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Autore: Athelye    06/12/2018    1 recensioni
Una mattina come tutte le altre stava scivolando via, era un comunissimo venerdì mattina. L’inverno alle porte, e anche il Natale lo era, se si fermava un attimo a pensarci. Il 5 dicembre però gli sembrava ancora troppo lontano per pensare ai regali da fare e alle faccende da sbrigare.
[...]
John stava sinceramente iniziando a odiare la parola tempo. Sembrava che tutti, in qualche modo, gli dicessero che aveva tutto il tempo del mondo per fare quello che voleva.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Una mattina come tutte le altre stava scivolando via, era un comunissimo venerdì mattina. L’inverno alle porte, e anche il Natale lo era, se si fermava un attimo a pensarci. Il 5 dicembre però gli sembrava ancora troppo lontano per pensare ai regali da fare e alle faccende da sbrigare.
Quindi era uscito, e quella mattina stava passeggiando per Central Park per conto suo. Yoko era rimasta a casa per badare a Sean, che aveva un brutto raffreddore.
Camminava lento, godendosi l’aria fredda che gli sfiorava il viso come una carezza, guardandosi attorno per osservare le varie scenette che gli si susseguivano davanti agli occhi. Una coppia anziana che giocava con quello che doveva essere il loro nipotino, intento a guardare le nuvole col nasino puntato contro il cielo terso; alcune persone che correvano, apparentemente ora andava di moda quella corsa lenta nelle zone verdi di mezzo mondo; due ragazzi che giocavano col proprio cane; e tante altre ancora.
Data l’assenza di quella donna che lo seguiva ovunque come una piccola ombra, quando John vide un’avvenente signorina seduta in solitudine su una panchina, non ci pensò due volte prima di avvicinarsi per parlarle e provarci con lei. Avrà avuto pure quarant’anni, ma tutti sanno che il lupo perde il pelo ma non il vizio.
Era una ragazza che doveva avere al massimo venticinque anni, graziosa e dai tratti del viso dolci. I capelli biondi portati a caschetto sotto un cappellino in stile anni ‘30 blu scuro, come il cappotto che la riparava dal gelo dicembrino e il paio di guanti di velluto che le copriva le mani affusolate. Gli occhi chiari, di un azzurro sereno, guardavano la gente passarle davanti senza notarla, e dal modo in cui sedeva sembrava aspettare qualcuno.
Quando lui si avvicinò, sedendole accanto senza chiederle il permesso, lei incurvò le labbra carnose e rosate in un grande sorriso, seguendolo con lo sguardo mentre prendeva posto, e tornando a guardare avanti sorridendo.
“Mattinata freddina eh, miss?” Disse, guardando davanti a sé.
“Così pare, John.” Gli rispose, costringendolo a girarsi verso di lei con un sopracciglio alzato e un mezzo sorriso sulle labbra.
La osservò per un secondo in silenzio, chiedendosi se l’avesse già vista da qualche parte. Impossibile, troppo giovane per conoscerlo abbastanza bene da chiamarlo per nome.
“Quanta confidenza, signorina. Con chi ho il piacere di parlare?” Chiese, con uno sguardo felino che cercava curioso di identificare la giovane accanto a lui.
Lei si voltò di nuovo a guardarlo, con questo sorriso ad incorniciarle il viso, gli occhi azzurri dolcemente incurvati e allegri.
“Piacere, sono la Morte.” Gli disse in tutta tranquillità, non facendo una piega mentre lo diceva.
John inarcò le sopracciglia, mentre una risata gli nasceva sulle labbra sottili. Scosse la testa per un attimo, ma la giovane non sembrò esserne minimamente turbata, anzi, sembrava che fosse assolutamente normale.
“Sì, certo. E io lo Stregatto, molto piacere.” Le rispose ridacchiando, voltandosi di nuovo verso di lei.
“Onorata.”
Non si era scomposta neanche per un istante, continuando a sorridergli come se niente fosse.
“D’accordo..” John si sistemò meglio sulla panchina, appoggiandosi con un gomito sullo schienale e voltandosi di più verso di lei, per guardarla più frontalmente.
Fece come per aprire la bocca e dire qualcosa, ma le parole non gli vennero subito, quindi ritentò dopo un paio di secondi che si era dato per raccogliere le idee. Quella probabilmente era una pazza scappata da chissà dove. Una bella e giovane pazza, con cui adesso era curioso di parlare.
“E di grazia,” fece schioccare la lingua. “Che cosa ci faresti qui, seduta su una panchina in mezzo a Central Park? Sei per caso venuta a prendermi?”
Rise mentre parlava, decidendo che reggerle il gioco avrebbe reso tutto più divertente.
Lei mantenne la stessa espressione, imperturbabile.
“No, sono qui per avvertirti. Per darti un vantaggio su di me.” Fece una pausa, guardandosi le mani guantate, sistemandosi con eleganza le cuciture ai lati delle dita, poi tornò con gli occhi azzurri su quelli color nocciola dell’uomo quando questo cominciò a parlare.
“Un vantaggio? E a che scopo?” Chiese, leggermente perplesso, ma con ancora un sorriso di sfida sul viso.
