RICOMINCIAMO DA QUI
Capitolo 42
Nei giorni seguenti, come Luca mi ha suggerito, rimango a casa.
Mi rendo conto che, se in un primo momento avessi scartato la sua
proposta, adesso essa si sia rivelata per me proficua perché,
nelle condizioni in cui sono, non sarei mai riuscita ad affrontare una
giornata al lavoro.
Il mio appartamento è un disastro, con il tavolino del salotto
scorparso di fazzolettini e il disordine a far da regnante
nell'ambiente. Il che, per una maniaca della pulizia e dell'ordine come
me, significa che la situazione sia davvero grave.
Ho passato questi 4 giorni, stringendo il pupazzo di Lucia tra le mie
braccia, come se potessi sentirla più vicina, ancora. C'è
ancora il suo profumo impregnato e, per un attimo, ho avuto la
sensazione di abbracciare lei, per davvero.
Ho paragonato il distacco da Lucia come all'elaborazione di un lutto.
La fase di negazione e di shock è avvenuta quel giorno, quando
l'ho vista scivolare via dalle mie mani, senza riuscire a far niente
per fermare la Berardi e Accorsi. Ho cercato di convincere me stessa
che non fosse vero che, se mi fossi voltata, l'avrei trovata ancora
lì. Era quello che mi aveva fatta stare più male,il
pensiero di non poterla proteggere più, di saperla lontana da
me, magari felice, con una famiglia che non comprendesse me e Luca. E
quando Luca aveva riferimento a quel pensiero, mi aveva mandato fuori
di testa. Lui, poi, che al mio shock aveva assistito e, in barba
all'orgoglio e tutto quello che continuavano a tenerci nascosto, in
quello studio, mi aveva sorretta, si era preso cura di me,
dimostrandomi quanto mi fosse vicino. Io che l'avevo allontanato, io
che gli avevo detto di andarsene e sempre io che non avevo creduto lui
potesse comprendermi, mi ero dovuta arrendere all'evidenza che non ci
fosse altra persona in grado di farmi star bene.
Non c'era, però, stato spazio per una fase di negoziazione, ero
passata sùbito alla resa e la rabbia beh, quella era subentrata
poche ore dopo, quando mi ero rifugiata tra le mure di casa mia.
La rabbia che avevo provato era stata principalmente per me stessa. Per
essere stata così inutile dal non poter fare niente: io Lucia
l'avevo solo riempita di speranze e promesse , facendo in modo che lei,
dall'ospedale, se ne andasse lo stesso. Ma io sono come Lucia, solo una
piccola pedina, in una partita che non possiamo controllare. E
allora mi era venuto da pensare che avessi dovuto essere sincera
con lei fin dall'inizio. Non avrei dovuto assecondarla, alimentando le
sue speranze. Ma, in quella famiglia, ci avevo creduto anche io. E la
rabbia, per essere stata così illusa e mangiatrice di sogni da
aver pensato di poterle offrire un focolare familiare, era stata
così forte. Eh sì, era stato tutto così bello, con
Luca poi che sembrava capirmi come nessuno, e l'affetto per la nostra
Lucia ad unirci, ma la resa dei conti per noi era arrivata. D'altronde
lui me l'aveva fatto presente: Lucia non è di nostra
proprietà e per quanto lui ci fosse affezionato, era arrivato il
momento di lasciarla andare via. Ero arrabbiata anche con lui,
soprattutto. Avevo apprezzato che avesse preso le difese con Visconti e
che mi fosse stato accanto, questo sì, ma non bastava a
cancellare il resto. E, forse, mi ero illusa di nuovo perché
avevo sperato lui si facesse vivo e, invece, l'assenza di almeno un
messaggio da parte sua, mi aveva fatto piombare, di nuovo, nello
sconforto.
Così, mentre mi ero lasciata andare contro quel divano, mi ero
chiusa in me stessa, isolandomi da tutto il resto. Non esisteva altro
che non comprendesse Lucia. E mi ero domandata come stesse, cosa stesse
facendo. La mia espressione era stata vagua, assente, mentre ero
rimasta a fissare un punto impreciso per ore, ma non avevo pianto. Da
quando ero tornata a casa, non avevo versato nemmeno una lacrima, e
forse era stato meglio così; quando mi ero lasciata andare tra
le braccia di Luca, dovevo averle esaurite tutte.
