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Autore: Voglioungufo    07/12/2018    2 recensioni
Venezia è una città magica, secondo Thomas Mann metà fiaba e metà trappola, patria delle maschere. Ma è a Venezia che Leo deve cercare una risposta, trovare la ragione dietro la propria maschera e conoscere finalmente se stesso. Anche se ha lo stesso gusto di un salto nel vuoto.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Overthinking.

 
 
 
“I can go and overthink this
If you want to
Nothing much is gonna change”.
(We are scientist – No wait a five levels)1
 
 
 
17 Settembre 2018
Sedi Università Ca’ Foscari
 
Il secondo giorno di università per Leo fu molto più frenetico nonostante la prima lezione fosse restata Estetica a mezzogiorno, ma dopo di essa ne aveva altre tre con solo lo stacco di un quarto d’ora dall’una e all’altra. Se dopo Estetica Simon aveva avuto la possibilità di andare in Campo a pranzare, a Leo quella pausa non era stata concessa: era dovuto correre a Teoretica per non rischiare di non trovare posto e sedersi sui gradini. Poi aveva raggiunto Simon e insieme erano corsi alla prima lezione di Filosofia Morale; l’amico era molto scettico in merito, perché dei loro compagni di corso più anziani non avevano parlato molto bene del professore, descrivendolo come un fanfarone bigotto. Il motivo principale per cui Simon partiva abbastanza prevenuto erano le voci della sua religiosità un poco estrema, al suo contrario Leo non lo considerava affatto un problema, essendo lui per primo credente.
La lezione fu strana, nessuno dei due se la sentì di dare un giudizio sul professore. Era evidentemente una persona a cui piaceva parlare di se stesso e nel corso della lezione aveva usato spesso esperienze personali per fare esempi che a malapena entravano nel discorso. Ciò che fece loro storcere il naso fu il modo poco educato con cui spesso si riferiva ai colleghi. Però l’argomento si prospettava ricco e interessante, Leo era entusiasta di iniziarlo.
Meno entusiasta fu di trascinarsi alla quarta lezione della giornata. Erano ormai le cinque e mezza, non aveva la volontà di restare concentrato per altre due ore.
“Mettere lezione a certi orari dovrebbe essere illegale” protestò sconfortato.
Simon, che aveva avuto la pausa pranzo, non si mostrò altrettanto provato.
“Se segui troppi corsi puoi lasciarne stare uno” gli fece notare.
“Ma voglio cercare di stare il più possibile con te” piagnucolò “E poi non posso scartarne uno senza nemmeno provarlo prima”.
Ignorò la prima risposta e sperò di non essere arrossito nelle orecchie; era bravissimo a tenere una faccia da bronzo e raramente l’imbarazzo gli imporporava le guance, ma a volte le orecchie gli si infiammavano se accadeva qualcosa di inaspettato che lo compiaceva. Per questo le sfiorò con le dita e cercò di nasconderle con le ciocche più lunghe dei capelli ribelli.
“Dai, andiamo”  borbottò. “La lezione è San Basilio”.
“Secondo te che cosa si fa a Filosofia della Letteratura?” domandò. “Non è che il sito fosse molto chiaro”.
“Il sito non è mai chiaro”.
“Sì, però… ci sono così tanti testi che mi chiedo quale sia il filo conduttore. Forse faremo un lavoro ermeneutico?”
Simon rabbrividì a quella parola, memore del corso di ermeneutica filosofica frequentato l’anno prima.
“Spero di no”.
Arrivarono che la lezione era cominciata da qualche minuto, perciò si sedettero in ultima fila per non fare troppa confusione. L’insegnante sembrava molto presa da quello che diceva, ma parlava così velocemente che faticarono a capire di cosa stesse parlando.
“Ah, sta riassumendo il programma”.
Leo si ritrovò a pensare che quella professoressa era chiara quanto il sito, o forse era lui troppo stanco per riuscire a starle dietro. Saltava da un argomento all’altro senza concludere il primo, a volte perfino la frase rimaneva sospesa a metà perché lei veniva colta da un altro pensiero. Faceva movimenti energici con le mani che lo distraevano, si ritrovò a perdere il filo del discorso più di una volta perché si incantava a guardarla gesticolare. Il suo quaderno degli appunti era aperto davanti a lui con la pagina immacolata, perfino Simon aveva un’espressione un poco corrucciata e confusa. Almeno lui di tanto in tanto riusciva a segnare qualcosa con la stilografica, Leo tentò di spiare, ma la scrittura dell’amico era talmente stretta e minuta da essere illeggibile.
