell’Inferno. Lui era
splendido mentre
moriva e aveva il nome Simonetta
sulle labbra, il dispiacere tra le dita e te,
Lorenzo, aveva te negli occhi.
Aveva il tuo volto non dinanzi alle pupille ma
dentro, in profondità, tra le cavità del cuore e
nell’anima, aveva te.
Perché le vostre anime sono state create insieme, nella
notte dei tempi, e non si sono mai più separate, neppure
attraverso il lento
snocciolarsi dei secoli.
Ti sovviene allora un pensiero, un ricordo sfuggente
che avevi provato a imprimere sulla carta, ma che poi era volato via,
lontano
come il vento al suono di una risata troppo forte: l’essere
umano, cotale
accozzaglia di imperfezioni e di occasioni sprecate, è un
animale fragile che cerca soltanto di essere accettato, di essere amato.
E tuo fratello lo era più di chiunque altro.
Quindi ora lo sai e lo sai con una certezza che ti
attanaglia le viscere: lui ti amava.
E ti amava tanto, ti
amava troppo, ti amava
incondizionatamente.
O Lorenzo, non piangere.
O Lorenzo, sì, piangi.
Tuo fratello è morto e tu sei rintanato in una sagrestia,
come un uccellino spaventato che raschia il fondo della gabbietta pur
di
sfuggire alle unghie affilate di un gatto che ha agilmente superato le
sbarre.
Sei per caso un codardo?
Se
ne sono andati. Se ne sono andati, potete uscire. Potete
uscire, siete salvi. Siete salvi, siete salvi!
Né il pianto del bambino ti commuove,
né i singhiozzi acuti
di tua madre, né il cereo volto di tua moglie che in
ginocchio ti sta
afferrando il mantello e ti prega, te lo chiede con le lacrime sulle
guance e
sul collo -disperata candida anima di una donna che fino a quel momento
non
aveva mai piegato il capo- di nasconderti, di cercare un rifugio, di
correre
immediatamente a casa.
Tu vedi soltanto il corpo martoriato di tuo fratello che ha
il viso scarlatto e gli occhi velati, il petto squarciato in
più punti e le
carni molli coperte a stento dagli abiti sporchi e strappati.
In questa Chiesa, su questo terreno calpestato da uomini
orribili e sacrileghi, il tuo respiro è troppo rumoroso e
fastidioso.
Riecheggia e spegne il silenzio dell’unico altro respiro che
dovrebbe esserci,
il respiro di Giuliano, che è invece spento e
dall’alto contempla impassibile
l’eterna irrimediabilità del suo sacrificio.
Morto in nome tuo, morto in nome dell’amore, morto in nome
della speranza di salvarti da una brutale e immonda carneficina di odio
e di
rancore.
Tu vuoi gridare fino a scorticarti la gola e a prosciugarti
le vene.
Che Giuliano sia ancora tra le tue braccia, ancora una
volta, una sola,
ma non così, non in questo modo, non con il cuore fermo,
l’addome barbaramente aperto e l’ultima parola che
aleggia incompleta sulle sue
labbra.
Che Giuliano sia di nuovo tra le tue braccia, come quando si
disperava a terra, nella Cappella, e chiamava il tuo nome e poi quello
di
Simonetta, e quello di Simonetta e il tuo, che Giuliano sia di nuovo
tra le tue
braccia ma vivo,
vivo nonostante la disperata infelicità, che sia vivo.
Lo osservi e ti sciogli in singhiozzi balbettanti. Ti stendi
vicino a lui e porti il suo capo ciondolante vicino al tuo collo
ferito.
È un corpo morto, non è niente altro. Non
è tuo fratello.
L’anima di Giuliano si è incagliata
all’ombra dei pugnali
dei congiurati e si è arrotolata intorno a quello che tu hai
ancora vicino alla
gamba, lì è, e ti supplica di liberarla, di
lasciarla andare.
In Inferno o in
Paradiso. Per l’eternità.
Le tue spalle piegate da vuoti balbettii, la tua vista cieca
e bruciante, le tue mani bagnate dal suo sangue e dalle tue lacrime.
In Inferno o in
Paradiso, insieme. Insieme per l’eternità.
Aleggia insistente, sul suo viso lentamente inespressivo, il
disperato ricordo dell’ultimo sguardo di Simonetta che si
confonde stridente
con quello prezioso, e tanto agognato, del sapore delle labbra di lei, tanto belle,
rosee, morbide.