La mia assenza non era passata inosservata ma, d'altronde, non potevo
aspettarmi di rifiutare chiamate, non rispondere ai messaggi e pensare
che nessuno si preoccupasse. Così, in quei giorni così
lunghi e infiniti, il campanello e il mio cellulare non avevano smesso
di suonare un attimo. Le mie amiche, arresesi all'idea che non avessi
intenzione di rispondere al telefono, si erano presentate a casa,
desiderose di spiegazioni. Ma, forse, mi ero detta, forse il mio modo
di agire era sbagliato, eppure avevo sentito fin da subito che volessi
lasciare fuori tutti; non volevo che intralciassero con il mio dolore o
che addirittura se lo addossassero. Nonostante conoscessi le mie amiche
e sapevo che non mi avrebbero mai giudicata, avevo avuto paura che non
capissero. E il solo pensiero, mi aveva spaventata tantissimo. Ma non
potevo biasimare nessuno, perché la mia reazione alla
situazione, se non vissuta sulla propria pelle, poteva sembrare
esagerata. Lucia per tutti era solo una paziente a cui ero tanto
affezionata e che aveva lasciato l'ospedale? Perché farne un
dramma? Come potevo spiegare cosa avesse significato per me? Ecco, non
sarebbe stato possibile.
Carlotta, Cristina e Giulia erano diventate ben presto insistenti,
così tanto che avevo pensato potessero svegliare l'intero
condominio. Avevo aperto loro, con stizza, biascicando parole confuse.
"Anita..." i loro occhi mi avevano scrutato a lungo.
Sui loro volti si erano alternate tante espressioni: sorpresa, sgomento, preoccupazione, compassione, impotenza.
Ero a conoscenza che le mie condizioni non fossero le migliori.
Così avevo aperto la porta il minimo necessario per far loro
comprendere che stessi bene. Relativamente parlando, certo, ma
ero viva e non dovevano preoccuparsi. Poi, prima che potessero
insinuarsi in casa, le avevo lasciate fuori. Fuori dal mio
appartamento, fuori dal mio dolore.
"Anita, non puoi fare così. Cosa ti succede?!" Le parole di
Cristina mi erano arrivate forti e chiare, così come lo strappo
al petto che avevo provato nell'ascoltarle.
"Ti prego Anita, spiegaci...siamo preoccupate"
"Anita..."
Avevo appoggiato una mano alla porta, immaginando che loro dall'altra
parte stessero facendo lo stesso. Ci eravamo sempre giurate che ci
saremmo state, in qualsiasi evenienza, ma questa volta avrei dovuto
gestirmela da sola.
"Mi dispiace..."avevo sussurrato, ma dopo poco non avevo sentito le loro voci. Se ne erano andate.
Dopo
due giorni, era subentrata la febbre. Era stato un modo di reagire, per
il mio corpo, a tutto lo stress a cui mi stavo sottoponendo. Mi era
sembrata fin da sùbito una buona scusa per giustificare il mio
allontanamento. Insomma da medico un'influenza la sapevo gestire
benissimo, anzi quello sarebbe stato proprio l'ultimo dei miei problemi.
Avevo riacceso il cellulare e i messaggi che ci avevo trovato erano stati molteplici. Li avevo letti tutti.
Carlotta:
Anita, ti prego, dimmi che succede! Siamo preoccupate....
E ancora,
Anita ma perché fai cosi? Diamine rispondi!!
Cristina, invece, era stata più diretta:
C'entra Luca non è vero? Ti ha detto o fatto qualcosa?!!
Anita, rispondi o giuro che...non mi vuoi costringere alle maniere
forti. Vero?
Era stato poi il turno di Giulia:
Anita...perché ci fai questo? Ti prego, rispondi. Cristina
vuole andare da Luca, è sicura che ti abbia fatto qualcosa. Ma
lo pensiamo un po' tutte...quindi, ti prego, almeno dicci se è
così.
Avevo trovato anche tanti messaggi di mia madre e la sua preoccupazione era stata sempre più crescente.
Tesoro tutto ok? Sto provando a chiamarti. Sei ancora al lavoro?
E poi: Anita, è ovvio che tu non sia più al lavoro. Sono due ore che ti chiamo. Dove sei?.
Rispondiiii
Anita, sono molto preoccupata. Rispondi. È successo qualcosa?! Non è da te...