Sospirò e rinunciò a seguire la lezione, ormai ne aveva persa per metà e tentare di stare dietro a quelle continue divagazione era pressappoco impossibile. Appoggiò perciò la testa sul banco con gli occhi chiusi, felice di essere in ultima fila e quindi di passare inosservato. Pochi secondi dopo sentì qualcosa picchiettare sulla superficie vicino a lui, aprendo gli occhi si scontrò con lo sguardo confuso di Simon.
Morto, sillabò con le labbra.
Simon alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, poi tornò a prestare attenzione.
Ci rimase un poco male, anche se era impossibile che Simon Seguo Sempre La Lezione Lunardi gli proponesse di giocare a tris per far passare il tempo. In quel momento sentì la mancanza del suo compagni di banco al liceo, Giacomo era sempre disposto a qualsiasi cosa pur di non seguire la lezione.
Tirò fuori il telefono e decise di mandare un messaggio a Teresa, magari lei lo avrebbe distratto. Le lancette dell’orologio appeso sul muro andavano troppo lente.
L:Quarta lezione della giornata, il mio cervello sta chiedendo pietà. Salvami almeno tu!”
Mentre aspettava la risposta schiacciò sull’immagine di profilo di what’s app, quel giorno l’aveva cambiata. Teresa era una bellezza molto semplice, con un volto pulito e ovale, gli occhi rotondi intelligenti e le ciglia lunghe. Nella foto sorrideva con una mano a nasconderle un poco la bocca socchiusa, i capelli castani erano  raccolti in una mezza coda spettinata che le scendeva a metà schiena. Gli piacevano i suoi capelli, soprattutto adorava passarci le dita mentre si baciavano, erano morbidi e lisci.
La risposta arrivò quasi subito.
T: “Attento a non uccidere anche l’ultimo neurone, saputello”.
Fece un sorriso al nomignolo.
L: “No, è troppo tenace per morire e mi serve ancora. Com’è andata oggi a scuola?”
T: “Andata, il solito”.
Teresa era ancora al liceo, era all’ultimo anno e si stava preparando ad affrontare la maturità; sapeva già che per quel motivo, unito alla distanza, sarebbero riusciti a vedersi molto meno.
L: “Dopo posso chiamarti?”
T: “No, dai, ci siamo sentiti ieri e oggi viene Sere da me. Magari domani”.
Ci rimase male per quella risposta, ma decise di non insistere per non farla sentire pressata. Teresa poteva reagire molto male se credeva che qualcuno le stesse facendo pressione, si stressava facilmente e per questo cercava di essere sempre organizzata.
Si scrissero un altro poco, ma alla fine lei lo salutò per andare a farsi la doccia e si ritrovò a non sapere che altro fare. Scarabocchiò sul banco con fare distratto, poi quando vide che mancavano dieci minuti alla fine della lezione fece segno a Simon.
“Io esco” sussurrò.
“Mancano dieci minuti” gli fece notare indispettito. “Puoi resistere?”
“Sto per morire, te lo giuro”.
Sbuffò. “Vai a casa o mi aspetti?”
“Ti aspetto” assicurò.
Cercò di essere il più silenzioso possibile nell’uscire e fu confortato di non essere l’unico a darsi alla fuga.
Respirò l’aria tiepida con sollievo, il cielo si stava colorando di rosso per il tramonto ormai vicino. La zona attorno all’aula era silenziosa e vuota, non c’era assolutamente nessuno.  Si stiracchiò e sbadigliò, era distrutto e moriva di sonno, forse restare svegli fino a tardi non era una grande idea. Camminò avanti e indietro per le porte delle aule nel tentativo di distrarsi, si pentì di essere uscito perché aspettare fuori da solo non era tanto diverso che stare dentro.
Da una delle porte uscì un ragazzo, che quasi gli finì addosso, e dopo una frettolosa scusa se ne andò senza chiudere la porta alle sue spalle, lasciandola per metà spalancata. Senza un motivo apparente, giusto perché non aveva nulla da fare, lanciò uno sguardo all’interno.
Si congelò sul posto.
Pareva essere un aula studio ed era vuota, per eccezione di due ragazzi seduti vicini. Due ragazzi che si stavano baciando.
Non riuscì a reagire subito e rimase a fissarli, il cuore schizzato in gola; uno teneva la mano sulla spalla dell’altro, aveva il volto inclinato e il naso schiacciato contro lo zigomo, si baciavano lentamente come se avessero tutto il tempo del mondo, come se non temessero che qualcuno potesse entrare e sorprenderli, per nulla consci del ragazzo fuori che li spiava ammutolito.
Con un sussulto si accorse di quello che stava facendo e se ne vergognò, distolse lo sguardo e poi si allontanò a passo veloce, ormai perso nella propria testa per i troppi pensieri.
 