Miele cosparso sugli orli degli abissi neri e profondi di
quella che era stata la sua esistenza, vuota e vana, fino al giorno in
cui non
aveva incontrato la donna tanto amata.
Tu lo senti, tu lo ascolti.
Ti pare che lui lo dica ancora, che lo ripeta con i suoi
occhi vitrei rivolti verso il cielo chiaro e i raggi caldi che vi
spiano
guardinghi dalle inferriate delle finestre. Ti pare che lui lo sussurri
piano e
con indicibile tenerezza.
‘Insieme in
Paradiso.’
Tua madre accarezza freneticamente i capelli di tuo
fratello, mani ingioiellate immerse tra le sue ciocche intrise di
polvere e
grumi di sangue, e scuote leggermente il suo viso come se volesse
svegliarlo.
Le sue pupille si rovesciano in alto e rimangono immobili.
‘Insieme in
Paradiso.’
Lo scopo della sua vita non doveva essere quello di salvare
la tua.
Questo lo sai, non è vero?
Sì, lo sai. Lo sai e la consapevolezza ti uccide.
La tua fronte è un crogiolo ardente in cui il dolore, la
disperazione e la rabbia gorgogliano a tal punto da farti alzare
pesantemente
da terra.
Ti rialzi e ricominci a piangere perché dall’alto
vedi una
striscia rossa che taglia in due la bocca di Giuliano e del sangue nero
che si
è seccato lungo tutta la sua guancia sinistra.
Ti sembra un’accusa, un’accusa mormorata contro di
te, e tu
vorresti poter scomparire.
Dio Santo e Benedetto,
perché non sono morto anche io,
perché? Perché? Dio, Dio, perché?
Chini il capo e desideri disperatamente poter implorare il
suo perdono, un’ultima volta soltanto.
Le tue lacrime si stringono tra le tue ciglia e tu osservi
il suo corpo divenire sfocato e poi più nulla.
Sei cieco e imprigionato in lunghi veli neri che formano
trecce strette, fili morbidi di cristallo, tra la sua anima e la tua.
Strappa, strappa, tira via, tira via. Cosa rimane di voi?
Cosa vi rende voi stessi?
Tu Lorenzo, lui Giuliano.
Cosa vi rende voi stessi?
Cosa accendeva i suoi occhi e cosa muoveva le sue labbra in
un sorriso canzonatorio e beffardo, quel sorriso così suo?
Cosa faceva tremare la sua voce e cosa faceva sorridere te
ogni volta che scorgevi il suo volto e lo scoprivi felice?
È il nocciolo.
Quel nodo di stoffe e tele avvolto a pugno, di nessun colore
e con tutti i colori insieme, che non appena viene sciolto rivela
l’essenza di
ognuno di voi.
Il segreto inconfessabile che ignorate ogni giorno e che
tendete a coprire con i palmi delle vostre mani chiuse a coppa.
Avete riempito la vostra vita con così tanto rumore, con
così tanti futili impegni, vani pensieri: avete fatto di
tutto pur di sfuggire
il più lontano possibile da voi stessi.
E adesso tu non puoi più farlo, lo vedi. Nessuno
può farlo
dinanzi alla Morte.
Le membra di Giuliano sono ancora calde eppure tu non riesci
a smettere di tremare.
Hai le sue parole nelle orecchie, le sue mani sulle guance,
i suoi occhi nei tuoi.
‘Sono libero,
Lorenzo. Sono libero.’
No, Giuliano. Tu sei
morto.
‘Avevo una
scelta. Lasciami libero, lasciami con Simonetta.’
Ed io?
‘Insieme in
Paradiso.’
Sollevi le palpebre e la scena della tua famiglia che
piange, arrendevole, ti fa battere più forte il cuore.
Allora capisci che anche tu hai scelto.
Capisci che, mentre il suo sangue continua a seccarsi e le
pupille vuote di tuo fratello guardano verso l’alto, tu hai
già scelto.
Tra la vita e la morte, tra la clemenza e la vendetta, tu
hai già scelto.
Il pugnale brucia, scotta e si forgia sul tuo palmo e sulla
pelle delle tue dita mentre le tue ossa quasi si gonfiano alla richiesta,
alla
pretesa, di altro sangue da versare, di altre vite da spezzare, da
uccidere per
mano tua, per ordine tuo, per volontà tua.
Vuoi fare del male, vuoi distruggere.
Perché nulla
ha valore. L'unico modo di sopravvivere nel mondo reale, nel mondo del
peccato, è essere
un peccatore più spietato del tuo nemico.