I suoi messaggi si erano protratti per giorni interi, così come
quelli delle ragazze, di Nicola e Maria. Sembravano tutti uguali,
mentre mi chiedevano perché non rispondevo, che fine avessi
fatto, cosa mi fosse successo.
Anche Arianna si era preoccupata per me, avevo trovato anche un suo messaggio.
Ehi, Anita :)
Come stai? Ti sei ripresa da questa brutta influenza?
La mia collega, quando Lucia se ne era andata non era presente in
ospedale. E al lavoro pensavano davvero che io stessi male, ma
possibile non era al corrente di quello che fosse successo? Avevo
immaginato che avrebbero sparlato tutti del mio spettacolino.
Ma avevo archiviato ben presto quel pensiero, avevo cose più importanti a cui badare.
Avevo capito ben presto, infatti, che la situazione stesse degenerando quando mi era arrivato un messaggio di mio fratello.
Anita, che cazzo stai combinando?! Mi ha chiamato mamma, ha detto
che non le rispondi, è preoccupata. Si può sapere che ti
è successo? Chiama al più presto.
Era stato chiaro, fin dall'inizio, che stessi facendo soffrire tutti,
ma mi era sembrato il miglior modo di autodifesa. Da tutto e tutti.
La
schiena dopo due giorni su quel divano, con un solo caldo plaid ad
avvolgermi, aveva cominciato a dolermi, ma non mi ero alzata neanche un
po'. Ero debole e non solo per l'influenza. Non avevo toccato cibo per
2 giorni, avevo solo preso dei sali minerali e bevuto dell'acqua per
evitare una disidratazione.
All'ennesima chiamata, avevo sbuffato, rifugiandomi sotto alla coperta.
Il mal di testa era arrivato, forte, martellante. E i sintomi di
quell'influenza che mi aveva colpito erano emersi tutti all'improvviso,
facendomi comprendere fosse ora di prendermi cura di me.
Avevo preso un'antipiredico e avevo sperato quello potesse fare abbassare la febbre.
Mia madre non si era arresa facilmente, ero arrivata a pensare che mi
sarei ritrovata anche lei in casa e forse non mi sbagliavo.
Poi, mentre ero tornata a rifugiarmi in quel porto sicuro che il divano
e la coperta erano diventati, avevo deciso di risponderle.
"Finalmente!"
Dal suo tono ero riuscita a percepire tutta la tensione e la preoccupazione che le avevo causato.
Avevo sospirato, massaggiandomi le tempie: "Scusa mamma, mi sono presa una bella influenza..."
Ma avevo saputo fin da sùbito che non sarebbe bastato.
"Anita!" Aveva esclamato, concitata. "Pensi che me la beva? Una semplice influenza? È per questo che per giorni non rispondi?!".
"Sì..."
L'avevo sentita prendere un bel respiro prima di tornare a parlarmi, e il suo tono si era lievemente addolcito.
"Anita, io non so cosa sia successo, ma ci stai facendo preoccupare
tutti. Le tue amiche mi hanno detto che quando vengono non apri, sei
chiusa in casa da tre giorni, non vai al lavoro, non dai tue notizie.
Mi auguro che tu abbia una valida spiegazione per questo."
Le sue parole avevano insinuato in me quel senso di colpa che, a fatica, avevo cercato di sopprimere.
"Mamma, ti prego..." l'avevo supplicata; la testa che mi pulsava.
"Anita, io non ti capisco. Qualunque cosa sia successa, non puoi
lasciarci fuori così. Sono tua madre, penso di aver il diritto
di sapere, di capire, e invece..."
"Va tutto bene, ok? Rassicura pure gli altri. E adesso, se non ti dispiace, ho bisogno di riposare".
Avevo attaccato prima che lei potesse ribattere, ma ero sicura che non si sarebbe arresa facilmente.
Il quarto giorno si prospetta proprio come tutti gli altri, monotono e triste.
Arrivo a pensare che si siano stancati tutti di me, ma forse il messaggio riferito alla mamma ha dato l'effetto desiderato.
Meglio così. La febbre, poi, si è abbassata, ma
lasciandomi un grande intorpidimento muscolare. Così, quando
finalmente decido sia arrivato il momento di alzarmi, ogni mio
movimento è rallentato.
Mi preparo qualcosa di caldo, assumo la mia fase giornaliera di sali
minerali, svolgo le mie azioni più quotidiane ma non lo faccio
davvero.