Lei doveva aspettarsi quella domanda, perché cominciò a rispondere non appena John ebbe finito la domanda.
“Per darti il tempo di fare ciò che avresti sempre voluto. Non sentirti speciale. Non lo sei.” Poi sospirò, spostando solo gli occhi sulla terra ai loro piedi, mentre il sorriso si indeboliva lievemente. “Tutti vengono avvertiti, ma nessuno mi crede mai..”
Tornò a guardarlo con occhietti furbi e arricciando di nuovo gli angoli della bocca.
“Non faccio fatica a immaginarlo..” Commentò lui, spostando lo sguardo, facendo ridere la giovane.
“Avvertii anche tua madre nel luglio del 1958, credendomi..” Cominciò a parlare lei.
“Sono stato uno dei quattro uomini più famosi del mondo, dolcezza. Dimmi qualcosa che non so.” Si girò verso di lei, inarcando un sopracciglio con un’espressione divertita e provocatoria.
“.. E quando la aiutai a salire sulla bici mi disse che probabilmente lo stufato di carne di tua zia non l’avrebbe digerito bene. Troppe carote.” Continuò, serena.
John rimase congelato a guardarla, serrando la mascella. Si appoggiò con entrambi i gomiti sulle ginocchia, sporgendosi verso la giovane, fissando il suo sguardo.
“Da chi cazzo l’hai saputo questo?” Strinse gli occhi in una fessura.
“Non hai bisogno che ti risponda. Lo sai già.”
L’uomo annuì, chiudendo gli occhi.
“Quindi sei qui per me, adesso.”
Anche lei annuì.
“Quanto vantaggio ho? Se puoi dirmelo.”
“Tre giorni. Quattro, se vuoi contare anche la giornata di oggi, dato che è appena mattina.”
“Quat.. Quattro giorni?! E che cosa dovrei farci con quattro giorni scarsi?!” Esclamò, spalancando gli occhi per guardarla.
“Puoi decidere tu cosa fare. Hai l’occasione di sapere quanto ti resta, non sprecarla.”
“Come me ne andrò?”
“Questo non posso dirtelo.” Lui la guardò perplesso. “Non lo so ancora, dipenderà da ciò che avrai intenzione di fare in questi giorni, soprattutto l’ultimo.”
John sembrò soppesare la cosa, poi si sollevò un po’ con un sospiro.
“Non posso scappare, giusto?”
Rispose con un cenno affermativo anche a quello.
“È come quella storia.. Quella sull’Angelo della Morte di Samarcanda. Tu sei un angelo?” Le chiese, riportando alla mente una vecchia storia che aveva sentito da bambino, ma che gli era rimasta impressa come un tatuaggio della sua memoria.
“Se preferisci vedermi come un angelo, va bene, ma mi sono già presentata.”
“Diciamo che mi aspettavo una Morte un po’ diversa..” Commentò, con un mezzo sorriso. “Preferisco questa versione.”
“Ti aspettavi una vecchia raggrinzita, o uno scheletro incappucciato armato di falce?” Gli chiese, ridendo genuinamente mentre lui annuiva. “Molti di voi mi descrivono così, non capisco perché.”
“Posso parlare di te?” Chiese ancora.
“Che cosa intendi?” Si incuriosì lei.
“Sì, insomma, dire che mi hai parlato.” Tentò di spiegarsi, mentre guardava il verde intorno a loro.
“Puoi fare quello che vuoi, John. Questi ultimi quattro giorni sono interamente tuoi.” Gli sorrise, quasi con compassione. “Ma non aspettarti che ti credano.”
“Certo, ma tanto se devo morire non mi importa che mi credano un pazzo per l’ennesima volta.” Ridacchiò.
La risatina contagiò anche la giovane, che si portò una mano alla bocca per coprirla con eleganza. “Sai, John, è stato un piacere parlare con te. Sei uno dei pochi umani che si ferma a chiacchierare un po’. Per questo motivo, il tempo si è fermato nel momento in cui mi hai vista.”
John la guardò nuovamente perplesso, osservando il viavai delle persone davanti a loro.
“Il tuo tempo.” Spiegò lei, e lui sembrò capire, almeno un poco. “Bene, ora devo salutarti, il tempo si è fermato per te, per tutti gli altri sta ancora scorrendo, e sta per arrivare qualcun altro da avvertire.”
Una giovane coppia con un cane al guinzaglio apparve poco distante da loro, camminando tranquillamente nel parco.
“Oh, eccolo, giusto in tempo!”
Detto questo si alzò, sorridente, quando i tre furono ad appena due passi dalla panchina. Il cane inchiodò non appena la vide, interdetto. Lei gli si avvicinò raggiante, e allungò la mano guantata appoggiandola dolcemente sul naso nero e bagnato dell’animale, che le scodinzolò appena, e dopo un paio di richiami dei padroni riprese a camminare, attaccandosi alla gamba del giovane, trotterellando contento.
“Ma.. Tu.. Avverti anche gli animali?” Chiese, stupito.
Lei annuì un’ultima volta.
“Ora non possiamo più parlare John, non sprecare con me il tuo tempo.” Gli disse gentilmente prima di sparire dietro a un passante.
Un signore anziano dalla faccia simpatica e il baffo brizzolato, che indossava un paio di occhiali da vista dalla montatura leggera marrone chiaro, tenendo sottobraccio il suo New York Times, che si andò a sedere proprio accanto a lui.
“Senta, non è che lei è mica il Tempo? No, perché ne avrei un gran bisogno adesso, sa.” Disse, voltandosi verso l’anziano, prima di alzarsi mentre questo lo guardava davvero sgomento.
 