Simon s’indignò quando uscito dall’aula non trovò nessuno. Eppure gli aveva chiesto di non andare a casa subito e di aspettarlo.
“Abbandonato?”
Slittò lo sguardo verso Arturo, non si era accorto esserci anche lui nella classe.
Scrollò le spalle. “Leo ha abbandonato la nave”.
Annuì mentre tirava fuori la sigaretta, non era accompagnato da Giada e apprezzò molto quel dettaglio. Anche lui cominciava a sentirsi provato per le lezioni e non aveva la forza necessaria per sopportarla.
“Sì, ha fatto bene” accese la sigaretta e se la portò alle labbra. “Non ho ben capito dove volesse andare a parare, questa donna”.
“A me sembra interessante, da quello che ho capito” si affrettò ad aggiungere.
Non capì il sorriso obliquo che fece Arturo.
“Lo seguirai, quindi”.
“Ormai sono qui” scrollò ancora le spalle. “Tu?”
“Vedremo” soffiò il fumo mentre allontana la sigaretta con un gesto elegante del polso. “Facciamo un pezzo insieme?” domandò con un cenno della testa verso la strada.
Rimase sorpreso da quella richiesta, ma accettò, se ricordava bene aveva preso casa a San Polo, il sestiere vicino a quello di Santa Croce.
S’incamminarono in silenzio, Arturo gli chiese se volesse una sigaretta, ma lui declinò dal momento che non fumava. Il sole alle loro spalle era uno spicchio che si nascondeva oltre il Canale della Giudecca e lanciava lunghe ombre sulla strada. Non c’era ormai più nessuno a quell’ora, perciò Simon lo notò subito.
Leo non era andato a casa, era andato alla panchina di Biagio, il micio universitario. Era un gatto magrolino e tigrato che abitava quella zona, su una delle panchine c’era la sua cuccia e una ciotola che a volte le vecchiette del quartiere o gli stessi universitari riempivano; non era raro trovare qualcuno seduto alla panchina per coccolarlo come stava facendo in quel momento Leo.
Si sentì stupido per non averci pensato, era ovvio che non fosse andato a casa ma avesse raggiunto il gatto per passare il tempo. Eppure c’era qualcosa che non andava.
“Leo?” domandò fermandosi. Anche Arturo si fermò.
Quello alzò lo sguardo dal gatto che teneva sul grembo, i suoi occhi parevano leggermente persi.
“È finita la lezione?” chiese distrattamente.
“Sì, credevo fossi andato a casa”.
“No” disse solo.
Arturo inarcò un sopracciglio abituato com’era a sentirlo parlare a macchinetta quella sua poca loquacità doveva essere una sorpresa.  Per Simon invece non lo era affatto, perciò si scambiò uno sguardo con l’altro ragazzo facendogli capire che non avrebbero fatto la strada insieme.
Arturo colse il messaggio e lo salutò con un cenno del mento, poi si allontanò. Simon invece si sedette sulla panchina accanto all’amico e appena lo fece Biagio si allungò anche su sul grembo, muovendo una sua zampina contro la sua mano. Cominciò a grattargli dietro le orecchie distratto, più preoccupato a spiare Leo di soppiatto.
Leonardo era un grande chiacchierone, di quella tipologia che riusciva a intavolare una conversazione anche con un muro; non importava chi aveva davanti, sicuramente lo avrebbe stordito di parole. Questa era l’idea che tutti avevano di Leo, ed era assolutamente fondata, lui era davvero quel tipo di persona, il suo continuo parlare non era una maschera sociale, tutt’altro. Però c’erano quei momenti in cui sembrava spegnersi, in cui tutta l’energia che rivolgeva al mondo esterno restava chiusa dentro di lui. C’erano quei momenti, che potevano accadere per la più insignificante cosa, dove Leo cominciava a pensare e pensare, rimuginava così tanto da perdersi nel proprio mondo ignorando quello che lo circondava. Quegli stati di pensiero continuo potevano durare giorni come poche ore e solitamente si risolvevano in due possibilità: nel caso positivo raccontava a Simon del viaggio introspettivo che aveva avuto, con tutte le idee che aveva vagliato e le soluzioni che lo avevano scosso; nel caso negativo faceva semplicemente finta di niente, come se magari non avesse passato un’intera giornata nel mutismo totale.