Il suono del campanello arriva a squarciare il silenzio del mio appartamento.
Non faccio nemmeno caso alle condizioni in cui versiamo io e l'ambiente circostante e mi avvicino lentamente alla porta.
È Nicola.
Tiro un profondo respiro prima di aprirgli e, quando lo faccio, lui
sembra riversare nel nostro abbraccio tutta la sorpresa che lo investe
nel rivedermi.
"Dio, Anita. Ci hai fatto preoccupare tutti quanti" sussurra sulla mia spalla, stringendomi più forte a sé.
Resto con le mani sospese a mezz'aria prima di ricambiare la sua stretta.
"Non farlo mai più, ok?" Mi fa promettere, sciogliendo l'abbraccio per appoggiarmi le mani sulle spalle.
Lo guardo, annuendo, ma non proferisco parola.
Il suo sguardo mi rimane addosso, a lungo, avvicendandosi sulle mie condizioni.
Poi, notando che io non abbia intenzione di fare o dire nulla, è
lui stesso a prendere le redini della situazione e insieme ci facciamo
spazio verso l'appartamento. I movimenti di Nicola sono frettolosi,
accompagnati dall'unico scopo della sua visita: sapere cosa sia
successo. Lui sembra dare un'occhiata veloce all'ambiente circostante
ma, poco dopo, torna a guardare me, facendo in modo che un cipiglio gli
si formi sulla fronte.
Mi stringo le braccia al petto, arricciando il naso. Riesco a
leggergliele tutte le domande che vuole pormi, ma non sono sicura di
riuscire a rispondergli.
Così, mentre siamo tornati distanti, Nicola fa ricadere le
braccia lungo il corpo, colpito dalla mia nuova insolita freddezza.
Un sospiro fuoriesce dalle sue labbra, mentre si passa una mano tra i capelli, indeciso sul da farsi.
"Anita, allora, vuoi dirmi che è successo?" mi domanda.
Abbasso lo sguardo, torturandomi le mani, nervosa.
"Nicola, non è successo niente. Ho l'influenza..." proferisco in un sussurro.
Lui ritorna al mio fianco, in un attimo, premurandosi di toccarmi la
fronte, per controllare se io scotti o meno. Il contatto con le sue
dita fredde mi fa rabbrividire. Poi, constatando che la mia temperatura
sia normale, prende a fissarmi, sospettoso, inarcando un sopracciglio.
"Sei fredda".
Le mie mani puntellano sul suo petto, infastidita, per allontanarlo da
me: "Sì, la febbre si è abbassata, ma ce l'avevo".
"C'entra lui, non è vero?" insiste, spazientito dalla mia
reticenza nel parlare. "È stato Luca a ridurti così o mi
sbaglio?"
Avrei dovuto immaginare che Nicola avesse potuto riversare la colpa su
di lui. D'altronde, adesso, gli appare come l'unico su cui poter
addossare la causa del mio malessere.
Scuoto il capo, stringendomi in un abbraccio. "Luca non c'entra niente" gli replico, inasprita.
"Sei sicura?" Indaga.
Porto le mani al cielo, esasperata. "Sicurissima".
"Anita..." mi richiama serio, incrociando le braccia al petto. "Tu devi
dirmelo se sia stato lui, perché io, davvero, questa volta non
gliela faccio passare liscia".
Certe abitudini sono dure a morire, eh Nicola?
"Smettila, Nicola. Luca non ha colpe, te l'ho detto. Ho l'influenza" chiarisco, cercando di assumere un tono di voce fermo.
Nicola mi scruta a lungo, con il solo scopo di trovare il minimo di
accenno di vacillamento e, allora, non contento, si avvicina quanto
basti per puntarmi un dito contro.
"Bene, dato che sembra tu non abbia intenzione di dirmi
niente,vorrà dire che le risposte le avrò da
qualcun'altro".
Le sue parole nascondono una certa provocazione che non posso ignorare. So quale sia il suo intento.
"Fai come vuoi" gli ribatto a tono.
Eppure, mentre lui va via chiudendosi con foga la porta alle spalle, mi
viene da pensare che sono spaventata all'idea delle conseguenze che
potrebbero causare le mie azioni.