Controllando l’orologio, si accorse che quella giovane aveva ragione. Erano passati a mala pena tre minuti da quando aveva guardato l’ora, poco prima di vederla. E stava camminando da almeno due minuti adesso.
L’otto.. Morirò lunedì..
Pensò fra sé e sé. Una lieve ansia si insinuò in lui. Si chiese che cosa potesse fare che non avesse già fatto.
Ubriacarsi fino a non ricordare niente? Fatto, milioni di volte. Una canna o altra droga? Nah, doveva regolarsi con quella roba, o sarebbe morto di quello, e non voleva morire così.
Camminò tutta la mattina, pensando a cosa potesse fare un’ultima volta. Pensò di suonare la chitarra per tutto il tempo, ma non gli avrebbe dato la soddisfazione sperata in quel momento.
Quando rientrò a casa, gli venne incontro velocemente un bambino coperto fino alla punta dei capelli con il suo pigiamino a macchinine rosse, mentre da un’altra stanza arrivavano le grida sgraziate della madre che lo stava cercando per rimetterlo immediatamente a letto. Quando anche la donna arrivò nell’ingresso, e vide il piccolo nascosto dietro la gamba di John, lo rimproverò di non averla ascoltata.
“Povero Sean, non avrai esagerato con le tue manie germofobiche?” Ridacchiò, accarezzando i capelli morbidi del bambino con una mano, e chinandosi per prenderlo in braccio.
Yoko incrociò le braccia al petto, con aria contrariata. “Da quando stai dalla sua parte?”
“Da quando non ha più il raffreddore, ma solo il naso un po’ spellato.” Rispose, poi si rivolse al bimbo guardandolo con dolcezza e picchiettandogli l’indice sul naso. “È vero che la mamma esagera a volte?”
Sean mosse su e giù la testa in modo molto convinto, mormorando un , e strusciandosi un occhietto con la manina chiusa a pugno.
“Però ora cosa ne diresti di andare a letto, mh? Papà viene dopo a raccontarti una storia, ti va?” Propose allora John, con un sorriso, mentre il piccolo annuiva contento.
L’uomo lo rimise a terra lentamente, dato che quello aveva già cominciato a divincolarsi per correre verso il suo lettino.
“Che hai?” Chiese la donna, guardandolo diffidente.
“Niente, perché?” Inarcò un sopracciglio dopo essersi sistemato gli occhiali.
“Non racconti mai storie a Sean. È successo qualcosa, John?”
“Ti ho detto che non è successo niente.” Rispose serio.
Non c’era bisogno che lei sapesse dell’incontro che aveva avuto al parco. Inoltre le aveva risposto con un tono severo, sapendo che non avrebbe replicato a quello se non voleva essere spazzata via.
Scosse la testa, con un sospiro. Solo quattro giorni John.
“Scusami, è solo che lo vedo crescere così in fretta. Fra un paio di giorni non potrà più sentire la mia voce senza urlarmi contro nel pieno dell’adolescenza, ne sono certo.” Nascose così il reale motivo della sua risposta secca. Una fitta gli salì in gola, all’idea che la sua adolescenza non l’avrebbe mai vissuta.
Ma la donna parve crederci, così andò a rassicurarlo che no, stai tranquillo, potrai parlargli ancora a lungo.
E questo non fece altro che aumentare il magone che gli aveva preso lo stomaco e si rifiutava di lasciare la presa, mentre lui si sforzava di sorridere sulle labbra di lei mentre la abbracciava.
 
