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Autore: Spoocky    05/12/2018    0 recensioni
La battaglia della nebulosa Mutara dal punto di vista di Khan Noonien Singh.
Sapendo di essersi imbarcato in una missione suicida, accetta serenamente le conseguenze delle sue azioni finché un incontro inaspettato non gli darà la sicurezza di un futuro.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Khan Noonien Singh
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Disclaimer: i personaggi e le citazioni riconoscibili appartengono agli aventi diritto, io non guadagno nulla.

Buona lettura ^.^ 


Sbuffi di vapore si disperdono nell’aria mentre mi trascino sul ponte. La vista mi si appanna e l’odore acre dei corpi bruciati, insieme alle esalazioni sulfuree che si diffondono dalle falle nella struttura stanno rendendo questa stanza sempre più simile ad una gora infernale. L’ ironia non mi sfugge.
Better to reign in Hell than serve in He’ven.

Meglio regnare all’Inferno che servire in Paradiso.
Così avevo rinfacciato all’integerrimo Capitano James T. Kirk prima che mi scaricasse su quel deserto inospitale che è Ceti Alpha V. Le mie parole si sono rivelate profetiche e quella profezia si è avverata. In un certo senso posso dire di essermelo aspettato ma ora devo ammettere di non avere avuto idea di quanto quelle parole, vergate più di mille anni fa, potessero definire la mia vita. Non penso solo a quella landa desolata e infeconda, infestata da parassiti spietati che mi hanno strappato ad uno ad uno i miei fratelli, le mie sorelle...e la mia adorata moglie.
Marla!
Oh Marla!
Persino il dolore delle mie ferite, il palpito delle ustioni che straziano la mia carne scemano di fronte alla lancia che mi trafigge il cuore ogni volta che ti penso. La tua perdita è il vero dolore, la tua assenza la vera amarezza. Le piaghe sul mio corpo non sono nulla in confronto a quelle che la tua morte ha lasciato nella mia anima. Ma a tormentarmi maggiormente è il senso di impotenza: il sapere di aver avuto le mani legate, di non aver potuto fare nulla mentre ti vegliavo, fragile e bellissima, agonizzante sul tuo letto di morte. Tutta la mia forza e la mia intelligenza superiore non hanno potuto nulla contro il mostro che ti ha fatta sua. Così piccolo, un insetto apparentemente insignificante. Eppure ha avuto la meglio su di te e su di me.
E sul figlio che portavi in grembo. Quella creatura, debole ed indifesa, che non ho mai conosciuto né mai conoscerò ma che avrei potuto amare, forse tanto quanto ho amato te, Marla, unica donna ad aver ispirato in me un sentimento di tenerezza e quella volontà di protezione che credo fosse l’unico modo in cui possa essere stato in grado di esprimere affetto.
Nostro figlio, forse l’unica cosa veramente buona che avrei potuto lasciare a questo Universo immondo. Ma il destino ha voluto privarmi anche di un erede, ora nessuno potrà continuare il mio sogno di un’umanità migliore, nessuno si farà garante del mio retaggio e tutto ciò che sono stato svanirà per sempre, la supernova della mia esistenza ha brillato intensamente per dissolversi completamente nel gelido buio dello spazio.

Ora non è rimasto più nulla.
Non esiste più niente dell’uomo con cui dividevi il letto, che la sera riversava nel tuo orecchio attento tutte le difficoltà di essere un leader in circostanze così avverse e che accoglievi contro il tuo seno caldo, l’unico posto i cui mi sia mai sentito davvero amato e desiderato. Colui che hai accolto nel tuo intimo come nessuno prima, che avevi accettato come compagno per generare una nuova vita, spazzata via in un soffio prima di vedere la luce. Quella parte di me è svanita con il tuo ultimo respiro. Da allora nient’altro che una furia cieca, un odio sconfinato verso chi mi ha portato via tutto, ha riempito il mio petto e nutrito il mio animo. Non il DNA potenziato ma l’ira mi ha tenuto in vita fino a questo momento e ora che sento le fauci della morte avvicinarsi, ora più che mai il mio desiderio di vendetta si fortifica e tutto il mio essere arde di ferocia nello sferrare l’ultimo attacco al mio nemico.

Vorrei ucciderlo, trascinarlo via con me nell’abisso senza fine che mi attende, ma più ancora vorrei ferirlo, mutilarlo, privarlo di qualcosa che lo faccia soffrire tanto quanto ho sofferto io.
Neppure lui è uscito indenne da questa battaglia: la sua amata nave, la sua casa e famiglia, che considera parte di se, è danneggiata quasi quanto la mia. La vedo beccheggiare nello spazio, quasi alla deriva, su ciò che rimane dello schermo visore della plancia. E lui ne sta soffrendo nel profondo.
Lo so.
Lo sento.

Ma non mi basta.

L’Enterprise che fluttua nello spazio come un cetaceo agonizzante ancora non placa la mia sete di vendetta, semmai la inasprisce al punto da desiderare l’annientamento completo del mio avversario. Se ora sta soffrendo la perdita dei camerati e i danni alla sua amata nave, voglio che questo dolore sia solo l’inizio, voglio che il suo mondo sia vaporizzato in un lampo di luce accecante, un bagliore mortifero che lasci di lui, dei suoi compagni e di quella nave maledetta, null’altro che polvere spaziale. Che non resti altro che atomi, frammenti di molecole condannati a fluttuare nella gelida oscurità dello spazio profondo.
Che il nulla assoluto diventi il loro ed il mio mausoleo!