Le
lacrime, così, arrivano, senza che io riesca a fermarle. E
allora piango e sembra non sia capace di smettere ma, questa volta,
sono sola e questo pensiero se è possibile rende il mio dolore
più forte. Ma è tutta colpa mia perché ho
allontanato qualsiasi persona volesse darmi il suo sostegno. Mi sono
chiusa a riccio e adesso ne pago le conseguenze.
Piango, stringendo il pupazzo di Lucia tra le mie mani. Poi, come a
voler peggiorare la mia situazione, in loop mi sembra di ripercorrere
tutti i bei momenti passati con lei.
Rendendomi conto che il suo allontanamento mi sia così difficile
da superare, mi viene da pensare se io possa mai arrivare ad una fase
di accettazione.
È
tutto buio intorno a me, ma riesco a riconoscere, nonostante la
penombra, i corridoi dell'ospedale. Mi viene subito da pensare che mi
trasmettano un'aria angusta ma questo non mi fa desistere dai miei
passi, così continuo a camminare. Ma mi rendo conto ben presto
che io non abbia una meta precisa. Il corridoio sembra protrarsi
all'infinito, e le finestre che danno sulle esterne diventano sempre
sporadiche, fino a scomparire completamente. Così, anche quella
fioca luce che si rifletteva viene spazzata via, facendomi ritrovare
nel buio totale. Mi guardo intorno, con un senso di spaurimento a farsi
spazio dentro di me. Faccio un giro su me stessa, senza sapere
più dove andare. Sono sola e senza vie d'uscita. E poi lo sento,
è il pianto di una bambina.
"Lucia..." sussurro.
So che sia lei, e mentre ascolto i suoi singhiozzi, mi viene da
pensare che, se riuscissi a capire da quale direzione provengano,
forse questo mi porterebbe da lei.
Avverto l'agitazione farsi spazio dentro di me, mentre il cuore comincia a battermi forte.
Io ti troverò Lucia, te lo prometto.
Così, mentre mi muovo, sento il pianto divenire sempre più forte e disperato.
Comincio a camminare, sempre più veloce, con i miei stivaletti che ticchettano sul pavimento.
Poi, finalmente la vedo. Lucia è a pochi passi da me,
illuminata come da un occhio di bue. Tutta la luce, infatti, è
incentrata su di lei.
Sorrido, sentendomi improvvisamente felice e rassenerata dalla sua vista.
"Tu sei qui, Lucia. Sei qui" proferisco a bassa voce.
Lei non si accorge sùbito di me. È rannicchiata su se
stessa: singhiozza in modo convulso mentre si stringe le ginocchia al
petto.
Così mi avvicino, con l'intenzione di rassicurarla.
"Lucia" le sussurro.
Lei alza lo sguardo per incrociare i miei occhi e mi rendo conto
che, a differenza di quel che pensavo, non sia contenta di vedermi. Il
suo viso, dilaniato dal pianto, si contrae in una smorfia infastidita.
Poi, vedendo che io mi faccia sempre più vicina, comincia a dimenarsi alla mia vista, spingendomi lontana.
"Vattene, vattene via!" Mi urla contro; i suoi occhi sono scuri e cattivi.
"No, Lucia..." sono spaventata dal suo rifiuto.
"Ti odio, tu sei cattiva. Lasciami stare!"
Lei scuote il capo, portandosi le mani alle orecchie, come a volersi proteggere da me e le mie parole.
"No, Lucia, No!"
"No!"
"Anita!"
Ho la sensazione che qualcuno mi stia scuotendo per le spalle e mi
sveglio di soprassalto dal sonno, sbarrando gli occhi, impaurita.
Respiro affannosamente, ancora sconvolta dall'incubo proiettato dalla
mia mente. Il mio cervello mi ha giocato proprio un brutto scherzo,
stavolta. Ma era tutto così reale che per un attimo mi è
sembrato Lucia fosse proprio lì, accanto a me.
"Anita, tesoro, è tutto ok. Hai fatto solo un brutto sogno".
Mi rendo conto che sia un bene ci sia mia madre al mio fianco e
l'abbraccio, riversando nella nostra stretta tutto il bisogno di
affetto di cui necessito.
"Un brutto sogno, sì..."
E lei, rendendosi conto di quanto con disperazione mi stringa a lei, si premura di accarezzarmi la schiena per tranquillizzarmi.
In un attimo il pensiero che avesse potuto essere arrabbiata con me,
passa in secondo piano. Perché mamma è qui e sta facendo
in modo che io stia al sicuro.