* * *
 
Si svegliò accanto al letto di Sean, con il libro in mano e gli occhiali storti sul naso. Era mattina presto, e la luce accarezzava il morbido fagotto nel lettino di Sean.
John guardò la sveglia per controllare la data. 12. 06. 80.
No, questo non aiutava la sua ansia.
Si rese conto che passare la giornata con il figlio non l’aveva soddisfatto, o meglio, non totalmente, e gli venne il pensiero di aver sprecato quella mezza giornata in più che aveva. Ora gli restavano solo tre giorni.
Dannazione.
Lì per lì pensava di averla presa bene. Pensava che sarebbe andato tutto bene. Era naturale, no?
Pensava di avere davvero quel vantaggio sul tempo che scorreva, e il giorno prima era assolutamente convinto che sarebbe riuscito a fare tutto quello che si era ripromesso di fare prima di morire.
Ora non ne era più così convinto, in realtà. Sarebbe morto prima dell’8, di sicuro, per l’agitazione di non aver finito le cose da fare. Era un assurdo pensare di morire per l’ansia di morire.
Si spostò in cucina, trovando un bigliettino sul tavolo, in cui Yoko lo informava di essere uscita per alcune commissioni che doveva fare.
Tuo marito sta per morire e tu pensi alle faccende.
Pensò, inarcando un sopracciglio.
Poi, mentre si preparava un the, ripensò a quegli anni passati con quella donna asiatica.
Forse quando le aveva detto di amarla era stato sincero, ma se l’avesse fatto ora sarebbe stato solo un ipocrita. Si era stufato di amarla, come tutte le persone con cui era stato, ma era comunque affezionato a lei, quindi pensò che forse avrebbe potuto dirle una piccola bugia, solo per andarsene a cuore più leggero. Era piuttosto sicuro che anche lei non lo amasse più, ma nessuno dei due voleva ancora sconvolgere la vita di Sean. Ormai erano solo due persone che si volevano bene in un modo non meglio definito.
Questo lo portò con la mente a Cynthia e Julian. Avrebbe dovuto chiamarli prima dell’8 dicembre.
Ripensò al suo figlio maggiore. Adesso avrebbe volentieri buttato al vento diverse registrazioni in studio pur di passare un po’ di tempo con lui, ma era dall’altra parte del mondo, e recuperare qualcosa con lui sarebbe stato impossibile dato il poco tempo che aveva a sua disposizione. Pensò anche di dover chiamare sua zia, voleva davvero sentire le sue sgridate almeno un’ultima volta.
Dopo un po’ la sua mente lo guidò a un’altra persona con cui doveva recuperare un rapporto. E quello, forse, era anche più importante di quello con Julian. Forse era il più importante della sua vita.
Istintivamente prese il telefono e compose un numero.
“. . .”
“. . .”
“Pronto?”
John stette in silenzio un paio di secondi.
“C’è qualcuno? Pronto?”
Si risvegliò da quella piccola trance in cui era caduto quando sentì nuovamente la voce così familiare dall’altro capo del telefono.
“Paul.”
“John?”
Ci fu un attimo di silenzio anche nella cornetta.
“Ehi, amico, ascolta. Ti richiamo semmai più tardi, sono nel pieno dei preparativi per..”
“Paul. Sto per morire.”
 