Simon ovviamente preferiva quando si apriva, perché era sempre affascinato dalle conclusioni a cui l’amico arrivava; si chiese come mai fosse piombato in quello stato, era qualcosa successo a lezione? Eppure non ne era sembrato molto coinvolto. In ogni caso sapeva che cercare di sforzarlo a parlare era inutile, si sarebbe sbloccato da solo e in quel caso si sarebbe fatto trovare a portata per raccogliere la cascata di parole entusiaste. Però si stava facendo tardi e lui voleva andare a mangiare.
“Dovremmo andare a casa” disse solo quando ormai era quasi passata un’ora.
Gli occhi azzurri si fecero un poco più consapevoli. “Sì, hai ragione. Sono stanco morto”.
Diedero un colpetto alla pancia del gatto per farlo scendere dalle loro ginocchia, Biagio protestò con qualche miagolio, ma poi tornò sulla panchina con le proprie zampe e strofinò la testa contro il fianco di Leo.
“Torno anche domani” lo rassicurò.
“Sai che non può capirti, vero?”
“Mah, se segue le lezioni di filosofia non capisco perché non debba capire me”.
“È solo una leggenda, non sappiamo se è vero”.
“Questa università ha troppe leggende, alcune dovranno essere vere”.
Leo si alzò dalla panchina spazzolando i pantaloncini, anche quel giorno si era presentato con i bermuda. Sembrava essere tornato sulla terra, non più perso sulla luna.
“A cosa stavi pensando?” domandò Simon non riuscendo a trattenere oltre la curiosità.
Fu sorpreso di vedere un’espressione nervosa. “Ma no, a niente” minimizzò. “Solo che ero stanco morto. Non credo che seguirò anche questo corso, quattro lezioni in un giorno senza pausa sono troppe anche per me”.
Non si lasciò sviare, anche se il suo momento era durato poco rispetto al solito gli era sembrato troppo concentrato per trattarsi solo dell’organizzazione del proprio orario. Forse aveva trovato un impasse che non riusciva a superare e aveva preferito lasciar perdere, era raro ma succedeva.
Perciò gli disse: “Lo sai che posso aiutarti se hai difficoltà a trovare una soluzione, vero?”
“Nah, seguire tre lezioni nel primo periodo va bene” cercò di fingere ancora, ma poi sotto lo sguardo impassibile dell’amico fece un sorriso rassegnato. “Tu tendi a sopravvalutarti, Sy”.
“Due cervelli sono meglio di uno”.
“Vero, ma…” lasciò la frase in sospeso e gli batte una mano sulla spalla in un gesto che lasciava intendere che preferiva lasciar perdere. “Ci arrivo da solo, ma non adesso che sono troppo stanco”.
Non aveva nessun motivo per insistere, soprattutto se glielo chiedeva in modo così diretto, perciò lo accontentò.
“Senti, ma dobbiamo proprio andare a casa?”
La sorpresa di Leo a sentire quella richiesta fu perfettamente leggibile e non poteva nemmeno biasimarlo, era davvero raro che formulasse quella domanda. Appena finivano le lezioni era solito dirigersi subito a casa e sbuffava quando Leo gli chiedeva di stare un po’ di più fuori.
“No, possiamo andare da qualche parte. Perché?”
“Perché questa sera è il turno di Giovanni di cucinare”.
 