Raccogliendo le poche forze che mi restano, mi trascino ansimando verso la console di comando.
Per quanto breve, il tragitto è atroce: Il braccio sinistro è ormai inservibile e le gambe non mi reggono più, sospetto che siano rotte – se il dolore pulsante che mi trasmettono è un indizio affidabile - e sono costretto a strisciare sul pavimento cosparso di detriti. La quasi totalità del mio corpo è coperto da ustioni, alcune provocate da una sostanza acida che sta lentamente nutrendosi della mia epidermide, corrodendo le carni fino all’osso. Sento i brandelli dei miei vestiti sfregare impietosi contro la carne viva, facendo esplodere le vesciche che si sono formate mentre l’attrito mi strappa brandelli di pelle e anche carne. La sofferenza, pur attenuata dalle connessioni neurali potenziate che mi garantiscono una maggiore resistenza al dolore, è terribile.
Ma tutto questo non fa che aumentare la mia rabbia.

Proprio quest’ultima mi da le energie per issarmi sul pannello di controllo, mentre serro le mascelle così forte da sentire i molari stridere.
Reprimo un grido.
Non per orgoglio – ormai non è rimasto più nessuno a poterlo sentire – ma perché i miei polmoni ustionati si stanno riempiendo di quella mistura venefica che sta saturando la stanza e che li sta logorando. Non ho più il fiato per gridare, anche la trachea dev’essere compromessa. Comunque vada non mi resta molto da vivere. Fin dall’inizio di quest’ultima impresa avevo preventivato di non poterne uscire vivo. Di certo non avrei potuto vivere ancora a lungo con la consapevolezza di aver perso per sempre Marla e il nostro bambino. Né nutro alcuna speranza di poterli rivedere ora: quelle creature innocenti saranno sicuramente in un Paradiso inaccessibile per la mia anima corrotta, che il poco tempo passato insieme non ha potuto redimere. Sapevo di essere destinato alla grandezza ma il mio creatore aveva preventivato che dovessi raggiungerla spargendo sangue, morte e dolore così, alla fine non sarò altro che cenere. E, se esiste un mondo al di là di questo, lo abiterò fra infiniti tormenti per scontare ciò che ho inflitto in vita. Ma non mi potranno attribuire questa vendetta. Non mi potranno imputare il mio riscatto. L’integerrimo Ammiraglio James Tiberius Kirk non è egli stesso esente da colpe, se non altro da quella di aver condannato Marla all’esilio con me col sorriso sulle labbra, senza rimorso
alcuno. Ed io sono il suo punitore, colui che porrà fine alla sua vile ed ipocrita esistenza.
Che tenti pure una delle sue manovre evasive, che tenti di fuggire!
La sfida non è ancora conclusa.

“No, Kirk” riesco a sibilare “La partita non è finita” con uno sforzo terribile riesco ad azionare l’apparecchio per attivare il dispositivo Genesis “fino all’ultimo mi batterò con te!”
Questo è quanto.
Subito dopo le ginocchia mi cedono e crollo di nuovo a terra.

Ma non voglio morire senza vedere il mio peggior nemico fare la stessa fine: voglio che gli ultimi istanti di vita della sua nave rimangano impressi in eterno nelle mie pupille. A fatica, come se dovessi issare una creatura mastodontica, riesco a sollevarmi sul parapetto quel tanto che basta a poter vedere lo schermo in cui l’Enterprise arranca nel tentativo disperato di allontanarsi dall’ormai prossima esplosione di Genesis, il congegno creato per portare la vita che sarà invece latore di una morte spietata per Kirk e tutto il suo equipaggio. Fra i tremolii delle interferenze sullo schermo ed il dolore intollerabile che mi offusca la vista lo intravedo tentare di allontanarsi ma, nel profondo, sono convinto che non possa farcela.

Sento le forze abbandonarmi, scivolando via goccia dopo goccia insieme al mio sangue, ormai manca poco, le gambe hanno ceduto, i miei organi stanno collassando, divorati dal bruciore acido del gas che ho inalato mentre la pelle si sfalda e lascia che quel mostro liquido aggredisca la mia carne.
Non posso più dire di stare respirando: solo un rantolare confuso e doloroso lascia le mie labbra bruciate e il mio cuore è sempre più stremato; pulsa ancora, indomito, ma sempre più flebile, erratico ed instabile. Chiamando a raccolta tutta la mia ira riesco a lanciare un ultimo anatema, maledicendo quella fuga disperata: “No, non riuscirai a sfuggirmi! Anche dal cuore dell’inferno riuscirò ad annientarti! In nome dell’odio io sputo il mio ultimo respiro su di te!”
Poi tutto si dissolve in un grido feroce.
Un boato assordante e poi
The rest is silence.
 
Note:

Le citazioni provengono da Paradise Lost di John Milton e dall' Amleto di Shakespeare
 
  
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