* * *
 
Guardò l’orologio. 13.40.
Era in ritardo, di dieci minuti. Per un attimo temette che non si sarebbe presentato.
Si lasciò cadere la testa fra le mani, passandosi le dita fra i capelli.
No. Non poteva andarsene senza avergli detto addio. Non senza averlo visto almeno una volta.
“Non potevi scegliere un posto più caldo e visibile vero? Una panchina in mezzo al parco in pieno inverno.”
Alzò di nuovo gli occhi e lo vide, lì in piedi davanti a lui.
Era avvolto nel suo cappotto caldo, ma nonostante quello si strofinava velocemente le mani sulle braccia per riscaldarsi.
“Poi hai idea della fatica per venire qui senza dare nell’occhio? Una signora mi ha anche detto che sembravo proprio me stesso, e sai che le ho dovuto rispondere? Che sono morto. Dio, la prossima volta ci incontriamo dove dico io..”
John rimase in silenzio a guardarlo con un sorriso. Poteva avere i capelli un po’ più lunghi, il viso un po’ meno paffuto e un cappotto rosso brillante, ma lui vedeva ancora un ragazzino con la giacca di pelle e le guance rosa, con i capelli tenuti insieme dalla brillantina.
“Per favore, di’ qualcosa, è già abbastanza imbarazzante così.” Disse, in modo abbastanza freddo e distaccato.
“Dici?” Provò a stuzzicarlo.
“Il fatto che dopo dieci anni ancora io corra da te quando mi chiami? Sì, lo è.”
John sentì una fitta allo stomaco. Non si aspettava certo un abbraccio, ma neanche questo.
“Potevi ridermi in faccia e attaccare.” Rispose con un sorriso amaro.
“Sai che non posso.” Lo guardò negli occhi serio. “Fammi spazio, ho le gambe a pezzi.”
Il maggiore si spostò un poco per fare posto all’altro sulla panchina. Quello si sedette, voltandosi verso di lui.
“Allora, cos’è questa stronzata che mi hai detto al telefono?” Gli chiese scettico, memore della telefonata di quella mattina.
John serrò le labbra per prendere un bel respiro, trovare il coraggio di dirlo di nuovo, pensando a un modo per non sembrare così tanto spaventato o turbato come in realtà era.
“Morirò, Paul.” Disse serio.
“Grazie, quello lo facciamo tutti di tanto in tanto.” Rispose immediatamente, senza staccare gli occhi dai suoi, con l’accenno di un sorriso sarcastico sulle labbra.
“Ma io lo farò dopodomani.”
“Come fai a esserne certo, scusa? Potrebbe essere fra cinque minuti, potrei ucciderti io adesso, ad esempio, oppure fra vent’anni. Hai passato momenti peggiori, ne sono certo.” Ribatté il minore, passandosi una mano fra i capelli con distrazione, probabilmente per sistemarli inconsciamente, per poi riprendere serio. “E il suicidio non è un’opzione, ne avevamo già parlato, mi sembra.”
John scosse impercettibilmente la testa, in silenzio, ripensando per un attimo ad anni e anni prima. Sembrava passata una vita ormai. Era passata una vita, in effetti.
“E allora che c’è? Ti hanno minacciato? Hai ricevuto qualche messaggio minatorio? Basta andare alla polizia, cosa sarà mai.”
“Non proprio..” Sospirò, prima di continuare. “Me l’hanno detto.”
“Ma chi te l’ha detto?”
“La Morte. Lei stessa me l’ha detto.”
Paul lo guardò, per poi scoppiare in una risata.
“Certo, e io sono morto sul serio. Anzi, sono il mio sosia!” Rise ancora un po’ mentre l’altro lo guardava in silenzio. “John.. Amico, sei serio? Come puoi dire certe cose? Quanto eri fatto per aver creduto che una cosa simile fosse reale?”
“Non ero fatto. Ero seduto proprio qui quando me l’ha detto.”
“Ah sì? E sentiamo, come sarebbe fatta questa morte?”
Paul lo guardava come se stesse parlando con un matto, curioso di sapere che sostanza gli avesse provocato un trip del genere.
“È una bella donna se ti interessa: una giovane bionda, molto elegante, con gli occhi chiari. Ma il punto, se permetti, è che mi ha detto che fra due giorni morirò.”
L’altro lo guardò, con un sorriso. Quando i secondi cominciarono a passare muti, la sua bocca perse piano l’incurvatura, capendo che l’uomo non stava scherzando.
“Ma.. Stai parlando davvero sul serio?”
John annuì, dentro di sé sgomento all’idea che l’altro non gli credesse.
“E come sai che non era una folle che voleva solo spaventarti?”
“Mi ha detto una cosa, che poteva sapere solo un’altra persona oltre a me e Mimi.” Disse serio, con gli occhi che sembravano lucidi.
“Cosa?”
“Che lo stufato non è l’ideale prima di andare in bici.” Deglutì, muovendo impercettibilmente le sopracciglia mentre spostava lo sguardo sulle sue mani.
Paul non capì inizialmente, solo dopo qualche secondo, di silenzio e confusione, nella sua testa sfogliò un ricordo sepolto lontano nella sua memoria, diventato ormai quasi evanescente. Gli occhi si congelarono al pensiero.
“Le ho creduto. Non posso non farlo.” John rialzò gli occhi, visibilmente rossi e preoccupati.
L’altro teneva le labbra serrate, respirando profondamente, soppesando la cosa nella sua testa. Ancora non aveva senso, ancora era irreale, ancora era lontana.
Si sentiva la testa pesante, come se le parole l’avessero colpito fisicamente, e sentiva un nodo alla gola che si stringeva intorno al suo respiro, rendendolo faticoso e irregolare.
Ancora non ci voleva credere.
“Stai parlando con un uomo morto, Paul.”
“Che sciocchezza.” Si alzò di scatto, con una faccia incredula, facendo qualche passo nervosamente. “Non crederci, John. Sicuramente era sono una matta che ha voluto farti un brutto scherzo.”
“Può essere, ma allora perché le credi anche tu ora?”
“Io non ci credo.” Lo fulminò con lo sguardo.
“Ti stai mordendo l’interno della guancia per contenerti, lo vedo. Fai così quando sei arrabbiato e ti rifiuti di accettare qualcosa. Quindi le credi anche tu, lo so.” Rispose con calma. Aveva visto un milione di volte l’altro fare così.