 
 
Cannaregio, Strada Nova.
 
Il piccolo chiosco era abbastanza affollato come suo solito e le luci appese al soffitto illuminavano la frutta esposta e le immagini dei cocktail colorati. Dietro il bancone i ragazzi si agitavano da una parte all’altra sorridendo e mixando le varie bevande, ogni tanto offrivano un piccolo bicchiere ai passanti per invogliarli a fermarsi.
Leo adorava Frulalà, il locale per cocktail di passaggio. Era sempre uno scoppio di vita, un dj faceva andare la musica non troppo alta e la frutta che usavano era sempre fresca. Avevano deciso di andare lì a cenare, prendendo entrambi una bowl, ovvero una grande ciotola di yogurt dove potevi aggiungere qualsiasi cosa ti passasse per la testa che comprendesse frutta di stagione e frutta secca. Perfino Simon, solitamente indisposto verso i posti che richiamavano una grande folla giovanile, lo apprezzava per la qualità dei prodotti.
Avevano preso posto sugli sgabelli al balcone, quelli un po’ più in disparte. Avevano chiacchierato per tutta la serata come loro solito, del resto il loro passatempo preferito era proprio parlare, ma Leo continuava a restare solo per metà concentrato nella conversazione. Sperò che Simon non lo notasse e che, nel caso, non se la prendesse.
Sapeva di essere sciocco a restare così sconvolto per quello che aveva visto dopo la lezione, ma non riusciva a smettere di pensarci. Non tanto perché disapprovasse quello che stavano facendo quei ragazzi – dal suo punto di vista, finché non si costringeva e faceva del male a qualcuno, gli altri erano liberi di fare quello che volevano – ma perché per un momento aveva avuto la strana immagine di se stesso coinvolto in quel bacio.
Non era la prima volta che faceva pensieri simili.
Già anni primi, quando aveva circa diciassette anni, aveva cominciato a fare certi pensieri strani che lo confondevano. Gli capitava di trovare attraente l’immagine di un corpo maschile nudo, di soffermarsi a fissare gli altri uomini in palestra a compiere movimenti di fatica… Erano piccoli particolari, che tempo dopo aveva liquidato con la sua semplice capacità di riconoscere una bellezza oggettiva – se  un uomo era bello poteva riconoscerlo tranquillamente, non significava niente.
Però all’inizio quella situazione bizzarra lo aveva confuso, al punto che ingenuo si era confrontato con la ragazza con cui stava in quel periodo; le aveva detto del suo dubbio di provare un interesse fisico per i ragazzi, anche se non ne era del tutto certo perché al contrario era sicuro che gli piacessero le donne. Forse era colpa del modo in cui aveva formulato la confidenza, ma lei lo aveva lasciato nel giro di qualche giorno, perché non era sicura di voler stare con qualcuno che non sapeva nemmeno che cosa gli piaceva.
Per il diciassettenne Leo era stato un colpo durissimo, l’idea di essere stato lasciato per un motivo del genere lo aveva fatto entrare ancora in più in confusione. La sua ex aveva ragione, come poteva avere una relazione se non sapeva nemmeno se gli piacevano le ragazze o i ragazzi? La seconda opzione non lo rendeva molto entusiasta, non era contro gli omosessuali ma era comunque cresciuto in una famiglia molto credente, perciò certe idee erano difficili da mandare via. Non ricordava con piacere quel periodo, a pensarci si vergognava per il modo in cui aveva cercato di recepire ogni minimo segnale sulla sua sessualità.
Però poi era arrivata Teresa. E ogni dubbio era sparito a favore di quello che aveva avuto tutto il gusto di un colpo di fulmine.
Il loro primo incontro era stampato nella memoria di Leonardo come una fotografia dettagliata e vivida nonostante i colori notturni.
Era estate, con Giacomo si era iscritto a un campo estivo di tre giorni all’osservatorio di Asiago con un gruppo di astrofili. La prima volta che l’aveva vista Teresa era piegata a guardare con un occhio dentro un telescopio, le labbra piegate in una smorfia per tenere l’altro chiuso e le mani sulle rotelline per regolare l’apparecchio; aveva una treccia un poco sfilacciata per il vento e nonostante l’alta quota dell’altopiano portava un vestitino estivo che le lasciava le spalle scoperte.  L’aveva fissata immobile finché Giacomo non lo aveva spintonato verso di lei e allora lui, nell’imbarazzo di non sapere cosa fare, aveva cominciato a parlare a macchinetta, vomitando tutte le informazioni che sapeva sulla costellazione che la ragazza stava guardando attraverso la lente del telescopio. Quella sua brillante uscita gli aveva fatto guadagnare il soprannome di Saputello, che la ragazza ancora continuava a usare con affetto. Però aveva funzionato, dopo un’estate di corteggiamento si erano fidanzati e la loro storia era proseguita perfetta e senza complicazioni.