"È tutto ok, mmh?" mi domanda, sulla mia spalla.
"Mi dispiace, mamma..."
"Ehi" scioglie la nostra stretta per appoggiarmi le mani sulle spalle.
"È tutto a posto. Sta tranquilla" fa presente, passando ad
asciugare le goccioline di sudore che mi imperlano la fronte.
"Anita, ma hai misurato la febbre? Scotti tantissimo" proferisce, contraendo le labbra in una smorfia.
"L'ho misurata stamattina, si era abbassata" le replico. Appoggio la
mia mano sulla sua, per toccarmi la fronte e mi ritrovo a doverle dare
ragione. La temperatura deve essere salita mentre dormivo.
"È stato un bene che io avessi delle chiavi di emergenza" mi fa
notare. "Meno male che adesso c'è la tua mamma qui con te. Ora
ti cambi che questo pigiama è da lavare e grondi di sudore,
prendi le medicine per fare abbassare questa brutta febbre e vedrai che
andrà tutto bene".
Mi arrendo, rendendomi conto che però sia contenta ci sia lei a
prendersi cura di me. E sotto le sue attenzioni mi sembra di tornare
bambina.
Così mi aiuta a cambiarmi e prepara per me un brodo caldo, che alla fine gustiamo insieme, appollaiate sul divano.
"Mamma"
la richiamo, mentre lei è impegnata a dar una sistemata all'
appartamento. In un attimo il tavolino è sgombro da qualsiasi
kleenex e bicchiere, tornando a risplendere. Ogni cosa sotto al suo
tocco torna al suo posto. Ora capisco da chi abbia ereditato la mania
per le pulizie.
"Dimmi tesoro, è già ora di riprendere l'antipiretico?" mi domanda, curiosa.
"Nono, solo, grazie" ammetto con riconoscenza.
Lei si volta verso di me, sorridendo debolmente. L'argomento del mio
isolamento non è stato ancora toccato e sento che sia arrivato
il momento di spiegarle.
"Vuoi dirmi qualcosa, Anita?"
"Beh, sì..."ammetto, giocando con le dita delle mie mani. "Mi
dispiace di averti fatto preoccupare in questi giorni, ma sentivo di
voler stare sola" le confesso.
Lei si avvicina, sedendosi al mio fianco: "Cos'è che ti fa stare
tanto male?" mi chiede, appoggiando una mano sulla mia, per stringerla.
Mi volto nella sua direzione, trovandola a fissarmi con insistenza.
Allora afferro il pupazzetto di Lucia e glielo appoggio in grembo.
Lei sembra riversare tutta la sua attenzione su quell'ammasso di spugna
e prende a giocarci distrattamente, sorridendo malinconicamente.
"Pensavo avessi superato l'età dei peluche e invece..." ammette, con l'intenzione di alleggerire la tensione.
Così la colpisco al braccio, scherzosamente, sbuffando per la sua presa in giro.
"È di Lucia..." le replico, tornando seria. "Lei se n'è andata".
Mia madre sbarra gli occhi, prendendo a fissarmi con un'espressione preoccupata.
"In che senso se n'è andata? Non dirmi le sia successo qualcosa..."
Oh, mamma...
Appoggio una mano sulla sua come se d'un tratto fossi io a dover
rassicurare lei. La stringo forte. Ma, mentre lo faccio, mi rendo conto
che sia proprio io a voler trarre forza da questo gesto.
"Nono, lei sta bene. È uscita dall'ospedale, sai è tornata alla casa famiglia che la ospita e..."
Mia madre si volta nella mia direzione e per un attimo, davanti al suo
silenzio, ho quasi paura che il dubbio di non essere compresa possa
realizzarsi. Ma, al contrario, lei mi stringe a sé, e mi rendo
conto che questo sia molto più delle parole e avverto il mio
cuore alleggerirsi da un peso.
"Oh, tesoro. Ma perché non me lo hai detto sùbito?"
"Non lo so, mamma. Pensavo che non mi sarei sentita capita e boh, ho avuto paura..."
"Mi dispiace, Anita" sussurra sulla mia spalla. "Capisco quanto tu le
fossi affezionata, ed è normale che tu ci stia male, ma..."
"Cosa, mamma? Ma cosa?" le domando, divincolandomi dalla sua stretta.
Lei mi scruta a lungo, nascondendo una certa agitazione alla mia domanda.