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Note dell'Autrice
Zalve!
Chi non muore si rivede, e io mi sono rifatta viva col botto. Vi ero mancata?
No, immagino di no. Nessuno aveva bisogno che tornassi così, ne sono cosciente, tranquilli. Lol.
Ma voi? Che mi dite? Come state? Scuola/università, vita, lavoro e chi vuole aggiunga altro, come va?
È passata una vita dall'ultima volta che ho pubblicato, lo so. Avevo promesso molte più pubblicazioni, I know, però, molto in sintesi: pc esploso, memoria andata, fanfics pure; università, esami con cui non sono in pari, e addio tempo di scrivere. Tanto i sogni di gloria li ho già persi anni fa, lol. Dopo tutto questo tempo, ero incredibilmente emozionata all'idea di 'tornare in scena', vi giuro, ho fatto il conto alla rovescia da quando Beta ha finito di leggere e correggere.
Cooooomunque! Ora, per questi tre giorni, sarò qui, che lo vogliate o no. Gn.
Mi mancava pubblicare, mi mancava scrivere McLennon, mi mancava il fandom, mi mancavano i lettori, sileziosi e non. Per questo, ho deciso, dopo davvero troppo tempo, di rimettere mano a questa cosa e vedere se riuscivo a cavarne qualcosa di decente, quindi ora ve la presento.
 
Questa storia l'ho iniziata il 3 gennaio del 2017, il giorno dopo aver visto Collateral Beauty, film che consiglio a tutti btw. Il mio consiglio è anche quello di armarvi di fazzoletti, ma questo va a carattere. Quello stesso giorno, tante ore più tardi, la mia vita è stata capovolta dopo due ore di ansia terrificante mentre mi dichiaravo alla mia ragazza. Stiamo ancora insieme, incredibilmente.
Ma comunque, appena ho finito il film, un’idea mi è balzata in mente. E se esistesse una Morte personificata? E se questa ti avvertisse per tempo?
Al che, ovviamente, ho pensato “Cavolo, voglio scriverci una storia!”. Ma non volevo partire da zero, per quanto da una parte sarebbe stato molto più facile. Sono partita da un altro e se?, ovvero E se lei gliel’avesse detto?.
Così è nata questa storia.
 