Be’, più o meno.
Il punto era che dubbi del genere non avevano più avuto senso di esistere, non era mai stato così innamorato di qualcuno e ormai considerava ovvio il suo essere attratto dalle ragazze. Era etero, fine della storia.
Ma allora perché?
Anche l’anno prima quei dubbi ogni tanto erano tornati come dei tarli, era un genio maligno degno di quello cartesiano e a differenza del vecchio filosofo non riusciva a scacciarlo in modo definitivo. La cosa che più lo frustava era non solo che facesse pensieri del genere mentre era fidanzato, ma che a volte coinvolgessero anche il suo migliore amico. Si sentiva una pessima persona.
A me piacciono le ragazze.
Come per voler dare una prova all’asserzione, lanciò un’occhiata alla strada e si soffermò su una ragazza in un vestitino aderente che aveva rallentato il passo per osservare il locale, aveva delle lunghe gambe e dei fianchi morbidi invitanti. Quando la ragazza passò oltre sparendo alla sua vista, si sentì aggredire dal senso di colpa.
Lui era fidanzato, non doveva guardare le altre ragazze in quel modo, soprattutto non aveva bisogno di farlo per assicurarsi di essere etero. Ne aveva già la certezza.
Sospirò e tornò a guardare ciò che restava della propria scodella di yogurt.
“Hai intenzione di dirmi che ti prende, prima o poi?”
Non guardò Simon negli occhi, anche se poteva immaginare bene che espressione avesse. Doveva averlo fatto preoccupare abbastanza se gli aveva parlato con quel tono secco.
Agitò il telefono. “Giovanni ha detto che è offeso con noi perché abbiamo rifiutato la sua cena”.
“Okay, che stia pure offeso” Simon si spostò per evitare che lo colpisse al naso. “Il vero motivo, invece?”
Ovviamente non si lasciava ingannare. Anche se si dicevano sempre tutto, non aveva granché voglia di confidarsi su quella cosa. Simon era una persona molto pudica e riservata, si arrabbiava ogni volta che Leo entrava nel bagno mentre si faceva la vasca per dire. Per quanto poteva essere comprensivo, di sicuro si sarebbe trovato in imbarazzo a sapere che il proprio compagno di stanza a volte faceva pensieri strani sui ragazzi, anche se etero.
Ma del resto sei stato tu a riportarli a galla.
Sussultò per quel pensiero sfuggito al suo controllo e scese dallo sgabello come se fosse stato punto da uno spillo, guadagnandosi così un’occhiata perplessa.
“Andiamo a prendere una crepes?” domandò con esagerata vivacità.
“Fino a Rialto?” si lagnò. “Ti prego, no”.
“Dai, sono quattro passi da qui. La sto aspettando da un’estate”.
Poco prima di Rialto c’era una creperia che avevano scoperto l’anno prima, facevano le crepes più buone che avessero mangiato; le farcivano di ogni cosa immaginava, la sua preferita era quella con la cioccolata e gli spicchi di banana.
“Abbiamo appena mangiato una ciotola enorme di yogurt e frutta, non riesco a credere che tu abbia ancora fame” protestò incredulo, ma si lasciò trascinare per la strada senza opporre una vera resistenza.
“Non occorre avere fame per volere una crepes” lo rimbrottò.
“Va bene, ti ricordo solo che domani la prima lezione è alle dieci e mezza, quindi non possiamo stare svegli ancora fino alle due”.
Lo ignorò con un ghigno soddisfatto, del resto era ancora presto. E poteva ancora tenere sotto controllo quei pensieri.
 
 
 


Note:

1.
La canzone qui
 
 
 
Ehi^^
 
Un poco più in ritardo del solito, ma questa settimana è stata frenetica, senza contare che si sta avvicinando l’ennesima sessione (la mia vita è una sessione continua singh)
Ma eccomi qui :D
Il capitolo è più centrato su Leo, mi rendo conto che i suoi pensieri siano un po’ confusionari, ma il fatto è proprio questo: ha una grande confusione in testa e non sa come districarsi.
Volevo anche informarvi che il gatto Biagio esiste ed è il migliore antidepressivo dell’università perché un coccolone adorabile <3
Spero vi sia piaciuto, vi ringrazio per seguire questa storia e vi mando un bacione!
 
Hatta
  
 
 
  
   
 
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