Allora che Firenze bruci, che Firenze si decomponga su se
stessa e si stritoli per la fame, che Firenze pianga lacrime di sangue
infetto
purché i Pazzi muoiano.
Che i Pazzi muoiano, muoiano tutti, tutti devono morire,
tutti.
Vengano cancellati dalla storia, dalla vita, dal mondo, ripudiati da
Dio e persino dall’Inferno, e che muoiano tutti. Le loro
carni vengano mangiate
dai cani, aperte dai becchi dei corvi, i loro arti strappati dai corpi
e
portati in Piazza come se fossero trofei. Non rimanga più
nulla di loro, nulla.
I Pazzi devono morire.
Lorenzo, non
andare! Lorenzo, rifugiati in casa! Lorenzo, è
pericoloso, non andare! Lorenzo, è una follia, ti prego, ti
scongiuro, torna a
casa!
Una follia?
I fantasmi non sono certo dei folli.
I fantasmi sono solo... morti.
Anime incatenate a degli oggetti mortali, lì stese come i
naufraghi sugli scogli umidicci e salmastri.
E, o Lorenzo, tu sei un pallido fantasma legato con collane
di perle ad un pugnale eternamente sporco e macchiato di sangue, e sei
tornato
a reclamare il cuore, la vendetta e gli occhi spenti di tuo fratello.
Compi un passo dopo l’altro e più cammini
claudicante, più
zoppichi e inciampi con gli occhi lucidi e brillanti, più
perdi la tua anima.
E dove la ritroverai Lorenzo?
Tra i versi di Poliziano o in un libro di filosofia? Tra i
disegni di Botticelli o sotto la tua amata Cupola?
Dov’è la tua anima? Dove si trova,
dov’è?
Si è persa. Si è dissolta.
È caduta, pezzo dopo pezzo, fune dopo fune, morte dopo
morte.
Dov’è la tua anima, Lorenzo?
Forse te l’ha rubata Giuliano? Ha voluto portarsela via con
sé, ti ha fatto un ultimo dispetto?
La tua anima, la tua anima, o
Lorenzo, la tua anima non c’è
più.
Non esiste più, non c’è più.
E i tuoi ideali, i tuoi sogni, i tuoi valori?
La tua amata, sospirata, desiderata pace?
Nulla hai ormai
più.
Si è tutto disintegrato con un semplice passaggio di
pugnale.
E tu potrai cercarla ovunque ma non la troverai, e potrà
anche il sangue strisciare tra i ciottoli della città,
sgorgare nei bassifondi,
imbrattare le pareti di ogni casa, sporcarti le unghie e i palmi,
potranno
anche morire tutti i Pazzi e tu comunque non la troverai, e tu comunque
avrai
perso.
Lunga vita a te, Lorenzo De Medici.
Lunga vita a te, magnifico Signore di Firenze.
Lunga vita a te, a te, a te soltanto.
Loro ti acclamano e loro non lo sanno, no, loro non lo
vedono.
Loro non capiscono che tu sei morto in una Cattedrale e che
l’ultima parola che hai detto è stata Giuliano, e
che l’hai urlata fino a
morire e fino a scomporti in milioni di miliardi di pezzi
irriconoscibili, sparsi
disordinatamente tra piume e polveri.
L’unico sguardo che adesso hai davanti agli occhi,
l’unico
sguardo che vedi ovunque, è quello di Giuliano.
Il tuo piede calpesta l'ultimo raggio di Sole e
tuo fratello ti
accarezza le guance.
‘Lorenzo,
fratello stupido e incosciente. Tu non sei senza
cuore, non lo capisci? Tu hai troppo cuore.’
Angolo autrice.
Ciao a tutti! Vi segnalo subito che l'espressione
'crogiolo ardente' non è mia ma è stata
utilizzata dalla critica letteraria per definire 'Le ultime lettere di
Jacopo Ortis' di Ugo Foscolo. Così come l'immagine di
Giuliano che invoca i nomi di Simonetta e Lorenzo, alternandoli,
è una ripresa di una scena della tragedia 'Romeo e
Giulietta' di Shakespeare. Inoltre sono riprese anche varie frasi di
Giuliano, alcune modificate in parte e non riportate fedelmente. Cosa
posso dire? Spero la storia possa piacervi, spero di aver reso al
meglio l'ultima puntata di questa meravigliosa serie e che abbia reso
loro onore. Non mi perdonerei mai il contrario. Spero anche di sapere
la vostra opinione! A presto.