Ma cosa? Ma stai sbagliando? Ma la tua reazione è eccessiva? Ma non è normale che ti sia ridotta così?
Il pensiero che mia madre possa rivolgersi a me con una di queste frasi arriva a tartassarmi.
"Ma sono tua madre, Anita, e adesso sono qui per te" mi fa presente,
lasciandomi una carezza tra i capelli e facendomi sentire stupida per
tutto quello che ho appena pensato. Come ho potuto solo dubitare di
lei?.
Quindi, sospiro di sollievo, tornando ad abbracciarla, desiderosa di
colmare una certa mancanza con il suo affetto. Perché, adesso
che la mia mamma è qui, ho bisogno di sentirmi ancora figlia
anche io.
La
sera è calata da un po', nonostante non sia nemmeno ancora di
cena, ma d'altronde d'inverno l'oscurità arriva ad avvolgerci
troppo presto. La febbre si è abbassata, di nuovo, e mi auguro
che questa temperatura altalenante torni stabile, presto. Mia
madre è andata via, nonostante non volesse lasciarmi sola. Ma
l'ho praticamente costretta, assicurandole che stavo e starò
bene. Devo rimettermi in forze, d'altronde non manca molto prima che io
sia costretta a tornare alla vita reale.
Nel frattempo, poi, ho risposto a tutti i messaggi che avevo in sospeso. Sono stata breve e concisa.
Sto bene.
Nessuno ha fatto ulteriori domande, ma arriverà il momento in
cui dovrò dare risposte a tutti, prima sugli altri, le mie
amiche.
Il primo passo sarà, però, tornare al lavoro e sono
sicura che quello mi costerà parecchio. Sarà dura dover
percorrere i corridoi dall'ospedale sapendo che non troverò
più Lucia ad attendermi. Le mie giornate saranno più
tristi e monotone senza il suo sorriso a rallegrarle.
E Luca? Come sarà doverlo affrontare, di nuovo?
Eppure, sono davvero sicura che starmene qui, con le mani in mano, sia la giusta soluzione?
Senza di lei non sarà lo stesso, è vero, ma il lavoro mi richiamerà all'ordine ben presto.
La
televisione è accesa, mentre trasmette un programma di cucina
che non guardo sul serio, ma almeno il vociare dei partecipanti va ad
appianare il silenzio che aleggia.
Sento, improvvisamente, pervadermi da un senso di inquietudine e
afferro il cellulare tra le mie mani. Nicola non si è più
fatto sentire e non posso fare a meno di domandarmi se sia andato da
Luca. Perché era lui che si riferiva, non c'è dubbio. E
se ne avesse combinato una delle sue? Eppure, mi aveva promesso che non
avrebbe commesso sciocchezze.
E tu Luca, che fine hai fatto? Perché mi fai credere che te
ne importi di me, che tu sia preoccupato per me, e poi sparisci
così, cone se nulla fosse?
Il
campanello di casa suona e mi scopro ad essere agitata al solo pensiero
che possa essere lui. Ma mi ritengo una sciocca dopo averlo solo
pensato.
Così, per appianare la mia curiosità, mi alzo svelta per
raggiungere la porta. Il plaid scivola a terra, ma ho fretta per
raccoglierlo, quindi lo lascio abbandonato a piedi del divano.
Il campanello ritorna a suonare e mi rendo conto che la persona dall'altra parte abbia una certa fretta.
"Arrivo..." biascico, rischiando di incespicare nei miei passi.
Chiunque sia, è parecchio insistente.
Agguanto la maniglia della porta, stringendola tra le dita e, quando
spiando dallo spioncino, mi accorgo che al di là di essa ci sia
proprio Luca, per poco il mio cuore non perde un battito.
Luca è qui e io mi ritrovo ad essere ancora più agitata all'idea che il mio pensiero si sia realizzato.
Mi passo una mano tra i capelli, cercando di appianare e districare
alcuni nodi, do poi una veloce occhiata al mio pigiama, semplice e un
po' slavato dai continui lavaggi.
"Oh, Anita! Ma che fai? Mi apri o no?"
È la voce di Luca a riscuotermi dai miei pensieri e a non
badare più di tanto al mio aspetto. D'altronde lui mi ha
già visto in pigiama e non deve importarmi tanto di come stia.
Così, finalmente, gli apro.