È più che probabile che leggendola troviate tre autrici diverse. Non perché l’abbiamo scritta in tre, anzi, sono passati quasi due anni non a caso: l’ho scritta in tre momenti ben diversi fra loro.
Il primo capitolo, ovvero questo, è stato il primo a nascere quello stesso giorno per il mio entusiasmo, e così è rimasto, immutato fino a oggi. Questa storia si fermò lì, fin dove avete letto, per mesi, poco più di otto per la precisione. Non so neanche bene perché, ma non la continuai, nonostante volessi. Forse era Hegel che mi tormentava in sogno per dirmi di studiarlo anziché farmi i cazzi miei. Comprensibile, come dare torto a Georg?
Otto mesi dopo, la ripresi per scrivere il secondo capitolo mentre tornavo da Napoli, in treno verso casa con due mie amiche. E anche qui, fu un determinato evento che mi riportò su questa storia, anche se stavolta triste: una ragazza a cui volevo bene, anche se non la conoscevo da chissà quanto, morì il giorno prima della mia partenza verso Napoli. Nel viaggio di ritorno, mi trovai a scrivere, forse per sfogarmi, il capitolo che leggerete domani.
Più di un anno dopo, infine, armata di voglia di scrivere, o meglio, di concludere qualcosa di lasciato in sospeso, ho fatto un giro su alcune usb che avevo nel cassetto, e ho ritrovato lei, questa storia. Ho pensato che avesse aspettato fin troppo per trovare una fine, così mi sono decisa e, in tempo per i giorni in cui due anni fa avevo pensato di pubblicarla, è uscita. Questo succedeva pochi giorni fa.
 
Inoltre, questo tecnicamente è fare spoiler, lo so, ma almeno sapete a cosa andate incontro: non è un errore il genere che ho scelto, angst, sebbene io generalmente scriva fluff, coccole e tutto il resto. La storia è già scritta e non si può cambiare, non questa volta perlomeno.
 
Non so se vi piacerà, non so se avrete chiuso la pagina dopo cinque righe, non so neanche cosa ne avrebbero pensato le altre due me. Il mio parere lo troverete nel mio angolo di dopodomani, ed è stato stupefacente anche per me scriverlo.
Non lo so, ma voglio saperlo. Ditemi cosa ne pensate, proprio perché questa storia è diversa da tutte le altre, lontana dal mio normale modo di scrivere, sia come genere (come dicevo prima) sia come punto di vista (chi ha letto altre mie storie lo sa, raramente tocco i sentimenti dei miei personaggi da vicino: non mi piace esaltare troppo un punto di vista rispetto a un altro, e mi piacciono i testi ‘cinematografici’, dove puoi vedere per ‘intero’ la scena) sia perché non è esattamente come la volevo/come l’avevo pensata; insomma, commentatela perché so che non è perfetta, e non lo sarà mai.
Ma di questo riparlerò in futuro.
 
Per ora, grazie mille di aver letto questo primo capitolo, per aver letto anche quest’intera pagina di “note” (boia, ho scritto una pagina solo di commento lol), per essere arrivati fino a qui.
Spero di non deludere troppo le vostre aspettative domani e dopodomani.
Ringrazio chiunque vorrà commentare, dare una propria opinione o ipotesi su cosa farà John nel prossimo capitolo, o dire che emozioni questa storia vi sta dando. Ogni commento è importante per me, sempre.
Infine, ringrazio la mia adorabile Beta, che pazientemente legge e corregge ogni mia frase in ogni mia storia. Grazie di non avermi ancora uccisa, ti voglio bene <3
Un grazie anche all'amore della mia ragazza, che non so come reagirà a questa storia, dato che mi ha chiaramente detto che non è possibile che io abbia scritto una angst, sebbene non sia neanche la prima che scrivo (se non mi credete, controllate qui).

Via, ci si legge domani!
un giga-abbraccio fluffoso a tutti, penso possiate averne bisogno!


Athelye ~♥



P.S. Per la lettura, ormai è tardi dirlo per questo capitolo, ma per le prossime vi consiglio questo brano, dalla colonna sonora del film. L'ho ascoltato sia per scrivere questo che l'ultimo capitolo.
   
 
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