"Era ora!" ammette lui, senza troppi giri di parole. Poi, prima che io
possa dire o fare qualsiasi cosa, lui mi passa accanto, facendosi
spazio nel mio appartamento e lasciandomi all'ingresso, sola e
desiderosa di spiegazioni.
Chiudo la porta, appoggiandomi contro di essa e mi decido a raggiungerlo. Cosa ci fa qui?.
Lo colgo di sorpresa alle spalle, e quando lui si accorge della mia
presenza nella stanza, si volta verso di me, lasciando ricadere il
pupazzo di Lucia sul divano.
Io lo osservo e lui fa lo stesso con me e rimaniamo così,
a scrutarci in un continuo scambio di sguardi che non sembra voler
trovare una fine.
Anche il suo aspetto non è dei migliori, riesco a scorgere sul
suo viso tutta la stanchezza accumulata di questi giorni. Nemmeno gli
occhiali che indossa riescono a nascondere le lievi occhiaie che gli
solcano il volto.
Poi, finalmente, come risvegliatosi, Luca prende parola, avvicinandosi per puntarmi un dito contro.
"È così che mi ringrazi, dopo che ti ho difeso, ti sono stato accanto!" Mi fa presente, con la voce distorta dall'agitazione.
Lo guardo senza ben capire, colpita dal suo tono. Nemmeno un come stai, va tutto bene!
"Ma cosa dici, Luca, io..."
"Non fare finta di niente, Anita. Vuoi farmi credere che non ce lo abbia mandato tu, il tuo amico Nicola, da me?"
E, alle sue parole, mi rendo conto che le mie preoccupazioni fossero
fondate. Nicola è andato da lui e non oso immaginare cosa abbia
potuto dirgli.
"Cosa ti ha detto?!" gli chiedo, allora, preoccupata, portandomi le braccia al petto.
Lui rilascia un sospiro, passandosi una mano sul viso.
"È venuto da me, incazzato nero,mi ha aspettato fuori dal lavoro; voleva spiegazioni riguardo al tuo comportamento.
Ma noi lo sappiamo bene da cosa dipenda il tuo malessere, no?" mi fa notare, abbassandosi per farsi più vicino.
Assottiglio lo sguardo, stringendomi in un abbraccio, improvvisamente stanca di quale piega stia prendendo la conversazione.
"Guarda che tu, Luca, non sei così tanto innocente..." proferisco a bassa voce.
Lui punta lo sguardo su di me, inchiodandomi con i suoi occhi e alza le mani in segno di resa.
"Ok, ok" ammette, facendo un passo indietro "ma, in realtà, sono qui proprio per questo. Io e te dobbiamo parlare".
Rilascio un sospiro, che la resa dei conti abbia inizio.
ANGOLO AUTRICE:
Buon pomeriggio a tutti? Come state?
Questo capitolo arriva con circa una settimana di ritardo e me ne
dispiace ma è stato abbastanza complicato scriverlo. Ho cercato
di immedesimarmi il più possibile in Anita e mi auguro che non
abbiate trovato la sua reazione al dolore esagerata. È una
situazione difficile e rimanere sola le è sembrata la giusta
soluzione. Ma nessuno si è arreso davanti al suo silenzio e
questo è la dimostrazione di quanto tutti fossero preoccupati
per lei.
Poi, Luca: lui, beh, fa questa breve apparizione alla fine del capitolo
e sembra che il caro Nicola ne abbia combinata una delle sue, andando
da lui per chiedergli spiegazioni. Non gliene vogliate, Nic era solo
molto preoccupato per la sua amica😊
Ammetto che mi sia divertita a lasciarvi in sospeso, così😁
Credete che, finalmente, la verità verrà a galla? E se
sì, cosa pensiate abbia spinto Luca a comportarsi in un
determinato modo?. Aspetto i vostri commenti, su su, fatevi avanti!!!
Intanto ringrazio le ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo,
grazie per esserci sempre, e chiunque abbia inserito questa storia
nelle proprio liste. La storia ha raggiunto un numero importante di
visualizzazioni e questo è tutto merito vostro. GRAZIE!!
Spero di riuscire a postare al più presto, anche perché
sono ansiosa di farvi conoscere come sarà la vita di Anita,
adesso che Lucia non è più in ospedale, ma non temete
rivedremo ancora la piccola. Non è ancora finita qui...anzi,
semmai inizia tutto da qua <3
Vi abbraccio! Alla prossima!